I fondi ai gruppi parlamentari sono un canale
essenziale del finanziamento pubblico alla politica, specie in vista
dell’abolizione dei rimborsi. Tagliate le spese che i partiti possono
permettersi, sono i gruppi a farsi carico di aspetti essenziali.
Alcuni dei canali del finanziamento pubblico
tradizionale vanno esaurendosi o vengono messi in discussione, sostituiti
da nuovi sistemi come il 2×1000. I rimborsi elettorali, azzerati dal 2017;
i contributi ai giornali di partito, di cui un disegno di legge in esame al senato
propone l’abolizione; i contributi ai gruppi del consigli regionali, che la
riforma costituzionale prevede di eliminare.
Rimangono in piedi, invece, i contributi ai gruppi
parlamentari. Questi soldi servono, proprio come nel caso delle regioni, a pagare
le loro spese correnti e il personale di cui hanno bisogno,
come funzionari, esperti giuridici e di comunicazione. Con la
riduzione dei soldi diretti ai partiti, i gruppi parlamentari
sono diventati attori politici più rilevanti rispetto al passato.
Per esempio, sono loro a finanziare parte della
comunicazione del partito. Possono acquistare spazi pubblicitari e organizzare
eventi: formalmente solo per promuovere la loro attività parlamentare ma, come
sottolineato più volte, è molto labile il confine con la propaganda politica
del partito.
Per contribuire alle funzioni istituzionali dei
gruppi, camera e senato hanno erogato 49 milioni di euro nel 2014.
Nello stesso anno i partiti, con i rimborsi, hanno ricevuto molto meno: 35
milioni. Perciò questo canale di finanziamento sta acquisendo un ruolo di
rilievo nel panorama dei soldi pubblici alla politica.
Nel 2014,
la camera ha versato un contributo medio per ciascun deputato pari a 47.856,31
euro, mentre al senato il trasferimento medio per membro è stato
di 59.383,92 euro. In totale, stiamo parlando di circa 30 milioni di
euro nella camera “bassa” e di 19 milioni di euro in quella “alta”. openpolis.it/2016/08/01
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