Boris Giuliano
Nel 1962 Giuliano vinse il concorso da ufficiale in polizia.
Nel 1963 chiese di essere trasferito a Palermo: poco tempo dopo entrò a far parte della squadra mobile, dove avrebbe lavorato fino al giorno della sua morte, prima alla sezione omicidi e poi dal 1976 come dirigente, succedendo a Bruno Contrada.
Giuliano portò a Palermo metodi di lavoro considerati innovativi per l’epoca, come le indagini sui conti bancari, oppure l’attenzione a non alterare la scena di un crimine rischiando di cancellare possibili prove.
Giuliano, che parlava bene l’inglese, fu il primo poliziotto italiano a specializzarsi all’accademia dell’FBI in Virginia: nel corso del suo lavoro mantenne rapporti di collaborazione costante con i colleghi americani.
Giuliano e la squadra mobile di Palermo indagarono su molte importanti vicende degli anni Sessanta e Settanta, tra cui la scomparsa del giornalista Mauro De Mauro avvenuta nel 1970.
De Mauro scomparve nel 1970 mentre stava indagando sull’ultimo viaggio in Sicilia di Enrico Mattei, per conto del regista Francesco Rosi che stava lavorando al film Il caso Mattei.
Prima di essere ucciso De Mauro aveva promesso a Rosi notizie importanti sugli ultimi giorni di Mattei, utili forse ad accreditare l’ipotesi che la morte del presidente di Mattei fosse stata causata da un attentato.
Le indagini sulla sparizione di De Mauro furono condotte sia dai carabinieri, comandati da Carlo Alberto Dalla Chiesa, che dalla polizia e da Giuliano, che approfondì la pista che legava la scomparsa di De Mauro alla morte di Mattei.
Nel 1978 Boris Giuliano fu incaricato delle indagini sull’omicidio del boss mafioso Giuseppe Di Cristina, che da qualche mese aveva iniziato a passare informazioni ai carabinieri sulle gerarchie interne alla mafia e sulla lotta tra le famiglie Bontade-Inzerillo-Badalamenti e il gruppo dei “Corleonesi”.
L’omicidio di Di Cristina è considerato il preludio della cosiddetta “seconda guerra di Mafia“, iniziata nel 1981 con l’omicidio del boss Stefano Bontade.
Sul cadavere di Di Cristina furono trovati degli assegni che condussero Giuliano a indagare su un libretto di risparmio al portatore, che era stato usato da Michele Sindona.
Nello stesso periodo Giuliano stava indagando anche sul traffico internazionale di droga controllato dalla mafia. Giuliano aveva capito che in Sicilia l’oppio veniva trasformato in eroina prima di venire mandato negli Stati Uniti.
Poco tempo dopo all’aeroporto di New York gli investigatori americani sequestrarono eroina per un valore di dieci miliardi di lire, spedita da Palermo.
L’8 luglio 1979, poi, Giuliano e gli agenti della squadra mobile scoprirono a Palermo un covo della mafia, dove trovarono armi, droga, foto che ritraevano vari boss corleonesi e gli effetti personali di Leoluca Bagarella.
Boris Giuliano fu ucciso la mattina del 21 luglio 1979,. Gli furono sparati sette colpi di pistola alle spalle da un uomo che fu identificato come Leoluca Bagarella. Bagarella fu condannato nel 1995 come esecutore dell’omicidio, gli altri boss dei corleonesi furono condannati come mandanti.
Secondo le testimonianze rese negli anni successivi dai mafiosi Tommaso Buscetta e Totuccio Contorno, che decisero di collaborare con i magistrati, le indagini di Giuliano sul traffico di droga furono la ragione principale, anche se non l’unica, che spinse Cosa Nostra a decidere di ucciderlo. Il giudice Paolo Borsellino scrisse nell’ordinanza di rinvio a giudizio del maxi-processo alla mafia:
“Deve ascriversi ad ennesimo riconoscimento della abilità investigativa di Giuliano se quanto è emerso faticosamente solo adesso,a seguito di indagini istruttorie complesse e defatiganti, era stato da lui esattamente intuito e inquadrato diversi anni prima. Si deve riconoscere che se altri organismi statali avessero adeguatamente compreso e assecondato l’intelligente impegno investigativo del Giuliano, probabilmente le strutture organizzative della mafia non si sarebbero così enormemente potenziate e molti efferati assassini, compreso quello dello stesso Giuliano, non sarebbero stati consumati”.
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