venerdì 29 novembre 2019

combattere l’evasione


Menti disabituate al pensiero complesso congiuntamente al distacco totale dalla realtà producono sonni della ragione in campo tributario, immaginando che la compressione di diritti comporti la fedeltà fiscale, come del resto l’inasprimento della sanzione penale attraverso la carcerazione.
Tali geni, oramai perennemente dissociati dal mondo reale ritengono che la totale tracciatura delle forme di pagamento sia la pietra filosofale per combattere l’evasione, congiuntamente ad una selva di obblighi, comunicazioni, sanzioni, invii telematici contenenti un’infinità di dati.
il Fisco deve avere il diritto di penetrare sempre di più nella nostra vita privata e cibarsi di dati. 
Questa tendenza aumenta la convenienza dell’evasione: un evasore ha un mese e mezzo in più di lavoro disponibile rispetto ad un contribuente che intenda adempiere alle follie contenute degli adempimenti tributari.
Tale clima da caccia alle streghe, nonché la pressione derivante dalla corruzione della pubblica amministrazione, potrebbe determinare una ricerca ossessiva dell’imponibile nell’ansia da risultato, innestandosi in un sistema tributario italiano ingestibile, improponibile, contraddittorio e ambiguo.
Solo la logica volta a dividere, a generare emozioni per ottundere il pensiero, quali il tintinnio di manette e abnormi sanzioni, può pensare di risolvere il problema.
Paradossalmente, tali atteggiamenti ingigantiscono il problema poiché aumenta il profitto atteso dell’evasore rispetto a chi vuole rispettare le norme. Ciò avviene perché l’evasore ha un vantaggio competitivo in termini di minori costi di compliance e di tributi rispetto al contribuente onesto, generando un’asimmetria che porta l’onesto fuori dal mercato.
La percepita incapacità della macchina burocratica ad effettuare verifiche ha portato a forme di misure antievasione indirette e presuntive (indeducibilità, indetraibilità, presunzioni automatiche, norme antiabuso). Queste si prefiggono l’obiettivo di evitare comportamenti opportunistici ma, d’altro canto, possono generare automaticamente materia imponibile, vale a dire attrarre a tassazione redditi non guadagnati.
Ciò determina un aumento del risparmio tributario e la diminuzione del disvalore sociale, dato che la percezione di vessazioni potrebbe condurre alla giustificazione della violazione tributaria.
La continua legislazione di urgenza che si innesta in un sistema complesso non aiuta nella fruibilità e nella comprensibilità della norma (possibile avere leggi finanziarie di un unico articolo con oltre 1.500 commi?), generando la percezione di un’assoluta confusione normativa in cui si possono annidare comportamenti opportunistici o predatori.
In tale paradigma, il controllo statale potrebbe essere percepito, non tanto alla finalizzazione della verifica del rispetto delle norme, quanto quale pretesa ingiusta basata sulla necessità di “accertare” per portare risultati sull’evasione (quanti accertamenti sono stati chiusi a zero?), piuttosto che su elementi di fatto. Ciò diminuisce la percezione di costo, essendo il rischio di maggior tributi indipendente dalla “compliance”.
Per coloro che non seguono le mode becere e non hanno abbandonato i diritti ed il diritto, non possono sfuggire le continue condanne ricevute a livello internazionale del Governo Italiano (Corte di Giustizia e CEDU) per violazioni dei principi fondamentali negli accertamenti tributari: la violazione degli obblighi tributari potrebbe essere considerata quasi un atto di Resistenza.
Ora, facendo tintinnare le manette, quale scopo raggiungiamo? Quello di rendere l’aria oltremodo irrespirabile, criminalizzando l’imprenditoria e dimenticandoci che sono gli imprenditori i datori di lavoro e che, quindi, senza creazione di impresa non vi sarà nessuna creazione di posti di lavoro!
Il mantra della lotta all’evasione, così strutturato, ci fa assistere al macabro raggiungimento di tale scopo, dato che le imprese stanno chiudendo, pervenendo all’agognata fedeltà tributaria: con nessuna impresa si avrà zero evasione.
Sì, perché essere imprenditore in Italia equivale ad essere considerato un criminale abituale o per tendenza.ilsole24ore.it

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