sabato 30 aprile 2016

Germania bassi salari: esportazione di debito e di disoccupazione

Germania, “ecco come è cresciuta abbassando i salari ed esportando debito e disoccupazione nel resto della Ue”

“Se c’è qualcuno in Europa che può salvare l’euro, è la Germania, ma solo se è disposta a cambiare se stessa. La ricetta dell’austeritàe delle esportazioni non può funzionare per tutti. Se non si capisce questo, il destino dell’euro è segnato”. Heiner Flassbeck è un economista che insegna all’università di Amburgo. Una voce spesso controcorrente nel dibattito pubblico, come dimostra il suo ultimo lavoro Solo la Germania può salvare l’euro, scritto in coppia con un altro economista, Costas Lapavitsas, e presentato mercoledì alla Fiera del libro di Francoforte. 
Flassbeck sostiene invece che l’enorme potere economico accumulato negli ultimi anni dai tedeschi sia in gran parte dovuto alla riduzione dei salari avvenuta in Germania, un fenomeno forse poco osservato all’estero. Applicate ai paesi con un grande debito sulle spalle, le stesse ricette di tagli e abbassamento del costo del lavoro hanno, però, innescato una spirale di recessione. Si veda il caso della Grecia.
“E’ pericoloso non rendersi conto delle conseguenze delle politiche di austerità. Non mi riferisco solo alla Grecia, ma anche a Spagna,Italia e Francia. Questi Paesi non possono permettersi di rimanere per anni nella stagnazione. Se non si cambiano politiche, prima o poi in questi Paesi arriveranno al governo forze nazionaliste e di destra. I segnali politici sono visibili sin da ora. Stanno crescendo partiti antieuropeisti che dicono “o si cambia o usciamo dall’euro”. Nel 2017 si voterà per le presidenziali in Francia e, nel 2018, andrà alle urne l’Italia. Due appuntamenti importanti per il futuro dell’Unione europea”.
A tutti è noto che l’economia tedesca è cresciuta in questi anni soprattutto per la sua capacità di competere sul mercato con gli altri paesi. Solo lo scorso anno, per citare un dato, le esportazioni hanno fruttato alla Germania un avanzo negli scambi commerciali con l’estero pari a 217 miliardi di euro. Il segreto di questo successo non può però essere attribuito soltanto all’innovazione tecnologica dei suoi prodotti, anche lasciando da parte l’ironia sul mito della perfezione teutonica infranto dallo scandalo Volkswagen
La causa va cercata piuttosto nella decrescita dei salari tedeschi. Fin dagli anni novanta la Germania ha iniziato a decentralizzare il suo sistema di relazioni industriali, trasferendo la contrattazione del lavoro dal livello nazionale collettivo a quello aziendale. Gli accordi in deroga sono aumentati strada facendo.
Il risultato è che il costo unitario del lavoro è sceso in Germania più che altrove, a beneficio della produttività e dei prezzi delle merci tedesche che sono diventate più convenienti. “La Germania, in questo modo, ha praticamente esportato la disoccupazione negli altri Paesi”, dice ancora Flassbeck.
Come se ne esce allora? Anche i francesi e gli italiani devono seguire la stessa strada? Ciascuno deve farsi il proprio Jobs actin casa? “Chi ha applicato lo stesso modello ha fallito. L’hanno fatto in Spagna, i salari sono scesi drasticamente e, per giunta, la disoccupazione è cresciuta”. Inoltre, non è immaginabile una crescita simultanea di tutti i paesi fondata sulle esportazioni. 
“Non può esistere al mondo una situazione in cui ogni paese realizza un surplus commerciale”. A ogni avanzo deve corrispondere un disavanzo, “non può esistere un credito senza un debito, a meno che tutti i paesi della Terra non trovino un partner su un altro pianeta con cui commerciare e sul quale scaricare il debito”. Anche “quel che racconta la Merkel, che la Germania avrebbe raggiunto una crescita senza debito, è una falsità. Nessuno dice che la crescita tedesca si basa sul fatto che altri paesi si siano dovuti indebitare per importare merci tedesche”. Senza contare che la Germania esporta paradossalmente gratis almeno un terzo dei beni e servizi che produce, vale a dire “senza ricevere un corrispettivo in beni equivalenti”. Il credito che i tedeschi vantano nei confronti degli altri paesi è un “credito puramente nominale” che va ad aggiungersi al debito esistente degli altri stati della zona euro.
Chi ha provato a cambiare strada, però, ha fallito. Il riferimento è alla Grecia di Tsipras che, alla fine, si è dovuta piegare alle condizioni di Merkel e del ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble. “Ho avuto modo di parlare con Varoufakis
Glielo ho detto, tu, ministro di un governo di estrema sinistra, pensi di andare da Schäuble e di convincerlo a cambiare le regole? Non succederà mai. O hai un piano B che ti permetta di trattare oppure devi trovare alleati per la tua proposta politica. Ma non puoi pensare di cambiare le cose senza averne la forza”. Dovrebbe quindi essere la Germania stessa a salvare l’euro. “E’ il Paese che ha la produttività più alta, l’unico che può permettersi di aumentare i salari e far crescere la domanda. Altrimenti non c’è speranza di superare la crisi. Le altre vie sono state già sperimentate e sono fallite. Il costo del denaro è vicino allo zero, ma gli investimenti non partono. E’ ora di cambiare”.

In Italia Jobs act e legge di stabilità 2015 hanno disposto incentivi a favore del lavoro

ll Jobs act (legge 183/2014 pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 15 dicembre 2014, contenente le deleghe al Governo in materia di riforma del mercato del lavoro e degli ammortizzatori sociali) e la legge di stabilità 2015 (legge 190/2014 pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 dicembre 2014) prevedono alcune novità relativamente agli incentivi a sostegno delle assunzioni: sono previste nuove agevolazioni oltre alla conferma di varie agevolazioni, di cui alcune in scadenza, come il bonus ai disoccupati di lunga durata.
Di seguito gli incentivi confermati:
  • Bonus giovani (decreto legge 76/2013): per l’assunzione di giovani da 18 a 29 anni senza impiego da almeno sei mesi o senza diploma di scuola superiore è concesso uno sconto di un terzo della retribuzione mensile lorda, per un massimo di 650 euro al mese. Ha una durata di 18 mesi per le assunzioni a tempo indeterminato e di 12 mesi per le stabilizzazioni di contratti a termine. Scadenza: vale per le assunzioni effettuate entro il 30 giugno 2015.
  • Donne e over 50 (legge 92/2012): contributi al 50% per chi assume a tempo indeterminato e determinato lavoratori ultra cinquantenni disoccupati da oltre 12 mesi o donne senza impiego retribuito da almeno sei mesi e residenti in aree svantaggiate, o donne di qualsiasi età senza lavoro da almeno 24 mesi, a prescindere dalla loro residenza. Ha una durata di 18 mesi per l’assunzione a tempo indeterminato o in caso di trasformazione del contratto a termine; di 12 mesi per le assunzioni a termine. L’agevolazione, che ha sostituito il contratto d’inserimento e vale dal 1 gennaio 2013, non ha scadenza.
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Di seguito due nuove agevolazioni previste:
  • Esonero dal versamento dei contributi dei neoassunti: fino a 8.060€ l’anno, per tre anni per le assunzioni a tempo indeterminato effettuate nel 2015. Gli assunti non devono essere stati occupati nei precedenti sei mesi con un contratto a tempo indeterminato presso qualsiasi datore di lavoro. E’ esclusa dall’agevolazione l’assunzione di apprendisti. Il bonus non è cumulabile con altri esoneri o riduzioni di aliquote. Scadenza: assunzioni effettuate dal 1 gennaio 2015 fino al 31 dicembre 2015.
  • Deduzione del costo del lavoro dalla base imponibile dell’IRAP: dall’anno d’imposta 2015 si applica la deduzione integrale dalla base imponibile dell’IRAP del costo del lavoro dei lavoratori con contratto a tempo indeterminato. Si beneficerà di tale sgravio fiscale nelle dichiarazioni e versamenti del 2016. In concomitanza con tale introduzione, dal 2015 è prevista l’eliminazione della diminuzione delle aliquote fissata dall’articolo 2 del decreto legge 66/2014. Fino al 31 dicembre 2014 è possibile usufruire dello sconto del 50% dei contributi previdenziali e assistenziali per 36 mesi per chi assume entro tale termine lavoratori disoccupati, sospesi o in cassa integrazione. Se ad assumere sono imprese svantaggiate del Sud o imprese artigiane, lo sgravio si innalza al 100% dei contributi a carico del datore di lavoro.Tale agevolazione (articolo 8, comma 9, legge 29 dicembre 1990, n. 407) sarà abolita dal 1 gennaio 2015 dalla Legge di stabilità 2015 (art. 121). 
Quando gli incentivi terminano cosa faranno le imprese?
Ci sono i primi licenziati a tutele crescenti.  
Assunti a marzo con il contratto a tempo indeterminato introdotto dal Jobs act, dopo soli otto mesi l’azienda li ha lasciati a casa. 
E’ bastato un calo di produzione, così sostiene l’impresa, e il posto fisso ha evidenziato tutta la sua fragilità. Eppure, la società ha potuto beneficiare dei generosi incentivi previsti dalla legge di Stabilità 2015, che esonerano il datore di lavoro dal pagamento dei contributi per tre anni.
Nella lettera di licenziamento, l’azienda giustifica la scelta con una “riorganizzazione della turnistica dovuta a un persistente calo di lavoro” e con la “impossibilità di adibirla utilmente ad altre mansioni”. 
E per loro non c’è articolo 18 che tenga: non è prevista la reintegrazione al posto di lavoro. 
Potranno ricevere solo un indennizzo commisurato al periodo di permanenza in azienda. “Sono contratti precari a tempo indeterminato – si sfoga un lavoratore della Rsu – E l’indeterminato potrebbe finire domani”.
“Oltre agli operai assunti con il Jobs act, c’erano apprendisti e lavoratori a termine. 
Gli apprendisti non si possono mandare via a meno che non abbiano fatto qualcosa di grave. Per licenziare i lavoratori a tempo determinato, bisogna pagarli fino al termine del contratto. Hanno lasciato a casa i nuovi assunti perché la legge lo permette, è più conveniente“. Intanto, l’azienda ha potuto godere degli sgravi contributivi per i nuovi assunti, pari a 8 mila euro per tre anni. E allo stesso tempo, i lavoratori si sono trovati senza occupazione, anziché contare su un lavoro stabile.

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