Venezia, casa del Tintoretto
Ogni tanto in Fondamenta dei Mori gruppetti di turisti si
affollano di fronte ad un portone. Non c’è targa, né insegna. Non è un museo,
né un hotel. Eppure quella palazzina, nel cuore di una Cannaregio ancora
popolare, è segnata nelle guide. C’è chi mette la testa dentro e chi suona il
campanello. Un palazzo che risale al Quattrocento, ma dalle forme gotiche.
Quella è la casa di Jacopo (o Jacomo) Robusti, detto il
Tintoretto. Era il 1574 quando il celebre pittore la comprò per farne la sua
dimora e il suo atelier. Ci sarebbe rimasto per vent’anni, fino alla morte,
salvo qualche tempo passato a Mantova, alla corte dei Gonzaga. Là, nel piano
nobile di fronte a quella trifora, uscirono dalle sue mani e dal suo
immaginario, i capolavori destinati alla sua città.
Ora quella casa è in vendita. Lo abita una signora, stanca
del peso di quelle stanze. Lo avevano comprato alla metà degli anni ’80 il
marito e il suocero.
Vivere nella casa di Tintoretto è come un tuffo al cuore.
Sono 182 metri quadri, divisi in un salone, tre camere, una
cucina, due sale e due bagni. I soffitti sono a sei metri d’altezza.
E’ la vertigine dei piani nobili. E in quello si mescolavano
il vociare di otto figli bambini e i passi di Marietta, la primogenita e
prediletta. Tintoretto la vide morire, colta e pittrice pure lei. A 16 anni era
già una straordinaria ritrattista. E per non vederla rapita da qualche Corte,
l’aveva data in sposa ad un orefice senza gran stoffa. Morì trentenne, Marietta.
E tutto fu più triste. Il fatto è che qualcosa di simile è successo anche ad
Elisabetta. Suo padre morì troppo giovane, quando lei aveva 13 anni.
Grandi gli spazi e così le spese: «e noi, purtroppo, non riusciamo
più a farcene carico», spiega la giovane proprietaria.
Melania Mazzucco nel suo splendido «Jacomo Tintoretto e i
suoi figli. Storia di una famiglia veneziana », uscito tre anni fa per le
edizioni Rizzoli. Racconta anche che nel 1632, nella casa «abitavano sette
persone. Un uomo fra i 18 e i 50 anni, due vecchi, una donna e tre massere. Il
capo di casa era Dominico Robusti».
corrieredelveneto.corriere.it
LA bufala
Chi sostiene il patrimonio storico:
Lo Stato?.
La soprintendenza?
No!
I privati
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