domenica 25 ottobre 2015

Omicidio Aggravante

Corte di Cassazione, sezione I Penale
Sentenza 12 marzo – 13 aprile 2015, n. 14998
1. Con sentenza del 21 marzo 2013 il GUP del Tribunale di Tivoli, all’esito di giudizio abbreviato, condannava alla pena di anni trenta di reclusione S.A. , giudicato colpevole dell’omicidio pluriaggravato, mediante undici coltellate, della ex convivente B.B.C. (artt. 575, 577 commi 1 e 2, artt. 61 n. 4 e 5 c.p.).
Secondo quanto ricostruito dal giudice di merito sulla base della confessione dell’imputato e delle dichiarazioni di numerosi testimoni, l’imputato e la vittima avevano avuto una relazione protrattasi per alcuni mesi e tradottasi anche in una convivenza, interrotte, l’una e l’altra, per iniziativa della ragazza stanca dell’assillante gelosia del compagno;
l’imputato veniva accusato e condannato per il reato di omicidio premeditato, ulteriormente aggravato dalla crudeltà e dalla minorata difesa.
2. Avverso la sentenza di primo grado proponeva appello l’imputato chiedendo la rinnovazione della istruttoria dibattimentale per l’espletamento di una perizia psichiatrica e, nel merito, la riforma della decisione impugnata con la esclusione delle ritenute aggravanti della premeditazione e della crudeltà. La difesa appellante chiedeva altresì la riduzione della pena ed il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza.
La Corte di assise di appello di Roma, con sentenza del 17 dicembre 2013, rigettava ogni motivo di doglianza e confermava integralmente la decisione di primo grado.
3. Ricorre per cassazione avverso la pronuncia di appello l’imputato, assistito dal difensore di fiducia, sviluppando tre motivi di impugnazione.
3.1 Col primo di essi denuncia la difesa ricorrente vizio della motivazione in relazione alla mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per l’espletamento della perizia psichiatrica per valutare la capacità di intendere e di volere dell’imputato al momento del fatto, in particolare deducendo: con l’appello la difesa dell’imputato aveva domandato la rinnovazione del dibattimento per espletare la perizia psichiatrica sulla persona dell’imputato; la corte territoriale ha rigettato l’istanza difensiva sul rilievo che l’appellante non avrebbe fatto riferimento a patologie né avrebbe tenuto comportamenti sintomatici di reale alterazione mentale;
3.2 Col secondo motivo di impugnazione denuncia la difesa ricorrente vizio della motivazione in ordine alla mancata esclusione delle aggravanti della premeditazione e della crudeltà, in particolare osservando: quanto all’aggravante di cui all’art. 61 n. 4 c.p., essa è stata argomentata dai giudici di merito con il numero delle coltellate, undici, e con la consumazione dell’aggressione alla presenza del figlio della vittima di neppure due anni; secondo i giudicanti i colpi inferti dopo i primi tre o quattro, riconosciuti come immediatamente mortali dalla consulenza autoptica, assumono il valore di gratuita violenza ed esprimono la volontà di infierire sulla vittima; l’azione delittuosa, viceversa, non dimostra affatto il quid pluris rispetto all’attività volta all’omicidio richiesto per l’aggravante in parola; anche la presenza del piccolo figlio della vittima non può configurare l’aggravante in parola giacché è ragionevole pensare che proprio l’età del minore non gli abbia consentito di comprendere quello che tragicamente accadeva attorno a lui;
3.3 Col terzo ed ultimo motivo di impugnazione, denuncia la difesa ricorrente vizio della motivazione in ordine al mancato riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alle aggravanti contestate, in particolare osservando: non ha fatto la corte territoriale buon uso dell’art. 133 c.p.; non ha considerato, in particolare, la corte di merito, la personalità dell’imputato, giovanissimo, di modestissima cultura, straniero, immaturo, con precario inserimento sociale, incensurato e mosso all’azione delittuosa da una patologica gelosia; neppure ha considerato il giudice di merito il comportamento processuale del prevenuto, che ha confessato, contra se, di essersi armato di coltello, circostanza questa poi utilizzata per contestargli l’aggravante della premeditazione.
4. Il ricorso è fondato nei limiti che si passa ad esporre.
4.1 Infondato è, in particolare, il primo motivo di impugnazione.
Sulla censura di natura processuale ad esso affidata, giova richiamare la costante, reiterata e sempre convergente lezione interpretativa di questa corte di legittimità, secondo cui, nel giudizio d’appello, la rinnovazione del dibattimento, implicando una deroga alla presunzione di completezza dell’indagine istruttoria svolta nel primo grado di giudizio, rappresenta un istituto di carattere eccezionale. Ne consegue che l’art. 603, comma 1, c.p.p. non riconosce il carattere dell’obbligatorietà all’esercizio del potere di rinnovazione da parte del giudice, anche quando è richiesta per assumere nuove prove, ma subordina tale potere alla condizione rigorosa che egli non possa decidere allo stato degli atti, nel senso che risulta indispensabile – ai fini della pronuncia – un approfondimento probatorio (Cass., Sez. IV, 02/12/2009, n. 47095).
Nella decisione in scrutinio è stato infatti evidenziato che nulla, nel presente e nel passato esistenziale dell’imputato giustificava un accertamento sulle sue capacità di intendere e di volere al momento del fatto e che le stesse circostanze della vicenda in esame apparivano dimostrative di una piena sua coscienza e consapevole volontà di agire, argomenti del tutto logici e coerenti con le regole processuali, in nulla inficiati dal tentativo di suicidio posto in essere dal prevenuto né dagli atti di autolesionismo verificati dal consulente del P.M., la cui possibile incidenza sulla capacità dell’imputato non risulta affatto dimostrata.
4.2 Altresì infondato è il motivo di ricorso affidato dalla difesa ricorrente al secondo motivo di impugnazione al fine di contestare la legittimità della riconosciuta aggravante della premeditazione. Al riguardo è noto l’insegnamento di legittimità secondo cui elementi costitutivi della circostanza aggravante in parola sono un apprezzabile intervallo temporale tra l’insorgenza del proposito criminoso e l’attuazione di esso, tale da consentire una ponderata riflessione circa l’opportunità del recesso (elemento di natura cronologica) e la ferma risoluzione criminosa perdurante senza soluzioni di continuità nell’animo dell’agente fino alla commissione del crimine (elemento di natura ideologica) (Cass., Sez. Unite, 18/12/2008, n. 337).
Nel caso in esame hanno logicamente sostenuto i giudici di merito che la premeditazione dell’omicidio risulta dimostrata da una serie di dati fattuali di essa sintomatici: innanzitutto il proposito da tempo manifestato dall’imputato di uccidere la ex convivente e di uccidersi se non ripristinata la convivenza, proposito riferito dalla madre della vittima e singolarmente, quanto tragicamente aderente ai fatti di causa così come essi in seguito concretizzatisi
Orbene, in tema di premeditazione, la causale omicidiaria costituisce uno degli elementi dai quali va desunta la sussistenza dell’aggravante (Cass., Sez. I, 04/12/2008, n. 2439) al pari della predisposizione dei mezzi per l’attuazione del piano (Cass., Sez. I, 16/06/2005, n. 26793, Giampà) alle quali nella fattispecie si deve aggiungere, per la rilevanza opportunamente data dalla corte territoriale a tale fatto, le minacce di morte ripetutamente indirizzate dall’imputato alla vittima eppoi realizzate nei profili con esse prefigurate (omicidio e suicidio contestuale ancorché tentato).
4.3 Viceversa fondato giudica la corte il secondo motivo di doglianza là dove censura la motivazione impugnata nella parte in cui riconosce a carico dell’imputato l’ulteriore aggravante della crudeltà.
Orbene, in materia è noto l’insegnamento costante del giudice di legittimità secondo cui la circostanza aggravante di cui all’art. 61 n. 4 c.p. ricorre allorquando vengano inflitte alla vittima sofferenze che esulano dal normale processo di causazione dell’evento, nel senso che occorre un “quid pluris” rispetto all’esplicazione ordinaria dell’attività necessaria per la consumazione del reato, poiché proprio la gratuità dei patimenti cagionati rende particolarmente riprovevole la condotta del reo, rivelandone l’indole malvagia e l’insensibilità a ogni richiamo umanitario. In applicazione di tale principio è stata pertanto negata la ricorrenza dell’aggravante in parola nella ipotesi dell’omicidio, commesso in un impeto di gelosia, caratterizzato dalla mera reiterazione di colpi di coltello inferti alla vittima e questo sul rilievo che tale reiterazione, essendo connessa alla natura del mezzo usato per conseguire l’effetto delittuoso, non eccede i limiti della normalità causale e non trasmoda in una manifestazione di efferatezza specie in considerazione del movente delittuoso
Orbene, del tutto analoga è la concreta fattispecie giudicata con la sentenza impugnata, caratterizzata da undici fendenti portati per eseguire l’omicidio e non già per procurare una sofferenza aggiuntiva, peraltro divenuta impossibile dappoiché accertato che le primissime coltellate avevano immediatamente cagionato la morte della ragazza (Cass., sez. I, 21/10/2002, Botticelli, rv. 222519).
Del tutto eccentrico, rispetto alla questione giuridica in discussione, si appalesa infine il richiamo alla presenza del bimbo di due anni.
È pur vero, infatti, che per Cass., Sez. I, 10/07/2002, n. 35187, Botticelli e altri, rv.222520, l’aggravante in parola ricorre anche quando l’azione del colpevole sia indirizzata verso una o più persone diverse dalla vittima del reato, che rimane però la destinataria della sofferenza.
Alla stregua delle esposte considerazioni non ricorre nella fattispecie, a carico dell’imputato, l’aggravante di cui all’art. 61 c.p.p., co. 1, n. 4.
La sentenza impugnata va pertanto cassata sul punto, annullamento da deliberare senza rinvio giacché comunque non incidente la eliminazione dell’aggravante detta sulla pena inflitta, attesa riconosciuta legittimità dell’aggravante della premeditazione che comporta la pena dell’imputato e la ricorrenza, altresì, di quella della minorata difesa non censurata dalla difesa.
4.4 Manifestamente infondata è infine il terzo motivo di impugnazione, incentrato sulla censura del trattamento sanzionatorio ed in particolare sul diniego delle circostanze attenuanti generiche.
È noto al riguardo l’insegnamento di questo giudice di legittimità secondo cui, in tema di attenuanti generiche, posto che la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento sanzionatorio, trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti, tuttavia, la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa si fonda (Cass., Sez. II, 22/02/2007, n. 8413; Cass., Sez. II, 02/12/2008, n. 2769) giacché il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo (Cass., Sez. II, 23/11/2005, n. 44322).

P.Q.M.

la Corte, annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante della crudeltà, che esclude; rigetta nel resto il ricorso e condanna il ricorrente a rifondere le spese sostenute in questo giudizio dalla parte civile S.V. che liquida in Euro 4000,00 oltre accessori come per legge.

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