1 Codice ambiente. Parte VI Titolo II Prevenzione e ripristino ambientale.
2 Ambiente. Azione risarcitoria. Legittimazione ad agire.
La L. 3 luglio 1986, n. 349, art. 18 (istitutiva del
Ministero dell'ambiente) ha introdotto nel nostro ordinamento, quale forma
particolare di tutela, l'obbligo di risarcire il danno cagionato all'ambiente
(alterazione, deterioramento o distruzione anche parziale) a seguito di una
qualsiasi attività, dolosa o colposa, compiuta in violazione di un dispositivo
di legge o di un provvedimento adottato in base a legge.
E' stata così prevista una peculiare responsabilità di tipo
extracontrattuale (aquilana) connessa a fatti, dolosi o colposi, cagionanti un
danno "ingiusto" all'ambiente, dove l'ingiustizia è stata correlata
alla violazione di una disposizione di legge.
Il citato art. 18 prescriveva che l'azione di risarcimento
del danno ambientale, anche se esercitata in sede penale, potesse essere
promossa dallo Stato, nonchè dagli enti territoriali sui quali incidevano i
beni oggetto del fatto lesivo (comma 3).
La strada risarcitoria restava aperta ai privati solo ove
lamentassero la lesione di un bene individuale compromesso dal degrado
ambientale, sia esso la salute che il diritto di proprietà o altro diritto
reale.
3.2 Il D.Lgs. n. 152 del 2006 (art. 318) ha espressamente
abrogato (ad eccezione del comma 5, che riconosce alle associazioni
ambientaliste il diritto di intervenire nei giudizi per danno ambientale) la L.
n. 349 del 1986, art. 18 e, nell'art. 300 (commi l e 2), ha definito la nozione
di "danno ambientale" con riferimento a quella posta, in ambito
comunitario, dalla direttiva 2004/35/CE. Lo stesso D.Lgs. n. 152 del 2006, art.
311 riserva attualmente allo Stato, ed in particolare al Ministro dell'ambiente
e della tutela del territorio, il potere di agire, anche esercitando l'azione
civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale (in forma
specifica e, se necessario, per equivalente patrimoniale).
Ai sensi del successivo art. 313, comma 7, comunque,
"resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto
produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà,
di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e
degli interessi lesi".
Si è avuto così un ridimensionamento del ruolo degli enti
locali, ai quali è stata espressamente attribuita la sola facoltà di
sollecitare l'intervento statale (art 309) e di ricorrere in caso di inerzie od
omissioni (art. 310), ma non la legittimazione ad agire ed intervenire in
proprio per il risarcimento del danno ambientale.
Rientrano nella esclusiva pertinenza statale i profili
strettamente riparatori dell'ambiente in sè, mentre gli enti territoriali
possono agire per il risarcimento dei danni diversi, derivanti dalla lesione di
interessi locati specifici e differenziati di cui sono portatori, ad essi
eventualmente arrecati (vedi Cass., Sez. 3, n. 755/2009).
La normativa dianzi
descritta si affianca (non sussistendo alcuna antinomia reale) alla disciplina
generale del danno posta dal codice civile, sicchè le associazioni
ambientaliste - pure dopo l'abrogazione delle previsioni di legge che le
autorizzavano a proporre, in caso di inerzia degli enti territoriali, le azioni
risarcitorie per danno ambientale (D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 9, comma 3,
abrogato dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 318) - sono legittimate alla
costituzione di parte civile "iure proprio", nel processo per reati
che abbiano cagionato pregiudizi all'ambiente, per il risarcimento non del
danno all'ambiente come interesse pubblico, bensì (al pari di ogni persona
singola od associata) dei danni direttamente subiti: danni diretti e specifici,
ulteriori e diversi rispetto a quello, generico di natura pubblica, della
lesione dell'ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo
costituzionale (vedi Cass., sez. 3: 3.10.2006, n. 36514, Censi; 11.2.2010, n.
14828, De Flammineis).
Le associazioni ambientaliste, dunque, sono legittimate a
costituirsi parte civile quando perseguano un interesse non caratterizzato da
un mero collegamento con quello pubblico, bensì concretizzatosi in una realtà
storica di cui il sodalizio ha fatto il proprio scopo: in tal caso l'interesse
all'ambiente cessa di essere diffuso e diviene soggettivizzato e personificato
(vedi Cass., sez. 3: 25.1.2011, Pelloni; 21.6.2011, Memmo).
Ritiene il Collegio al riguardo (confermando l'orientamento
espresso da questa 3^ Sezione nella sentenza 21.6.2011, Memmo e nella
consapevolezza delle non convergenti posizioni enunciate nelle sentenze n.
14828/20010 e n. 41015/2010, contenente quest'ultima il riferimento ai solo
"danni patrimoniali") che il danno risarcibile secondo la disciplina
civilistica possa configurarsi anche sub specie del pregiudizio arrecato
all'attività concretamente svolta dall'associazione ambientalista per la
valorizzazione e la tutela del territorio sul quale incidono i beni oggetto del
fatto lesivo. In tali ipotesi potrebbe identificarsi un nocumento suscettibile
anche di valutazione economica in considerazione degli eventuali esborsi
finanziari sostenuti dall'ente per l'espletamento dell'attività di tutela.
La possibilità di risarcimento in favore dell'associazione
ambientalista, in ogni caso, non deve ritenersi limitata all'ambito
patrimoniale di cui all'art. 2043 cod. civ., poichè l'art. 185 c.p., comma 2, -
che costituisce l'ipotesi più importante "determinata dalla legge"
per la risarcibitità del danno non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ. -
dispone che ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non
patrimoniale, obbliga il colpevole al risarcimento nei confronti non solo del
soggetto passivo del reato stesso, ma di chiunque possa ritenersi
"danneggiato" per avere riportato un pregiudizio eziologicamente
riferibile all'azione od omissione del soggetto attivo.
Possono costituirsi parti civili sia le associazioni
ambientaliste nazionali sia le sedi locali di esse, che rappresentino un gruppo
significativo di consociati e che abbiano dato prova della continuità e della
rilevanza del loro contributo alla difesa dell'ambiente (vedi Cass., Sez. 3, n.
46746/2004). La pretesa risarcitoria deve essere connessa però - è opportuno
ribadirlo - ad un pregiudizio diretto ed immediato e non ad un mero
collegamento ideologico con l'interesse pubblico, che resta diffuso e, come
tale, non proprio del sodalizio e non risarcibile.
Tenuto conto dei principi dianzi enunciati, va rilevato che
la Corte di merito - nella vicenda in esame - razionalmente ha ravvisato
l'esistenza di un pregiudizio concreto ed effettivo per la parte civile Comune
di Alcamo, cagionata dal degrado arrecato al suo territorio attraverso
l'interramento rudimentale delle polveri di ferro.
A diverse conclusioni deve pervenirsi, invece, con
riferimento alle parti ovili s.p.a. "AGESP" e del WWF Italia Onlus,
limitandosi ad argomentare:
- per la prima di esse, che trattasi di un'associazione (è
invece una società commerciale) che aveva la gestione della discarica e doveva
considerarsi danneggiata "a prescindere da eventuali corresponsabilità
personali dei propri dipendenti";
- per il WWF, che tale associazione, "quale ente
riconosciuto che ha come finalità statutaria la conservazione della natura e
dei processi ecologici e la tutela dell'ambiente in riferimento all'intero
territorio nazionale, è legittimata a costituirsi parte ovile ai fini del
risarcimento dei danni derivanti dal reato di traffico illecito dei
rifiuti".
Tali enunciazioni, però, non si conformano ai principi
dianzi enunciati in quanto omettono di individuare quali siano i danni
direttamente subiti dalle due parti aviti in oggetto: danni che, come si è
detto dianzi, devono essere diretti e specifici, nonchè ulteriori e diversi
rispetto a quello della lesione dell'ambiente come bene pubblico.
Devono essere confermate, dunque, le statuizioni civili in
favore del Comune di Alcamo, mentre la sentenza impugnata deve essere annullata
- relativamente alle statuizioni civili in favore della s.p.a.
"AGESP" e del WWF Italia Onlus
3 Ambiente. Azione risarcitoria. Legittimazione ad agire. Stato.
L’art. 311 d.lg. 3 aprile 2006 n. 152 riserva allo Stato, e
in particolare al Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, il
potere di agire, anche esercitando l’azione civile in sede penale, per il
risarcimento del danno ambientale in forma specifica e, se necessario, per
equivalente patrimoniale; ai sensi del successivo art. 313, comma 7, comunque,
resta in ogni caso fermo il diritto dei soggetti danneggiati dal fatto
produttivo di danno ambientale, nella loro salute o nei beni di loro proprietà,
di agire in giudizio nei confronti del responsabile a tutela dei diritti e
degli interessi lesi. La suddetta normativa “speciale” in materia di danno
ambientale si affianca, peraltro, non essendovi incompatibilità, alla
disciplina generale del danno prevista dal codice civile, sicché le associazioni
ambientaliste, pure dopo l’abrogazione delle previsioni di legge che le
autorizzavano a proporre, in caso di inerzia degli enti territoriali, le azioni
risarcitorie per danno ambientale (art. 9, comma 3, d.lg. 18 agosto 2000 n.
267, abrogato dall’art. 318 del d.lg. n. 152 del 2006), sono legittimate alla
costituzione di parte civile "iure proprio", nel processo per reati
che abbiano cagionato pregiudizi all’ambiente, per il risarcimento non del
danno all’ambiente come interesse pubblico, bensì (al pari di ogni persona
singola o associata) dei danni direttamente subiti, diretti e specifici,
ulteriori e diversi rispetto a quello, generico di natura pubblica, della
lesione dell’ambiente come bene pubblico e diritto fondamentale di rilievo
costituzionale. In questa prospettiva e con questi limiti, le associazioni
ambientaliste sono quindi legittimate a costituirsi parte civile avendo il
diritto al risarcimento del danno, non solo patrimoniale (in relazione, per
esempio, agli eventuali esborsi finanziari sostenuti dall’ente per
l’espletamento dell’attività di tutela), ma anche morale, derivante dal
pregiudizio arrecato all’attività da esse concretamente svolta per la
valorizzazione e la tutela del territorio sul quale incidono i beni oggetto del
fatto lesivo. Cassazione penale, sez. III, 17/01/2012, n. 19439
4
Ambiente. Azione
risarcitoria.
E’ ammissibile la
condanna al ripristino dello stato dei luoghi, ancorché inizialmente fosse
stato richiesto il risarcimento per equivalente e solo successivamente, in sede
di precisazione delle conclusioni, sia stato domandato il risarcimento informa
specifica. Cassazione civile, sez. III, 10/12/2012, n. 22382.
L'art. 311, a sua volta, dopo aver previsto al comma 1 che
il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio agisce (...) per il
risarcimento del danno in forma specifica e, se è necessario, per equivalente
patrimoniale, stabilisce, al secondo che, chiunque realizzando un fatto
illecito, o omettendo attività o comportamenti doverosi, con violazione di
legge, di regolamento, o di provvedimento amministrativo, con negligenza,
imperizia, imprudenza o in spregio a norme tecniche, arrechi danno
all'ambiente, alterandolo, deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte,
è obbligato al ripristino della precedente situazione e, in mancanza, al
risarcimento per equivalente patrimoniale nei confronti dello Stato.
La disciplina sopravvenuta si applica anche alle domande già
proposte, con il solo limite, affatto scontato, dei giudizi ormai definiti con
sentenza passata in giudicato (confr. Cass. civ. 9 febbraio 2011, n. 6551).
Il legislatore del
2009, nell'ottica di una normazione che aveva (ed ha) chiaramente per
destinatario il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio nel quale
sono state ora centralizzate le azioni risarcitorie per danno all'ambiente,
mostra di privilegiare la tutela reale, quale forma ontologicamente più idonea
di quella per equivalente a garantire l'effettività dei risultati della
reazione del soggetto leso dal lamentato danno ambientale e della risposta
giudiziaria che ne riconosca il fondamento.
Ancorchè la nuova disciplina ignori del tutto - al pari, del
resto, di quella preesistente - il problema squisitamente processuale del
rapporto tra domanda di riduzione in pristino (id est, di risarcimento in forma
specifica) e domanda di risarcimento per equivalente, significativi spunti di
riflessione possono tuttavia trarsi dalla non occulta intenzione del
legislatore (art. 12, comma 1).
E in proposito non può non sfuggire che il legislatoredel
1986, dopo avere dettato i criteri di quantificazione del danno, secondo una
logica sottilmente punitiva - evidenziata dal riferimento alla gravità della
colpa individuale e al profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del
suo comportamento - apriva al giudice la facoltà di disporre nella sentenza di
condanna, ove possibile, il ripristino dello stato dei luoghi a spese del
responsabile.
L'allocazione della norma e il carattere asciutto del
dettato, privo di qualsivoglia riferimento al contenuto dell'azione proposta
dallo Stato o dall'ente territoriale di volta in volta legittimato (art. 18,
comma 3), rendono la tesi della potenziale officiosità dell'ordine di
ripristino - e cioè del risarcimento in forma specifica - assai meno
stravagante di quanto possa a prima vista sembrare.
in realtà, la norma appare scritta sul postulato di fondo
che la richiesta di tutela reale debba sempre e comunque considerarsi insita
nella domanda di risarcimento del danno ambientale. E una volta adottata tale
prospettiva, già intravista dalla più avveduta dottrina, non può non
attribuirsi un carattere sostanzialmente liquido alla scelta operata dalla
parte attrice nell'atto introduttivo del giudizio, di talchè il passaggio dalla
richiesta di tutela per equivalente a quella reale, in chiave sollecitativa di
una facoltà riconosciuta al giudice, mal si presterebbe a essere imbrigliato
nell'armatura delle preclusioni processuali.
Siffatto approdo esegetico è confermato, a giudizio del
collegio, dal tenore del D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 311, comma 2, come
riscritto dal legislatore del 2009, norma che, circoscrivendo l'operatività
della tutela risarcitoria per equivalente ai soli casi in cui l'effettivo
ripristino o l'adozione di misure di riparazione complementare o compensativa
risultino in tutto o in parte omessi, impossibili o eccessivamente onerosi ai
sensi dell'art. 2058 cod. civ., o comunque attuati in modo incompleto o
difforme rispetto a quelli prescritti, colloca tout court il risarcimento per
equivalente in posizione gradata rispetto alla tutela reale.
Peraltro l'applicazione delle norme di rito in chiave
preclusiva della possibilità di accedere alle misure ripristinatorie non
sarebbe conforme al criterio dell'interpretazione adeguatrice elaborato dalla
giurisprudenza comunitaria e ripetutamente accolto da questa Corte. Non par
dubbio infatti che, al fine di evitare il più possibile distonie tra diritto
europeo e diritto interno, i principi del primo - come, nella fattispecie, il
principio della preminenza delle misure di ripristino dello stato dei luoghi,
contenuto nella Direttiva 2004/35/CE - influenzano l'interpretazione di tutto
il diritto nazionale anche se non di diretta derivazione comunitaria (confr.
Corte di giustizia C-404/2006, Quelle; Cass. civ. sez. un. 17 novembre 2008, n.
27310; Cass. civ. 22 febbraio 2012, n. 2632).
5
Ambiente. Disastro
ambientale. Misure cautelari personali. Applicabilità.
In tema di misure cautelari personali, ai fini
della valutazione del pericolo che l'imputato commetta ulteriori reati della
stessa specie, il requisito della "concretezza", cui si richiama
l'art. 274 comma 1 lett. c) c.p.p., non si identifica con quello di
"attualità" derivante dalla riconosciuta esistenza di occasioni
prossime favorevoli alla commissione di nuovi reati, dovendo, al contrario,
essere riconosciuto alla sola condizione, necessaria e sufficiente, che
esistano elementi "concreti" (cioè non meramente congetturali) sulla
base dei quali possa affermarsi che l'imputato, verificandosi l'occasione, possa
facilmente commettere reati che offendono lo stesso bene giuridico di quello
per cui si procede. Cassazione penale, sez. I, 16/01/2013, n. 15667.
E' stato evidenziato, altresì, che il disastro
ambientale era certamente riconducibile anche alla gestione successiva quando il ricorrente è subentrato il gruppo
Riva nella proprietà e nella gestione dello stabilimento siderurgico e che gli
accertamenti effettuati hanno chiarito che l'inquinamento è attuale.
E' risultato che le concrete modalità di gestione
dello stabilimento siderurgico dell'ILVA hanno determinato la contaminazione di
terreni ed acque e di animali destinati all'alimentazione umana in un'area
vastissima che comprende l'abitato di…. e di paesi vicini, nonchè, un'ampia
zona rurale tra i territori di….
Tale contaminazione è tale da integrare, ad
avviso del tribunale, i contestati reati di disastro doloso, omissione dolosa
di cautele contro infortuni sul lavoro, avvelenamento di acque, posti in essere
con condotta sia commissiva che omissiva, con coscienza e volontà per
deliberata scelta della proprietà e dei gruppi dirigenti che si sono
avvicendati alla guida dell'ILVA i quali hanno continuato a produrre
massicciamente nella inosservanza delle norme di sicurezza con effetti
destinati ad aggravarsi negli anni.
Rilevanti ai fini della valutazione in esame sono
stati ritenuti, quindi, l'entità del danno e del pericolo cagionati
all'ambiente e alla salute dei cittadini, nonchè, la continuità nel tempo dei
fatti illeciti e la natura essenzialmente dolosa delle condotte, oltre ai
notevoli profitti conseguiti omettendo quegli investimenti che dovevano essere
realizzati per ridurre le emissioni inquinanti.
Quanto alla concretezza del pericolo di recidiva
i giudici di merito hanno, invero, messo in luce i comportamenti posti in
essere dai ricorrenti che palesano la reiterazione delle condotte illecite già
da tempo accertate.
Si afferma nell'ordinanza impugnata che le
emissioni che scaturivano dagli impianti, risultate immediatamente evidenti sin
dall'insediamento nel 1995 del gruppo dirigente dello stabilimento ILVA, sono
proseguite successivamente, come emerso in più occasioni, e l'azienda, pur
avendo assunto di volta in volta l'impegno di provvedere alla riduzione delle
emissioni nocive, ha dimostrato poi di non avere ottemperato.
Alla luce di ciò, il tribunale ha, quindi,
sottolineato la pervicacia e la spregiudicatezza dimostrata da R.E. e dal C.,
ma anche da R.N., succeduto alla presidenza del consiglio di amministrazione in
continuità con il padre, che hanno dato prova, nei rispettivi ruoli, di
perseverare nelle condotte delittuose, nonostante la consapevolezza della
gravissima offensività per la comunità e per i lavoratori delle condotte stesse
e delle loro conseguenze penali e ad onta del susseguirsi di pronunzie
amministrative e giudiziali che avevano già evidenziato il grave problema
ambientale creato dalle immissioni dell'industria.
6
Ambiente. Disiastro
ambientale. Rinuncia ad essere parte civile nel processo penale. Responsabilità
contabile.
La proposta di transazione di Enel rivolta alla
giunta di Porto Tolle prevede la corresponsione di 130mila euro in cambio di
rinunciare ad essere parte civile nel processo penale per disastro ambientale
che vede coinvolti i tecnici e i vertici del colosso energetico e rinunciare ad
ulteriori procedimenti contro l’azienda. Cass pen 16422 del 27 aprile 2011
Sorge il problema se la Corte dei Conti dovrebbe
esser notiziata della rinuncia delle amministrazioni locali ad essere parte
civile nel processo penale di Disiastro ambientale
Tale conclusione è evidente dopo che l’articolo 313, D.L.vo 152/2006, è stato
modificato dall’art. 25, comma 1, lettera i), della Legge 6 agosto 2013, n. 97.
La norma
dispone che qualora all'esito dell'istruttoria sia stato accertato un fatto che
abbia causato danno ambientale ed il responsabile non abbia attivato le
procedure di ripristino ai sensi del titolo V della parte quarta del presente
decreto oppure ai sensi degli articoli 304e seguenti, il Ministro dell'ambiente
e della tutela del territorio, con ordinanza immediatamente esecutiva, ingiunge
a coloro che, in base al suddetto accertamento, siano risultati responsabili
del fatto il ripristino ambientale a titolo di risarcimento in forma specifica
entro un termine fissato.
Qualora il
responsabile del fatto che ha provocato danno ambientale non provveda in tutto
o in parte al ripristino nel termine ingiunto o all'adozione delle misure di
riparazione nei termini e modalità prescritti, il Ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare determina i costi delle attività
necessarie a conseguire la completa attuazione delle misure anzidette e, al
fine di procedere alla realizzazione delle stesse, con ordinanza ingiunge il
pagamento, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica, delle somme
corrispondenti.
Con riguardo
al risarcimento del danno in forma specifica, l'ordinanza è emessa nei
confronti del responsabile del fatto dannoso nonché, in solido, del soggetto
nel cui effettivo interesse il comportamento fonte del danno è stato tenuto o
che ne abbia obiettivamente tratto vantaggio sottraendosi, secondo
l'accertamento istruttorio intervenuto, all'onere economico necessario per
apprestare, in via preventiva, le opere, le attrezzature, le cautele e tenere i
comportamenti previsti come obbligatori dalle norme applicabili. L’ordinanza è
adottata nel termine perentorio di centottanta giorni decorrenti dalla
comunicazione ai soggetti di cui al comma 3 dell'avvio dell'istruttoria.
Nessun commento:
Posta un commento