LE VIOLAZIONI
IN MATERIA URBANISTICA 3
1. La repressione dell’abusivismo
edilizio.
Il
D.P.R. 380/2001 innova profondamente il sistema repressivo disegnato dalla
legge urbanistica del 1942 [1].
La
norma si adegua alle richieste avanzate in sede culturale di combattere più
efficacemente l’abusivismo edilizio.
Al
sistema precedente che prevedeva per l’abusivismo la demolizione e la sanzione
pecuniaria si sostituisce un nuovo procedimento che prevede la demolizione
obbligatoria delle opere eseguite in parziale o totale difformità od in
assenza del permesso di costruire, a cura e spese del proprietario, entro il
termine fissato dal Sindaco con ordinanza.
In
mancanza di demolizione le opere sono acquisite al patrimonio indisponibile del
Comune.
L’innovazione
sostanziale, rispetto al regime precedente, è costituita dal dovere giuridico
del Sindaco di intervenire con la demolizione in caso di difformità totale o in
assenza del permesso di costruire.
La
repressione dell’abusivismo è radicalmente diversa secondo la gravità
dell’abuso.
E’
previsto l’ordine di demolizione o, in mancanza, l’acquisizione al patrimonio
comunale se si tratta di opera costruita senza permesso di costruire o in
totale difformità.
E’
prevista la demolizione o, in alternativa, nel caso in cui il ripristino dello
stato dei luoghi non sia possibile, la sanzione pecuniaria se si tratta di
opere che costituiscono difformità parziali dal progetto o nel caso di
ristrutturazioni abusive.
E’
prevista unicamente la sanzione pecuniaria nel caso di opere eseguite senza
autorizzazione o in carenza di asseverazione.
1.1. La disciplina del Regolamento edilizio e del
Piano regolatore.
L’art. 2, coma
4, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, afferma il principio che la materia inerente
all’attività edilizia deve essere disciplinata nell’ambito dell’autonomia
statutaria.
Sovente le
norme relative all’esercizio della vigilanza sull’esecuzione delle costruzioni
sono dettate dai regolamenti edilizi, fermo restando il compito per il piano
regolatore di dettare la disciplina delle localizzazioni e delle zonizzazioni.
Il
regolamento edilizio tradizionalmente disciplina le modalità di esercizio della
vigilanza sull’esecuzione dei lavori, l. urb., art. 33, n. 14, ora abrogata dal
t.u. ed.
La
determinazione del contenuto del regolamento edilizio è ora lasciata agli
statuti comunali che devono rispettare i principi fissati dalle norme statali e
regionali.
Le
indicazioni fornite dal testo normativo definiscono in via esemplificativa le
materie oggetto di disciplina da parte del regolamento edilizio, ex art. 4, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
In tema di
violazione delle distanze legali, l'efficacia normativa di un regolamento
edilizio comunale, derivante dalla preventiva approvazione regionale, può
essere provata, in mancanza degli estremi dell'annotazione della predetta
approvazione sull'originale del regolamento, anche attraverso la dimostrazione
della sua applicazione ed osservanza trentennale dal giorno successivo alla
data di scadenza della pubblicazione nell'albo pretorio, in quanto tale
circostanza costituisce il fatto noto da cui desumere, presuntivamente, il
fatto ignoto della conclusione del procedimento pubblicistico di approvazione [2].
Il
controllo si esercita attraverso accessi effettuati mediante incaricati
dell’amministrazione comunale, le cosiddette visite tecniche, che hanno precisi
obiettivi.
La prima
visita è disposta dopo l’avvenuto invio, da parte del concessionario,
dell’inizio dei lavori, per il controllo dei punti fissi di linea e di livello.
La
seconda visita è disposta dopo l’avvenuta copertura dell’edificio, per
l’accertamento della rispondenza della volumetria generale dell’edificio a
quella autorizzata del progetto.
La
terza visita avviene, ultimati i lavori, ed ha per oggetto le verifiche finali
necessarie per il rilascio della licenza di agibilità.
La
giurisprudenza ha precisato che i piani regolatori generali ed i regolamenti
edilizi con annessi programmi di fabbricazione, per diventare esecutivi ed
acquistare efficacia normativa, devono, dopo l'approvazione, essere portati a
conoscenza dei destinatari nei modi di legge, ossia mediante pubblicazione da
eseguirsi con affissione all'albo pretorio, essendo tale pubblicazione
condizione necessaria per l'efficacia e l'obbligatorietà dello strumento
urbanistico.
Il giudice, in
sede di legittimità, ha il dovere di verificare se la disposizione applicata
dai giudici di merito sia effettivamente in vigore e, quindi, applicabile al
caso esaminato [3].
2. La classificazione delle
violazioni alla normativa urbanistica. Mancato versamento dei contributi
urbanistici.
La
mancata corresponsione dei contributi urbanistici previsti dall’art. 42, D.P.R.
380/2001, mod. art. 27, c. 17, L.
448/2001 comporta, l'aumento del contributo in misura pari al 10%, qualora il
versamento sia effettuato nei successivi 120 giorni, al 20% se esso è
corrisposto nei successivi 60 giorni, del 40% se il pagamento viene fatto entro i successivi
60 giorni, salvo l’intervento legislativo della regione che può determinare
queste sanzioni amministrative in maniera, però, non inferiore a quelle
stabilite dalla legge quadro statale.
La mancata
corresponsione del contributo
relativo al costo
di costruzione alle scadenze previste
dal provvedimento che ha concesso il
beneficio della rateizzazione
determina ex se l'applicazione
delle sanzioni previste dall'art. 42, D.P.R. 380/2001.
La sanzione pecuniaria prevista
per il ritardato pagamento degli oneri
concessori rappresenta la
liquidazione preventiva del danno derivante dal ritardato pagamento e costituisce, quindi, un effetto legale automatico della mora [4].
Sono
ammesse solo sanzioni pecuniarie, non ricorrendo, in detta ipotesi, la
possibilità di intervenire in via di autotutela, ad esempio annullando il
provvedimento.
La
giurisprudenza ha precisato che il termine di prescrizione della
sanzione irrogata per ritardato pagamento del contributo dovuto per gli oneri
di urbanizzazione e per il costo di costruzione è di cinque anni, e
decorre dal giorno in cui è stata commessa la violazione, ai sensi dell'art.
28, L. 24 novembre 1981 n. 689, applicabile ex art. 12 della stessa legge a
tutte le sanzioni amministrative di tipo affittivo [5]
3. Le opere abusive in aree
vincolate.
Le
aree vincolate sono quelle assoggettate da leggi statali, regionali o da altre
norme urbanistiche vigenti o adottate a vincolo di inedificabilità, come, ad
esempio, le localizzazioni di opere pubbliche fatte da un piano regolatore o da
piano territoriale di coordinamento o da un piano di bacino o destinate a spazi
pubblici ovvero ad interventi di edilizia residenziale pubblica dal piano di zona
o dalla delibera di cui all’art. 51 della L. 865/1971.
Sono
parimenti vincolate le aree soggette a vincoli idrologici, ad usi civici e le
aree sottoposte a tutela dalla legge sulle cose di interesse artistico e sulle
bellezze naturali.
Il
dirigente o il responsabile del procedimento, constatato l’abuso, deve
ingiungere al proprietario o al responsabile dell’abuso la rimozione o la
demolizione.
La competenza
alla irrogazione delle sanzioni amministrative previste dalla vigente
legislazione statale e regionale in materia di prevenzione e repressione
dell'abusivismo edilizio e paesaggistico-ambientale - che sono tipici
provvedimenti amministrativi, trattandosi di atti autoritativi posti in essere
da una p.a. nell'esplicazione di una potestà amministrativa ed aventi rilevanza
esterna - è stata devoluta ai dirigenti degli enti locali, in
applicazione del principio della separazione tra poteri di indirizzo e
controllo, spettanti all'organo rappresentativo dell'ente pubblico, e attività
di gestione amministrativa, attribuita, invece, ai predetti dirigenti. Nella
specie sono stati dichiarati competenti i dirigenti della Provincia,
trattandosi di scavi non autorizzati in zona sottoposta a vincolo idrogeologico
[9].
Non
è richiesto nessun preventivo provvedimento cautelare di sospensione dei
lavori, poiché le aree sottoposte a vincolo sono soggette alle destinazioni
indicate dal vincolo stesso e, pertanto, non può che provvedersi con la
demolizione per le opere eseguite che contrastino con tale destinazione [10].
L'art. 27,
D.P.R. 380 del 2001, riconosce all'Amministrazione Comunale un generale potere
di vigilanza e controllo su tutte le attività urbanistico-edilizie del
territorio, ivi comprese quelle riguardanti immobili sottoposti a vincolo
storico-artistico e impone l'obbligo, per il dirigente, di adottare
immediatamente provvedimenti definitivi, al fine di ripristinare la legalità
violata dall'intervento edilizio realizzato, mediante l'esercizio di un
potere-dovere del tutto vincolato dell'organo comunale, senza margini di
discrezionalità, diretto a reprimere gli abusi edilizi accertati [11].
L'avvenuta
parziale compromissione di un'area vincolata non giustifica il rilascio di
provvedimenti atti a comportarne l'ulteriore degrado, ma richiede, semmai, una
maggiore attenzione da parte dell'autorità preposta alla tutela del vincolo al
fine di preservare gli spazi residui da un ulteriore vulnus dei valori ambientali tutelati.
È dunque
irrilevante l’indicazione gli estremi del verbale della verifica dello stato
dei luoghi nel provvedimento che irroga la demolizione, atteso che l'effettivo
riscontro del fenomeno di abusivismo denunciato non avrebbe potuto indurre
l'amministrazione a disattendere la disciplina paesistica vigente [12].
4. Le opere eseguite in assenza
di permesso di costruire.
L’esecuzione
di opere in assenza di permesso di costruire comporta l’obbligo per il
responsabile del procedimento di ingiungere la demolizione, ex art. 31, D.P.R. 380/2001.
Le
categorie di interventi che comportano una trasformazione urbanistica ed
edilizia del territorio e che sono soggetti al preventivo rilascio del permesso
di costruire sono definite dal T.U. sull’edilizia approvato con D.P.R. 6 giugno
2001, n. 380
Esso
riduce a due i provvedimenti che consentono la realizzazione di opere edilizie:
il permesso di costruire disciplinato dall’art. 10 e segg., D.P.R. 6 giugno
2001, n. 380, e la denuncia di inizio di attività, regolata dall’art. 22,
D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Gli
interventi per i quali è richiesto il rilascio del permesso di costruire sono i
seguenti:
a)
gli interventi di nuova costruzione;
b)
gli interventi di ristrutturazione urbanistica;
c) gli interventi di ristrutturazione
edilizia che comportino aumento di unità immobiliari, modifiche del volume,
della sagoma, dei prospetti e delle superfici, ovvero che, limitatamente agli
immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della
destinazione d’uso.
Tali
definizioni sono ulteriormente precisate dall’art. 3 del D.P.R. 6 giugno 2001,
n. 380 [13].
Il
legislatore ha successivamente introdotto la super d.i.a con la L. 21 dicembre
2001, n. 443; la norma consente a scelta dell’interessato di realizzare alcuni
interventi, che il t.u. classifica come soggetti al rilascio del permesso di
edificare, sulla base di semplice denuncia di inizio di attività.
Esattamente la
giurisprudenza ha affermato che il provvedimento di demolizione non necessita
di motivazione. L'ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti
sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e, quindi, non richiede
una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico né una
comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati;
presupposto per la sua adozione è, infatti, soltanto la constatata esecuzione
dell'opera in difformità dalla concessione o in assenza della medesima, con la
conseguenza che tale provvedimento, ove ricorrano i predetti requisiti, è
sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività
dell'opera, essendo in re ipsa
l'interesse pubblico alla sua rimozione né, trattandosi di atti del tutto
vincolati, è necessaria una comparazione di interessi e una motivazione sulla
sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione [14].
L'obbligo di
motivazione è da intendere nella sua essenzialità ovvero è da intendere assolto
con l'indicazione dei meri presupposti di fatto che sono rappresentati dalla
constatazione dell'esecuzione di opere edilizie in difformità del permesso di
costruire o in assenza del medesimo, che poi determinano l'applicazione dovuta
delle misure ripristinatorie previste. Il provvedimento di demolizione non
richiede una specifica motivazione sulle ragioni di pubblico interesse che ne
giustificano l'adozione salvo che non si tratti di casi in cui sia trascorso un
lungo periodo di tempo dalla realizzazione dell'opera abusiva [15].
7. Le varianti essenziali.
Sono
parificate alle opere eseguite in assenza di permesso di costruire le opere in
totale difformità e le varianti essenziali.
L’art.
31, D.P.R. 380/2001, definisce come opere eseguite in difformità quelle che
comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per
caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello
autorizzato, per il quale, quindi, non sono necessari incrementi di volumi.
L’incremento
di volume costituisce di per sé un intervento eseguito in assenza di permesso.
E’
considerata opera in difformità l’esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti
indicati nel progetto e di entità tale da costituire un organismo edilizio o
parte di esso autonomamente realizzabile.
Sono
parificati agli interventi privi di permesso quelli attuati realizzando delle
varianti essenziali al progetto presentato.
Le
varianti essenziali sono determinate dalle regioni
secondo i criteri indicati dall’art. 32, D.P.R. 380/2001.
Il
legislatore regionale deve rispettare una serie di condizioni la cui
ricorrenza, con carattere esclusivo, comporta che si possa riconoscere la
variante come essenziale.
La
dottrina si chiede se la norma in sé così dettagliata lasci reali margini di
scelta e di intervento per il legislatore regionale.
Di
fatto il legislatore regionale non si è fatto rinchiudere negli stretti ambiti
della norma esprimendo una legislazione spesso avente marcati caratteri di
autonomia.
La
dottrina rileva che la normativa integrativa regionale contravviene al
principio consolidato che esclude la competenza regionale in materia penale [24].
Le
ipotesi previste dall’art. 32, D.P.R. 380/2001 sono le seguenti:
a)
Il mutamento di destinazione d’uso che implichi variazione agli standard urbanistici previsti dal D.M. 2
aprile 1968.
Un mutamento
della destinazione di uso di porzioni di un edificio - specie quando risulta
accompagnato, come nel caso di specie, dall'esecuzione di opere edilizie -
conferisce all'organismo edilizio diverse caratteristiche di utilizzazione in
contrasto con il titolo abilitativo rilasciato e, dunque, non può essere inteso
in termini di attività libera per il proprietario dell'immobile, bensì è
soggetto al previo rilascio di un valido permesso di costruire, in applicazione
del disposto dell'art. 10, D.P.R. n. 380 del 2001 [25].
Il cambio di
destinazione d'uso da masseria ad albergo, con rilevanti opere di
ristrutturazione, interviene tra categorie edilizie funzionalmente autonome e
non omogenee e integra, quindi, una modificazione edilizia con effetti
incidenti sul carico urbanistico soggetta a permesso di costruire [26].
Per il mutamento di destinazione d'uso
effettuato senza la costruzione di nuove
opere non occorre permesso di costruire, in quanto non si traduce in una
modifica dell’assetto urbanistico
edilizio del territorio comunale.
Il semplice cambio di destinazione d'uso, effettuato senza opere evidenti, non
implica necessariamente un mutamento urbanistico - edilizio del territorio
comunale e, come tale, non abbisogna di permesso di costruire qualora non
sconvolga l'assetto dell'area in cui l'intervento edilizio ricade [27].
Nella
specie, è stato affermato che non abbisogna di concessione edilizia il mutamento dell'originaria
destinazione di un immobile ad uso
residenziale in area agricola; detto principio è stato asserito per la
realizzazione di una trattoria tipica,
ossia di un'opera di per
sé non tale da sconvolgere
l’assetto urbanistico – edilizio [28].
Il
mutamento d'uso meramente funzionale, ossia realizzato senza opere o con opere
di modesta entità, non è soggetto ad alcun provvedimento sindacale abilitativo.
L’art.
2, t. u. ed. attribuisce alle regioni la funzione di stabilire i criteri e le
modalità cui i comuni devono attenersi per la regolamentazione delle
destinazioni d’uso degli immobili.
Il
mutamento d'uso meramente funzionale, ossia realizzato senza opere o con opere
di modesta entità, rimane, pertanto, soggetto al provvedimento abilitativo in
relazione al fatto che sussistano variazioni ai parametri fissati dalle regioni
per quanto riguarda il carico urbanistico, cioè se vengono variati i parametri
di riferimento, ex arg. art. 32,
comma 1, lett. a), D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 [29].
L'art. 25,
comma ultimo, della l. 28.2.1985, n. 47, stabilisce che il mutamento d'uso di
un immobile senza opere edilizie è soggetta ad autorizzazione esclusivamente
nei casi indicati dalla normativa regionale.
b) L’aumento
consistente di cubatura. Per la giurisprudenza si configura una variazione
essenziale per un aumento consistente della cubatura o della superficie di
solaio, da valutare in relazione al progetto approvato, senza che sia
necessario accertare la finalità volta all'uso residenziale dell'aumento della
cubatura o dell'altezza. Nella specie è stata sicuramente modificata l'altezza
prevista in aumento ed è stato costruito un piano aggiuntivo. L’intervento
edilizio configura una aumento di volumetria e anche di sagoma e di prospetto
dell'edificio: tutte opere realizzate in difformità e non catalogabili nelle
cubature accessorie e nei volumi tecnici [30].
c) Le modifiche
sostanziali ai parametri urbanistico edilizi del progetto ovvero della
localizzazione dell’edificio sull’area di pertinenza. La giurisprudenza ritiene
che per realizzare modifiche sostanziali di parametri dell'edificio sull'area
di pertinenza", il profilo inerente alla localizzazione vada ancorato alla
valutazione del carattere sostanziale della variazione apportata.
Conseguentemente, soltanto la realizzazione di un edificio traslato in maniera
rilevante rispetto al progetto approvato, integra, ai sensi dell'art. 8 lett.
c), l. 28 febbraio 1985 n. 47, un'ipotesi di variazione essenziale [31].
d)
Il mutamento delle caratteristiche negli interventi di recupero
edilizio.
e)
La violazione delle norme in materia di edilizia sismica.
8. Le ristrutturazioni abusive.
Gli
interventi di ristrutturazione edilizia sono espressamente previsti dall’art.
3, c. 1, lett. d) del D.P.R. 380/2001, e comportano una trasformazione
dell’organismo edilizio mediante un insieme sistematico di opere che possono
portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente [42].
Le
ristrutturazioni eseguite senza permesso di costruzione o in difformità sono
disciplinate dall’art. 33 del D.P.R. 380/2001.
L'ipotesi
di ristrutturazione edilizia è configurabile anche nel caso di totale
ricostruzione di un fabbricato.
La
giurisprudenza ravvisa l’abuso qualora non vi sia stata la fedele ricostruzione
del medesimo, come, ad esempio, nel caso vi siano difformità di posizione
dell'area di sedime o del volume o dell'altezza o della forma [43].
Le
ristrutturazioni sono demolite ovvero rimosse e gli edifici sono resi
conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistico edilizi.
Quando il
soggetto privato non ha ottemperato spontaneamente alla demolizione e l'organo
competente emana l'ordine di esecuzione in danno delle ristrutturazioni
realizzate in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire o delle
opere edili costruite in parziale difformità dal permesso di costruire. Questa
volta l’ordine di demolizione non è indirizzato all'autore dell'abuso edilizio,
ma agli uffici e relativi dipendenti dell'Amministrazione competenti e/o
preposti in materia di sanzioni edilizie [44].
Alla
demolizione è alternativa la sanzione pecuniaria determinata nella misura pari
al doppio dell’aumento del valore delle opere avendo come riferimento la data
di ultimazione dei lavori, in base ai criteri fissati dalla L. 392/1978
sull’equo canone.
Si
possono ipotizzare due possibilità: la prima prevede la richiesta da parte del
soggetto passivo che gli sia irrogata la sanzione pecuniaria.
La
seconda ipotesi prevede che l’applicazione della sanzione in via sostituiva
alla demolizione sia effettuata direttamente da parte dell’amministrazione
comunale; in entrambe le ipotesi è necessario che, nell’irrogare la sanzione,
il comune documenti sulla base di motivato accertamento dell’ufficio tecnico
comunale che il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile.
La
giurisprudenza ha precisato che le ristrutturazioni effettuabili previa d.i.a.,
disciplinate dall'art. 22, comma 3, D.P.R. n. 380 del 2001 debbono ritenersi
soggette alla sanzione ripristinatoria, di cui all'art. 33 del medesimo D.P.R.
e non alla sanzione pecuniaria che, per opere eseguite in assenza o difformità
da d.i.a., il successivo art. 37 prevede, ma con riferimento esclusivo ai primi
due commi del citato art. 22 [45].
9. Le parziali difformità dal
permesso di costruire.
In
materia di controllo dell'attività urbanistico-edilizia, l’art. 34, D.P.R.
380/2001, pone una distinzione tra l’opera
eseguita in totale e quella invece eseguita in parziale difformità dal
permesso di costruire. La parziale difformità è una categoria residuale
nella quale non rientrano da un lato i lavori effettuati senza permesso di
costruire compiuti in totale difformità o in variazione essenziale e dall'altro
quelli qualificati come varianti in corso d'opera ovvero come opere interne che
sono depenalizzate nel caso di immobili non vincolati [48].
Le
opere eseguite in totale difformità dal permesso di costruire sono
caratterizzate dal requisito dell'autonoma utilizzabilità dei volumi edilizi
realizzati superando i limiti indicati in progetto. Tale requisito va valutato
in rapporto alla parte restante dell'organismo edilizio.
Quando
le opere sono essere considerate parzialmente difformi?
La
giurisprudenza ha specificato l’entità e la qualità delle opere che devono
essere considerate parzialmente difformi. Ad esempio, la presenza di botole di
comunicazione nel solaio soprastante, i vani seminterrati trasformati in locali
abitabili, la dichiarata impossibilità tecnica di dotare detti seminterrati di
autonomi servizi igienici e, comunque, l'assenza di tali servizi, la non
rilevante entità della loro superficie in relazione all'esistenza di tramezzature
divisorie tra i vari ambienti ed al numero dei comproprietari fanno escludere
l'autonoma utilizzabilità dei volumi edilizi in questione e li qualificano come
opere eseguite in parziale difformità dal permesso di costruire [49].
La
costruzione di un muro di contenimento in difformità dal permesso di costruire
concreta non una variante in corso d'opera, ma una costruzione in parziale
difformità dal permesso anche per le costruzioni diverse dagli edifici, non potendo qualificarsi l'intervento come
pertinenza, in mancanza di un edificio preesistente [50].
Una nota
caratteristica degli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di
costruire è che essi, nel caso di un ordine di demolizione, comportano
conseguenze pregiudizievoli per l'integrità delle opere regolarmente assentite
poiché ne fanno parte integrante e non può scindersi il corpo di fabbrica
realizzato abusivamente da quello regolarmente assentito [51].
Il
provvedimento della sanzione pecuniaria dell'illecito edilizio riguarda gli
interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire nel caso
in cui la demolizione non possa avvenire senza pregiudizio della parte eseguita
in conformità al titolo abilitativo.
Nel caso di
specie la Corte ha ulteriormente affermato, in motivazione, che, ove ricorrono
le condizioni dell'art. 34, D.P.R. 380/2001, in sede esecutiva sono irrilevanti
le questioni connesse al rilascio del titolo in sanatoria, essendo a monte
preclusa la possibilità stessa di procedere alla demolizione [52].
10. Le opere realizzate in
assenza di denuncia di inizio di attività.
Il D.P.R.
380/2001 ha riunito gli istituti autorizzatori in materia edilizia nel permesso
di costruire e nella denuncia di inizio di attività.
L’art.
22 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, precisa che gli interventi edilizi
realizzabili mediante denuncia di inizio di attività sono individuati in via
residuale rispetto alle categorie espressamente previste e sottoposte a
permesso di costruire, eventualmente integrate dalle ulteriori ipotesi proposte
dalle singole regioni [54].
L’indicazione
degli interventi che comportano trasformazione urbanistica ed edilizia del
territorio rende inutile l’elenco degli interventi edilizi minori.
Tale
procedimento, nel caso di interventi che riguardino immobili sottoposti a
tutela storico artistica o paesaggistica ambientale, necessita delle
autorizzazioni previste dal D.L.vo 42/2004.
In
tali ipotesi il procedimento di rilascio è sostituito da un procedimento
semplificato, addossando al progettista la responsabilità di asseverare la
conformità delle opere alle disposizioni di piano, al regolamento edilizio ed
al rispetto delle norme di sicurezza ed igienico sanitarie.
Il
procedimento prevede la presentazione, trenta giorni prima dell’inizio delle
opere, della denuncia di inizio di attività allo sportello unico per
l’edilizia, ex art. 23, c. 1, D.P.R.
6 giugno 2001, n. 380.
Il
progettista ha la responsabilità di asseverare la conformità delle opere alle
disposizioni di piano, di regolamento edilizio ed al rispetto delle norme di
sicurezza ed igienico sanitarie.
Il
progettista ha l’onere di individuare esattamente l’estensione delle varie
fattispecie tassativamente indicate dal legislatore.
Al
fine di non incorrere in sanzioni il progettista deve identificare fattispecie
assolutamente certe.
Il
progettista deve produrre una relazione accompagnata dagli elaborati
progettuali che, non essendo previsti, devono essere necessariamente indicati
da un emanando regolamento comunale che asseveri la conformità delle opere da
realizzare agli strumenti urbanistici adottati od approvati, valutando quindi
che non sussistano misure di salvaguardia da applicare, ed ai regolamenti
edilizi esistenti nonché al rispetto delle norme di sicurezza e di quelle
igienico sanitarie.
Il dirigente o
il responsabile del procedimento, entro il termine di trenta giorni, deve
notificare all’interessato l’ordine motivato di non effettuare il previsto
intervento qualora riscontri la mancanza delle condizioni previste per la
validità della denuncia, ex art. 23,
c. 6, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
Presupposti
indefettibili perché una d.i.a. possa essere produttiva di effetti sono la
completezza e la veridicità delle dichiarazioni contenute nell'autocertificazione;
il decorso del termine di trenta giorni non può avere alcun effetto di
legittimazione dell'intervento, rispetto ad una dichiarazione inesatta o
incompleta, con la conseguenza che l'Amministrazione ha la facoltà ed il potere
di inibire l'attività o di sospendere i lavori, in quanto privi di titolo.
La
giurisprudenza precisa che non si tratta di un potere sospensivo della denuncia
di inizio attività; non è un potere di autotutela, poiché non vi è alcun
provvedimento su cui intervenire, ma un potere di verifica della non formazione
della d.i.a., con conseguente ordine di interruzione dei lavori; per tale
motivo, l'esercizio del potere di autotutela non è sottoposto al termine
perentorio di trenta giorni, che deve essere rispettato invece qualora la
d.i.a. sia completa nei suoi elementi essenziali [55].
Il potere
inibitorio sulla d.i.a.
Ai sensi delle previsioni contenute nell'art. 23, d.P.R. 6 giugno 2001 n.
380, in caso di denuncia di inizio attività contrastante con disposizioni
legislative o regolamentari, l'amministrazione comunale non può adottare
provvedimenti di sospensione, ma deve direttamente inibire l'intervento
denunciato. T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 19/04/2013, n. 2098, in Foro Amm. T.A.R., 2013, 4, 1279.
Le misure
di salvaguardia si applicano anche alla denuncia di inizio attività?
Ancorché l'articolo unico della legge n. 1902 del 1952, parli di
sospensione della "licenza di costruzione" (poi "concessione
edilizia" e ora "permesso di costruire"), e l'articolo 12, comma
3, del d.P.R. n. 380 del 2001, a sua volta, parli di sospensione del "permesso
di costruire", le misure di salvaguardia si applicano anche alla denuncia
di inizio attività. Qualora l'intervento denunciato sia in contrasto con le
previsioni di uno strumento urbanistico adottato prima che siano trascorsi i
trenta giorni dalla presentazione della D.I.A., è obbligatoria l'applicazione
delle misure di salvaguardia (con la conseguente necessità di emettere un
provvedimento che inibisca l'esecuzione dei lavori previsti dalla stessa
D.I.A.).
Ad avviso del Collegio le misure di salvaguardia trovano applicazione fin
dalla data della deliberazione comunale di adozione dello strumento urbanistico
generale, e quindi prima che la delibera divenga esecutiva per effetto della
pubblicazione.
La funzione delle misure di salvaguardia è, infatti, quella di impedire
che, nelle more del complesso procedimento di approvazione definitiva dello
strumento urbanistico, siano posti in essere interventi edilizi che comportino
una modificazione del territorio tale da rendere estremamente difficile se non
addirittura impossibile l'attuazione del piano urbanistico in itinere.
Proprio per tale finalità di carattere conservativo, le misure devono
ritenersi operative sin dal momento in cui l'organo deliberativo dell'ente
locale ha manifestato la propria volontà sull'adozione del piano, quand'anche
la relativa deliberazione non sia ancora esecutiva.
La mera adozione della delibera, infatti, al di là della sua esecutività,
configura inequivocabilmente l'assetto che l'Amministrazione intende imprimere
al territorio e tale assetto non può - nelle more del procedimento che dovrebbe
portare alla definitiva approvazione del piano - essere messo in discussione o
addirittura vanificato per effetto di interventi edilizi con esso contrastanti.
Cons. Stato, sez. IV, 20/01/2014, n. 257, in Foro Amm., 2014, 1, 65.
Il potere
di annullamento sulla d.i.a.
Il
potere di annullamento dell’amministrazione non si consuma nei termini
assentivi né ammette termini di decadenza.
La
giurisprudenza, infatti, ha affermato che gli artt. 19 e 20, L. 7 agosto 1990,
n. 241, non stabiliscono termini decadenziali per l'esercizio dell'attività di
controllo e di repressione da parte dell’amministrazione.
Gli atti repressivi devono essere motivati.
L'amministrazione deve valutare preventivamente gli interessi pubblici
eventualmente pregiudicati, rafforzandoli con l'affidamento di chi abbia
iniziato le opere, in rapporto al tempo trascorso tra il loro inizio e il
riscontro della loro illegalità.
Le
realizzazione di interventi edilizi in assenza o in difformità della denuncia
di inizio di attività comporta la sanzione pecuniaria.
L'amministrazione deve, inoltre, invitare chi abbia intrapreso i lavori
a conformarli alla normativa vigente, quando ciò sia possibile.
L'amministrazione
può procedere in ogni tempo al riscontro della conformità alla normativa
vigente di tutte le attività private che possono essere intraprese su semplice
denuncia, sia immediatamente sia dopo un termine dilatorio.
L'amministrazione
ha il potere, oltre che di annullare l'atto di silenzio-assenso ad
intraprendere attività private illegittimamente formatosi, anche di revocarlo.
La denuncia di
inizio attività è assimilabile a un'istanza autorizzatoria che, con il decorso
del termine di legge, provoca la formazione di un provvedimento tacito
(silenzio-assenso) di accoglimento dell'istanza, per questo la p.a., dopo il
decorso del termine di trenta giorni per la formazione del medesimo, non perde
i propri poteri di autotutela.
I poteri
dell’ente, nel caso di esercizio di un'attività di secondo grado che si esprime
in un annullamento d'ufficio o in una revoca, devono tuttavia essere esercitati
nel rispetto del principio di certezza dei rapporti giuridici e di salvaguardia
del legittimo affidamento del privato nei confronti dell'attività amministrativa,
previo annullamento del provvedimento formatosi sulla d.i.a., preceduto
dall'avviso di avvio del procedimento e dal rispetto di tutte le forme
sostanziali e procedimentali previste per gli atti in autotutela, ivi compreso
il rispetto del tempo ragionevole entro cui emettere il citato provvedimento di
secondo grado [56].
Il
silenzio equivale ad accoglimento dell’istanza; nel caso in cui non siano state
rispettate le disposizioni vigenti l’amministrazione deve notificare
all’interessato il divieto di prosecuzione dell’attività e dei suoi effetti,
fatti salvi gli eventuali provvedimenti di sospensione, ad esempio, per
richiedere un supplemento di istruttoria.
Le sanzioni
amministrative connesse agli illeciti edilizi discendono dalla qualificazione
tipica che dell'intervento è operata in sede di loro accertamento, alla quale si
collega, secondo il regime legale tipizzato proprio del diritto sanzionatorio,
solo la pena espressamente prevista.
Nel caso di
specie, la realizzazione abusiva di soppalchi è stata qualificata in sede di
accertamento dell'illecito come opera di restauro o risanamento conservativo
eseguita in violazione dell'art. 4, comma 13, D.L. 5 ottobre 1993, n. 398, e,
come tale, comportante la sanzione pecuniaria pari al doppio del valore venale
dell'immobile conseguente alla realizzazione delle opere stesse e comunque in
misura non inferiore a 516 euro.
La
giurisprudenza ha dichiarato illegittimo il provvedimento comunale statuente il
ripristino dello status quo ante, per
il quale, ad avviso della Sezione, avrebbe dovuto essere rilevata
l'insufficienza, a norma del regolamento edilizio, dell'altezza dei locali
soppalcati e contestarsi, quindi, una fattispecie che effettivamente prevedeva
l'applicazione della sanzione ripristinatoria [57].
12. La super d.i.a. alternativa al permesso di
costruire.
La super
d.i.a. è stata introdotta – in virtù della delega conferita con l’art. 1, c.
14, L. 21 dicembre 2001, n. 443 - dall’art. 1, c. 1, lett. e), D.L.vo 27
dicembre 2002, n. 301, che modifica l’art. 22, D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.
La
modifica ammette la possibilità di realizzare taluni interventi attraverso
la denuncia di inizio di attività anziché mediante il permesso di costruire.
Col D.L.vo
301/2002, art. 1, il legislatore statale adegua la disciplina della d.i.a. al
nuovo riparto costituzionale della potestà legislativa.
La
disciplina statale della d.i.a. è subordinata al fatto che le regioni non
abbiano già disposto in materia e, comunque, è riconosciuto alle regioni il
potere di differenziarsi, sia in senso ampliativo che in senso restrittivo, rispetto
alla disciplina statale [61].
La norma
afferma come assentibili attraverso la d.i.a. alcune figure particolari di
intervento rimettendo al richiedente la facoltà, per detti interventi di
domandare, in via alternativa alla d.i.a., il permesso di costruire.
Sono sottoponibili a d.i.a.,
ex art. 22, c. 3, D.P.R. 6 giugno
2001, n. 380, i seguenti interventi:
a) gli
interventi di ristrutturazione edilizia;
b) gli
interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica, se
disciplinati da piani attuativi comunque denominati, ivi compresi gli accordi
negoziali aventi valore di piano attuativo, che contengano precise disposizioni
planovolumetriche, tipologiche, formali e costruttive.
La
disposizione comprende, quindi, fra i piani attuativi anche le convenzioni di
lottizzazione.
La norma non
ammette soluzioni interpretative, poiché la disposizione di piano deve
espressamente prevedere nella sua approvazione la possibilità di realizzare con
d.i.a. gli interventi successivi.
In caso
contrario il progetto di costruzione deve essere accompagnato da apposita
relazione tecnica nella quale è asseverata l’esistenza di piani attuativi
c) gli
interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di
strumenti urbanistici generali.
Lo strumento
urbanistico generale può prevedere, recando precise disposizioni
planovolumetriche, interventi diretti di costruzione.
Tale ipotesi
consente di evitare la predisposizione di uno strumento attuativo di iniziativa
privata.
La
carenza di provvedimento o la difformità dei lavori da quanto stabilito dallo
stesso comportano le stesse sanzioni amministrative e penali previste per le opere realizzate in
mancanza di premesso di costruire, poiché la scelta è data al richiedente, ma la
sostanza del procedimento autorizzatorio è tale da fare scattare le sanzioni
penali.
La
giurisprudenza e la dottrina hanno, comunque, affermato che, in difetto di
autorizzazioni di legge, come nel caso di mancanza del nulla osta dell’autorità
preposta alla tutela del vincolo, è configurabile il reato urbanistico [62].
13. L’annullamento del permesso
di costruire. Effetti sulle opere eseguite.
Il
legislatore prevede una sanzione meno gravosa nel caso in cui le opere siano
state eseguite in conformità ad un permesso di costruire, poi annullato, o in
sede di autotutela o a seguito di ricorso giurisdizionale.
L'annullamento
in autotutela di un permesso implica al contempo l'eliminazione del titolo di
legittimazione delle opere
edilizie nel frattempo eseguite e
l'obbligo per la p.a. di irrogare
le prescritte sanzioni di
legge.
La
giurisprudenza ha precisato che, nel giudizio contro il provvedimento di
autotutela, il provvedimento di annullamento della concessione edilizia non
necessita di una espressa e specifica motivazione sul pubblico interesse,
configurandosi questo nell'interesse della collettività al rispetto della
disciplina urbanistica.
Nel caso di
specie l'Amministrazione può darsi carico di effettuare una ponderazione ed un
bilanciamento degli interessi coinvolti, ritenendo quelli privati soccombenti
rispetto a quelli pubblici preordinati all'ordinario assetto del territorio,
anche dal punto di vista paesaggistico affermando tra l'altro la primarietà del
valore del paesaggio pur a fronte dell'interesse privato alla conservazione dei
manufatti ed all'esercizio di un'attività artigianale-industriale che, però,
provoca rilevante impatto sul territorio circostante. Detta valutazione non è
soggetta a censura [74].
L'art.
38, D.P.R. 380/2001, prevede in caso di annullamento del permesso di costruire
che il responsabile del procedimento provveda ad infliggere sanzioni
repressive, quali la riduzione in pristino e/o la sanzione pecuniaria, soltanto
ove non sia possibile la rimozione dei vizi delle procedure amministrative.
L’annullamento
è predisposto dalla stessa autorità che ha emanato. La dottrina precisa che
l’annullamento è oggi disposto dal dirigente dell’ente locale, anche se l’atto
è stato emanato a suo tempo dal sindaco. L'annullamento d'ufficio di
concessioni precedentemente rilasciate costituisce atto di gestione di
competenza del titolare dei poteri di gestione, a nulla rilevando la
circostanza che le concessioni annullate fossero state emesse dal titolare dei
poteri di indirizzo politico. La giurisprudenza ha dichiarato illegittimo per
incompetenza il provvedimento di annullamento parziale della concessione
edilizia adottato dal Sindaco e non anche dal Dirigente [75].
Il
primo rimedio cui deve tendere il procedimento amministrativo è quello di
verificare la possibilità di regolarizzare le procedure amministrative.
L'esercizio
della facoltà di regolarizzare la propria posizione da parte del privato
impedisce l'esercizio del potere repressivo dell'amministrazione, almeno fino a
quando la stessa non si pronunci in senso negativo sull'istanza medesima. La
presentazione dell’istanza determina, sotto l'aspetto processuale, la
sopravvenuta carenza di interesse all'annullamento dell'atto sanzionatorio in
relazione al quale è stata prodotta la suddetta domanda di sanatoria e la
traslazione e differimento dell'interesse ad impugnare verso il futuro
provvedimento che respinga la domanda medesima disponendo nuovamente la
demolizione dell'opera edilizia ritenuta abusiva [76].
La
regolarizzazione non è esclusa nel caso in cui l’opera sia parzialmente
abusiva; in tal caso il provvedimento di regolarizzazione coesiste col
procedimento sanzionatorio adottato per parte dell’opera. E’ stato giudicato
legittimo l'intervento plurimo da parte dell’amministrazione che da un lato
regolarizza la situazione nella parte in cui la stessa è sanabile, attraverso
il rilascio di un nuovo titolo concessorio conforme alla vigente disciplina
urbanistica, e dall'altro sanziona l'abuso sostanziale effettivamente commesso,
attraverso l'eliminazione delle parti abusive o, in alternativa, attraverso
l'applicazione di una sanzione pecuniaria commisurata al valore venale delle
stesse [77].
La
mancata regolarizzazione ammette il ricorso al procedimento sanzionatorio.
La
sanzione pecuniaria può essere richiesta solo dopo che si sia proceduto al
formale annullamento del permesso di costruire, precedentemente rilasciato.
La mancata
definizione del condono da parte del Comune entro il termine perentorio
legalmente fissato e decorrente dalla presentazione della domanda di sanatoria,
non determina ope legis la
regolarizzazione dell'abuso, in applicazione dell'istituto del silenzio
assenso, le quante volte manchino i presupposti di fatto e di diritto previsti
dalla norma, ovvero ancora quando l'oblazione autoliquidata dalla parte
interessata non corrisponda a quanto effettivamente dovuto [78]
oppure la documentazione allegata all'istanza non risulti completa ovvero
quando la domanda si presenti "dolosamente infedele [79].
Caduti
i presupposti per la richiesta della sanzione pecuniaria, con una sentenza del
giudice amministrativo che annulla il provvedimento o anche con il rilascio di
un provvedimento in sanatoria, la giurisprudenza ammette la possibilità di
richiedere il quantum già versato a
titolo di sanzione [80].
L'amministrazione
deve motivare la scelta della demolizione in luogo della misura riparatoria
pecuniaria.
Particolare
rilevanza ha, per i principi generali, il decorso del tempo dall’esecuzione dei
lavori.
L’interesse
pubblico alla demolizione richiede una maggiore ed articolata motivazione
qualora vi sia stato un notevole ritardo nella adozione di provvedimenti di
autotutela.
La
giurisprudenza ha, comunque, precisato che per l'art. 21 nonies, L. 241/1990, il provvedimento amministrativo illegittimo ai
sensi dell'articolo 21-octies, L.
241/1990, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse
pubblico, entro un termine ragionevole e tenendo conto degli interessi dei
destinatari e dei contro interessati.
Essa rileva
che esiste in particolare un tertium
comparationis normativo cui fare riferimento per determinare lo spatium temporis entro cui può dirsi rispettato
un termine ragionevole, in caso di annullamento di peremsso di costruire
illegittima.
L'art. 39,
D.P.R. 380/2001, disciplina il potere regionale di annullamento del permesso di
costruire precisiando ceh deve essere sercitatao enrto dieci anni dalla
adozione delle deliberazioni e dei provvedimenti comunali che autorizzano
interventi non conformi a prescrizioni degli strumenti urbanistici o dei
regolamenti edilizi o comunque in contrasto con la normativa
urbanistico-edilizia vigente al momento della loro adozione [81].
14. Lottizzazione abusiva.
L'art. 30,
D.P.R. 380/2001, considera lottizzazione abusiva sia l’inizio di opere che
comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni in violazione
delle prescrizioni degli strumenti urbanistici vigenti o adottati senza la
prescritta autorizzazione sia quando tale trasformazione venga predisposta
anche attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno
in lotti che, per le loro caratteristiche - quali la dimensione, in relazione
alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti
urbanistici , il numero, l’ubicazione, la eventuale previsione di opere di
urbanizzazione - ed in rapporto ad elementi riferiti dagli acquirenti,
denuncino in modo non equivoco lo scopo edificatorio [83].
Deve essere dato comunicazione di
avvio di procedimento sanzionatorio nel caso di una lottizzazione abusiva?
La giurisprudenza non è unanime nell’affermare
l’obbligo dell’amministrazione a dare la comunicazione, ex art. 7, L. 7 agosto 1990,
n. 241, dell'avvio del procedimento sanzionatorio di lottizzazione abusiva, ex
art. 30, D.P.R. 380/2001.
Un certo
indirizzo afferma che la natura vincolata del provvedimento non esclude la
comunicazione di avvio di procedimento ove la vincolatività dello stesso
consegua ad un accertamento compiuto in ordine ai fatti storici da verificare e
quindi si pone in un momento successivo allo stesso [84].
La
partecipazione del privato consente spesso, nella fase istruttoria, di
conoscere elementi e circostanze che in un procedimento di tipo indiziario qual
è quello collegato ad una lottizzazione abusiva di tipo formale, evidenziano
spesso una certa complessità e margini di valutazione discrezionale dei fatti
da parte della pubblica amministrazione sui quali la partecipazione dei
soggetti interessati potrebbe fornire un quadro chiarificatore utile ad
escludere la sussistenza dell'abuso sospettato e quindi non necessario alcun
provvedimento restrittivo [85].
È stata, pertanto, dichiarata illegittima l'ordinanza di sospensione delle
opere di lottizzazione abusiva materiale o formale ove non preceduta da
comunicazione di avvio del relativo procedimento, atteso che, in relazione al
complesso accertamento delle circostanze di fatto che precede l'adozione di
tale provvedimento, l'apporto partecipativo dei privati potrebbe far emergere
elementi tali da indurre l'amministrazione a recedere dall'emanazione di
provvedimenti restrittivi [86].
Altro
indirizzo giurisprudenziale ritiene che il provvedimento di sospensione dei
lavori relativi ad una lottizzazione abusiva si sottrae, attesa la sua natura
sostanzialmente cautelare, alla formalità della preventiva comunicazione dell'avvio del
procedimento.
La
disposizione è, infatti, caratterizzata da una particolare sequenza
procedimentale che presuppone:
1)
un atto iniziale di accertamento circa
la configurabilità di una lottizzazione abusiva;
2)
la successiva (in caso di esito positivo dell'accertamento) obbligatoria
sospensione della lottizzazione, che
comporta l'immediata interruzione delle opere
in corso ed il
divieto di disporre delle stesse
e dei suoli per atto tra vivi con
obbligatoria trascrizione del provvedimento
nei registri immobiliari;
3)
l'eventuale finale acquisizione del
bene al patrimonio disponibile del Comune, ove nel termine di 90 giorni
dalla notifica del provvedimento non ne intervenga la revoca,
che può e
deve essere sollecitata
dal destinatario dimostrando l'insussistenza dei presupposti idonei a configurare
la lottizzazione abusiva.
Tale essendo
la sequenza procedimentale, è confermata l'efficacia cautelare del
provvedimento in questione, essendo indubbio che esso sia preordinato alla tutela del territorio e ad
impedire il pregiudizio irreparabile dell'integrità e del razionale assetto
dello stesso per effetto della lottizzazione materiale o negoziale, ed essendo
data, d'altra parte, al destinatario la possibilità di attivarsi nei 90
giorni dalla notifica del provvedimento
per tutelare la propria posizione soggettiva [87].
L’accertamento
di una lottizzazione di terreni a scopo edificatorio senza la prescritta
autorizzazione comporta la sospensione dei lavori con ordinanza del
responsabile del procedimento notificata ai proprietari delle aree, ex art. 30, c. 7, D.P.R. 380/2001.
L’ordinanza
comporta il divieto di disporre delle aree con atto tra vivi che deve essere
trascritto a tal fine nei registri immobiliari.
Se il
provvedimento non è revocato, trascorsi novanta giorni, le aree lottizzate sono
acquisite di diritto al patrimonio disponibile del comune. L'acquisizione
gratuita al patrimonio disponibile del comune delle aree interessate da
lottizzazione abusiva deve essere preceduta dalla comunicazione di avvio del
procedimento trattandosi di fattispecie che presuppone - sia per quanto attiene
alla lottizzazione materiale, sia per la lottizzazione negoziale -
l'accertamento in punto di fatto di una pluralità di elementi, attraverso
indagini la cui complessità impone la partecipazione dei soggetti interessati [88].
E’
sancita la nullità degli atti di trasferimento, salvo che risulti che
l’acquirente era a conoscenza della mancata autorizzazione, ex art. 30, c. 9,
D.P.R. 380/2001.
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