La conferenza di servizi costituisce un modulo
procedimentale-organizzativo suscettibile di produrre un’accelerazione dei
tempi procedurali e, nel contempo, un esame congiunto degli interessi pubblici
coinvolti. (N. Centofanti, M. Favagrossa e P. Centofanti, Formulario del
diritto amministrativo, 2012, 75).
Esso, infatti, consente l’assunzione concordata di
determinazioni sostitutive, a tutti gli effetti, di concerti, intese, assensi,
pareri, nulla osta, richiesti da un procedimento pluristrutturale
specificatamente conformato dalla legge, senza che ciò comporti alcuna
modificazione o sottrazione delle competenze, posto che ciascun rappresentante,
partecipante alla conferenza, imputa gli effetti giuridici degli atti che
compie all’amministrazione rappresentata, competente in forza della normativa
di settore (Consiglio Stato, sezione V, 8 maggio 2007, n. 2107).
Tale istituto, introdotto dalla legge non tanto per
eliminare uno o più atti del procedimento, quanto per rendere contestuale quell’esame
da parte di amministrazioni diverse che, nella procedura ordinaria, sarebbe
destinato a svolgersi secondo una sequenza temporale scomposta in fasi distinte,
è orientato alla realizzazione del principio di buon andamento ex art. 97
Cost.», in quanto assume, nell’intento della semplificazione e accelerazione
dell’azione amministrativa, la funzione di coordinamento e mediazione degli
interessi in gioco al fine di individuare, mediante il contestuale confronto
degli interessi dei soggetti che li rappresentano, l’interesse pubblico
primario e prevalente (Corte cost.. 313 del 2010).
Esso, quindi, realizza un giusto contemperamento fra la necessità
della concentrazione delle funzioni in un’istanza unitaria e le esigenze
connesse alla distribuzione delle competenze fra gli enti che paritariamente vi
partecipano con propri rappresentanti, senza che ciò implichi attenuazione
delle rispettive attribuzioni.
Esiste, da una parte, un’esigenza unitaria che
legittima l’intervento del legislatore statale anche in ordine alla disciplina
di procedimenti complessi estranei alle sfere di competenza esclusiva statale affidati
alla conferenza di servizi, in vista dell’obiettivo della accelerazione e
semplificazione dell’azione amministrativa; dall’altro, è ugualmente agevole
escludere che l’intera disciplina della conferenza di servizi, e dunque anche
la disciplina del superamento del dissenso all’interno di essa, sia
riconducibile ad una materia di competenza statale esclusiva, tenuto conto
della varietà dei settori coinvolti, molti dei quali sono innegabilmente
relativi anche a competenze regionali (es.: governo del territorio, tutela
della salute, valorizzazione dei beni culturali ed ambientali).
La Corte cost. , 11.7.2012, n. 179, ha preso
in esame le censure solevate alla
disciplina dell’istituto della conferenza di servizi, introdotto, in via
generale, dall’art. 14 della legge n. 241 del 1990, dopo le modifiche apportate
dall’ art. 49 del d.l. n. 78 del 2010.
La Corte ha ripetutamente affermato che, per
individuare la materia alla quale devono essere ascritte le disposizioni
oggetto di censura, non assume rilievo la qualificazione che di esse abbia dato
il legislatore, ma occorre fare riferimento all’oggetto ed alla disciplina
delle medesime (Corte cost. n. 430/2007). In questo caso, la
qualificazione, operata dalla stessa norma impugnata – letta in combinato
disposto con l’art. 49, comma 4 – della disciplina inerente alla conferenza di
servizi, quale disciplina attinente alla determinazione dei livelli essenziali
delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, risulta contraddetta
dal contenuto della medesima.
Essa, infatti, lungi dal determinare uno standard
strutturale o qualitativo di prestazioni determinate, attinenti a questo o a
quel diritto civile o sociale, in linea con il secondo comma, lettera m),
dell’art. 117 Cost., assolve al ben diverso fine di regolare l’attività
amministrativa, in settori vastissimi ed indeterminati, molti dei quali di
competenza regionale, (quali il governo del territorio, la tutela della salute,
l’ordinamento degli uffici regionali, l’artigianato, il turismo, il commercio),
in modo da soddisfare l’esigenza, diffusa nell’intero territorio nazionale, di
uno svolgimento della stessa il più possibile semplice e celere.
Il soddisfacimento di una simile esigenza unitaria
giustifica, pertanto, l’attrazione allo Stato, per ragioni di sussidiarietà,
sia dell’esercizio concreto della funzione amministrativa che della relativa
regolamentazione nelle materie di competenza regionale, ma deve obbedire alle condizioni
stabilite dalla giurisprudenza costituzionale, fra le quali questa Corte ha
sempre annoverato la presenza di adeguati strumenti di coinvolgimento delle
Regioni.
In particolare, si è affermato che «l’ordinamento
costituzionale impone il conseguimento di una necessaria intesa fra organi
statali e organi regionali per l’esercizio concreto di una funzione
amministrativa attratta in sussidiarietà al livello statale in materie di
competenza legislativa.
Tali «intese costituiscono condizione minima e
imprescindibile per la legittimità costituzionale della disciplina legislativa
statale che effettui la “chiamata in sussidiarietà” di una funzione
amministrativa in materie affidate alla legislazione regionale, con la conseguenza
che deve trattarsi di vere e proprie intese “in senso forte”, ossia di atti a
struttura necessariamente bilaterale, come tali non superabili con decisione
unilaterale di una delle parti».
In tali casi, ha inoltre precisato questa Corte, «il
secondo comma dell’art. 120 Cost. non può essere applicato» (Corte cost. n. 383 del 2005).
È in questo quadro che occorre valutare la disciplina
del superamento del dissenso espresso, appunto, in sede di conferenza,
introdotta dall’impugnato comma 3, lettera b), dell’art. 49, in specie nella
parte in cui, modificando l’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990,
stabilisce che, ove il motivato dissenso sia espresso da una Regione o da una
Provincia autonoma in una delle materie di propria competenza e non sia
raggiunta la prescritta intesa con la Regione o le Regioni e le Province
autonome interessate entro trenta giorni, «il Consiglio dei ministri delibera
in esercizio del proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei
Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate».
Questa Corte, applicando i principi suddetti, ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale di analoga norma statale che
prevedeva un potere sostitutivo del Governo in caso di mancato raggiungimento
dell’intesa, esercitabile decorsi trenta giorni dalla convocazione del primo
incontro tra il Governo e la Regione o la Provincia autonoma interessata,
affermando che «la previsione dell’intesa, imposta dal principio di leale
collaborazione, implica che non sia legittima una norma contenente una
“drastica previsione” della decisività della volontà di una sola parte, in caso
di dissenso, ma che siano necessarie “idonee procedure per consentire reiterate
trattative volte a superare le divergenze”
Solo nell’ipotesi di ulteriore esito negativo di tali
procedure mirate all’accordo, può essere rimessa al Governo una decisione
unilaterale» (sentenza n. 165 del 2011), come nel caso relativo alla disciplina
del procedimento di certificazione dei siti idonei all’insediamento degli
impianti nucleari (Corte cost. n.
33 del 2011).
Allorquando, invece, l’intervento unilaterale dello
Stato viene prefigurato come mera conseguenza automatica del mancato
raggiungimento dell’intesa, è violato il principio di leale collaborazione con
conseguente sacrificio delle sfere di competenza regionale.
La Corte cost. , 11.7.2012, n. 179, ha preso
in esame le censure solevate alla
disciplina dell’istituto della conferenza di servizi, introdotto, in via
generale, dall’art. 14 della legge n. 241 del 1990, dopo le modifiche apportate
dall’
L’art. 49 del d.l. n. 78 del 2010, reca la «drastica previsione» della
decisività della volontà di una sola parte, in caso di dissenso, posto che il
Consiglio dei ministri delibera unilateralmente in materie di competenza
regionale, allorquando, a seguito del dissenso espresso in conferenza
dall’amministrazione regionale competente, non si raggiunga l’intesa con la
Regione interessata nel termine dei successivi trenta giorni
Il termine è così esiguo da rendere oltremodo complesso e difficoltoso
lo svolgimento di una qualsivoglia trattativa, ma dal suo inutile decorso si fa
automaticamente discendere l’attribuzione al Governo del potere di deliberare,
senza che siano previste le necessarie «idonee procedure per consentire
reiterate trattative volte a superare le divergenze» (come, peraltro, era
invece previsto dall’art. 14-quater della legge n. 241 del 1990).
Né, d’altro canto, la previsione che il Consiglio dei
ministri delibera, in esercizio del proprio potere sostitutivo, con la
partecipazione dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome
interessate, «può essere considerata valida sostituzione dell’intesa, giacché
trasferisce nell’ambito interno di un organo costituzionale dello Stato un
confronto tra Stato e Regione, che deve necessariamente avvenire all’esterno,
in sede di trattative ed accordi, rispetto ai quali le parti siano poste su un
piano di parità» (Corte cost., 165 del 2011).
La Corte cost. , 11.7.2012,
n. 179, pertanto, ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’art. 49, comma 3, lettera b), del d.l. n.
78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, nella
parte in cui prevede che, in caso di dissenso espresso in sede di conferenza di
servizi da una Regione o da una Provincia autonoma, in una delle materie di
propria competenza, ove non sia stata raggiunta, entro il breve termine di
trenta giorni, l’intesa, «il Consiglio dei ministri delibera in esercizio del
proprio potere sostitutivo con la partecipazione dei Presidenti delle Regioni o
delle Province autonome interessate», senza che siano previste ulteriori procedure
per consentire reiterate trattative volte a superare le divergenze.
Nessun commento:
Posta un commento