32 CAPITOLO
TELECOMUNICAZIONI.
1. Il sistema radio televisivo italiano..
Il R.D. 27
febbraio 1936, n. 645, riservava i servizi di radiodiffusione allo Stato
stabilendo il monopolio statale.
Il d.p.r. 26 gennaio 1952 n. 180, istituisce la RAI, Radio
Televisione concessionaria in esclusiva del servizio.
Successivamente al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni è chiesto da una società l'assenso per la realizzazione di un servizio di radiodiffusione privato, da realizzarsi in alcune regioni. CENTOFANTI N., CENTOFANTI P. e FAVAGROSSA M. , Formulario del diritto amministrativo 2012,799.
Successivamente al Ministero delle Poste e Telecomunicazioni è chiesto da una società l'assenso per la realizzazione di un servizio di radiodiffusione privato, da realizzarsi in alcune regioni. CENTOFANTI N., CENTOFANTI P. e FAVAGROSSA M. , Formulario del diritto amministrativo 2012,799.
Il
diniego viene impugnato al Consiglio di Stato che rimette gli atti alla Corte
Costituzionale denunciando in particolare il sospetto d'incostituzionalità
degli artt. 1 e 163 del R.D. n. 645 del 1936 ritenendo che il monopolio della
RAI sia compatibile con l'art. 21 della Cost. italiana che tutela la libertà di
manifestazione del pensiero.
La Corte Costituzionale riconoscimento della legittimità del monopolio statale, facendo riferimento all'art. 43 Cost. che abilita lo Stato a riservarsi alcune attività di preminente interesse generale. Corte Cost. n. 59/1960.
La concessione in esclusiva del servizio radiotelevisivo allo Stato che può svolgerlo in condizioni di imparzialità, completezza e continuità su tutto il territorio nazionale, condizioni di obiettività ritenute più favorevoli rispetto a quelle assicurabili dai privati, è motivata dalla Corte Costituzionale con riferimento alla: 1) limitatezza dei canali TV disponibili e 2) con la considerazione che i costi ingenti dei mezzi per le trasmissioni TV che renderebbero l'esercizio di tale attività privilegio di pochi.
Il problema del monopolio statale in materia radiotelevisiva si ripropose successivamente, quando, con l'arrivo delle nuove tecnologie, l'estensione dei ripetitori e la TV via cavo la Corte Costituzionale venne chiamata nuovamente ad occuparsi della materia.
La Corte Costituzionale riconoscimento della legittimità del monopolio statale, facendo riferimento all'art. 43 Cost. che abilita lo Stato a riservarsi alcune attività di preminente interesse generale. Corte Cost. n. 59/1960.
La concessione in esclusiva del servizio radiotelevisivo allo Stato che può svolgerlo in condizioni di imparzialità, completezza e continuità su tutto il territorio nazionale, condizioni di obiettività ritenute più favorevoli rispetto a quelle assicurabili dai privati, è motivata dalla Corte Costituzionale con riferimento alla: 1) limitatezza dei canali TV disponibili e 2) con la considerazione che i costi ingenti dei mezzi per le trasmissioni TV che renderebbero l'esercizio di tale attività privilegio di pochi.
Il problema del monopolio statale in materia radiotelevisiva si ripropose successivamente, quando, con l'arrivo delle nuove tecnologie, l'estensione dei ripetitori e la TV via cavo la Corte Costituzionale venne chiamata nuovamente ad occuparsi della materia.
La Corte
Costituzionale italiana dichiarò in primis l'incostituzionalità della
riserva statale relativamente alla ripetizione in Italia di programmi
radiotelevisivi irradiati da emittenti estere. Corte cost. 9 luglio 1974 n.
225.
In secundis la Corte Costituzionale proclamò l'incostituzionalità della riserva statale per le radiotelevisioni via cavo in ambito locale, introducendo la possibilità di aprire a privati in questo settore, ma continuando a mantenere la riserva in favore dello Stato per le trasmissioni in ambito nazionale. Corte Cost. n. 226/1974.
In secundis la Corte Costituzionale proclamò l'incostituzionalità della riserva statale per le radiotelevisioni via cavo in ambito locale, introducendo la possibilità di aprire a privati in questo settore, ma continuando a mantenere la riserva in favore dello Stato per le trasmissioni in ambito nazionale. Corte Cost. n. 226/1974.
Il sistema
"misto" radiotelevisivo si realizza in Italia con la L. 223/1990,
detta legge Mammì.
La L. 249/1997,
detta legge Maccanico, ha dettato la nuova disciplina del sistema
radiotelevisivo, in ossequio alla citata sentenza della Corte Cost. n. 420/1994
prevedendo più ristretti limiti concentrativi rispetto a quelli previsti
dall'art. 15, L. 223/1990.
Essa ha,
infatti, vietato ad uno stesso soggetto di essere titolare di concessioni che
consentano di irradiare più del 20 per cento delle reti televisive in ambito
nazionale su frequenze terrestri sulla base del piano nazionale d'assegnazione
delle frequenze, ex art. 2 comma 6, L. 249/1997.
Relativamente
alle reti televisive nazionali su frequenze terrestri che trasmettono in forma
codificata, la legge ha previsto che un soggetto non possa ottenere più di una
concessione televisiva, ex art. 3, comma 11, L. L.
249/1997.
Il regolamento
n. 78/98 ha stabilito le modalità di rilascio delle concessioni televisive
private su frequenze terrestri in tecnica analogica.
Tale regolamento
prevedeva, all'art. 9, che la fase di valutazione e comparazione delle domande
di concessione fosse affidata ad un'apposita Commissione nominata dal Ministro
delle comunicazioni sulla base di un elenco di esperti indicato dalla stessa
Autorità.
La L. 112/2004,
nota come Legge Gasparri, dal nome del Ministro proponente, ha finito con il
prolungare - a tempo praticamente indeterminato - ancora una volta, attraverso
il meccanismo del generale assentimento, la possibilità per le emittenti
esercenti reti "eccedenti" i limiti anticoncentrativi di non liberare
le frequenze da riassegnare ai soggetti titolari di concessioni vinte a seguito
di gara, ex art. 23 comma 1 e comma
5, L.. 112/2004.
Fino all’attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive in tecnica digitale, infatti, i soggetti esercenti a qualunque titolo attività di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e locale in possesso dei requisiti previsti per ottenere l’autorizzazione per la sperimentazione delle trasmissioni in tecnica digitale terrestre possono effettuare, anche attraverso la ripetizione simultanea dei programmi già diffusi in tecnica analogica, le predette sperimentazioni fino alla completa conversione delle reti, nonché richiedere, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge le licenze e le autorizzazioni per avviare le trasmissioni in tecnica digitale terrestre.
Fino all’attuazione del piano nazionale di assegnazione delle frequenze televisive in tecnica digitale, infatti, i soggetti esercenti a qualunque titolo attività di radiodiffusione televisiva in ambito nazionale e locale in possesso dei requisiti previsti per ottenere l’autorizzazione per la sperimentazione delle trasmissioni in tecnica digitale terrestre possono effettuare, anche attraverso la ripetizione simultanea dei programmi già diffusi in tecnica analogica, le predette sperimentazioni fino alla completa conversione delle reti, nonché richiedere, a decorrere dalla data di entrata in vigore della presente legge le licenze e le autorizzazioni per avviare le trasmissioni in tecnica digitale terrestre.
La normativa
europea afferma il principio del pluralismo delle fonti d'informazione.
Esso è contenuto
nell'art. 10 della CEDU, ratificata dalla L. 848/1955, secondo cui ogni persona
ha diritto alla libertà d'espressione. Tale diritto include la libertà
d'opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza
ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza riguardo alla
nazionalità.
Il presente
articolo non impedisce che gli Stati sottopongano a un regime di autorizzazione
le imprese di radiodiffusione, di cinema o di televisione.
Tale articolo
della CEDU fa parte integrante dei principi generali del diritto comunitario,
essendo richiamato dall'art. 6 comma 2 del Trattato sull'Unione Europea, che
sancisce l'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 e quali risultano dalle
tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri.
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato la libertà di ognuno di ricevere il più possibile un'informazione pluralistica e non condizionata dalla presenza di posizioni dominanti.
La tutela del diritto all'informazione può essere garantita dagli Stati membri esclusivamente qualora il sistema radiotelevisivo si basi sul principio pluralistico, del quale lo Stato è "ultimate guarantor".
La Corte europea dei diritti dell'uomo ha affermato la libertà di ognuno di ricevere il più possibile un'informazione pluralistica e non condizionata dalla presenza di posizioni dominanti.
La tutela del diritto all'informazione può essere garantita dagli Stati membri esclusivamente qualora il sistema radiotelevisivo si basi sul principio pluralistico, del quale lo Stato è "ultimate guarantor".
Il principio
pluralistico va distinto in pluralismo interno inteso quale complesso di
obblighi volti a garantire l'accesso alle reti, e in pluralismo esterno volto a
garantire la presenza di una pluralità di operatori sul mercato. Corte di
Strasburgo 24 novembre 1993.
La giurisprudenza ha rilevato il contrasto delle norme nazionali alla normativa europea.
La giurisprudenza ha rilevato il contrasto delle norme nazionali alla normativa europea.
Dagli artt. 8 e
9, direttiva n. 2002/21/Ce e dagli artt. 5 e 7, direttiva n. 2002/20/Ce si
evince che l'assegnazione delle frequenze da parte delle autorità nazionali
deve avvenire a mezzo di gare ossia in base a criteri di selezione obiettivi,
trasparenti, proporzionati e non discriminatori, e nel rispetto di una corretta
pianificazione dell'etere, volta all'incremento del pluralismo.
La questione è
stata sollevata in relazione ad un provvedimento ministeriale di reiezione
dell'istanza di assegnazione di frequenze televisive presentata da Rete A), ex
art. 23 comma 3, l. n. 112 del 2004.
Il
provvedimento, infatti, preclude la possibilità di acquisire ulteriori
frequenze in via amministrativa determinando l'esclusione di operatori che, pur
in possesso del titolo abilitativo, assegnato all'esito di una procedura competitiva,
non possono (adeguatamente) svolgere l'attività concessa per mancata
assegnazione delle frequenze. T.A.R. Lazio Roma, sez.
III, 30 novembre 2006, n. 13415, in Foro amm. TAR, 2006, 11,
3586.
La questione è
stata rimessa dal giudice amministrativo alla Corte di Giustizia per verificare
la conformità della normativa italiana, a partire dalla L. 249/1997, alle
disposizioni del Trattato sulla libera prestazione di servizi e sulla
concorrenza, agli artt. 8 e 9, n. 1, della direttiva «quadro», agli artt. 5, 7
e 17 della direttiva «autorizzazioni», nonché al principio del pluralismo delle
fonti d’informazione sancito dall’art. 10 della CEDU, in quanto principio generale
di diritto comunitario.
Nel sistema
delineato dal legislatore italiano solo con lo “switch off” delle
trasmissioni analogiche, con il conseguente passaggio generalizzato al
digitale, è possibile riallocare frequenze liberate per vari usi mentre nel caso
del mero avvio del processo dì transizione al digitale terrestre, sì rischia di
aggravare ulteriormente la scarsità delle frequenze disponibili, dovuta alla
trasmissione analogica e digitale in parallelo. Cons. St., sez. VI, 19
luglio 2005, n. 3846,
in Servizi pubbl. e appalti, 2005, 4, 879.
La
Corte di Giustizia, Sez. IV, 31 gennaio 2008, ha fornito allo stesso giudice
amministrativo le modalità per l’interpretazione delle norme comunitarie.
Essa ha affermato che l’art. 49 CE osta
all’applicazione di qualsiasi normativa nazionale che abbia l’effetto di
rendere la prestazione di servizi tra Stati membri più difficile della
prestazione di servizi puramente interna ad uno Stato membro
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