Renzi Matteo. I nodi
Tutti i nodi non sciolti negli
anni del comando stanno soffocando Matteo Renzi oggi, nei mesi della sconfitta,
e ciò che più conta rischiano di trascinare a fondo con lui l’intera parabola
del Pd, tra scissioni, tesseramenti gonfiati, avvisi di garanzia. Sono nodi
politici e giudiziari, riassumibili in un unico concetto: il groviglio del
potere cresciuto intorno all’ex presidente del Consiglio.
È infatti la concezione del potere del leader che merita fin d’ora un giudizio, mentre giustamente si attende che le ipotesi d’accusa dei magistrati inquirenti vengano accertate, e intanto gli indagati hanno il diritto di essere considerati giudiziariamente innocenti fino a prova contraria.
È infatti la concezione del potere del leader che merita fin d’ora un giudizio, mentre giustamente si attende che le ipotesi d’accusa dei magistrati inquirenti vengano accertate, e intanto gli indagati hanno il diritto di essere considerati giudiziariamente innocenti fino a prova contraria.
L’inchiesta dirà se Tiziano Renzi
approfittava del ruolo pubblico del figlio per influenzare nomine e appalti, se
il ministro Lotti ha avvisato i vertici Consip dell’indagine in corso e
addirittura delle “cimici” negli uffici, in modo che venissero rimosse.
Se Romeo teneva a libro paga il
padre del premier, come credono i carabinieri che hanno materialmente
ricostruito dalla spazzatura dell’imprenditore un appunto stracciato dove una
“T.” figura accanto all’indicazione: 30 mila per mese.
Ma nell’attesa è inevitabile
chiedere conto a Renzi di ciò che è già evidente, e soprattutto è sufficiente:
il meccanismo di controllo e influenza che ha creato intorno a sé, nominando
uomini di provata fedeltà personale nei centri più sensibili del potere
pubblico, lasciando germogliare filoni di interesse privato che intersecano
quei punti decisionali, mescolando come nei peggiori anni della nostra vita
lobby, Stato e famiglia.
Ogni leader ha naturalmente il
diritto di scegliersi gli uomini di fiducia, e può certo farlo rivolgendosi ai
più vicini.
Quando ha una responsabilità
generale, perché non risponde soltanto di sé ma del governo del Paese e del
destino di un partito, il leader ha anche il dovere di scegliere le persone più
brave d’Italia, non le più fedeli di Rignano.
C’è certamente in Renzi una
confusione tra Paese e paese. Ma c’è qualcosa di più.
È l’eterna sindrome minoritaria
di leader che non riescono a liberarsene nemmeno quando conquistano la
maggioranza, senza capire che la vera supremazia sta nell’egemonia e non nelle
tessere, nella nuova cultura che si installa e non nelle correnti che si contano,
alleandosi oggi per separarsi domani.
Potremmo dunque dire,
paradossalmente per un leader egocentrico, che il vero limite di Renzi è di
ambizione: pensare eternamente a proteggersi dai colpi e a colpire invece che a
convincere e conquistare con un progetto capace di presentare una nuova
sinistra come leva del cambiamento di un Paese in crisi, tenendo insieme le
eccellenze e le sofferenze italiane, in un nuovo disegno di società.
Un disegno in cui si riconoscano
tutte le anime della sinistra italiana, nella legittima e libera
interpretazione che il leader del momento è chiamato a dare, facendosi però
carico di una vicenda comune, di storie personali, di una tradizione che parla
a un terzo del Paese.
Tutto questo non c’è stato. Più
che come un leader, Renzi è calato sul Pd come un raider, che oggi viene
accusato politicamente di insider trading, lasciando che rivoli di interesse
pubblico zampillassero verso congreghe familiste o amicali, con al centro il
potere, il denaro, gli appalti.
L’ex premier deve dire al Paese se
sapeva, se sospettava, se immaginava: e se no, deve dire cosa ha pensato quando
ha scoperto che l’uomo da lui messo alla guida della centrale degli appalti
pubblici toglie le “cimici” perché un ministro e il vertice dei carabinieri lo
avvertono, quando lo stesso capo della Consip rivela che proprio da Tiziano
Renzi dipendeva il suo destino professionale, fino alla revoca della nomina.
L’unica cosa che Renzi non può
fare è stare zitto o rovesciare il tavolo attaccando la magistratura come lo
incitano i berlusconiani, memori di una pratica abituale a destra.
La comunità politica a cui Renzi
si rivolge e dalla quale deriva la sua legittimità ha sensibilità differenti, e
pretese diverse.
Renzi ha incominciato a
sciogliere il nodo famigliare dicendo che se suo padre è colpevole deve pagare
due volte.
Resta il nodo politico, intatto.
Qui c’è una risposta che Renzi
deve dare a se stesso. Dove lo ha portato quel sistema fondato sugli amici
degli amici, asfittico e famelico?
La presidenza del Consiglio non
meritava qualche ambizione in più di una gestione toscana degli appalti?
Domande inevitabili, perché non
si può predicare l’innovazione e poi rinchiudersi nella cerchia ristretta di un
Consiglio comunale in gita premio a Roma, con visita fugace alle istituzioni.
Bisognerebbe sapersi accontentare
della sovranità legittima appena conquistata, senza cercare una quota ulteriore
e ambigua di sovranità impropria.
Tutto questo Repubblica lo ha
chiesto pubblicamente all’ex presidente del Consiglio in un’intervista
all’inizio dell’anno: perché scegliere i fedelissimi fiorentini per guidare la
macchina governativa, dalla Manzione a Lotti, fino a Carrai incredibilmente
proposto per la guida delle cyber security invece di qualche ufficiale dei
carabinieri laureato al Mit dopo aver giurato fedeltà alla Repubblica e non al
premier?
Perché un capo della Rai scelto
nel bouquet della Leopolda? Perché governare con Verdini, e usare il Pd come un
taxi per arrivare a Palazzo Chigi?
Perché questa attrazione fatale
per gli imprenditori e per le banche?
Perché non pretendere che quando
si ha l’onore di guidare la sinistra e la responsabilità di presiedere il
governo i propri familiari si astengano da affari che riguardano il potere
pubblico?
Le questioni erano tutte sul tavolo, tre mesi fa. Renzi ha perso tempo, e il tempo non è neutrale. Non ci sarà nessun nuovo inizio se non si parte da qui, dalla denuncia di un sistema di potere malato, e da un sovvertimento radicale di uomini, di metodi, di mentalità. Dopo gli amici, è arrivato il tempo di parlare ai cittadini. Repubblica.it.4.3.2017. Ezio Mauro.
Le questioni erano tutte sul tavolo, tre mesi fa. Renzi ha perso tempo, e il tempo non è neutrale. Non ci sarà nessun nuovo inizio se non si parte da qui, dalla denuncia di un sistema di potere malato, e da un sovvertimento radicale di uomini, di metodi, di mentalità. Dopo gli amici, è arrivato il tempo di parlare ai cittadini. Repubblica.it.4.3.2017. Ezio Mauro.
Segretario Renzi, la sua prima
intervista dopo il referendum si può incominciare solo così: che sventola!
Quanto le brucia?
"E deve domandarmelo, non se lo immagina? Brucia, eccome se brucia. Tanto che il vero dubbio è stato se continuare o lasciare. Ma poi uno ritrova la voglia e riparte".
"E deve domandarmelo, non se lo immagina? Brucia, eccome se brucia. Tanto che il vero dubbio è stato se continuare o lasciare. Ma poi uno ritrova la voglia e riparte".
Davvero ha pensato di uscire
dalla politica?
"Sì, nei primi giorni. Mi
tentava: e devo dirle, un po' per curiosità, un po' per arroganza".
Poi?
"Poi ho pensato che solo il vigliacco scappa nei momenti di difficoltà. Ho ripensato alle migliaia di lettere ricevute, al desiderio di futuro espresso da milioni di persone. La nostra battaglia è appena incominciata".
Poi?
"Poi ho pensato che solo il vigliacco scappa nei momenti di difficoltà. Ho ripensato alle migliaia di lettere ricevute, al desiderio di futuro espresso da milioni di persone. La nostra battaglia è appena incominciata".
Una rivincita o una vendetta?
"Nessuna delle due: sono
parole che pensano al passato. Noi guardiamo avanti, non indietro".
Non è anche questo un modo per
scappare dalla sconfitta?
"Se uno nasconde la testa
sotto la sabbia e fa finita di niente, sì. Ma vorrei ricordarle che io mi sono
dimesso, in un Paese dove di solito le dimissioni si annunciano".
Era difficile resistere dopo aver
perso 41 a 59, lo ammette?
"Sarei andato via anche con
il 49 per cento. In realtà mi sono dimesso tre volte".
Perché tre?
"La prima appena usciti risultati, domenica sera. La seconda davanti a Mattarella, lunedì. Poi il Presidente mi ha chiesto di portare a casa la legge di bilancio, l'abbiamo fatta in 48 ore. E con 173 voti a favore presi al Senato mi sono dimesso per la terza volta. Adesso c'è il presidente Gentiloni cui va tutto il nostro sostegno".
"La prima appena usciti risultati, domenica sera. La seconda davanti a Mattarella, lunedì. Poi il Presidente mi ha chiesto di portare a casa la legge di bilancio, l'abbiamo fatta in 48 ore. E con 173 voti a favore presi al Senato mi sono dimesso per la terza volta. Adesso c'è il presidente Gentiloni cui va tutto il nostro sostegno".
E lei cosa sta facendo?
"Rifletto, leggo, sto in
famiglia. Vado al ricevimento professori dei genitori dei miei figli. Ho
ripreso a usare la bici. Riorganizzo la struttura del partito. Uso gli occhi e
le orecchie più che la bocca. C'era tempo solo per correre, prima. Adesso mi
sono fermato: avrei preferito non farlo ma non è così male".
Ma non ha appena detto che le
brucia?
"Umanamente è una grande
lezione, come tutte le sconfitte. Sa cosa mi spiace soprattutto? Non essere
riuscito a far capire quanto fosse importante per l'Italia questa riforma.
Abbiamo perso un'occasione che per decenni non ricapiterà. Ma nessuno ci
toglierà i mille giorni che abbiamo fatto, straordinari. E soprattutto nessuno
può toglierci il futuro. Abbiamo il tempo, l'energia, la passione per imparare
dalla sconfitta e ripartire ".
Improvvisamente lei parla al
plurale dopo una vita politica vissuta al singolare. E' il momento di dire
"noi", dopo troppi "io"?
"E' stato uno dei miei
limiti. Ma l'Italia che abbiamo trovato nel 2014, con il pil al meno due per
cento, aveva bisogno di una scossa. Dire io e metterci la faccia è stato
necessario".
Insomma, "noi" non
riesce a dirlo fino in fondo?
"Sto imparando, vorrei ci
provassimo tutti. Vede, il Pd potrebbe vantarsi di un Jobs act votato dalla
sinistra, di unioni civili votate dai cattolici, della legge sul caporalato e
del miliardo e otto stanziato per la povertà, degli oltre 17 miliardi di
recupero dalla lotta all'evasione, dell'abbassamento delle tasse. Invece i
nostri votano in Parlamento, e tacciono nel Paese, anche sulle cose più
positive".
Non starà qui a snocciolare la
propaganda, visto che lo ha fatto ad ogni ora del giorno e della notte in tv e
non le è servito, non le pare?
"Quella che lei chiama
propaganda sono riforme che hanno aiutato un pezzo di Paese a vivere meglio.
Non ci hanno fatto vincere? Ok, ma sono fiero di averle fatte e quei 13 milioni
di voti raccolti al referendum sono un patrimonio di speranza per il
futuro".
Alt, lei non può annettersi quel 41 per cento in automatico: non è un voto politico per Renzi, è un voto referendario. Diverso, no?
"Diverso quanto vuole. Ma non è che il 59 per cento è un voto politico e il 41 no. O siamo al paradosso per cui Renzi conta solo nei voti contrari e non in quelli a favore? Il 59 per cento è molto diviso al proprio interno, il 41 no. Temo che qualcuno faccia i conti senza l'oste".
Alt, lei non può annettersi quel 41 per cento in automatico: non è un voto politico per Renzi, è un voto referendario. Diverso, no?
"Diverso quanto vuole. Ma non è che il 59 per cento è un voto politico e il 41 no. O siamo al paradosso per cui Renzi conta solo nei voti contrari e non in quelli a favore? Il 59 per cento è molto diviso al proprio interno, il 41 no. Temo che qualcuno faccia i conti senza l'oste".
Vediamo gli errori dell'oste,
prima: qual è stato il più grave?
"Non aver colto il valore
politico del referendum. Mi sono illuso che si votasse su province, Cnel,
regioni. Errore clamoroso. In questo clima la parola riforma è suonata vuota,
meccanica, artificiale. Nel 2014 il Paese sapeva di essere a rischio Grecia,
l'efficienza aveva presa, funzionava perché serviva. Tre anni dopo avrei dovuto
metterci più cuore, più valori, più ideali. Insomma, meno efficienza e più
qualità".
Prima diceva che ha corso troppo,
ora aggiunge addirittura che vuole più cuore. In questi tre anni abbiamo
scritto tante volte che lei sostituiva il performer al politico, l'acrobata al
leader. Non tutto è prassi, dunque?
"Un leader è sempre un po'
acrobata, altrimenti vivacchia ma quelli che vivacchiano non sono leader. Poi
talvolta cade, ma preferisco rischiare piuttosto che vivere nell'immobilismo.
Ma se vuole andare più a fondo, ci sto: ho agito spesso senza riuscire a fare
una teoria di quel che facevamo, senza "ideologizzare" la rotta del
governo, senza raccontare la profondità culturale di quel che proponevamo al
Paese. Abbiamo fatto la più grande redistribuzione di reddito della storia
fiscale italiana - gli 80 euro - ma abbiamo accettato che fosse presentata come
una mancia. Ma almeno noi lo abbiamo fatto, dopo anni di chiacchiere".
Più cultura, dunque, non solo
politique d'abord?
"Se cerca uno slogan ne ho
uno migliore: meno slide, più cuore".
E magari meno Giglio Magico, no? Non crede sia una mancanza di ambizione scegliere i più fedeli a Firenze invece che i più bravi in Italia?
E magari meno Giglio Magico, no? Non crede sia una mancanza di ambizione scegliere i più fedeli a Firenze invece che i più bravi in Italia?
"Dissento radicalmente: io
ho sempre cercato di scegliere i più bravi. Ogni leader nel mondo ha un gruppo
di collaboratori storici, anche del proprio territorio. E se lei si riferisce a
Boschi e Lotti le dico che sono due persone straordinarie, professionisti
eccellenti".
E la Manzione, capo dei vigili urbani a Firenze che diventa responsabile del dipartimento affari giuridici di Palazzo Chigi?
"Talmente brava che è stata confermata anche da Gentiloni. Tutto qui questo mitico Giglio Magico?".
E la Manzione, capo dei vigili urbani a Firenze che diventa responsabile del dipartimento affari giuridici di Palazzo Chigi?
"Talmente brava che è stata confermata anche da Gentiloni. Tutto qui questo mitico Giglio Magico?".
E il suo amico Carrai candidato
per settimane a guidare la cyber security?
"E poi non lo abbiamo nominato. Forse avrebbe fatto comodo la sua competenza, sa? ".
"E poi non lo abbiamo nominato. Forse avrebbe fatto comodo la sua competenza, sa? ".
Ma ci sarà pure un ufficiale dei
carabinieri laureato all'Mit che è altrettanto competente e in più ha giurato
fedeltà alla Repubblica e non a lei, no?
"Adesso ascolti me: all'Eni
dopo un lungo colloquio ho nominato De Scalzi, che non conoscevo, all'Enel Starace
che non avevo mai visto, alle Ferrovie Mazzoncini che non è certo fiorentino, a
Finmeccanica Moretti, alla Cdp Costamagna. Vogliamo parlare delle nomine nelle
forze dell'ordine o ai servizi? Vogliamo discutere di Guerra e Piacentini che
hanno accettato di rinunciare a stipendi milionari per lavorare con me?
Vogliamo dire che col mio governo Fabiola Gianotti è arrivata a dirigere il
CERN e Filippo Grandi l'Alto Commissariato per i rifugiati? Sono orgoglioso di
queste scelte, altro che gigli e magie".
E alla Rai?
E alla Rai?
"Alla Rai cosa? Ho scelto un
capo azienda del mestiere e l'ho lasciato lavorare".
Ma quel capo azienda lo ha scelto
nel bouquet della Leopolda o sbaglio? E due nomi per lei scomodi come
Berlinguer e Giannini non sono stati sostituiti?
"Non mi pare che partecipare
a un convegno alla Leopolda sia un reato. L'amministratore delegato l'ho scelto
per il mestiere, gli ho dato i poteri con la legge e i soldi con il canone in
bolletta. Per il resto sfido chiunque a dire che ho messo bocca in una sola nomina.
L'unica cosa che è veramente figlia di una mia proposta è stata la
cancellazione della pubblicità dalla tv dei bambini. Sul resto io devo solo
cercare il meglio per il futuro delle aziende. E lo farò anche per il Pd".
Cioè?
"Il Pd deve riflettere: a cosa serve un partito oggi? Come può la sinistra rispondere alla crisi? Come dobbiamo cambiare? Si guardi in giro: in Francia i socialisti non stanno benissimo. In Spagna per il Psoe abbiamo visto com'è finita, in Inghilterra con Corbyn il Labour non vince, in Germania la Merkel va al 42,9 per cento, superata solo da Adenauer, negli Usa Obama raccoglie risultati positivi nell'occupazione per 75 mesi e il Paese vota Trump. Non le dice niente?".
"Il Pd deve riflettere: a cosa serve un partito oggi? Come può la sinistra rispondere alla crisi? Come dobbiamo cambiare? Si guardi in giro: in Francia i socialisti non stanno benissimo. In Spagna per il Psoe abbiamo visto com'è finita, in Inghilterra con Corbyn il Labour non vince, in Germania la Merkel va al 42,9 per cento, superata solo da Adenauer, negli Usa Obama raccoglie risultati positivi nell'occupazione per 75 mesi e il Paese vota Trump. Non le dice niente?".
Sta pensando che la famiglia
socialista appartiene al passato?
"Niente affatto, si ricordi
che ho portato io il Pd nei socialisti europei, cosa che quelli di prima non
erano riusciti a fare. Anni fa, quando qualcuno mi consigliava di fare un
partito nuovo, ho sempre risposto che se fosse capitato un giorno di andare a
palazzo Chigi un conto sarebbe stato andarci come capo della sinistra italiana,
e tutt'altro conto come un passante che ha vinto alla lotteria. Io credo che la
sinistra possa vincere e convincere. Ma deve entrare nel nuovo secolo, tenere
insieme le tradizioni e il futuro ".
Come?
"Le nuove polarità sono esclusi e inclusi, innovazione e identità, paura e speranza. Gli esclusi sono la vera nuova faccia delle disuguaglianze, dobbiamo farli sentire rappresentati. L'identità è ciò che noi siamo, senza muri e barriere, e non dobbiamo lasciarla alla destra. Quanto all'innovazione, è indispensabile per non finire ai margini, ma ne ho parlato in termini troppo entusiastici, bisogna pensare anche ai posti di lavoro che fa saltare. Insomma, c'è un gran da fare per la sinistra".
"Le nuove polarità sono esclusi e inclusi, innovazione e identità, paura e speranza. Gli esclusi sono la vera nuova faccia delle disuguaglianze, dobbiamo farli sentire rappresentati. L'identità è ciò che noi siamo, senza muri e barriere, e non dobbiamo lasciarla alla destra. Quanto all'innovazione, è indispensabile per non finire ai margini, ma ne ho parlato in termini troppo entusiastici, bisogna pensare anche ai posti di lavoro che fa saltare. Insomma, c'è un gran da fare per la sinistra".
E come può farcela un Pd diviso,
negletto, ridotto ai minimi termini?
"Non so di quale Pd parli lei. Quello che conosco io ha preso il 40,8 per cento alle Europee, miglior risultato di un partito politico in Italia dalla Dc del 1959. Sono convinto che se il 4 dicembre si fosse votato per i partiti, saremmo risultati nettamente primi. Certo, adesso c'è da fare. Lanceremo una nuova classe dirigente, gireremo in lungo e largo l'Italia, scriveremo il programma dei prossimi cinque anni in modo originale. Siamo ammaccati dal referendum ma siamo una comunità piena di idee e di gente che va liberata dai vincoli delle correnti. Ci sarà da divertirsi nei prossimi mesi dalle parti del Nazareno".
"Non so di quale Pd parli lei. Quello che conosco io ha preso il 40,8 per cento alle Europee, miglior risultato di un partito politico in Italia dalla Dc del 1959. Sono convinto che se il 4 dicembre si fosse votato per i partiti, saremmo risultati nettamente primi. Certo, adesso c'è da fare. Lanceremo una nuova classe dirigente, gireremo in lungo e largo l'Italia, scriveremo il programma dei prossimi cinque anni in modo originale. Siamo ammaccati dal referendum ma siamo una comunità piena di idee e di gente che va liberata dai vincoli delle correnti. Ci sarà da divertirsi nei prossimi mesi dalle parti del Nazareno".
Per questo vuole andare a votare
subito senza far finire la legislatura?
"Mi è assolutamente indifferente. Io non ho fretta, decidiamo quel che serve all'Italia, senza ansie ma anche senza replicare il 2013 dove abbiamo pagato un tributo elettorale al senso di responsabilità del Pd. Forse alcuni parlamentari - specie dei nuovi partiti - sono terrorizzati dalle elezioni perché sanno che non avrebbero i voti neanche per un'assemblea di condominio. Ma noi no. Noi faremo ciò che serve al Paese ".
"Mi è assolutamente indifferente. Io non ho fretta, decidiamo quel che serve all'Italia, senza ansie ma anche senza replicare il 2013 dove abbiamo pagato un tributo elettorale al senso di responsabilità del Pd. Forse alcuni parlamentari - specie dei nuovi partiti - sono terrorizzati dalle elezioni perché sanno che non avrebbero i voti neanche per un'assemblea di condominio. Ma noi no. Noi faremo ciò che serve al Paese ".
Ma lei è sicuro che le piaccia il
mestiere di segretario del Pd ed è sicuro di saperlo fare?
"Vedremo se sarò capace, le
rispondo tra qualche mese. Perché me lo chiede?".
Perché ha dato l'impressione
spesso di usare il partito come un taxi per arrivare a palazzo Chigi.
"Io credo nel Pd, credo
nell'intuizione veltroniana del partito maggioritario, credo possa essere la
spina dorsale del sistema, soprattutto in un quadro bipolare come piace a
me".
Quindi rimane favorevole al
ballottaggio, anche con Grillo in campo?
"Sì, è il modo per evitare inciuci, governissimi, larghe intese tra noi e Forza Italia che non servono al Paese e aprono un'autostrada al grillini. Ballottaggio, o se no Mattarellum. Se poi dalla Corte verrà fuori un sistema diverso ci confronteremo con gli altri. Col maggioritario il Pd è il fulcro di un sistema simile alla democrazia americana. Con il proporzionale torniamo a un sistema più simile alla democrazia cristiana. Il Pd sarà decisivo comunque. Il futuro dell'Italia passa da noi, dai nostri sindaci, dalla comunità di valori della nostra gente. Che non ne può più di chi spara contro il quartier generale ".
"Sì, è il modo per evitare inciuci, governissimi, larghe intese tra noi e Forza Italia che non servono al Paese e aprono un'autostrada al grillini. Ballottaggio, o se no Mattarellum. Se poi dalla Corte verrà fuori un sistema diverso ci confronteremo con gli altri. Col maggioritario il Pd è il fulcro di un sistema simile alla democrazia americana. Con il proporzionale torniamo a un sistema più simile alla democrazia cristiana. Il Pd sarà decisivo comunque. Il futuro dell'Italia passa da noi, dai nostri sindaci, dalla comunità di valori della nostra gente. Che non ne può più di chi spara contro il quartier generale ".
Scusi, anche a me non piacciono
gli inciuci e le large intese, ma si ricorda che lei ha scelto di governare con
Verdini?
"Scelto? Sono io che ricordo
a lei che alle ultime elezioni politiche il Pd - non guidato da me - aveva
preso il 25 per cento, non il 40. Senza Verdini lei oggi non avrebbe le unioni
civili".
Se nel Pd si preparasse una
scissione a sinistra?
"Non mi sembra l'aria. Una parte del gruppo dirigente ha votato "no" con Lega, Grillo e Berlusconi, ma il 91 per cento degli elettori del Pd ha votato sì. La scissione la farebbero i parlamentari, non gli iscritti. Nonostante le leggende nere, abbiamo perso a destra, non tra i compagni".
"Non mi sembra l'aria. Una parte del gruppo dirigente ha votato "no" con Lega, Grillo e Berlusconi, ma il 91 per cento degli elettori del Pd ha votato sì. La scissione la farebbero i parlamentari, non gli iscritti. Nonostante le leggende nere, abbiamo perso a destra, non tra i compagni".
Dica ai compagni che non lascerà
morire l'Unità: può dirlo?
"Faremo di tutto. Vedrò
Staino e gli editori la settimana prossima. Ma se il giornale vende poco
davvero pensiamo che la colpa sia del segretario del partito? Lavoreremo a una
soluzione con umiltà e buon senso".
Da segretario lei è sembrato
credere nell'Anno Zero, nel renzismo, accontentandosi di rappresentare solo
metà partito, non tutto. E' così?
"Se ho dato questa
impressione, ho sbagliato. Ma non c'è stato giorno senza che una parte della
vecchia guardia mi abbia attaccato, anche in modo sgradevole a livello
personale, quasi fosse stata lesa maestà sconfiggerli al congresso. Perché non
dice che sono stato circondato nel Pd da un vero e proprio pregiudizio, secondo
cui non ero degno di rappresentare la sinistra? ".
Lei sente di rappresentarla?
"Certo, secondo la sua
storia e le mie convinzioni. Per me essere di sinistra è anche innovare: essere
garantisti sulla giustizia, abbassare le tasse, non andare necessariamente a
rimorchio del sindacato che contesta ideologicamente i voucher e poi li usa. Lo
farò. L'ho fatto. La battaglia sull'accoglienza agli immigrati in Europa
l'abbiamo fatta noi. E anche quella contro l'austerità come ideologia, non come
necessità. Io ricordo benissimo il primo vertice europeo a Ypres nel giugno
2014, siamo finiti 2 contro 26 nel voto. Poi la nostra linea ha camminato.
Troppo poco? Può darsi. Risultati parziali? Non c'è dubbio. Ma da dove eravamo
partiti?"
Lo dica lei.
"Crede davvero che se non
fossimo stati sul bordo della palude avrebbero dato la guida del governo a uno
di 39 anni, senza quarti di nobiltà e senza padrini politici?".
Non avrà sangue blu, ma ha
un'indubbia attrazione per il potere economico e imprenditoriale: non è
eccessivo?
"Rivendico gli incontri con
chi salva un pezzo di produzione industriale in questo Paese. Ma non è vero che
cerco solo gli imprenditori. Vado a Torino vado alla Fiat, certo, dove riparte
Mirafiori, ma vado anche al Cottolengo. Colpa mia se per voi Marchionne fa
notizia e don Andrea no? Dove non mi troverà mai è nei salotti, soprattutto a
Roma".
Nelle banche però vi hanno
trovati, da Etruria a Mps: non crede che vi sia costato molto elettoralmente?
"Sì. Ma è una clamorosa
menzogna. E non vedo l'ora che parta la commissione di inchiesta per fare
chiarezza sulle vere responsabilità, dai politici ai manager ai controllori
istituzionali".
Ma lei come ha fatto a dire che
"Mps è un bell'affare, un brand su cui investire" mentre andava a
rotoli?
"Ho detto in pubblico quel
che ho ripetuto a tutti gli investitori stranieri. Avevamo creato le condizioni
per un investimento estero importante - il fondo del Qatar - che ha detto no il
giorno dopo il referendum per l'instabilità politica. Non ci sarebbe stata
operazione pubblica da venti miliardi con la vittoria sulle riforme".
E perché ha voluto far fuori Viola per far posto a Morelli gradito a Jp Morgan?
E perché ha voluto far fuori Viola per far posto a Morelli gradito a Jp Morgan?
"Sfido chiunque a dimostrare
che ho preso posizione contro Viola o a favore di Morelli. Piuttosto, sulle
banche abbiamo perso con Monti la vera occasione di fare la bad bank come la
Merkel. Ci sono responsabilità politiche decennali. E sul Monte prima o poi
qualcuno racconterà la vera storia, da Banca 121 a Antonveneta. A proposito,
vediamo cosa dirà la commissione di inchiesta sulle popolari venete".
E Etruria quanto vi è costata,
col padre della Boschi in Consiglio?
"Molto. Ma abbiamo fatto tutto quello che andava fatto. Abbiamo commissariato la banca, mandato a casa gli amministratori compreso il padre della Boschi, Etruria è l'unica banca sanzionata due volte, ci sono indagini della magistratura e ci saranno processi: vedremo chi sarà condannato e chi no. Ma noi siamo stati di una trasparenza cristallina. In tempi di post verità e di bufale virali posso sperare che ci sia ancora qualcuno che legge le carte e non i tweet preparati in modo scientifico dalla Casaleggio e associati? Mi colpisce molto che Arezzo e Siena siano tra le poche città in cui il Sì ha vinto: segno che chi sta sul territorio conosce la verità e non crede alle rappresentazioni di comodo ".
"Molto. Ma abbiamo fatto tutto quello che andava fatto. Abbiamo commissariato la banca, mandato a casa gli amministratori compreso il padre della Boschi, Etruria è l'unica banca sanzionata due volte, ci sono indagini della magistratura e ci saranno processi: vedremo chi sarà condannato e chi no. Ma noi siamo stati di una trasparenza cristallina. In tempi di post verità e di bufale virali posso sperare che ci sia ancora qualcuno che legge le carte e non i tweet preparati in modo scientifico dalla Casaleggio e associati? Mi colpisce molto che Arezzo e Siena siano tra le poche città in cui il Sì ha vinto: segno che chi sta sul territorio conosce la verità e non crede alle rappresentazioni di comodo ".
C'è ancora la Consip, i cui
dirigenti sono stati avvertiti delle "cimici" disposte dalla Procura
di Napoli e le hanno tolte prima che funzionassero. La soffiata, dice
l'amministratore delegato, viene dal ministro Lotti, dal comandante dei
Carabinieri Del Sette e dal comandante della Toscana Saltalamacchia. Non è
grave? Non è giglio? Non è logico pensare che anche lei potesse sapere, visto
che suo padre ha legami con l'imprenditore Romeo, indagato nell'inchiesta?
"La mia linea è sempre una
sola: bene le indagini, si vada a sentenza. Noi chiediamo ai giudici di fare
presto, sempre. Abbiamo visto polveroni su Tempa Rossa, Penati, Errani,
Graziano e non c'è stata condanna. Notizie sparate in prima pagina per le
richieste e nascoste per le assoluzioni. Aspetto di vedere la sentenza.
Qualcuno ha violato la legge? Si dimostri con gli articoli del codice penale,
non con gli articoli dei giornali. E chi ha sbagliato, se ha sbagliato,
paghi".
C'è un fatto già certo: quelli le
cimici le hanno tolte perché qualcuno li ha avvertiti, e i suoi uomini sono
sospettati della soffiata. Non è già questo gravissimo?
"Mi interessano le sentenze,
non i sospetti. Ovviamente non ho alcun dubbio sulla totale correttezza dei
carabinieri e dei membri del governo in questa vicenda. Ma del resto basta
aspettare per averne certezza".
Nel frattempo, mi scusi, non
sarebbe bene che i vostri familiari si astenessero da affari che riguardano il settore
pubblico, per il periodo temporaneo in cui avete l'onore di guidare la sinistra
o il Paese?
"Condivido il principio e non mi risultano affari di mio padre con il pubblico. Si è preso un avviso di garanzia appena io sono andato a Palazzo Chigi. Quando è accaduto io sono andato in tv, da premier, e ho dato solidarietà, ma ai magistrati, non a mio padre. Alla fine è stato archiviato. Male non fare, paura non avere".
"Condivido il principio e non mi risultano affari di mio padre con il pubblico. Si è preso un avviso di garanzia appena io sono andato a Palazzo Chigi. Quando è accaduto io sono andato in tv, da premier, e ho dato solidarietà, ma ai magistrati, non a mio padre. Alla fine è stato archiviato. Male non fare, paura non avere".
Non crede che il Pd abbia bisogno
di aria fresca, troppi indagati, troppi notabili, troppe compromissioni come
denunciava Saviano?
"Il mancato rinnovo della
classe dirigente è stato un mio limite. Saviano lo ha detto con un tono
discutibile, ma nel merito aveva ragione. Non si cambia il Sud poggiando solo
sul notabilato. Idee nuove e amministratori vecchi? Sbagliato, non funziona.
Togliere le ecoballe è importante, ci mancherebbe. Ma più ancora aprire il Pd a
facce nuove. Voglio farlo".
Rimpiange di essere salito a
palazzo Chigi dall'ascensore di servizio e non dallo scalone d'onore, con il
voto?
"No. Per la mia immagine è
stato un errore, ma serviva al Paese e l'Italia vale di più della mia immagine.
Ma lei ricorda quei momenti? Eravamo bloccati e impauriti, la disoccupazione
cresceva, il Pil crollava. Ora l'Italia ha qualche diritto in più e qualche
tassa in meno. Ancora non andiamo bene, ma andiamo meglio di prima. Dobbiamo
stringere i denti e fare di più".
Non sente oggi come suona male
quella continua polemica coi gufi e i rosiconi?
"Bisognava dar l'idea della
svolta. Forse non dovevo usare quelle parole, va bene: ma l'ottimismo fa parte
della politica. Detto questo adesso posso confessarlo: a me i gufi stanno
simpatici. Gli animali, intendo".
Grillo punta invece sul
catastrofismo: conviene?
"Sì. Lui vince se denuncia
il male. Non se prova a cambiare. Quei ragazzi sono già divisi, si odiano tra
gruppi dirigenti, fanno carte e firme false per farsi la guerra. Ma sono un
algoritmo, non un partito. Lui è il Capo di un sistema che ripete ai seguaci
solo quello che vogliono sentirsi dire, raccogliendo la schiuma dell'onda del
web. Dovremmo fare una colletta per liberare la Raggi e i parlamentari europei
dalle orrende manette incostituzionali che multano l'infedeltà al partito, ogni
ribellione o autonomia. Ma quelli che vedevano la deriva autoritaria nella
riforma costituzionale, su questo tacciono. Se l'immagina una misura del genere
nel Pd? Io non voglio una sinistra dell'algoritmo: la voglio libera, capace di
pensare con la sua testa, coi suoi valori, la sua cultura, i suoi ideali".
Meglio tardi che mai, segretario,
la strada è lunga. E se alla fine non dovesse portarla a palazzo Chigi, se non
ci tornasse più?
"Chissà, vedremo. In ogni
caso che male c'è? Ho lasciato il campanello a Paolo e ho visto i miei amici
entrare in sala Consiglio mentre io me ne andavo. Penso che sia giusto così.
Quando si perde deve pagare il capo, non un capro espiatorio a caso. Mentre
camminavo sulla guida rossa, col drappello militare che rendeva gli onori al
Capo del governo uscente, inchinandomi alla bandiera, ho pensato che in questi
tre anni ho cercato di fare il mio dovere con disciplina e onore come dice
la Costituzione. Se torneremo a Chigi, faremo tesoro degli errori e proveremo a
fare ancora meglio. Se non ci torneremo, abbiamo servito il Paese più bello del
mondo per mille giorni. Dica lei: che posso volere di più?". Repubblica.it.15.1.2017.
Ezio Mauro.
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