33 CAPITOLO
URBANISTICA
1. Il procedimento di formazione del piano regolatore generale .
La formazione del piano regolatore generale nel
sistema delineato dalla legge urbanistica n. 1150 del 1942 interviene
attraverso una procedura complessa, retta, quanto alle competenze, dal c.d.
principio del doppio stadio; esso è articolato in un livello comunale quale
ente esponenziale e rappresentativo della collettività e degli interessi
locali, ed un livello regionale quale ente di indirizzo e coordinamento in
materia urbanistica.
Il procedimento di adozione si compone normalmente di
quattro fasi: la fase di iniziativa, la fase istruttoria, quella decisoria e
quella integrativa dell'efficacia (T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 16.6.2008,
n. 5918).
Il procedimento di adozione conclude una fase
riservata ed interna alla amministrazione che termina con il deposito del
progetto di p.r.g.
L'amministrazione, nell'esercitare il potere
pianificatorio ad essa attribuito, non è tenuta a manifestare in modo puntuale
le ragioni delle proprie scelte, essendo sufficiente una ragionevole e coerente
giustificazione delle linee portanti della pianificazione; né sussiste
l'obbligo per l'amministrazione di motivazione specifica ed analitica per le
singole zone innovate fatta salva la necessità di una congrua indicazione delle
diverse esigenze che si sono dovute conciliare e la coerenza delle soluzioni
proposte con i criteri tecnico- urbanistici stabiliti per la formazione del
piano regolatore.
La dottrina nota che la norma ha riconosciuto a
chiunque la facoltà di prendere visione del progetto di piano regolatore
generale depositato presso la segreteria generale del comune consentendo una
tutela immediata sulle disposizioni di piano purché vi sia una lesione .
L’altro effetto dell’adozione è l’applicazione delle
misure di salvaguardia.
La delibera comunale di adozione di una variante allo
strumento urbanistico, pur costituendo un elemento della fattispecie complessa
che si completa con l'atto di approvazione regionale, ha acquisito
nell'ordinamento vigente un'efficacia imperativa diretta e propria, che ne fa
uno strumento di governo del territorio, che impedisce gli interventi edilizi
ed urbanistici contrastanti con essa ed impone l'applicabilità delle misure di
salvaguardia, già previste come discrezionali dalla l. 3.11.1952, n. 1902 e
rese obbligatorie dall'art. 3, l. 6.8.1967, n. 765, con conseguente
ammissibilità del ricorso proposto contro di essa.
Altri effetti, quali gli effetti integrativi alla
disciplina civilistica delle distanze, conseguono solo con la definitiva
approvazione.
La trasmissione all’ente regionale o delegato dalla
regione per l’approvazione deve avvenire di norma entro termini dichiarati
ordinatori dalla giurisprudenza.
2.
Il contenuto obbligatorio del p.r.g.
L’art. 7 della l. 1150/1942 determina il contenuto
obbligatorio del piano regolatore generale.
La caratteristica principale è quella di conformare la
proprietà.
Essa può esplicarsi nei limiti consentiti nella
singola zona o deve essere ceduta alla p.a. per la realizzazione di opere
pubbliche di interesse generale.
L’indicazione legislativa è quella di un piano di
larga massima che incide sulle scelte fondamentali del territorio e che rinvia
per le scelte di dettaglio alla pianificazione esecutiva.
Il piano regolatore generale deve considerare la
totalità del territorio comunale.
Esso deve indicare essenzialmente:
1) la rete delle principali vie di comunicazione
stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti;
2) la divisione in zone del territorio comunale con la
precisazione delle zone destinate all'espansione dell'aggregato urbano e la
determinazione dei vincoli e dei caratteri da osservare in ciascuna zona;
3) le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o
sottoposte a speciali servitù;
4) le aree da riservare ad edifici pubblici o di uso
pubblico nonché ad opere ed impianti di interesse collettivo o sociale;
5) i vincoli da osservare nelle zone a carattere
storico, ambientale, paesistico;
6) le norme per l'attuazione del piano.
Tali indicazioni sono state disattese nella pratica,
rendendo concreta una pianificazione rigida che incide direttamente sulle
possibilità edificatorie e che definisce nel dettaglio persino il modo di
realizzare gli interventi.
Il piano regolatore, nella prassi vigente, disciplina
minuziosamente l’assetto del territorio e la pianificazione esecutiva si è
trovata costretta in maglie troppo rigide.
Il piano regolatore generale può legittimamente
determinare le linee essenziali di assetto di una determinata area del
territorio comunale anche con previsioni di dettaglio, rendendo in tal modo non
necessaria per essa la successiva adozione di uno strumento attuativo. (Cons.
St., sez. IV, 2.10.2008, n. 5147).
Le scelte urbanistiche non comportano, di regola, la
necessità di una specifica motivazione che tenga conto delle aspirazioni del
privato, quando si tratti di varianti al piano regolatore vigente o di
modificare scelte precedenti. (Cons.
St., sez. IV, 1.3.2009, n. 1477).
Il rapporto fra programmazione e strumenti finanziari
è regolato dall'art. 30 della l. urb. che contribuisce a dare alle scelte di
piano il necessario contenuto di concretezza.
La giurisprudenza ha, peraltro, minimizzato la
funzione della programmazione economica ritenendo sufficiente anche una
previsione finanziaria di larga massima. (T.A.R. Lazio sez. I, 10.10.2000, n.
8124).
La dottrina è sulle stesse posizioni. Essa ritiene che
la relazione finanziaria non sia un elemento essenziale del piano regolatore
generale e delle sue varianti, potendo anche sopravvenire in un momento
successivo, allorquando il comune debba deliberare circa l'espropriazione delle
aree private, ai sensi dell'art. 18 della l. 17.8.1942, n. 1150.
Nell'esercizio di questa funzione programmatoria
l'amministrazione comunale opera con assoluta discrezionalità sulle scelte da
compiere, non essendo ammesso alcun sindacato giurisdizionale sul contenuto di
quelle che riguardano il merito del provvedimento .
3.
La zonizzazione. Natura conformativa.
Attraverso la zonizzazione sono determinati i vincoli
ed i caratteri di ciascuna zona, particolarmente di quelle di carattere
storico, ambientale e paesistico, ai sensi dell'art. 7 della l. 1150/1942 .
Ad esempio, sono delimitate le zone destinate alla
residenza e quelle riservate all'industria.
Successivamente, con d. m. 2.4.1968 sono fissati gli standard
urbanistici di ciascuna zona, stabilendo le opere minime indispensabili di
urbanizzazione.
La dottrina ha diviso le prescrizioni conformative
della proprietà immobiliare contenute nel piano regolatore generale
distinguendo le zonizzazioni dalle localizzazioni .
Sono considerate zonizzazioni quelle prescrizioni di
piano che suddividono in zone il territorio comunale, precisando le
caratteristiche di ogni singolo comparto.
Si è al cospetto di vincoli conformativi allorché le
prescrizioni mirino ad una zonizzazione dell'intero territorio comunale o di
parte di esso, sì da incidere su di una generalità di beni, nei confronti di
una pluralità indifferenziata di soggetti, in funzione della destinazione
assolta dalla intera zona in cui questi ricadono e delle sue caratteristiche intrinseche,
o del rapporto (per lo più spaziale) con un'opera pubblica. (Cons.
St., sez. IV, 9.6.2008, n. 2837).
Le disposizioni aventi natura conformativa definiscono
quali sono le caratteristiche delle opere da realizzare nella zona.
Le scelte pianificatorie contenute in uno strumento
urbanistico generale che si concretano in nuove destinazioni di zona impresse
al territorio non necessitano di apposita motivazione, oltre quella che si può
evincere dai criteri generali, di ordine tecnico-discrezionale, seguiti
nell'impostazione del piano stesso
Le norme di zonizzazione hanno natura cogente, come
tutti i limiti che la pubblica amministrazione pone all'attività dei privati, e
trovano un supporto normativo nell’art. 11, l. urb., che impone l'obbligo ai
proprietari degli immobili di osservare nelle costruzioni le linee e le
prescrizioni di zona che sono indicate nel piano.
La zonizzazione detta prescrizioni a carattere programmatico
che, per essere tradotte in pratica, abbisognano di ulteriori specifiche
disposizioni.
Le norme di zonizzazione non hanno natura ablatoria,
in quanto la pubblica amministrazione impone delle direttive ai privati senza
acquisire gli immobili che, di norma, anzi ottengono dalle prescrizioni di zona
una rendita di posizione.
La zonizzazione ha, in ogni modo, un rilievo
fondamentale nel procedimento espropriativo poiché essa determina la misura
della indennità accertando la natura dell’area e distinguendo chiaramente se
essa è agricola o edificabile.
La zonizzazione è determinata dallo strumento
urbanistico generale, ma può essere decisa anche da quello attuativo se esso
contestualmente determina una variante di piano.
La giurisprudenza ha precisato che la destinazione
agricola di una zona non coincide con l'effettiva coltivazione dei relativi
fondi, ma ha spesso la finalità di evitare ulteriori espansioni degli
insediamenti e significa, in tal caso, che la zona stessa deve essere
conservata a verde. Per tale ragione, non sempre sono esclusi gli interventi
diversi da quelli strettamente funzionali all'attività agricola ed alla
eventuale esigenza dell'imprenditore agricolo di risiedere sul fondo, come ad
esempio la realizzazione di opere che, non pregiudicando l'assetto territoriale
agricolo, non possano tuttavia essere convenientemente collocate in altre zone
ovvero la realizzazione di opere che siano pertinenziali o funzionali agli
insediamenti ed all'economia dell'area e che comunque vi si inseriscano senza
turbare o alterare la destinazione in atto.
4.
La localizzazione. Natura ablatoria.
Le previsioni di p.r.g. possono non avere una portata
generale, ma imporre, invece, un vincolo particolare incidente su beni
determinati, in funzione della localizzazione puntuale di un'opera pubblica la
cui realizzazione non può coesistere con la proprietà privata.
Il vincolo deve essere qualificato, in tal caso, come
preordinato alla relativa espropriazione, con conseguente sua ininfluenza agli
effetti indennitari (Cons. St., sez. IV, 9.6.2008, n. 2837).
Con la localizzazione l'amministrazione comunale opera
una scelta programmatoria indicando le aree, non importa se edificate o meno,
su cui si devono realizzare le opere di interesse pubblico.
Le previsioni di p.r.g. che non hanno una natura
generale ma impongono un vincolo particolare incidente su beni determinati - in
funzione della localizzazione puntuale di un'opera pubblica, la cui
realizzazione non può coesistere con la proprietà privata - comportano un
vincolo che deve essere qualificato come preordinato alla relativa
espropriazione, con conseguente sua ininfluenza agli effetti indennitari. (Cons.
St., sez. IV, 9.6.2008, n. 2837).
L’amministrazione comunale ha la piena competenza
nella localizzazione delle opere pubbliche ossia essa ha la funzione di
scegliere le zone di piano nelle quali esse devono essere eseguite.
Attraverso la delibera di localizzazione si
identificano la rete delle principali vie di comunicazione stradale,
ferroviaria e di navigazione e dei relativi impianti, le aree destinate a
formare spazi di uso pubblico o sottoposte a determinate servitù, le aree da
riservare ad edifici pubblici o di uso pubblico nonché ad opere ed impianti di
interesse collettivo o sociale previsti, ex art. 7, n. 1, n. 3, n. 4
della legge urbanistica .
La localizzazione è il necessario presupposto del
procedimento ablatorio. Con la localizzazione l'amministrazione opera una
scelta programmatoria gestionale indicando, scegliendole fra quelle
disponibili, le aree, non importa se edificate o meno, su cui si devono
realizzare le opere di interesse pubblico.
Le disposizioni aventi natura localizzatoria hanno in
sé un contenuto ablatorio che, nell'impianto della legge urbanistica, non
discende direttamente dall'approvazione del piano regolatore, ma dai piani
particolareggiati, o, comunque, da quelli aventi natura attuativa - come il
piano di zona per l'edilizia economico popolare - ovvero da una successiva
dichiarazione di pubblica utilità od indifferibilità ed urgenza dei lavori.
La mera indicazione nel piano regolatore non consente,
quindi, l’avvio della procedura espropriativa.
5.
L’approvazione regionale. Effetti.
La competenza ad approvare i piani urbanistici
comunali è stata da numerose regioni demandata alle province a completamento
delle funzioni programmatorie relative al piano territoriale di coordinamento
provinciale, previsto dall’art. 20, d.lg. 18.8.2000, n. 267 .
L'atto del consiglio provinciale - competente in base
alla legislazione urbanistica della regione Abruzzo - di approvazione del piano
regolatore generale di un comune non costituisce esercizio di un potere di
controllo da parte degli organi provinciali, ma rappresenta l'atto terminale
del procedimento di formazione dello strumento urbanistico comunale, la cui
efficacia non è subordinata ad un successivo atto di volontà
dell'amministrazione comunale di accettazione o non accettazione delle
eventuali modifiche d'ufficio in esso introdotte.(Cons. St., sez. IV,
15.5.2002, n. 2592, RGE, 2002, I, 1427).
L'approvazione del piano ha come effetto quello di
vincolare all'osservanza delle sue disposizioni gli interventi edilizi di
trasformazione del suo territorio sia in termini negativi di blocco - come
nelle zone verdi o destinate a pubblici servizi - sia in termini positivi -
come nelle zone di espansione - consentendo l'edificazione.
La approvazione del piano non comporta invece la
dichiarazione di pubblica utilità e indifferibilità ed urgenza delle opere in
esso previste, preludio necessario all'espropriazione per pubblica utilità.
Tale dichiarazione è implicita nella successiva fase
di approvazione degli strumenti esecutivi.
E' prevista la possibilità di esproprio delle aree non
edificate e di quelle su cui insistano costruzioni in contrasto col piano
stesso od aventi carattere provvisorio, site in zone di espansione, ai sensi
dell'art. 18 della l. urb., ottenendo prima la dichiarazione di pubblica
utilità che, in tal caso, può essere motivata per relationem alle
disposizioni di piano.
La destinazione urbanistica impressa dall'approvazione
del piano se impedisce il rilascio di un permesso di costruire in difformità, e
quindi una diversa utilizzazione delle aree, non pone alcun limite alla commerciabilità
del bene che rimane nella piena disponibilità del proprietario.
Ai sensi dell'art. 15, 4° co., d.p.r. 380/2001,
l'entrata in vigore di nuove previsioni urbanistiche comporta la decadenza
delle licenze in contrasto con le previsioni stesse, salvo che i relativi
lavori siano già iniziati e vengano completati entro tre anni dalla data di
inizio (T.A.R. Marche, 18.6.1993, n. 389, T.A.R., 1993, I, 3237).
6.
Le osservazioni e le opposizioni al piano regolatore
generale.
I
privati possono quindi intervenire nella fase della formazione dello strumento
urbanistico, partecipandovi attivamente con i rimedi delle osservazioni e delle
opposizioni. . N. CENTOFANTI, Diritto di costruire. Pianificazione
urbanistica. Espropriazione, 2010, 611.
La
natura dei due strumenti è diversa.
Per
quanto riguarda le prime sussiste una certa tendenza da parte della
giurisprudenza a ritenerle mera forma di civica collaborazione, tanto che non
occorre una motivazione giuridica qualora esse vengano respinte, il rigetto
delle osservazioni non richiede una specifica motivazione .
E'sufficiente
che esse siano state esaminate e ritenute in contrasto con gli interessi e le
considerazioni generali poste a base della formazione del piano.
Le osservazioni presentate dai privati interessati
all'adozione di un piano regolatore generale, costituiscono forme di
collaborazione alla formazione degli strumenti urbanistici e non rimedi a
tutela degli interessati, sicché il Comune non è tenuto a confutare
analiticamente e specificamente tutte le argomentazioni contenute nelle
osservazioni; pertanto, al fine di non tenere conto di alcune osservazioni, è
sufficiente evidenziare il loro contrasto con gli interessi o le linee portanti
del piano regolatore. Cons. Stato , sez.
IV, 1 marzo 2010, n. 1182
Nella
specie il piano ha riconosciuta la possibilità di addivenire alla c.d.
"microrganizzazione", cioè all'individuazione di sottozone con
caratteristiche peculiari nell'ambito di quelle previamente individuate.
In
tal caso al giurisprudenza ha rilevato la necessità che per aree aventi
caratteristiche comuni ed omogenee sia individuata la corrispondente
classificazione e con essa l'uniformità di disciplina. Consegue da ciò che la
previsione di prescrizioni difformi per aree appartenenti ad una determinata
zona, con conseguente diversità di disciplina, deve, dunque ritenersi di per sé
consentita all'Amministrazione che deve farsi interprete delle esigenze
peculiari proprie di taluni ambiti, il che richiede tuttavia che la correlativa
statuizione sia sorretta da un'adeguata e puntuale motivazione Nel caso di specie, dai
documenti di accompagnamento dello strumento urbanistico non è dato cogliere
alcuna argomentazione a supporto del restrittivo regime edificatorio stabilito
per il fondo dell'istante, silenti essendo anche le osservazioni tecniche predisposte
dall'estensore della variante. T.A.R. Trentino Alto Adige Trento, sez. I, 7
gennaio 2010, n. 1.
Le
opposizioni, che spettano solo ai proprietari degli immobili compresi nel piano
stesso, hanno carattere di veri e propri rimedi giuridici, in quanto obbligano
l'autorità competente ad esaminarle ed a decidere sulle stesse.
Secondo
altri invece, poiché si rivolgono contro un atto non ancora perfetto, sono dei
semplici mezzi istruttori, che non pregiudicano i futuri rimedi
giurisdizionali.
7. L’accoglimento delle osservazioni e l’obbligo di ripubblicare il piano.
Si
discute, qualora le osservazioni e le opposizioni vengano recepite, sulla
necessità di ripubblicare il piano con la medesima procedura e di porlo a
disposizione del pubblico per nuove eventuali osservazioni, art.9 L.U.
1150/1942.
La
giurisprudenza ha escluso la necessità di ripubblicazione dello strumento
urbanistico adottato quando il progetto originario risulti modificato a seguito
dell'accoglimento di osservazioni, anche nel caso in cui l'accoglimento incida
sulle posiziono giuridiche di altri.
L’accoglimento
delle osservazioni
non determina un obbligo di ripubblicazione del piano, se non ricorra un sostanziale
cambiamento dei criteri e degli obiettivi che ne hanno guidato la redazione .Cons. Stato , sez. III, 15 dicembre 2009, n.
583
Diversamente la
legislazione regionale della provincia di Trento prevede un vero e proprio
subprocedimento amministrativo avente ad oggetto l'esame delle osservazioni
Allorquando l'Amministrazione provvede a modificare il
piano adottato, accogliendo osservazioni che incidono sulla proprietà di terzi, essa è tenuta a fornire idonea comunicazione ai
soggetti proprietari dell'area incisa in maniera diretta dalla modificazione,
mediante ripubblicazione
del P.R.G. nella parte risultata modificata o a darne quanto meno comunicazione
agli interessati.
Ad essi deve essere consentito di presentare memorie e
osservazioni
di merito; pertanto, va annullata la deliberazione di adozione definitiva della
variante generale al piano regolatore che stralcia la destinazione alberghiera
di un area in accoglimento di osservazioni di soggetti terzi, in assenza di previa pubblicazione
idonea ad assicurare agli interessati le necessarie garanzie procedimentali. T.A.R. Trentino Alto
Adige Trento, 24 luglio 2008, n. 191.
8. Le impugnazioni agli strumeni urbanistici.
La legittimazione ad impugnare il piano regolatore
generale si individua in capo al soggetto titolare del diritto di proprietà
dell’immobile coinvolto dagli interventi da realizzare sulla base delle
varianti impugnate. Cons. Stato , sez.
VI, 26 novembre 2008, n. 5839.
La
legittimazione alle associazioni ambientalistiche all'impugnazione attribuita
dagli artt.13 e 18 L.349/1986 è stata esclusa per provvedimenti urbanistici,
ossia diretti alla gestione del territorio senza alcuna incidenza ai valori
ambientali.
Sotto
il profilo del contenuto il piano non è sindacabile nel merito delle sue scelte
siano esse zonizzazioni o localizzazioni, purchè queste scelte siano congre e
rispondenti al procedimento logico formativo del piano.
Così
ad esempio il futuro andamento demografico comunale che è supporto della
elaborazione del piano può essere censurato solo per manifesta illogicità e
irrazionalità dei calcoli effettuati.
Il
piano può essere censurato ,ove non venga oggetto di modifica in sede di
approvazione regionale, qualora non rispetti le dotazioni minime inderogabili
degli spazi pubblici e di quelli destinati ad attività collettive di cui al DM
2-4-1968 ,ovvero previsti dalla legislazione regionale.
Gli
eventuali effetti dell'impugnazione non hanno rilevanza sull'intero piano ma
l'eventuale annullamento colpisce le previsioni di cui sia riconosciuta
l'illegittimità
Sono soggetti a censura solo quei provvedimenti che
hanno oggetto
immobili colpiti dalle previsioni
limitative del piano.
T.A.R. Sicilia
Catania, sez. III, 25 novembre 2009, n. 1974.
Il piano urbanistico può essere impugnato presso il
giudice amministrativo sia per motivi di legittimità del procedimento di
approvazione sia per motivi sostanziali.
Il
procedimento approvativo è soggetto al sindacato del giudice amministrativo.
Il
principio generale che afferma che il provvedimento di approvazione può trovare
impugnazione solo dopo che l'atto si sia perfezionato trova una evidente
eccezione.
Le
norme di piano fin dalla loro adozione ,pur se viziate da illegittimità
producono immediatamente i loro effetti ,imponendo la sospensione di ogni
determinazione del sindaco al riguardo,per l'applicazione obbligatoria delle
misure di salvaguardia .
E'
ammissibile l'impugnazione in via pregiudiziale del piano regolatore
semplicemente adottato relativamente a quelle disposizioni immediatamente
lesive per il ricorrente.
La
delibera di adozione del piano regolatore generale può formare oggetto di
immediata impugnazione
quando ad essa consegua la eliminazione o la limitazione dello jus aedificandi, ovvero delle
prescrizioni vincolistiche, ma ciò non costituisce un onere ma una semplice
facoltà, con la conseguenza che il suo mancato esercizio non comporta alcuna
preclusione circa l'impugnazione della successiva approvazione del piano; il piano regolatore
è infatti un atto complesso, composto da due atti distinti, l'atto di adozione
e l'atto di approvazione, con la conseguenza che la mancata impugnazione del
secondo non comporta necessariamente cessazione di interesse al ricorso
presentato contro il primo, a meno che l'approvazione non
comporti modifiche delle prescrizioni e previsioni impugnate. Cons. Stato , sez. IV, 13 gennaio 2010, n. 50.
9. I vincoli di piano.
Il
problema di come vincolare le aree attraverso gli strumenti urbanistici
generali deve essere risolto dalla normativa urbanistica alla luce dei principi
costituzionali che prevedono un congruo indennizzo per ogni limitazione al
diritto di proprietà ed il pieno rispetto del principio di uguaglianza dei
cittadini, evitando che alla creazione di rendite di posizione faccia riscontro
l'espropriazione senza indennizzo.
Per
tali motivi la Corte costituzionale dichiarò l'illegittimità dell'art.7 della
legge urbanistica che prevedeva la possibilità di istituire vincoli senza
indennizzo a tempo indeterminato.
Per
essere in sintonia col sistema ,le disposizioni di piano devono trovare
attuazione entro termini precisi,in modo che il potere ablatorio della pubblica
amministrazione si accompagni alla corresponsione del risarcimento entro
termini ben definiti. Corte Cost. 29 maggio 1968 n. 55, in Riv.Giur.Ed. 1968,777.
Per
rispondere alle censure della corte il legislatore approvò la L.1187/1968 che
disponeva la perdita di efficacia dei vincoli di piano entro cinque anni dalla
approvazione dello strumento urbanistico, se non fossero stati approvati i
relativi piani attuativi ovvero non fosse stato perfezionato l'esproprio delle
aree interessate al vincolo.
Naturalmente
la programmazione esecutiva non è stata predisposta per tutte le aree vincolate
ed il legislatore è stato costretto all' emanazione di numerose leggi tampone
fino all'approvazione della legge sul regime dei suoli.
Secondo
alcuni essa comportava il superamento delle obiezioni fatte dalla corte
costituzionale in quanto l'attività edificatoria è subordinata alla concessione
rilasciata dalla pubblica autorità.
Non
vi sono vincoli che colpiscono la proprietà fondiaria poiché è impossibile
esercitare lo ius aedificandi prima
del rilascio della concessione edilizia ovvero dell'esercizio del potere
programmatorio comunale attraverso il programma pluriennale di attuazione.
Pareva
priva di sostenitori la tesi di coloro che ritenevano che, pur con l'entrata in
vigore della legge sul regime dei suoli, il sistema non fosse affatto perequato
rimanendo di fatto il vincolo senza indennizzo a tempo determinato, poiché lo ius aedificandi pur con la nuova
legislazione rimaneva in capo alla proprietà fondiaria .
Gli
stessi problemi si riproponevano fino a che la strumentazione urbanistica non
avesse dato attraverso gli strumenti esecutivi o l'esproprio attuazione ai
piani generali nei termini di legge.
La
Corte costituzionale ha avvalorato questa impostazione affermando che il
principio del vincolo quinquennale fissato dalla L.1187/1968 deve intendersi
tuttora vigente,mentre la giustizia amministrativa ha dato delle ulteriori
indicazioni in ordine agli effetti che derivano dalla scadenza del termine
quinquennale dei vincoli. .
Scaduto
infruttuosamente il quinquennio la cessazione di efficacia del vincolo
urbanistico comporta il venir meno della sua esecutorietà e della sua
sussistenza quale previsione urbanistica a cui corrisponde la necessaria
riespansione delle ordinarie facoltà del diritto di proprietà nei limiti
dell'art.9 , D.P.R. 380/2001.
Così
ad esempio la presenza di un vincolo a parco oramai scaduto rende illegittima
la delibera di approvazione del progetto del parco ed i conseguenti atti
ablatori.
I
vincoli di inedificabilità che hanno perso efficacia per il decorso quinquennio
dalla loro imposizione possono essere reiterati.
La
delibera impositiva dei vincoli deve essere congruamente motivata sull'asserità
necessità e sul pubblico interesse che giustificano la riproposizione del
vincolo.
Non viene presa in considerazione l'obiezione
che in tal modo le aree, comprese nel perimetro dei centri abitati, passano per
effetto della caducazione del vincolo da un regime di inedificabilità
temporanea ad un regime di inedificabilità permanente.
Teoricamente
i comuni sono obbligati a dotarsi di uno strumento urbanistico generale che
ricopra l'intero territorio ed in tal senso si ritiene che l'inedificabilità di
cui all'art.4 citato sia solo provvisoria.
In
caso di inerzia del comune ad adottare la nuova programmazione il privato può
sempre promuovere gli interventi sostitutivi della regione oppure agire in via
giurisdizionale seguendo il procedimento del silenzio rifiuto per fare emergere
l'obbligo del comune di provvedere alla disciplina urbanistica della zona.
La Corte costituzionale ha dichiarato la illegittimità
costituzionale della reiterazione dei vincoli ed ha disposto l’indennizzo per i
vincoli scaduti e reiterati dalle amministrazioni. Corte cost., 20.5.1999, n.
179, in Guida Dir., 1999, n. 22, 133.
La
Corte non esclude che i vincoli decaduti possano essere reiterati in via
amministrativa.
Possono,
infatti, sussistere ragioni giustificative accertate e motivate con congruo
provvedimento entro i limiti della ragionevolezza e della logicità.
Qualora
i vincoli assumano carattere patologico o quando vi sia una ripetizione o una
proroga sine die o all’infinito attraverso una reiterazione di proroghe, che si
aggiungano le une alle altre, o quando il limite temporale sia indeterminato e
senza una previsione di indennizzo, il sistema si scontra con i limiti posti
dalle norme costituzionali.
La
Corte non giunge a fissare i criteri per la concreta liquidazione del quantum
dell’indennizzo anche se pone le premesse per la loro definizione, ex art. 34, comma 4, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc.
amm.,
L’indennizzo
per il protrarsi del vincolo è un ristoro non necessariamente integrale od
equivalente al sacrificio, per una serie di pregiudizi che si possono
verificare a danno del titolare del bene immobile colpito.
Esso
deve essere commisurato al mancato uso normale del bene ovvero alla diminuzione
di prezzo di mercato rispetto alla situazione giuridica antecedente alla
pianificazione che ha imposto il vincolo.
La
risarcibilità dei vincoli di piano è stata sancita definitivamente dall’art.
39, D.P.R. 8.6.2001, n. 327.
10. . La tutela giurisdizionale sul permesso di costruire.
Legittimati
ad impugnare il permesso di costruire sono tutti coloro che si trovano in una
situazione di stabile collegamento, che può derivare da un titolo di proprietà
ovvero da un rapporto contrattuale di locazione, con la zona in cui si intende
realizzare la costruzione, purché facciano valere un interesse di carattere
urbanistico quale è quello dell'osservanza delle prescrizioni relative alla
zona interessata
In
tal modo l'interpretazione giurisprudenziale ha sostanzialmente limitato la
legittimazione a ricorrere, che l’art. 31 della legge urbanistica L. 1150/1942
– ora abrogato dall’art. 136 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 - estendeva a
“chiunque”.
Il
termine chiunque è stato considerato come equivalente alla forma impersonale.
La
tutela comprende la verifica del rispetto dei tempi previsti dal rituale
procedimento amministrativo.
Dalla
scadenza del termine previsto per l’emanazione del provvedimento decorrono i
sessanta giorni per adire alla giustizia amministrativa per ottenere
l'annullamento del diniego illegittimo.
L'azione
contro il silenzio diniego riveste oramai un carattere sussidiario rispetto ad
altre azioni ipotizzabili.
Il
richiedente ha la possibilità di agire per i danni arrecati a causa del
comportamento inadempiente del responsabile del procedimento che è anche il
soggetto competente all'adozione del provvedimento, secondo quanto previsto
dall’art. 35 del D.L.vo 80/1998.
La
tutela amministrativa, almeno in questa fase, è destinata a concretizzarsi nel
risarcimento del danno ingiusto.
In
tal senso si manifesta l’interesse del ricorrente ad ottenere l'annullamento
del diniego.
Questo
non dà alcun diritto ad edificare, ma tutt’al più concretizza la possibilità di
richiedere la nomina di un commissario ad
acta.
L’art.
21, 1 comma, del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 dichiara l’ammissibilità
dell'intervento sostitutivo regionale anche qualora il richiedente si affidi
alla giustizia amministrativa.
Il
provvedimento può essere impugnato da terzi al fine di ottenere l’annullamento
del permesso di costruire.
I proprietari di immobili in zone confinanti o
limitrofe con quelle interessate da una nuova costruzione sono legittimati ad
impugnare i titoli edilizi che possono pregiudicare la loro posizione sia per
il maggior carico urbanistico e il mancato rispetto degli standard, sia per la
incisione delle condizioni ambientali dell'area e, più in generale, per le
modifiche all'assetto urbanistico ed edilizio della zona ove sono ricompresi
gli immobili di cui hanno la disponibilità. Cons. Stato , sez.
IV, 13 gennaio 2010, n. 72.
La giurisprudenza ha rilevato che il termine di impugnazione
giurisdizionale di un permesso di costruire da parte di un soggetto terzo, diverso dal destinatario,
è la conoscibilità di tale permesso di costruire associata all'effettivo inizio dei lavori, resa
possibile dalla pubblicazione nell'albo pretorio dell'apposito avviso e
dall'esposizione nel cantiere del cartello con gli estremi del permesso di costruire
rilasciato, e non l'effettiva conoscenza del permesso di costruire. T.A.R. Basilicata
Potenza, sez. I, 20 gennaio 2010, n. 27.
La causa più frequente di illegittimità è quella
relativa al mancato rispetto della disciplina delle distanze.
I
privati danneggiati dalle costruzioni dei confinanti, che pure hanno ottenuto
dal comune il permesso di costruire - che è rilasciato facendo salvi i diritti
di terzi - possono usufruire della cosiddetta doppia tutela.
Essi
possono adire il giudice ordinario per tutelare, ai sensi del secondo comma
dell'art. 872 del c.c., il loro diritto soggettivo perfetto alla riduzione in
pristino delle opere realizzate in spregio alla disciplina delle distanze e al
risarcimento del danno, vedi infra par. 5.
Parallelamente essi hanno la possibilità di richiedere
al giudice amministrativo l'annullamento della permesso che risulti illegittimo
per violazione delle norme sulle distanze.
L'interesse
del privato si è gradualmente spostato da posizioni di tutela essenzialmente
diretta a salvaguardia della proprietà a posizioni che tendono a garantire il
più ordinato assetto della città.
Ad
esempio, censurando i provvedimenti che consentivano l’installazione di una
attività alberghiera o artigianale in zone destinate all'abitazione, ovvero che
autorizzavano tipologie diverse da quelle previste dal piano.
Spetta,
comunque, al responsabile del procedimento l'adozione dei provvedimenti
repressivi o di esecuzione dell'annullamento pronunciato dal T.A.R.
Il
ricorrente, in caso di omissione a provvedere, deve azionare un ulteriore
ricorso per l'esecuzione del giudicato ai sensi dell'art. 112, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod. proc.
amm.,.
11. La violazione delle norme sulle distanze. L’azione di riduzione in pristino.
L’art.
872 c.c. distingue le due ipotesi che conseguono dalla violazione delle norme
di carattere speciale, che regolano l’attività edificatoria, da quelle
derivanti dalle violazioni alle prescrizioni imposte dalle norme del c.c.
La
trasgressione delle norme del codice civile ovvero di quelle fissate dai
regolamenti edilizi o dai piani - che vengono considerate integratrici di
quelle prescritte dal codice civile - produce gli stessi effetti.
Il
privato in presenza di un illecito edilizio od urbanistico può chiedere al
giudice ordinario l’abbattimento totale o parziale della costruzione abusiva al
fine di conformarla alla disciplina delle distanze vigenti e il risarcimento
del danno.
La giurisdizione del giudice ordinario presuppone che la lite si
svolga tra privati, l'uno dei quali, nelle controversie relative al rispetto
delle distanze
legali tra costruzioni, pretenda la reintegrazione del suo diritto di proprietà
che assume leso dalla costruzione che l'altro ha eseguito in violazione delle
norme legislative o regolamentari in materia edilizia; in tal caso, il giudice ordinario, cui
spetta la giurisdizione, vertendosi in tema di assunta violazione di un diritto
soggettivo, può incidentalmente accertare l'eventuale illegittimità del permesso di
costruire. T.A.R. Campania
Napoli, sez. VIII, 18 novembre 2009, n. 7635
Sul
punto la giurisprudenza è conforme affermando che, a norma dell'art. 872, 2°
co., e dell’art. 873 c.c., la violazione delle norme dei regolamenti edilizi
comunali, integrative del codice civile, in materia di distanze tra le
costruzioni abilita la parte interessata a richiedere e ottenere la riduzione e
l'arretramento della costruzione oltre al risarcimento dei danni. Ciò avviene
anche quando è violata la norma di un piano regolatore comunale che, in maniera
assoluta e inderogabile, prescriva una certa distanza delle costruzioni dal
confine, rendendo così inapplicabili sia le disposizioni del codice civile sia
la disciplina sulle costruzioni a dislivello. Cass. civ., sez. II, 2 ottobre
2000, n. 13007, in Dir e Giust.,
2000, f. 38, 76.
Nel
caso in cui si tratti di una violazione alle norme civilistiche è ammessa,
oltre al risarcimento del danno, anche la riduzione in pristino attraverso la
demolizione delle opere eseguite in contrasto colla normativa. G. PAGLIARI,
Diritto urbanistico, 1998, 298.
Al
giudice non è consentita alcuna discrezionalità nella valutazione del danno
prodotto perché la sola violazione della disciplina delle distanze è fonte
automatica di responsabilità.
Ove le distanze tra costruzioni siano prescritte da un
regolamento edilizio, nessuna indagine deve essere svolta per accertare se
dalla violazione della norma dello strumento urbanistico sia o meno derivato un
danno per il fondo del vicino e se questo sia o meno edificabile, in quanto le
disposizioni in materia di distacco delle costruzioni dal confine non lasciano
al giudice alcun margine di valutazione in ordine ai pregiudizi prodotti dalla
loro inosservanza, avuto riguardo alle finalità di natura pubblicistica cui
dette disposizioni si ispirano. Cass. civ., sez. II, 27 febbraio 1995, n. 2294,
in Giust. Civ. Mass., 1995, 469).
Il giudice può
ordinare alternativamente l’arretramento o la demolizione del manufatto
illegittimo, a prescindere dalla richiesta dell’attore. La giurisprudenza
ammette che non sussiste il vizio di ultrapetita se il giudice, richiesto di
pronunziarsi sull'arretramento e sulla riduzione in pristino di una
costruzione, perché in violazione delle distanze legali, ne ordina la
demolizione che è l’attività materiale necessaria per realizzare
l'arretramento. Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1999, n. 1411, in Giust. Civ. Mass., 1999, 449.
La rilevanza giuridica del provvedimento
amministrativo va circoscritta al rapporto tra p.a. e costruttore ed ai
possibili riflessi sulle correlate posizioni di interesse legittimo dei terzi,
mentre sul piano dei diritti dei privati interessati in senso opposto alla
costruzione, l’esistenza e la legittimità del permesso di costruire licenza
sono prive di rilievo, dovendo il giudice ordinario risolvere il conflitto tra gli
stessi confrontando direttamente le caratteristiche della costruzione con le
norme giuridiche che le disciplinano.
Tribunale Messina, 31
agosto 2006
12. L’azione risarcitoria.
Nel
caso in cui si tratti di una violazione alle norme portate dalle leggi speciali
e considerate non integrative a quelle del codice civile l’unica tutela ammessa
è quella del risarcimento del danno, ex art. 872, c.c. Secondo la
classificazione della dottrina è esclusa la possibilità di riduzione in
pristino per le seguenti violazioni delle norme regolamentari riguardanti:
a)
le altezze interne degli edifici;
b)
l’ampiezza dei cortili interni dei fabbricati;
c)
la larghezza del fronte degli immobili, in base alla tutela dell’estetica;
d
) la sistemazione degli spazi intorno alle costruzioni;
e)
l’igiene degli abitati.
Esclusa
la violazione delle distanze e delle altezze esterne degli edifici ogni altra
violazione di norme edilizia non può comportare il diritto del privato di
ottenere la riduzione in pristino.
Detta
azione è alternativa a quella ripristinatoria e deve essere specificatamente
proposta dall’attore, documentando il danno ricevuto dall’opera abusiva.
La semplice
violazione di norme di edilizia può dar luogo solo al risarcimento del danno, in quanto concretamente
esistente e nella misura in cui esso si sia effettivamente verificato, anche
solo in termini di amenità e comodità del godimento del bene. Il dies a quo dal quale la prescrizione in
materia decorre, non può identificarsi nella data in cui venne rilasciata la
concessione edilizia,
bensì in quella, ben più recente, in cui l’intervento edificatorio lesivo dei
diritti dell’istante si è dovuto. Tribunale
Messina, 31 agosto 2006
13. La tutela dinanzi alla giustizia amministrativa.
La
violazione delle norme di piano o di regolamento edilizio consente la
cosiddetta doppia tutela, nel senso che consente oltre alla azione presso il
giudice ordinario, ex art. 872 c.c.,
anche quella presso il giudice amministrativo, ai sensi dell’art. 7, D.L.vo 2 luglio 2010, n.104, cod.
proc. amm.
L’azione
presso il giudice ordinario consente come visto in precedenza una tutela
diversificata che va dalla remissione in pristino al risarcimento del danno a
seconda che le norme violate siano integratrici delle norme civilistiche.
L’azione
è autonoma e può essere esercitata anche senza avere prima attivato il giudizio
sulla legittimità dell’atto amministrativo che si ritiene lesivo o sulla
legittimità della norma.
La
giurisprudenza è concorde nel ritenere che, ove dette norme urbanistiche siano
state violate, il diritto del vicino alla riduzione in pristino (o al
risarcimento del danno) non trova deroga per il fatto che la costruzione sia
stata realizzata in base ad un permesso di costruire e resta tutelabile davanti
al giudice ordinario senza necessità di una preventiva decisione del giudice
amministrativo in ordine alla legittimità o meno del provvedimento di
concessione e senza che occorra neppure una deliberazione di detto
provvedimento, in via meramente incidentale, da parte del giudice ordinario.
Vige il regime della c.d. doppia tutela , per cui il soggetto che assume di essere stato
danneggiato dalla violazione delle norme in materia è titolare, da un lato, del
diritto soggettivo al risarcimento del danno o alla riduzione in pristino nei
confronti dell'autore dell'attività edilizia illecita con competenza del g.o.
e, dall'altra, dell'interesse legittimo alla rimozione del provvedimento
invalido dell'amministrazione, quando tale attività sia stata autorizzata
conosciuto dal g.a. T.A.R. Lombardia
Brescia, sez. I, 16 ottobre 2009, n. 1742
L’azione
amministrativa consente sia l’impugnazione dello strumento urbanistico fonte
della disciplina pubblicistica, se esso viola le norme dell’azione
amministrativa, sia l’annullamento della eventuale concessione edilizia
illegittima che abbia autorizzato i lavori.
Il
giudice amministrativo, annullando il provvedimento illegittimo, impone alla
pubblica amministrazione di esercitare i provvedimenti repressivi attraverso
l’esecuzione della sentenza.
L’azione
amministrativa è sostanzialmente rivolta contro la pubblica amministrazione
affinché tuteli le norme di azione amministrativa che si ritengono violate.
Chi
ritiene di essere danneggiato da un provvedimento amministrativo può quindi
scegliere la tutela che ritiene più idonea nel caso di specie, ma in teoria
potrebbe iniziare entrambe le azioni poiché esse hanno oggetti completamente
diversi.
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