Intervista al professor
Paolo Crosignani di Duccio Facchini - 10
marzo 2016
Una
parte del mestiere del professor Paolo Crosignani consiste nello studio di
quelle che lui stesso definisce le “impronte digitali” delle sorgenti
inquinanti, in questo caso di un forno inceneritore. E non è un caso che, tra le ultime conferenze cui
l’epidemiologo ha partecipato, ci sia stata quella di Civate, un piccolo Comune
lecchese dove la comunità è fortemente preoccupata dal forno inceneritore che
si trova a Valmadrera, paese confinante.
Il motivo per cui, in un venerdì di fine
febbraio, oltre 200 persone sono accorse ad ascoltare Crosignani -già Primario
della U.O. Registro Tumori ed Epidemiologia Ambientale presso l’Istituto
Nazionale dei Tumori di Milano, e ideatore del Progetto Occam - Occupational
Cancer Monitoring - Sistema Informativo Sui Tumori Di Origine Professionale- è
riassunto in due parole: indagine
epidemiologica. Del resto, la provincia di Lecco, pur ospitando dai
primi anni 80 un inceneritore, non ne ha mai misurato le ricadute e gli
effetti. Ed è per questo che quando la società che gestisce il ciclo dei
rifiuti -SILEA Spa, 100% partecipata dai Comuni- ha chiesto e ottenuto da
Regione Lombardia il via libera ad operare al massimo carico termico, pari a
123mila tonnellate di rifiuti bruciati all’anno, è nato un coordinamento locale di
associazioni ispirato alla teoria “Rifiuti zero”.
Chiarezza e trasparenza in materia di salute
pubblica sono i punti che il giovane coordinamento condivide con quei comitati
cittadini sorti negli anni contro i 44 forni esistenti nel Paese o i 9
derivanti dal decreto Sblocca-Italia del Governo. Per ottenenerle, è necessario
seguire le impronte care al professor Crosignani -anche se l'amministrazione
comunale di Civate, dopo un primo accordo, ha fatto retromarcia sulla nomina
dell'epidemiologo quale perito di parte nelle fasi dell'indagine che vorrebbe
condurre direttamente SILEA Spa-.
Professore, che cosa si intende per
indagine epidemiologica?
L'indagine epidemiologica è ciò che serve per
fare una misura diretta degli effetti sulla salute da parte di una sorgente
qualsiasi. Che può essere lineare -come il traffico- oppure puntuale -un
inceneritore, un cementificio o quant'altro-.
Come si sviluppa?
Si comincia a guardare un insieme di patologie
di cui occuparsi. Per mia esperienza, i tumori non sono la prima patologia da
considerare, perché presentano sino a vent'anni di latenza. Vogliamo aspettare
vent'anni per misurare gli effetti sulla salute o vogliamo fare qualcosa che ci
dia risposte rapide? Faccio l'esempio di Rezzato,
con ilcementificio di Italcementi, o Vado Ligure,
dove la nostra indagine ha comportato il blocco della centrale a carbone di Tirreno Power, o a Filago, dove sorge un
forno inceneritore.
In questi casi abbiamo analizzato gli eventi acuti, probabilmente meno
coinvolgenti rispetto all'incidenza dei tumori, che però non escludono
assolutamente un approfondimento sui fattori cronici. Per eventi acuti
intendiamo, ad esempio, ricoveri per infarto, malattie polmonari, influenza e
polmonite, asma e così via. Concentrarsi sugli eventi acuti restituisce l'idea
di quel che accade a livello di emissioni oggi. Misuriamo oggi quel che si può
misurare oggi.
Dopodiché?
Si realizza uno studio caso-controllo che
considera gli eventi ed un campione della popolazione sana, e si procede ad
analizzare le aree dove si concentrano le maggiori ricadute per verificare se e
come oggi vi siano più ricoveri e più eventi.
Esistono alternative a questo tipo di
indagine?
Come alternativa all'indagine epidemiologica
viene presentato uno strumento privo di fondamento scientifico quando siamo
interessati alle emissioni di una sorgente complessa, che è l'operazione
chiamata "Risk
assessment" (RA),
sostenuta anche dalle parti di Regione Lombardia. Questo consiste nell'analisi
delle emissioni di un impianto utilizzando degli equivalenti di effetti sulla
salute a seconda delle sostanze considerate (es. gli ossidi di azoto). Faccio
un esempio: se in una determinata area dovessero registrarsi cinque microgrammi
in più di ossido di azoto, allora ci si dovrebbe attendere due ricoveri in più
per asma. Tralasciamo per un istante il coacervo di sostanze che fuoriesce da
un impianto e che non è nemmeno preso in considerazione -come ha recentemente
illustrato Medicina Democratica, e in particolare il dottor Marco Caldiroli-,
in base ad un'operazione di Risk
assessment basterebbe considerare pochi inquinanti per produrre
calcoli dagli effetti sulla salute trascurabili.
Ricordo che Regione Lombardia consiglia
il RA, ma non esclude l’indagine epidemiologica. Guardando il RA delcementificio
di Calusco d'Adda si può
notare che r il potere cancerogeno del particolato è pari a zero. Ciò lascia
perplessi in quanto risale a un anno e mezzo fa la presa di posizione
dell'Organizzazione Mondiale della Sanità che riconosce il PM10 come cancerogeno,
dando anche equivalenti precisi (aumento dell'8% in più del tumore al polmone
per ogni 10 microgrammi/metro cubo a lungo termine).
Quali altri fattori minano la riuscita
di un’indagine?
Proseguo in quella che io chiamo la sagra
dell'ovvio: le emissioni di un impianto non tengono conto dei confini
amministrativi. Faccio l'esempio del cementificio di Mazzano Rezzato (BS) e delle
aree di alto, medio e basso valore di emissioni. Fino ad ora che cosa hanno
fatto le ASL? Hanno fornito i dati di cui erano in possesso, su mortalità,
tumori o incidenza dei ricoveri a livello comunale. Prendendo quei dati per
singolo Comune, ovviamente, si mettevano insieme persone esposte e non esposte
ottenendo così la famosa media di Trilussa. Tradotto, non si vedeva niente.
Tant'è vero che i pareri dell'ASL, in assoluta buona fede, non riscontravano
alcuna anomalia. Quando, in due mesi, abbiamo fatto lo studio epidemiologico
andando a cercare in maniera più approfondita se vi fossero più ricoveri nelle
aree esposte rispetto a quelle meno esposte, abbiamo scoperto che per i bambini
avevamo all'incirca il 9% in più di ricoveri nella zona a più elevata
esposizione e il 6,7% in più per la zona intermedia rispetto all'altra
esposizione.
Dunque il primo degli ingredienti per uno
studio epidemiologico è la considerazione di un'area grossa, in modo tale da
poterla dividere nei gradienti di ricaduta che ho illustrato prima e
considerare -in quelli che chiamo appunto le impronte digitali- i fattori di
contesto (strade a grosso traffico, ad esempio). Nel caso del cementificio di
Italcementi, lo studio ha fatto sì che la ditta rinunciasse al raddoppio della
potenza dell'impianto così come voleva e portasse importanti modifiche agli
impianti.
Che ruolo ricoprono i sindaci in tutto
questo?
Non dimentichiamoci che i sindaci sono i
principali responsabili della salute dei propri concittadini. L'ho provato nel
caso di Bergamo, quando mi ha contattato un amministratore particolarmente
sensibile. Si partì con lo studio delle mappe delle ricadute messe a
disposizione dal gestore del forno inceneritore di rifiuti speciali di Filago
(di proprietà di A2A). Come prima cosa si vide che le ricadute interessavano
soprattutto il Comune confinante, Madone, sul quale non insisteva l'impianto.
Quello che abbiamo fatto è stato esaminare i ricoveri dei bambini residenti
nelle diverse zone. I risultati hanno visto i bambini residenti nelle zone ad
esposizione massima -numericamente pochi- con 2 volte e mezza la probabilità di
ammalarsi e di finire in ospedale rispetto agli altri. E quasi tutti ricadevano
in Madone, che paradossalmente non riceveva nemmeno l’indennizzo per la
presenza fisica del forno essendo fuori dai confini amministrativi. Tuttavia,
le conclusioni dell'ASL furono diverse. A quel punto il sindaco ha portato
tutto il fascicolo all'attenzione della competente Procura della Repubblica con
l'accusa rivolta verso ignoti per lesioni gravissime. Risultato: la Procura ha
disposto nuove indagini, e le conclusioni sono cambiate.
Lo studio degli effetti acuti ne esclude
altri?
Il mio punto di vista -che ho applicato a
Filago, a Mazzano e a Vado Ligure- è che gli effetti acuti possano costituire
la principale avvisaglia anche di effetti letali. Ma è fondamentale procedere
subito con studi veloci, basati sulle mappe delle ricadute, senza per questo
rinunciare successivamente a valutazioni più complesse e di più lungo periodo,
com'è stata quella condotta a proposito dell'inceneritore di Vercelli. Proporre
uno studio”di coorte” come primo approccio non è sensato sia perché il tempo e
le risorse per completarlo sono molto più grandi, sia perché uno studio
caso-controllo, come quelli che ho realizzato, è un modo più efficiente di
condurre uno studio di coorte. Un'indagine epidemiologica quindi si fa,
rapidamente, e quando fosse negativa dovrà essere valutata con molta
attenzione, a partire dalle mappe di ricaduta e da chi le predispone.
L'epidemiologia non è una panacea ma uno
strumento molto delicato. Sarebbe molto bello se fosse uno strumento
partecipato. C'è un bellissimo
modello da questo punto di vista. C'è un'industria americana che ha
pesantemente inquinato di sostanze perfluoroalchiliche tutta la falda. Il
giudice ha imposto all'azienda di fare l'indagine, sobbarcandosi i costi, ma
gli esperti sono stati scelti dalla comunità.
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