Capitolo diciottesimo
La giurisdizione della Corte dei Conti
Guida bibliografica.
1. La responsabilità amministrativa.
La dottrina rileva che i rapporti fra giudizio
amministrativo e giudizio contabile sono di assoluta autonomia in quanto non
sono previste né preclusioni, né precedenze. Centofanti 2005, 247.
2. Il danno erariale.
L'istituto della responsabilità amministrativa, al
pari della comune responsabilità per danno, va evolvendosi da forma di
protezione di beni patrimoniali della p.a. a situazioni giuridiche di tutela di
interessi pubblici più generali. La giurisprudenza tiene conto non solo del
danno patrimoniale ma anche del danno finanziario inteso quale alterazione
dell'equilibrio economico finanziario della p.a. in relazione alle possibilità
economiche dell'ente ed ai limiti derivanti dai vincoli di bilancio e dalle
risultanze finali di competenza e di amministrazione.
Corte Conti, sez. riun., 18.9.1992, n. 802, RCC,
1992, fasc. 6, 36
1. La responsabilità amministrativa.
L'art. 3, l. 19/1994 attribuisce alle sezioni
giurisdizionali regionali della Corte dei Conti la giurisdizione sui
funzionari, impiegati ed agenti civili e militari, che nell'esercizio delle
loro funzioni cagionino danno allo Stato o ad altra amministrazione dalla quale
dipendano.
La responsabilità amministrativa è caratterizzata:
- da un rapporto di dipendenza o di servizio nei
confronti dello Stato che comprende anche i funzionari onorari ed i ministri.
- da un comportamento anche solo colposo, derivante da
negligenza o dalla inapplicazione della legge, che trova esimente solo nella
forza maggiore, quale ad esempio la carenza organizzativa o l'organico
insufficiente.
- da un danno erariale patrimoniale derivante
all'amministrazione, che sia direttamente riconducibile all'evento.
Il danno non deve essere assoggettabile a
compensazione col beneficio che l'amministrazione ne abbia eventualmente
ricavato.
Il giudizio non ha alcun rapporto con l'accertamento
della illegittimità degli atti dell'amministrazione.
L'accertamento della responsabilità amministrativa
contabile prescinde dall'accertamento dell'illegittimità degli atti
dell'amministrazione.
Nel giudizio di responsabilità
amministrativo-contabile la valutazione del giudice investe in primo luogo il
comportamento dell'amministratore o dipendente pubblico nella gestione di beni
pubblici o mezzi finanziari pubblici o nello svolgimento di un'attività
giuridica materiale, al fine di accertare la rispondenza a legge e anche a
regole non giuridiche di efficienza, di efficacia e di buon andamento.
Il danno risarcibile non viene in evidenza secondo gli
schemi astratti civilistici, né è utile il riferimento alla distinzione tra le
categorie del debito di valore e del debito di valuta nel riflesso che la p.a.
in ultima analisi, a seguito degli illeciti comportamenti dannosi, non
acquisisce entrate dovute o eroga spese non consentite che si traducono sempre
in somme di denaro; con l'ulteriore conseguenza che è applicabile l'art. 1224
c.c. e che, correttamente, la rivalutazione monetaria è compresa nella somma di
cui è stata pronunciata condanna (Corte Conti, sez. riun., 9.7.1993, n. 893/A, RCC,
1993, fasc. 6, 62).
2. Il danno erariale.
La giurisprudenza afferma che concretizza danno
erariale la lesione del fondamentale principio di interesse pubblico sulla
corretta conservazione e gestione dei mezzi economici dell'azione
amministrativa, dovendosi qualificare tali tutte le risorse costituite dal
danaro, dai beni fisici, dai diritti reali o di credito e dai diritti su ogni
altra utilità anche immateriale (Corte Conti reg. Umbria, sez. giurisd.,
28.6.2004, n. 275,
RCC, 2004, f. 3, 176).
L’ipotesi più evidente di responsabilità per danno erariale
deriva dal fatto che l’amministratore non ha applicato la legge nella gestione
dei beni pubblici. In tale maniera egli ha reso economicamente svantaggioso
all’erario gli atti di disposizione di detti beni.
Sussiste la responsabilità amministrativa dell'assessore e del segretario
di un Comune che disposero la cessione in affitto a terzi di aree appartenenti
al demanio indisponibile stradale, allorquando la misura del canone di affitto
sia stata quantificata in una misura inferiore a quella della t.o.s.a.p.
(Corte Conti, reg. Marche, sez. giurisd., 14.1.2005, n. 65, RCC,
2005, f. 1, 198).
La responsabilità si manifesta anche in comportamenti
omissivi, qualora la pubblica amministrazione rinunci a richiedere spese
relative ai beni dati in concessione e addebitabili ai concessionari.
Il canone di concessione corrisposto dai dipendenti pubblici a fronte
dell'utilizzazione di un bene demaniale a titolo di corrispettivo non comprende
la fornitura dei servizi accessori; pertanto, costituisce danno patrimoniale il
mancato addebito delle spese di riscaldamento relative ad alloggi di servizio
dati in concessione a pubblici dipendenti (nella specie di osservatorio
astronomico) dietro pagamento di un canone d'affitto.
(Corte Conti, sez. I, 17.4.1989, n. 147, FA, 1989, 2240).
La responsabilità si manifesta anche per gli atti che
hanno a riferimento la gestione dei beni pubblici come l’affidamento di un
incarico per la loro inventariazione.
In relazione all'ipotesi di danno erariale derivante dall'affidamento ad una
ditta esterna dell'incarico di inventariare i beni patrimoniali di una
amministrazione, la Corte dei conti può e deve valutare l'esistenza dei
presupposti per l'affidamento dell'incarico e cioè l'eccezionalità e gravità
della situazione di arretrato e la carenza del personale in organico.
(Corte Conti, reg. Emilia Romagna, sez. giurisd., 1.10.1999, n. 747, RCC,
2000, n. 6, 90).
Vi è responsabilità anche nel caso in cui la
amministrazione ometta la dovuta attività di controllo che non ha impedito
l’inquinamento di aree demaniali, nel caso marittime, addossando alla
collettività i relativi costi per la bonifica.
L'inquinamento di una vasta zona di mare, che, pur verificandosi oltre il
limite delle acque territoriali, comporti una diminuzione delle utilità che dal
mare ritrae la comunità dei cittadini, concreta un danno per lo Stato, sia
sotto il profilo del depuramento di un bene che costituisce patrimonio della
collettività, sia sotto il profilo degli oneri finanziari che lo Stato stesso
può essere chiamato a sostenere in dipendenza dell'inquinamento. Sussiste
pertanto la giurisdizione di responsabilità del magistrato contabile nei
confronti dei pubblici dipendenti, che con la violazione di doveri inerenti al
proprio ufficio abbiano consentito l'attività inquinante.
Nella specie è stato espresso parere favorevole e concessa relativa
autorizzazione allo scarico in mare dei c.d.
fanghi rossi, residui della lavorazione del biossido di titanio negli
stabilimenti Montedison di Scarlino.
(Corte Conti , sez. I, 8.10.1979, n. 61, FI, 1979, III,593).
Capitolo diciannovesimo
La giurisdizione del liquidatore
degli usi civici.
Guida bibliografica.
1. Il liquidatore degli usi
civici.
E’ stata prospettata una censura
di legittimità costituzionale dell'art. 29, 2° co., l. 1766 del 1927 che, nella
interpretazione della Cass. Civ., Sez. un., 23.1.1994, n. 858, nega al
commissario degli usi civici il potere di promuovere ex officio le controversie
di sua spettanza, attribuendo esclusivamente alle regioni il potere di agire in
giudizio. Nunziata 1996, 79.
In particolare era censurato il
coincidere nella figura del commissario delle attribuzioni di parte e di
giudice nel medesimo procedimento avente natura esclusivamente giurisdizionale
- dopo il trasferimento ad altro soggetto delle funzioni amministrative in
materia - ed il venire meno del carattere incidentale della giurisdizione
riconosciutagli.
Nella prospettazione del giudice a
quo tale stato di cose, tra l'altro, incideva sulla garanzia della terzietà
del commissario - nemo iudex in re sua - indefettibile per assicurare
l'effettività della tutela del diritto di difesa, ex art. 24 cost.
La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma, nella parte in cui non consente la permanenza del potere del commissario agli usi civici di esercitare d'ufficio la propria giurisdizione pur dopo il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative.
L'art. 29, l. 16.6.1927, n. 1766, interpretato nel senso che esso dopo il trasferimento alle regioni della materia degli usi civici disposta dall'art. 66 d.p.r. 24.7.1977, n. 616 esclude la permanenza nel commissario agli usi civici del potere di esercitare d'ufficio la propria giurisdizione, è costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 24, 1°, 3°, 9° co., e 32 cost., poiché non consente - in attesa di una revisione della situazione ordinamentale attuale, che non prevede alcun altro organo dello Stato che sia abilitato ad agire davanti al commissario degli usi civici, per la tutela dell'interesse della collettività generale alla conservazione dell'ambiente delle zone gravate da usi civici - che tale tutela sia intanto esercitata attraverso la permanenza del potere d'azione del commissario stesso. Corte cost., 20.2.1995, n. 46, RGE, 1995, I, 554.
La Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della norma, nella parte in cui non consente la permanenza del potere del commissario agli usi civici di esercitare d'ufficio la propria giurisdizione pur dopo il trasferimento alle Regioni delle funzioni amministrative.
L'art. 29, l. 16.6.1927, n. 1766, interpretato nel senso che esso dopo il trasferimento alle regioni della materia degli usi civici disposta dall'art. 66 d.p.r. 24.7.1977, n. 616 esclude la permanenza nel commissario agli usi civici del potere di esercitare d'ufficio la propria giurisdizione, è costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 24, 1°, 3°, 9° co., e 32 cost., poiché non consente - in attesa di una revisione della situazione ordinamentale attuale, che non prevede alcun altro organo dello Stato che sia abilitato ad agire davanti al commissario degli usi civici, per la tutela dell'interesse della collettività generale alla conservazione dell'ambiente delle zone gravate da usi civici - che tale tutela sia intanto esercitata attraverso la permanenza del potere d'azione del commissario stesso. Corte cost., 20.2.1995, n. 46, RGE, 1995, I, 554.
1. Il liquidatore degli usi
civici
L'art. 29, l. 16.6.1927, n. 1766,
demanda alla giurisdizione del Commissario regionale degli usi civici ogni
controversia attinente alla qualitas soli, in cui si dibatte
dell'esistenza, della natura e dell'estensione dei diritti di uso civico.
Detti organi in origine erano
dotati sia di giurisdizione avente carattere "incidentale" rispetto
alla funzione amministrativa, connotata come primaria sia di competenza
amministrativa in materia; quest'ultima è stata trasferita alle regioni, in
forza dell'art. 66, 5° co., d.p.r. 24.7.1977, n. 616.
I Commissari regionali degli usi
civici sono distribuiti in tredici specifiche circoscrizioni territoriali e
sono composti da magistrati ordinari.
Si tratta di organi
giurisdizionali che, grazie alla elevata specializzazione derivante dalla
trattazione esclusiva di una materia tanto peculiare, limitata ed al contempo
delicata, hanno progressivamente acquisito una posizione decisiva nella tutela
degli usi civici e della funzione conservativa del patrimonio ambientale che questi
ultimi, indubbiamente, svolgono
I commissari procederanno, su
istanza degli interessati od anche di ufficio, all'accertamento, alla
valutazione, ed alla liquidazione dei diritti di cui all'art. 1, allo
scioglimento delle promiscuità ed alla rivendica e ripartizione delle terre.
I commissari decideranno tutte le controversie circa la esistenza, la natura e la estensione dei diritti suddetti, comprese quelle nelle quali sia contestata la qualità demaniale del suolo o l'appartenenza a titolo particolare dei beni delle associazioni, nonché tutte le questioni cui dia luogo lo svolgimento delle operazioni loro affidate.
In ogni fase del procedimento potrà essere promosso un esperimento di conciliazione, sia per iniziativa del commissario, sia per richiesta delle parti, le quali, per questo oggetto, potranno farsi rappresentare da persona di loro fiducia munita di speciale mandato.
I commissari cureranno la completa esecuzione delle proprie decisioni e di quelle anteriori, ma non ancora eseguite.
Tutte le conciliazioni, relative alle materie contemplate nella presente legge, dovranno riportare l'approvazione del commissario e del Ministero delle politiche agricole e forestali, la quale terrà luogo di quella della Giunta provinciale amministrativa.
(art. 29, l. 16.6.1927, n. 1766).
I commissari decideranno tutte le controversie circa la esistenza, la natura e la estensione dei diritti suddetti, comprese quelle nelle quali sia contestata la qualità demaniale del suolo o l'appartenenza a titolo particolare dei beni delle associazioni, nonché tutte le questioni cui dia luogo lo svolgimento delle operazioni loro affidate.
In ogni fase del procedimento potrà essere promosso un esperimento di conciliazione, sia per iniziativa del commissario, sia per richiesta delle parti, le quali, per questo oggetto, potranno farsi rappresentare da persona di loro fiducia munita di speciale mandato.
I commissari cureranno la completa esecuzione delle proprie decisioni e di quelle anteriori, ma non ancora eseguite.
Tutte le conciliazioni, relative alle materie contemplate nella presente legge, dovranno riportare l'approvazione del commissario e del Ministero delle politiche agricole e forestali, la quale terrà luogo di quella della Giunta provinciale amministrativa.
(art. 29, l. 16.6.1927, n. 1766).
La giurisprudenza ha affermato
che rientrano nella giurisdizione speciale del liquidatore degli usi civici
l'accertamento della qualità di un terreno che si assume di uso civico,
l'appartenenza di un'area alla collettività civica e l'avvenuta occupazione dei
suoli senza titolo legittimo.
Il giudizio di impugnazione del
provvedimento sindacale di reintegrazione al demanio civico comunale e di
ingiunzione di rilascio dei suoli indicati come ricadenti nel piano di zona per
l'edilizia economica e popolare, appartiene alla giurisdizione del liquidatore
degli usi civici, ove le parti private ingiunte contestino l'esistenza
dell'appartenenza dell'area in questione alla collettività civica e l'avvenuta
occupazione dei suoli senza titolo legittimo.
Tutte le questioni su atti
amministrativi relativi agli usi civici e non sul regime della proprietà
rientrano invece nella giurisdizione amministrativa.
In materia di usi civici,
appartiene alla giurisdizione del g.a. la controversia avente ad oggetto la
legittimità del provvedimento amministrativo che ha denegato la richiesta
legittimazione e disposto la reintegrazione dell'amministrazione nel possesso
del bene demaniale, ove il provvedimento stesso sia contestato per il mero
vizio di incompetenza.
(Cons. giust. amm. Sicilia , sez.
giurisd., 27.7.2005, n. 474, FACDS, 2005, 7/8 2349).
Il rimedio impugnatorio avverso
le sentenze rese dai commissari regionali in materia di esistenza, natura ed
estensione dei diritti di uso civico è costituito, ai sensi dell'art. 32, l.
16.6.1927, n. 1766, esclusivamente dal reclamo alla Corte d'appello di Roma,
sezione speciale usi civici (Cass. Civ., sez. un., 20.11.2003,
n. 17668, GCM,
2003, 11).
Contro le sentenze delle sezioni
specializzate per gli usi civici delle corti d'appello è proponibile ricorso
per cassazione nel termine di quarantacinque giorni dalla sentenza ritualmente
notificata.
Ai fini del decorso del termine
breve di 45 giorni, di cui agli artt. 7 e 8, l. 10.7.1930, n. 1078, la
comunicazione della sentenza ai sensi dell'art. 133 c.p.c., ove eseguita
mediante notifica tramite ufficiale giudiziario.
Capitolo venti
La giurisdizione
penale.
Guida bibliografica.
1. La tutela
penale dei beni pubblici.
La tutela penale
dei beni pubblici non rientra in uno schema unitario.
Il c.p. rappresenta
solo i reati di danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico
nazionale e di distruzione di bellezze naturali
La tutela penale
deve essere ricercata nella legislazione speciale.
Il sistema più
completo e omogeneo è quello rappresentato dalla normativa sui beni culturali.
Il d. lg 42/2004 dedica l’intero titolo secondo della parte quarta alle sanzioni
penali poste a tutela dei beni culturali e dei beni paesaggistici. Angiuli A.
Caputi Jambrenghi V. 2005, 431.
2. L’invasione
di terreni demaniali
La dottrina rileva
come l’interesse tutelato dall’art. 733 c.p. consista nel diritto al pacifico
godimento dell’immobile da parte di colui che lo detiene a prescindere quindi
dalla sua qualità.
Il fatto che si
tratti di un immobile pubblico non costituisce neppure aggravante specifica.
Brigandi’ 1993, 259.
3. L’abusiva
occupazione del demanio marittimo.
Il reato di cui
all’art. 54 c. n. è strettamente connesso al fatto che il soggetto attivo non
sia in possesso dell’autorizzazione quindi esso sussiste anche quando il
comportamento sussiste dopo che l’autorizzazione è scaduta. Cass. Pen., sez. III, 7.6.2005,
n. 25813.
4. La tutela
dei beni di interesse pubblico. Il reato di danneggiamento al patrimonio
archeologico, storico o artistico nazionale.
L'oggetto giuridico
protetto da tale norma è rappresentato dal bene-interesse della collettività a
godere e fruire di tutto ciò che materialmente attesta la civiltà nazionale
nelle varie espressioni culturali di tutte le epoche. Cass. pen., sez. III,
12.5.1993, CP, 1995, 556.
Nel caso in cui il
bene sia di proprietà pubblica è necessario che esso appartenga al demanio
culturale.
Nel caso in cui il
bene danneggiato sia di proprietà privata, magari dello stesso danneggiante,
diventa elemento costitutivo del reato l’atto col quale avviene l’imposizione
del vincolo.
La giurisprudenza
ha precisato che la notifica al proprietario del bene, prevista dalla
legislazione in materia di antichità e belle arti ai fini della imposizione del
vincolo d'interesse storico-artistico, richiede una dichiarazione del ministro
o soprintendente, senza di che la semplice notificazione compiuta dal messo
comunale è viziata di incompetenza assoluta, ed il vincolo è inesistente;
pertanto, in caso di danneggiamento del bene, è inapplicabile l'art. 733, c.p.
Pret. Firenze, 20.7.1989, FI, 1992, II, 375.
Per contro poiché
la nullità della notificazione con cui è imposto un vincolo di interesse
storico-artistico, per omessa sottoscrizione del ministro o soprintendente, è
sanabile, sia attraverso il rinnovo dell'atto che attraverso l'acquiescenza del
destinatario, il deterioramento del bene vincolato è punibile ai sensi
dell'art. 733, c.p. Pret. Firenze, 19.6.1990, FI, 1992, II, 374.
5. Il soggetto
attivo del reato.
Alcune sentenze
sono portate ad una interpretazione estensiva comprendendo il concorso anche
con altri soggetti, purché questi ultimi abbiano piena
conoscenza del
pregio artistico della cosa danneggiata.
E' ben vero che la
norma prevede un'ipotesi di reato proprio, che cioè può essere commesso solo
dal proprietario, ma non è esclusa la partecipazione di un concorrente extraneus,
quando questi sia a conoscenza della qualifica posseduta dagli estranei; è così
configurabile il concorso nel reato del sindaco, del quale risulti evidente sia
il contributo causale alla verifica del fatto, sia la volontà di cooperare nel
reato. Pret. Belluno, 29.10.1992, RGE, 1993, I, 985.
6. La
distruzione o il deturpamento di bellezze naturali.
La giurisprudenza
ha affermato che la tutela fornita dall'art. 734, c.p., ha per oggetto le
menomazioni permanenti o le distruzioni dell'ambiente, in tutte le sue componenti
essenziali, ivi compresa la fauna e la flora. Integra l'ipotesi di cui all'art.
734 c.p. - che si configura come reato di danno - la condotta di chi, in
assenza delle necessarie autorizzazioni, prosegua l'attività di escavazione in
zona sottoposta a vincolo ambientale, deturpando così le bellezze naturali
dell'area. Pret. Roma, 20.12.1996, CP, 1997, 3200.
6.1. Gli effetti
della autorizzazione amministrativa.
La giurisprudenza
meno recente che afferma che l'attività, debitamente autorizzata dalla
competente autorità amministrativa, del soggetto che astrattamente viola l'art.
734 c. p. non integra gli estremi della contravvenzione di cui all'art. 734 del
c.p., non soltanto per difetto dell'elemento psicologico, bensì anche di quello
materiale del reato. Cass. pen., sez. II, 14.3.1988, GP, 1989, II, 293.
Detto indirizzo
giurisprudenziale esclude che possa configurarsi il reato quando il
comportamento del soggetto attivo sia stato autorizzato; né l'autorizzazione
può essere disapplicata dal giudice penale ai sensi dell'art. 5, l. 20.3.1865,
n. 2248, all. E), che concerne solo atti incidenti negativamente su diritti
soggettivi. Cass. pen., sez. III, 10.2.1987, CP, 1990, I, 1287.
6.2. Il potere
del giudice.
Il giudice deve
accertare la piena consapevolezza del reo dell'inadempimento delle prescrizioni
espresse con parere dalla Commissione Beni Ambientali, con evidente
travisamento del fatto e con eccesso di potere. Detto comportamento esclude ictu
oculi ogni buona fede dei progettisti e dei responsabili del servizio
costruzioni. Cass. Pen., sez. un., 21.1.1993.
7.
I reati contro i beni culturali previsti dal d.lg. 22.1.2004, n. 42.
La giurisprudenza
precedente all’entrata in vigore del codice dei beni culturali ha affermato che
integra il reato di cui all'art. 118, d.lg. 29.10.1999, n. 490, che prevede
l’esecuzione di opere su beni culturali in difetto di autorizzazione, la
mancata ottemperanza alle condizioni apposte dalla p.a. in sede di rilascio del
provvedimento autorizzativo, atteso che in tale ipotesi esso deve considerarsi
inefficace.
Fattispecie nella
quale la autorizzazione alla installazione dell'impianto di illuminazione della
cattedrale di Trani era condizionata alla necessità che ogni passaggio
esecutivo fosse verificato da sopralluogo della sovrintendenza. Cass. Pen., sez. III, 17.1.2002,
n. 11275, CP,
2003, 239.
La
giurisprudenza ha affermato che il reato di cui all'art. 118, d.lg. 29.10.1999,
n. 490, non si estingue in conseguenza del rilascio della concessione in
sanatoria, di cui all'art. 13, l. 28.2.1985, n. 47, come avviene ex art. 22
stessa legge per il reato urbanistico, dato che il rilascio della concessione
in sanatoria estingue soltanto i reati previsti dalle norme urbanistiche e non
anche quelli previsti da altre disposizioni di legge. Cass. Pen., sez.
III, 15.2.2002, n. 11149, CP, 2003, 972.
8. I reati contro i beni
ambientali previsti dal d.lg. 22.1.2004, n. 42.
La
dottrina rileva come l’art. 181, d.lg. 22.1.2004, n. 42, non sia per niente
chiara poiché richiama una disposizione ora abrogata, l’art. 20, l. 47/1985, e
sostituita dall'art. 44, d.p.r.
380/2001.
Gentile 2005, 968.
8.1.
I reati contro i beni ambientali di particolare pregio.
Pur aumentando le
pene per i reati ambientali la l. 308/2004, art. 1, 36° co., lett. c), ha
introdotto la possibilità del rilascio della autorizzazione postuma con effetti
estintivi del reato paesaggistico per tre tipologie di abusi minori,
modificando l’art. 181, d.lg. 22.1.2004, n. 42.
La dottrina si è
posta il problema dell’estensione della non punibilità ai concorrenti che non
abbiano richiesto il rilascio della dichiarazione di conformità. Essa ritiene
ammissibile l’estensione dell’effetto premiale a tutti coloro che, a qualsiasi
titolo sono stati coinvolti nell’abuso, poiché la norma non impone di
richiedere la sanatoria personalmente. Bisori 2005, 509.
Il codice dei beni
culturali, d. lg. 42/2004, art. 146, 10° co., lett. c), ha espressamente negato
la possibilità di rilascio di autorizzazione postuma successivamente alla
realizzazione anche parziale degli interventi.
La l. 308/2004
cambia radicalmente indirizzo e, all’art. 1, 37° co., disciplina il condono
ambientale.
La norma introduce
una speciale causa di estinzione del reato paesaggistico con effetti più
dilatati rispetto all’art. 32, 43° co., l. 326/2003.
Si determina,
infatti, l’estinzione sia del reato di cui all’art. 181, d.lg. 42/2004, sia di
quello previsto dall’art. 734, c.p., disponendo, inoltre, la scadenza più
favorevole del 30.9.2004. Molinaro 2005, III, 89.
9. I reati
previsti dalla l. 6.12.1991, n. 394 sulle aree protette.
La
giurisprudenza ha precisato che l'operatività dell'art. 13, 1° co., l.
6.12.1991, n. 394, nella parte in cui stabilisce che il rilascio di concessioni
o autorizzazioni relative ad interventi, impianti ed opere all'interno del
parco è sottoposto al preventivo nulla osta dell'Ente parco e della correlativa
sanzione penale prevista dal successivo art. 30, 1° co., l. 6.12.1991, n. 394,
non sono subordinati alla previa approvazione del nuovo piano e del nuovo
regolamento del parco.
In
mancanza di detta approvazione occorre, infatti, fare riferimento ai piani
paesistici, territoriali o urbanistici ed agli altri eventuali strumenti di
pianificazione di cui è menzione nel succitato art. 12, c. 7, l. 6.12.1991, n.
394, i quali restano in vigore fino al momento della loro prevista sostituzione
con il nuovo piano. Cass. pen., sez. III, 27.5.1999, n. 11537, CP, 2001,
269.
10. I reati
previsti dal t.u. 25.7.1904, n. 523.
La giurisprudenza
ha precisato che il divieto di sostituzione delle pene detentive brevi, posto
dall'ultimo comma dell'art. 60, l. 24.11.1981, n. 689, secondo il quale la
sostituzione non opera in materia edilizia ed urbanistica quando la pena
detentiva non è alternativa a quella pecuniaria, pur in presenza di una
concezione ampia della materia urbanistica coincidente con l'assetto
complessivo del territorio, non comprende il testo unico sulle opere idrauliche
del 25.7.1904, n. 253. La specifica finalità di tale disposizione è, infatti,
tesa a consentire la disponibilità di una idonea fascia libera per intervenire
sugli argini in caso di esondazione dei corsi d'acqua. Cass. Pen., sez. III, 20.3.2001,
n. 16104, CP,
2002, 1790.
1. La tutela
penale dei beni pubblici.
La tutela penale
sui beni pubblici si articola in due filoni principali.
Il primo è
quello che prevede la tutela sui beni demaniali il secondo è quello che tutela
i beni di interesse pubblico.
La tutela dei
beni demaniali trova riferimento nelle fattispecie previste dall’art. 633 c. p.
che reprime l’invasione di terreni demaniali e nella legislazione speciale come
ad esempio l’occupazione abusiva del demanio marittimo prevista dagli artt. 54
c.n. che sanziona le innovazioni abusive sul demanio marittimo e l’art. 1161 c.
n.
In tal caso è
l’appartenenza al patrimonio pubblico che costituisce elemento costitutivo
della fattispecie criminosa
La tutela i beni
di interesse pubblico è sicuramente la disciplina più articolata; essa non è
riconnessa all’appartenenza del bene al patrimonio pubblico poiché il bene può
essere di proprietà di altri soggetti, ma la tutela è fondata su altri valori
che il legislatore intende preservare.
LA tutela del
paesaggio la tutela del patrimonio storico artistico sono elementi fondanti
della tutela e l’elemento costitutivo del reato è l ben che deve essere
compreso fra le categorie di beni che il legislatore intende salvaguardare.
Questa tutela trova
riferimento nelle fattispecie previste dall’art. 733 c. p. che sanziona il
reato di danneggiamento del patrimonio archeologico storico o artistico e
dall’artt. 734 c.p. che sanziona la distruzione o il deturpamento delle
bellezze naturali.
La
legislazione speciale rafforza la tutela per i reati contro i beni culturali,
prevista dall’art. 169, d.lg. 22.1.2004, n. 42, per i reati contro i beni
ambientali previsti dall’art. 181, d.lg. 22.1.2004, n. 42.
reati contro le
aree protette previsti dall’art. 30, l. 6.12.1991, n. 394, reati contro il
mancato rispetto dei divieti di realizzare opere in vicinanza di fiumi,
previsti dal t.u. 25.7.1904, n. 523.
2.
L’invasione di terreni demaniali
Il reato di
invasione previsto dall’art. 633, c.p., va ricondotto ad una qualunque
introduzione dall'esterno, con modalità violente.
Il reato sanziona
sia l’invasione di immobili privati che pubblici non riconnettendo al fatto che
l’immobile sia pubblico una particolare gravità; tanto è vero che non sono
previste aggravanti specifiche.
Il nucleo
essenziale della condotta tipica consiste, dunque, nell'accesso arbitrario o
violento all'edificio altrui, non può, conseguentemente, ritenersi rientrare in
tali ipotesi la condotta di chi si trattenga oltre l'orario d'ufficio presso un
edificio pubblico.
1. Chiunque invade
arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di
occuparli o di trarne altrimenti profitto, è punito, a querela della persona
offesa, con la reclusione fino a due anni o con la multa da 103 euro a 1.032
euro.
2. Le pene si applicano congiuntamente, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso da più di cinque persone, di cui una almeno palesemente armata, ovvero da più di dieci persone, anche senza armi.
2. Le pene si applicano congiuntamente, e si procede d'ufficio, se il fatto è commesso da più di cinque persone, di cui una almeno palesemente armata, ovvero da più di dieci persone, anche senza armi.
(art.
633 c.p.).
La ratio
dell'art. 633, c.p., risiede nell'esigenza di proteggere il patrimonio
immobiliare da arbitrarie intromissioni perpetrate da parte di terzi (Trib. Siena, 29.10.2001, RGPL, 2002, 510).
Il
reato di invasione di terreni ed edifici è connotato da una specifica
destinazione alla tutela degli interessi proprietari e presuppone nell'agente
il dolo specifico della occupazione della cosa altrui al fine di trarne profitto.
La dimostrazione dell'esistenza dell'elemento soggettivo così connotato non
discende in modo automatico dalla consapevolezza che l'autorizzazione
rilasciata dall'amministrazione, cui corrisponde una volontà effettiva di
consentire l'attività edificatoria, è illegittima per violazione di legge.
La
consapevolezza di procedere ad attività edilizia su terreno demaniale in base
ad un'autorizzazione paesistica illegittima, mentre non esclude la
responsabilità penale per la violazione della normativa urbanistica, non
implica necessariamente quella per la violazione dell'art. 633 c. p. e quelli
di cui agli artt. 632 e 639, c. p., con il primo collegati.
(Cass. Pen., Sez. II, 20.1.2006, n. 2592).
Il
delitto di invasione di terreni demaniali di cui agli artt. 633 e 639 cod. pen.
ha natura permanente, atteso che l'offesa al patrimonio demaniale perdura sino
a che continua l'invasione arbitraria del terreno al fine di occuparlo o di
trame profitto (Cass. Pen., Sez. II, 20.1.2006, n. 2592).
3. L’abusiva
occupazione del demanio marittimo.
Il reato previsto
all’art. 55 e 1161 c. n. sanziona l’abusiva occupazione di spazio demaniale
senza l’autorizzazione prevista dall’art. 55, c.n.
La ratio incriminatrice
si fonda nell'interesse pubblico a che, nella proprietà privata contigua al
demanio marittimo, non siano realizzate opere idonee a pregiudicare la
sicurezza della navigazione (Cass. pen., sez. III, 5.11.1999 n. 3442, RGE,
2000, I, 1211).
1. Chiunque arbitrariamente
occupa uno spazio del demanio marittimo o aeronautico o delle zone portuali
della navigazione interna, ne impedisce l'uso pubblico o vi fa innovazioni non
autorizzate, ovvero non osserva i vincoli cui è assoggettata la proprietà
privata nelle zone prossime al demanio marittimo od agli aeroporti, è punito
con l'arresto fino a sei mesi o con l'ammenda fino a 516 euro, sempre che il
fatto non costituisca un più grave reato.
2. Se l'occupazione di cui al primo comma è effettuata con un veicolo, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire duecentomila a lire un milione duecentomila; in tal caso si può procedere alla immediata rimozione forzata del veicolo in deroga alla procedura di cui all'art. 54.
2. Se l'occupazione di cui al primo comma è effettuata con un veicolo, si applica la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire duecentomila a lire un milione duecentomila; in tal caso si può procedere alla immediata rimozione forzata del veicolo in deroga alla procedura di cui all'art. 54.
(art. 1161, c.n.).
La giurisprudenza
ritenne che configuri il reato di abusiva occupazione di spazio demaniale la
costruzione e successiva utilizzazione di una discesa al mare realizzata in
blocchi di cemento mediante sbancamenti di sabbia e collocazione di massi di
contenimento. Deve essere provata in tal caso la riconducibilità del complesso
balneare alla proprietà dell'appellante e l'utilizzo delle opere medesime da
parte dell'imputato (Cass. Pen., sez. III, 23.9.2005,
n. 40535).
Il reato di cui
all’art. 54 c. n. è strettamente connesso al fatto che il soggetto attivo non
sia in possesso dell’autorizzazione quindi esso sussiste anche quando il
comportamento sussiste dopo che l’autorizzazione è scaduta
Il reato di cui
all’art. 1161 c. n. si configura anche in ipotesi di prosecuzione della
occupazione dello spazio demaniale dopo la scadenza del titolo autorizzativo, a
nulla rilevando in proposito la esistenza di trattative in corso per il rinnovo
dalla autorizzazione.
(Cass. Pen., sez. III, 7.6.2005, n. 25813).
4. La tutela dei
beni di interesse pubblico. Il reato di danneggiamento al patrimonio
archeologico, storico o artistico nazionale.
L’art. 733, c. p.,
punisce chiunque distrugga, deteriora o comunque danneggia un monumento o
un’altra cosa propria di cui gli sia noto il rilevante pregio, se dal fatto
deriva un nocumento al patrimonio storico o artistico nazionale, con l’arresto
fino ad un anno o con l’ammenda non inferiore a quattro milioni.
La giurisprudenza
conferma che l'art. 733, c. p., prevede nella parte precettiva l'obbligo a chi
ha la disponibilità dei beni sia di prevenire ed evitare ogni forma di
danneggiamento degli stessi sia di fare tutto ciò che è opportuno per la buona
conservazione del bene.
La violazione di
tale obbligo integra, sotto il profilo oggettivo, un reato di danno a forma
libera e permanente.
L'evento lesivo
dell'oggetto materiale, infatti, può verificarsi sia attraverso un solo atto,
istantaneamente, sia attraverso un comportamento continuo e prolungato, attivo
o inerte, come per esempio il persistente stato di abbandono, tale da lasciare
il bene materiale privo di ogni tutela da aggressioni umane, cosiddetto
vandalismo, dai fattori naturali, quali, ad esempio, insetti o agenti
atmosferici, o da elementi chimico-fisici, quali, ad esempio, i fattori
inquinanti (Cass. pen., sez. III, 12.5.1993, CP, 1995, 556).
Rientra nel
concetto di danneggiamento qualunque condotta sia commissiva che omissiva che
diminuisca sensibilmente il valore della cosa.
Integra il reato di
cui all'art. 733, c.p., la condotta dei proprietari di un palazzo notificato
per il suo particolare valore storico-artistico. Essi, omettendo per incuria
l'esecuzione di lavori di manutenzione e di restauro degli elementi lapidei
disgregantesi per effetto degli agenti atmosferici - che hanno determinato
l'intervento della pubblica amministrazione per la messa in opera ed il
mantenimento per oltre un ventennio di un vistoso ponteggio parasassi a tutela
della pubblica incolumità - concorrono a cagionare una grave alterazione degli
elementi architettonici e la duratura obliterazione della facciata con elementi
posticci (Pret. Firenze, 5.6.1990, GM, 1992, 1336).
Per la sussistenza
dell'elemento psichico del reato non si richiede il dolo ma è sufficiente la
colpa: è però necessario, in ogni caso, che l'agente abbia la consapevolezza
del rilevante pregio della cosa (Cass. pen., sez. III, 15.10.1980, CP,
1982, 245).
Occorre verificare
se dal fatto sia derivato un danno al patrimonio archeologico nazionale, atteso
che tale nocumento costituisce una condizione obiettiva di punibilità, nonché
accertare che l'agente proprietario della cosa danneggiata sia consapevole del
rilevante pregio del bene, anche se in assenza della imposizione del vincolo
storico artistico, che non costituisce un elemento presupposto dalla norma
incriminatrice.
La
contravvenzione di cui all'art. 733 c.p. configura un reato di evento, e più
esattamente un reato di danno, giacché si perfeziona solo quando la condotta
dell'agente provochi la distruzione, il deterioramento o il danneggiamento di
monumenti o di altre cose di pregio rilevante, se dal fatto derivi un nocumento
al patrimonio artistico nazionale (Cass. pen., sez. III, 29.11.2000, n. 4001).
5. Il soggetto
attivo del reato.
La violazione
contemplata dall'art. 733, c.p., in tema di danneggiamento del patrimonio
archeologico, storico o artistico nazionale può essere commessa anche da
soggetti diversi dal proprietario del bene.
La giurisprudenza
in tal senso ha precisato che il danneggiamento di beni privati di particolare
interesse artistico, storico o archeologico non notificati è punibile
rispettivamente a norma degli artt. 635 o 733 c.p. ove avvenga ad opera di
terzo estraneo ovvero ad opera del proprietario, possessore o detentore di
essi, sempre che, in quest'ultimo caso, l'agente sia consapevole del loro
rilevante pregio (Trib. Venezia, 2.10.2000, ND 2000, 1099).
Per un altro
indirizzo giurisprudenziale soggetto attivo del reato è solo il proprietario
della cosa, non il possessore in quanto tale e tanto meno il semplice
detentore.
I terzi estranei
alla proprietà possono solo concorrere col proprietario alla commissione della
contravvenzione.
Questa
interpretazione letterale risponde anche alla ratio implicita della
norma che, nell'interesse pubblico alla salvaguardia del patrimonio artistico,
storico e archeologico della nazione, ha voluto costituire un vincolo giuridico
a carico dei proprietari privati di cose aventi pregio artistico, storico o
archeologico, impedendo loro di danneggiarle o deteriorarle (Cass. pen., sez.
III, 29.4.1998, n. 1521, CP, 2000, 51).
La giurisprudenza è
incerta nell’affermare se il soggetto attivo del reato sia solo il proprietario
e non anche il legale rappresentante di ente pubblico.
La giurisprudenza è
divisa. Talune sentenze sono per una soluzione restrittiva affermando che
l'ambito di operatività dell'art. 733 c.p. è ristretto al solo privato che
abbia danneggiato un monumento o una cosa d'arte di sua proprietà, e non
comprende fatti posti in essere dal legale rappresentante di ente pubblico
(Cass. pen., sez. II, 4.11.1993, FI, 1994, II, 137).
La Suprema Corte ha
escluso che soggetto attivo del reato possa essere il dipendente pubblico che
gestisce il bene di rilevante pregio storico, archeologico ed artistico di
pubblica appartenenza (Cass. pen., sez. II, 4.11.1993, CP, 1995, 551).
6. La
distruzione o il deturpamento di bellezze naturali.
L’art. 734, c.p.,
punisce con l’ammenda da Euro a Euro , chiunque mediante costruzioni,
demolizioni, o in qualsiasi altro modo, distrugge o altera le bellezze naturali
dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell’Autorità se dal fatto deriva
un nocumento al patrimonio storico o artistico nazionale.
La giurisprudenza
propende correttamente per una interpretazione estensiva ritenendo che per
definire il concetto di bellezza naturale non può farsi esclusivo riferimento
alla l. 29.6.1939, n. 1497, e mod., che tutela i beni paesistici quale fonte di
godimento estetico, ma, alla luce dei principi costituzionali di cui all’art.
9, cost., va considerato il bene ambientale nel suo complesso.
La violazione del
vincolo paesaggistico e del danno ambientale devono essere oggetto di autonoma
ed apposita valutazione, non essendo legata la lesione dell'interesse protetto
dalle norme relative a tali specifici aspetti alla assoggettabilità o meno a
concessione edilizia dell'attività posta in essere.
Nel caso di specie
la Corte ha annullato con rinvio in parte qua la sentenza di assoluzione
per i reati previsti dagli art. 1 sexies, l. 431 del 1985, e 734, c.p.,
fondata sul solo presupposto della non necessità di concessione edilizia
dell'opera (Cass. pen., sez. III, 7.7.2000, n. 9138, RP, 2001, 662).
La giurisprudenza
ha ritenuto corretta l'applicazione dell'art. 734, c.p., relativamente a
ripetuti episodi di inquinamento che avevano provocato estese morie di pesci
negli allevamenti e nel fiume, oggetto di speciale protezione paesistica (Cass.
pen., sez. II, 19.9.1990, CP, 1992, 2186).
E’ stato ravvisato
in reato nella alterazione della Villa Comunale di Napoli, non solo per il suo
degrado in genere, ma anche perché il parco era ridotto ad una autorimessa
pubblica, occupato da una massiccia e costante presenza di autovetture lasciate
in sosta.
L'evento della
alterazione delle bellezze naturali consiste nella diminuzione del godimento
estetico che il luogo offriva, e ciò avviene anche quando il luogo, pur
rimanendo invariato, non sia più fruibile per gli ostacoli frapposti (Cass.
pen., sez. III, 10.12.1991).
L'attività di cava,
che si svolga in assenza di autorizzazione paesaggistica, consente al
magistrato penale l'accertamento circa l'alterazione del paesaggio, ex art.
734, c.p., dovendosi stabilire in concreto il danno (Cass. pen., sez. III,
1.7.1992, CP, 1994, 145).
La
giurisprudenza ribadisce la necessità che si tratti di un area vincolata per
aversi il reato. Nel caso in cui risulti accertata l'esistenza soltanto di un
vincolo idrogeologico interessante la zona ove è stata eseguita la costruzione
abusiva, con esclusione di qualsiasi vincolo paesaggistico comunque imposto,
non è configurabile il reato di cui all'art. 1 sexies, l. 8.8.1985, n.
431, né quello di cui all'art. 734, c.p., che presuppone l'imposizione di un
vincolo a tutela delle bellezze naturali e del paesaggio (Cass. pen., sez. III,
28.2.1997, n. 4423, CP, 1998, 1472).
La distruzione o
l'alterazione del paesaggio si verifica, nell'ipotesi di costruzione o
demolizione, all'epoca della ultimazione delle dette attività.
In quel momento il
danno è ormai intervenuto.
La successiva
protrazione del medesimo non configura una prosecuzione della condotta, ormai
esaurita, ma soltanto un effetto duraturo nel tempo.
Il reato è quindi
permanente, ma detta permanenza termina con la cessazione dei lavori (Cass.
pen., sez. fer., 26.7.1993, CP, 1994, 2196).
6.1. Gli effetti
della autorizzazione amministrativa.
Il fatto che l’opera
sia stata oggetto di autorizzazione amministrativa non esclude la sussistenza
della violazione delle bellezze naturali, ma può assumere semmai rilevanza in
materia di valutazione dell'elemento psicologico o della gravità del reato.
La prevalente giurisprudenza
ritiene che il fatto che la costruzione e il permesso di costruire siano
conformi alla normazione urbanistica forma elemento costitutivo o normativo dei
reati contemplati dall'art. 44, d.p.r. 380/2001, in relazione all'interesse
sostanziale protetto (Cass. Pen., sez. III, 16.10.2002, n. 18746).
Qualora l'opera
eseguita abbia distrutto, alterato, deturpato od occultato le bellezze naturali
soggette al vincolo paesaggistico, il reato di cui all'art. 734, c.p.,
indipendentemente dalla concessione e/o del nulla-osta amministrativo, è
comunque integrato a carico contestualmente del titolare dei lavori ed
eventualmente a carico contestuale dell'amministratore comunale firmatario
della concessione medesima (Pret. Terni, 26.4.1994, RP, 1994, 771).
Il reato è, però,
ugualmente configurabile quando l'entità dell'alterazione infici, per la sua
enormità, la presunzione di legittimità del nulla-osta su cui il soggetto aveva
ragione di confidare. (Cass. pen., sez. III, 29.9.1992, CP, 1994, 927).
Infatti, la
giurisprudenza precedente all’entrata in vigore del t.u. ed. ritiene che, in
presenza di una concessione edilizia illegittima, non si tratta di disapplicare
un atto amministrativo bensì di valutare la sussistenza di un elemento
normativo della fattispecie penale.
Traendo spunto
dall'interesse sostanziale protetto dal D.P.R. 380/2001 la prevalente
giurisprudenza afferma essere interesse sostanziale quello della protezione del
territorio e, quindi, la legittimità dell'atto deve costituire elemento normativo
della fattispecie di cui all'art. 44, d.p.r. 380/2001.
La giurisprudenza
afferma che il provvedimento illecito e non illegittimo può essere frutto di
attività criminosa del soggetto pubblico che lo rilascia o del soggetto privato
che lo consegue e, quindi, non è riferibile oggettivamente alla sfera del
lecito giuridico.
L’affermazione
consente di evidenziare come l'area della c.d. collusione, non indicativa di
uno specifico reato perché insussistente nel codice penale comune, debba essere
ampliata alle attività fraudolente del richiedente, non colpite per inerzia
della p.a., e possa essere riferita genericamente alla sfera dell'illecito
giuridico, che si pone in contrasto con il generale principio del neminem
ledere e con quello di buona fede.
Il giudice può
conoscere incidentalmente di questioni attinenti a dette controversie e
l'elemento soggettivo finisce con il costituire l'effettiva verifica della
macroscopicità della violazione alla normazione urbanistica e con il
salvaguardare i vari valori costituzionali implicati, tutti di eguale forza, in
aderenza a quella concezione del diritto penale che attribuisce sempre maggior
rilevanza alla colpevolezza ed alla buona fede, strumento indispensabile per
bilanciare i vari interessi.
Pertanto, si deve
riconoscere la possibilità di sindacare la legittimità della concessione
edilizia, di quella in sanatoria, del condono e di tutte le cause di
giustificazione oppure di quelle speciali di estinzione dei reati giacché, se
il potere di disapplicazione deriva dall'art. 101 Cost., logicamente i termini
concessione, autorizzazione, atto amministrativo in generale devono presupporre
la loro conformità alla legge.
E’ in contrasto con
gli stessi principi costituzionali in materia penale considerare ammissibile un
comportamento posto in essere in una condizione di illegittimità se non sia
previsto da una specifica norma.
Non si discute più
della facoltà di disapplicare un atto amministrativo e dei relativi poteri del
giudice penale, ma del potere accertativo di detto magistrato dinanzi ad un
provvedimento che costituisce presupposto o elemento normativo di un reato.
L'esame deve
riguardare non l'esistenza ontologica dello stesso, ma l'integrazione o meno
della fattispecie penale in vista dell'interesse sostanziale che tale fattispecie
assume a tutela, nella quale gli elementi di natura extrapenale convergono
organicamente, assumendo un significato descrittivo (Cass. Pen., sez. un.
21.12.1993).
6.2. Il potere
del giudice.
La giurisprudenza
rimette la valutazione del danno all’apprezzamento del giudice a prescindere da
autorizzazioni amministrative.
Il giudice ha il
potere di accertare se, in concreto, l'opera eseguita abbia distrutto,
alterato, deturpato od occultato le bellezze naturali soggette al vincolo
paesaggistico, indipendentemente dalla concessione comunale e/o dal nullaosta
amministrativo regionale.
Il relativo
giudizio è incensurabile in sede di legittimità, se adeguatamente e
correttamente motivato (Cass. pen., sez. III, 1.10.1998, n. 1773, CP,
1999, 3228).
L’orientamento
giurisprudenziale prevalente ha affermato che, ai fini dell'applicazione
dell'art. 734 c.p., è demandato sempre al giudice penale l'accertamento della
sussistenza della distruzione o alterazione delle bellezze naturali dei luoghi
soggetti alla speciale protezione dell'autorità, indipendentemente da ogni
valutazione della pubblica amministrazione.
Si tratta, infatti,
di reato di danno e non di pericolo, caratterizzato dall'alterazione o
distruzione della bellezza naturale, per questo l’accertamento dell'evento
concretante la contravvenzione spetta al giudice.
Il provvedimento
della pubblica amministrazione può assumere, al limite, rilevanza in materia di
valutazione dell'elemento psicologico (Cass. Pen., sez. III, 3.3.2004,
n. 15299, CP,
2005, f. 1, 34).
7.
I reati contro i beni culturali previsti dal d.lg. 22.1.2004, n. 42.
Il
d.lg. 22.1.2004, n. 42, che approva il codice dei beni culturali e del
paesaggio, sanziona penalmente coloro che trasgrediscono ai suoi disposti.
La
contravvenzione stabilita dall’art. 169, d.lg. 22.1.2004, n. 42, punisce con
l’arresto da sei mesi ad un anno e con l’ammenda da 774 Euro a 38.734 Euro, chi
rientra in una delle seguenti ipotesi di reato:
a)
chiunque senza autorizzazione demolisce, rimuove, modifica, restaura ovvero
esegue opere di qualunque genere sui beni culturali indicati nell'art. 10;
b) chiunque, senza l'autorizzazione del Soprintendente, procede al distacco di affreschi, stemmi, graffiti, iscrizioni, tabernacoli ed altri ornamenti di edifici, esposti o no alla pubblica vista, anche se non vi sia stata la dichiarazione prevista dall'articolo 13;
c) chiunque esegue, in casi di assoluta urgenza, lavori provvisori indispensabili per evitare danni notevoli ai beni indicati nell'articolo 10, senza darne immediata comunicazione alla Soprintendenza ovvero senza inviare, nel più breve tempo possibile, i progetti dei lavori definitivi per l'autorizzazione.
La stessa pena si applica in caso di inosservanza dell'ordine di sospensione dei lavori impartito dal Soprintendente, ai sensi dell'art. 28, d.lg. 22.1.2004, n. 42.
b) chiunque, senza l'autorizzazione del Soprintendente, procede al distacco di affreschi, stemmi, graffiti, iscrizioni, tabernacoli ed altri ornamenti di edifici, esposti o no alla pubblica vista, anche se non vi sia stata la dichiarazione prevista dall'articolo 13;
c) chiunque esegue, in casi di assoluta urgenza, lavori provvisori indispensabili per evitare danni notevoli ai beni indicati nell'articolo 10, senza darne immediata comunicazione alla Soprintendenza ovvero senza inviare, nel più breve tempo possibile, i progetti dei lavori definitivi per l'autorizzazione.
La stessa pena si applica in caso di inosservanza dell'ordine di sospensione dei lavori impartito dal Soprintendente, ai sensi dell'art. 28, d.lg. 22.1.2004, n. 42.
La
dottrina esclude la conversione della pena detentiva in pecuniaria posto il
limite massimo della pena edittale che non deve essere superiore ai tre mesi, ex
art. 53, l. 689/1981, e l’oblazione trattandosi di pena detentiva congiunta
alla pena pecuniaria (Tamiozzo 2005, 748).
7.1. I delitti in materia di
alienazione.
Un gruppo di
delitti è previsto dall’art. 173, d.lg. 42/2004, per le violazioni in materia
di alienazione. La pena edittale della reclusione fino ad un anno e della multa
da euro 1.549,50 a euro 77.469 si applica a tre differenti fattispecie, ex
art. 173, d.lg. 42/2004, mod. dall'art. 3, 1° co., lett. b), d.lg.
24.3.2006, n. 156.
La prima prevede il fatto di chi, senza la prescritta autorizzazione, alieni i beni culturali indicati negli artt. 55 e 56, d.lg. 42/2004.
La seconda contempla la ipotesi di chi, essendovi tenuto, non presenta, nel termine indicato all'art. 59, 2° co., d.lg. 42/2004, la denuncia degli atti di trasferimento della proprietà o della detenzione di beni culturali.
La giurisprudenza ha ritenuto configurabile il reato di cui all'art. 173 del citato d.lg. n. 42, che punisce la omessa presentazione della denuncia degli atti di trasferimento della proprietà o della detenzione di beni culturali, anche in relazione al patrimonio culturale reale.
La prima prevede il fatto di chi, senza la prescritta autorizzazione, alieni i beni culturali indicati negli artt. 55 e 56, d.lg. 42/2004.
La seconda contempla la ipotesi di chi, essendovi tenuto, non presenta, nel termine indicato all'art. 59, 2° co., d.lg. 42/2004, la denuncia degli atti di trasferimento della proprietà o della detenzione di beni culturali.
La giurisprudenza ha ritenuto configurabile il reato di cui all'art. 173 del citato d.lg. n. 42, che punisce la omessa presentazione della denuncia degli atti di trasferimento della proprietà o della detenzione di beni culturali, anche in relazione al patrimonio culturale reale.
Il riferimento contenuto
nell'art. 2, d.lg. 22.1.2004, n. 42, alle altre cose individuate dalla legge o
in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà costituisce una
formula di chiusura che consente di ravvisare il bene giuridico protetto dalle
nuove disposizioni sui beni culturali ed ambientali non soltanto nel patrimonio
storico-artistico-ambientale dichiarato, ma anche in quello reale, ovvero in
quei beni protetti in virtù del loro intrinseco valore, indipendentemente dal
previo riconoscimento da parte della autorità competenti
La fattispecie si configura
quale reato di pericolo volto a tutelare non solo la preservazione del
patrimonio archeologico, storico ed artistico, ma anche l'interesse alla
individuazione delle cose appartenenti a detto patrimonio.
Le previsioni sanzionatorie dell'art. 173, d.lg. 42/2004, si correlano a quelle dell'art. 59, 4° co., d.lg. 42/2004.
Le previsioni sanzionatorie dell'art. 173, d.lg. 42/2004, si correlano a quelle dell'art. 59, 4° co., d.lg. 42/2004.
Essa disciplina il
contenuto necessario della denuncia non reca alcun riferimento alla
dichiarazione prevista dall'art. 13, d.lg. 42/2004.
Il trasferimento di
beni culturali appartenenti a privati non deve, pertanto, essere denunziato
soltanto nelle ipotesi in cui sia già intervenuta la dichiarazione di interesse
culturale.
Non deve in ogni caso dimenticarsi, in proposito, che il reato di cui all'art. 173, d.lg. 42/2004, rubricato come delitto, richiede la sussistenza del dolo e questo deve investire, oltre la condotta omissiva, anche la percettibilità della nota di valore della cosa.
La verifica dell'effettiva sussistenza dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico della cosa denunziata non riguarda, invece, il momento prodromico della denunzia di trasferimento: essa è demandata, infatti, dalla legge ad un momento successivo e dovrà essere effettuata dalla pubblica amministrazione sulla base di indirizzi di carattere generale uniformi.
Non deve in ogni caso dimenticarsi, in proposito, che il reato di cui all'art. 173, d.lg. 42/2004, rubricato come delitto, richiede la sussistenza del dolo e questo deve investire, oltre la condotta omissiva, anche la percettibilità della nota di valore della cosa.
La verifica dell'effettiva sussistenza dell'interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico della cosa denunziata non riguarda, invece, il momento prodromico della denunzia di trasferimento: essa è demandata, infatti, dalla legge ad un momento successivo e dovrà essere effettuata dalla pubblica amministrazione sulla base di indirizzi di carattere generale uniformi.
Mentre in tale
fattispecie si ravvisa la necessità di evitare che i beni mobili siano
sottratti al controllo pubblico eccessivamente gravosa appare la norma che
sanziona anche la mancata notifica degli atti di trasferimento di beni
immobili. Questi sono infatti resi facilmente accertabili dal sistema della
pubblicità immobiliare la sanzione deve essere limitata la fatto che semmai il
venditore e l’acquirente vogliono spostare il tempo di esercitare la prelazione
in caso di vendita come risultati controproducenti per entrambi.
Resta da verificare
se sussiste per l’amministrazione una effettiva volontà di esercitare la
prelazione anche nel caso di affitto.
Nel caso di messa
denuncia di beni mobili la possibilità che lo stesso sia sottratto può fare
apparire necessaria una sanzione penale.
Nella denuncia di
beni immobili, invece, l’esercizio della prelazione consente alla pubblica
amministrazione di potere esercitare tranquillamente la prelazione. Per quanto
attiene alla locazione l sistema sanzionatorio appare palesemente punitivo
senza alcuna ragione valida. La giurisprudenza ha delineato il volto
costituzionale del sistema penale che pone limiti alla potestà punitiva in
funzione di una giustizia proporzionale che colleghi la pena all’entità della
sanzione (Corte cost., 14.4.1980, n. 50, GC, 1980, I, 352).
La giurisprudenza
afferma che il reato previsto dall'art. 173, 2° co., d.lg. 42/2004, consistente
nell'omessa denuncia del trasferimento di proprietà o della detenzione di cosa
di interesse artistico o storico, ha natura permanente, in quanto, mancando un
termine entro cui ottemperare a detto obbligo, la condotta omissiva si protrae
fino al momento nel quale la denuncia viene effettuata
La terza prevede il aso in cui
l'alienante di un bene culturale soggetto a prelazione effettui la consegna
della cosa in pendenza del termine previsto dall'art.
61, 1° co., d.lg. 42/2004.
8. I reati contro i beni
ambientali previsti dal d.lg. 22.1.2004, n. 42.
L’art. 181, d.lg.
22.1.2004, n. 42, prevede un autonomo reato per chiunque, senza la prescritta
autorizzazione o in difformità da lei, esegua lavori di qualsiasi genere su
beni paesaggistici.
Ma vi è di più.
L’ipotesi prevista dall’art. 181, 1° co., del d.lgs. citato, non fa chiarezza
sulla pena edittale in quanto si riferisce all’art. 20, l. 47/1985, ora
soppresso e non all'art. 44, d.p.r. 6.6.2001, n. 380, ora vigente.
La giurisprudenza
ha, in via di interpretazione, applicato al reato ambientale la fattispecie più
grave prevista dall’art. 20, lett. c), l. 47/1985.
Di fatto il reato
viene regolamentato dall’art. 181, 1° bis co., del d.lgs. citato, che secondo
la dottrina reca una sanzione pecuniaria che è inferiore a quella prevista per
il corrispondente reato edilizio (Bisori 2005, 508).
Con
la sentenza di condanna il giudice deve ordinare la rimessione in pristino
(Tamiozzo 2005, 778).
8.1.
I reati contro i beni ambientali di particolare pregio.
La l. 308/2004,
art. 1, c. 36, lett. c), ha modificato l’art. 181, d.lg. 22.1.2004, n. 42,
aggiungendo il c. 1-bis.
Tale modifica
aumenta la pena disponendo la reclusione da un a quattro anni qualora i lavori:
a) ricadano su immobili od aree che, ai sensi dell'art. 136, d.lg. 42/2004, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori;
b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell'art. 142, d.lg. 42/2004, ed abbiano cagionato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano avuto come effetto una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi.
a) ricadano su immobili od aree che, ai sensi dell'art. 136, d.lg. 42/2004, per le loro caratteristiche paesaggistiche siano stati dichiarati di notevole interesse pubblico con apposito provvedimento emanato in epoca antecedente alla realizzazione dei lavori;
b) ricadano su immobili od aree tutelati per legge ai sensi dell'art. 142, d.lg. 42/2004, ed abbiano cagionato un aumento dei manufatti superiore al trenta per cento della volumetria della costruzione originaria o, in alternativa, un ampliamento della medesima superiore a settecentocinquanta metri cubi, ovvero ancora abbiano avuto come effetto una nuova costruzione con una volumetria superiore ai mille metri cubi.
La dottrina osserva
come si tratti di una nuova ipotesi di delitto che rappresenta un maggiore
gravità rispetto alle contravvenzioni.
Alla prova del nove
la punibilità del delitto appare inferiore rispetto a quella della
contravvenzione del corrispondente reato edilizio previsto dall'art. 44 del d.p.r. 6.6.2001, n.
380.
La nuova
disposizione non prevede la sanzione pecuniaria congiunta con la detenzione e
perciò non oblazionabile.
La pena detentiva
è, inoltre, destinata alla conversione in pena pecuniaria oggi ammessa per i
reati edilizi a seguito abrogazione dell'art. 60, l. 689/1981 disposta
dall’art. 4, l. 134/2003.
Con le attenuanti
generiche e con i benefici del patteggiamento, è stato calcolato che si può
convertire la pena di sei mesi di reclusione con 6.840 euro di multa (Bisori
2005, 501).
9. I reati previsti
dalla l. 6.12.1991, n. 394 sulle aree protette.
L’art. 30, 1° co.,
l. 394 del 1991, prevede due distinti reati.
Il primo reato
prevede due distinte fattispecie, sanzionate con l’arresto fino a dodici mesi e
con l’ammenda da euro 103 a euro 25.822.
La prima punisce il
mancato rispetto delle misure di salvaguardia emanate dal Ministero
dell’ambiente e dalle regioni intese a proteggere le aree del cosiddetto
patrimonio naturale, costituite, come precisa l’art. 1, L. 394/1991, dalle
formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche che hanno
rilevante valore naturalistico o ambientale.
La seconda sanziona
la mancanza di preventivo nulla osta dell'Ente parco per interventi, impianti
ed opere all'interno del parco.
La giurisprudenza
ha precisato che la realizzazione di interventi, opere e costruzioni in aree
protette deve essere preceduta da tre autonomi provvedimenti: il permesso di
costruire, l'autorizzazione paesaggistica, ed il nulla osta dell'ente parco di
cui alla l. 6.12.1991, n. 394.
La circostanza che
il rilascio di questi due ultimi provvedimenti sia attributo, con legge
regionale, ad un unico organo, non fa perdere agli stessi la loro autonomia,
con la conseguente necessità di una duplice valutazione in merito (Cass. Pen.,
sez. III, 9.10.2003, n. 47706, CP, 2004, 3754).
Il secondo reato
prevede altre due distinte fattispecie, sanzionate con l’arresto fino a sei
mesi e con l’ammenda da euro 103 a euro 12.911.
La prima colpisce
le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del paesaggio
e degli ambienti naturali tutelati, come l’apertura di cave, la modificazione
del regime delle acque con particolare riguardo alla flora, come il relativo
danneggiamento delle specie vegetali protette, o della fauna, come la cattura,
l’uccisione, il danneggiamento e il disturbo delle specie animali.
La giurisprudenza
ha affermato che il reato di cui all'art. 11, 3° co., lett. c), l. 6.12.1991,
n. 394, che proibisce la modificazione del regime delle acque, ha natura
permanente, atteso che questo si riferisce non soltanto alla condotta
finalizzata alla realizzazione delle opere strumentali alla modificazione, che
si esaurisce con la ultimazione delle stesse, ma al fatto di continuare ad
attingere acqua, in quanto con tale condotta si perpetua la modifica del regime
delle acque; conseguentemente la permanenza cessa solo con l'ultimo dei
prelievi non autorizzati (Cass. Pen., sez. III, 4.10.2002,
n. 33170, DGA,
2004, 60).
L'art. 11, 3° co.,
lett. f), l. 6.12.1991, n. 394, prescrive espressamente la necessità della
preventiva autorizzazione degli enti preposti alla tutela delle aree stesse per
l'introduzione, da parte di privati, di armi, esplosivi e qualsiasi mezzo
distruttivo o di cattura, a fissare con sufficiente chiarezza le condotte
vietate e a dettare, in caso di violazione dei divieti previsti, specifiche
sanzioni penali, non sono necessarie ulteriori determinazioni regolamentari per
la sua immediata applicabilità.
Ne discende che, al
fine della configurabilità della contravvenzione al divieto di introduzione di
armi in area protetta, è sufficiente la constatata presenza del privato, senza
la prescritta autorizzazione, all'interno dell'area e in possesso di arma e munizioni,
a prescindere dalla flagranza dell'attività venatoria o dell'atteggiamento di
caccia, costituendo il relativo divieto lo strumento prescelto dal legislatore
per la radicale salvaguardia della fauna protetta.
Fattispecie
relativa all'introduzione non autorizzata di un fucile da caccia e relativo
munizionamento all'interno della riserva naturale biogenetica di Vallombrosa.
(Cass. pen., sez. I, 14.2.2000, n. 2919, CP,
2001, 268).
La giurisprudenza
ha affermato che l'allestimento di un campeggio all'interno di un parco senza
la prescritta autorizzazione integra il reato di cui all’art. 30, l. 6.12.1991,
n. 394.
La richiamata norma
dell’art. 11, 3° co., l. 6.12.1991, n. 394, pur recando un elenco di specifiche
condotte vietate che non comprende la realizzazione di un campeggio abusivo,
proibisce in generale tutte le attività ed opere che possano compromettere la
salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati in relazione alla
flora ed alla fauna protette.
La Corte in
motivazione ha rilevato che la realizzazione di un campeggio pone in pericolo
quanto meno la flora del parco, attraverso opere di sbancamento della terra,
accensione di fuochi ed altro (Cass. Pen., sez. III, 22.10.2002, n. 42209, CP,
2004, 1742).
La seconda sanziona
le attività vietate nelle aree marine protette, come la cattura, la raccolta ed
il danneggiamento delle specie animali e vegetali, l’alterazione delle
caratteristiche delle acque, la navigazione a motore e la discarica dei
rifiuti.
La giurisprudenza
ha precisato che il reato non sussiste nel caso di ormeggio. Il transito e
l'ormeggio in acque protette, nella specie circostanti l'isola di Giannutri,
non integrano il reato di cui all'art. 1-sexies della l. 8.8.1985, n.
431, in riferimento all'art. 30, l. 6.12.1991, n. 394, poiché manca
l'alterazione dello stato dei luoghi vincolati e cioè una modificazione non
momentanea, ma destinata a durare nel tempo. La nozione di alterazione non può
poi essere desunta da leggi regionali, nella specie della Toscana, applicativa
della l. 8.8.1985, n. 431, poiché detto concetto deve essere unitario in tutto
il territorio.
Nel caso la Corte
ha rigettato il ricorso del p.m. avverso il proscioglimento per oblazione dal
reato di cui all'art. 164 c.p. (Cass. pen., sez. III, 10.2.1993, CP,
1994, 1062).
10. I reati
previsti dal t.u. 25.7.1904, n. 523.
Il mancato rispetto
dei divieti di realizzare opere in vicinanza di fiumi formulati dall’art. 96,
t.u. 25.7.1904, n. 523, sulle opere idrauliche, ai sensi dell’art. 100 dello
stesso t.u., soggiacciono alla sanzione stabilita dall'art. 374, l. 20.3.1865,
n. 2248, all. f), non abrogata dal testo unico che si è limitato a riordinare
la materia.
Alle pene di
polizia e alla multa, comminate dalla disposizione del 1865, in virtù dell'art.
1, r.d. 28.5.1931, n. 601, corrispondono quelle dell'arresto e dell'ammenda
(Cass. pen., sez. III, 5.2.1996, CP, 1997, 1852).
La pena consiste
nell’arresto non superiore a tre mesi e nell’ammenda non superiore a 51 euro,
ex artt. 113 e 114, l. 24.11.1981, n. 689.
Il controllo del
giudice penale prescinde dalle eventuali autorizzazioni amministrative.
Spetta, infatti,
all'autorità giudiziaria controllare se l'atto concessorio è stato rispettato
e, in caso negativo, indagare sul relativo reato e prevenirne l'aggravamento (Cass. Pen., sez. III, 3.3.1995,
n. 1038, RTDPE,
1996, 1117).
Il fatto poi che vi siano state
autorizzazioni comunali per opere di bonifica agraria non esonera il ricorrente
dall'osservanza di norme penali aventi peraltro finalità diverse da quella
urbanistica.
Nella specie, relativa a rigetto
di ricorso avverso sentenza di condanna per il reato di cui all'art. 96, lett.
f), t.u. 25.7.1904, n. 523, per avere l'imputato eseguito scavi a distanza
inferiore a dieci metri dal piede dell'argine di un torrente, era stata dedotta
l'inapplicabilità del divieto di realizzare opere nel caso di argine
artificiale (Cass. pen., sez. III, 5.2.1996, n. 2412, CP, 1997, 1852).
11. Il sequestro.
Il sequestro è
misura cautelare penale, disposta con decreto motivato, su richiesta del
pubblico ministero, dal giudice competente a pronunciarsi nel merito o, prima
dell’esercizio dell’azione penale, dal giudice per le indagini preliminari, come
afferma l’art. 321, c.p.p., quando vi è pericolo che la libera disponibilità
della cosa possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare
la commissione di altri reati.
1. Quando vi è
pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa
aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di
altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a
pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell'esercizio
dell'azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari.
(art. 321, c.p.p.).
(art. 321, c.p.p.).
Il sequestro ha lo
scopo di creare un vincolo di indisponibilità sulle cose mobili e sui beni
immobili che sono serviti al titolare per commettere il reato.
Proprio questa
finalità impone che lo strumento giuridico abbia una durata limitata.
La
giurisprudenza ha ritenuto la formale inalienabilità ed impignorabilità dei
beni demaniali, sancita dall'art. 823, c. c., non vale a garantire che su tali
beni o per mezzo di essi possano essere commessi reati e che tali reati, ove
siano tuttora in itinere, possano provocare ulteriori conseguenze
pregiudizievoli dell'interesse primario tutelato dalla norma penale violata.
E’
stato ritenuto legittimo il sequestro di un'area demaniale, allorquando la
misura di cautela reale sia rivolta ad impedire il protrarsi di un'attività
illecita in corso di effettuazione sull'area medesima (Cass. Pen., Sez. VI,
31.1.2001, n. 3947).
Il
sequestro preventivo è rivolto a tutelare l'esigenza di protezione della
collettività dalla prosecuzione dell'attività criminosa ovvero dalla
commissione di nuovi reati e, nella specie, razionalmente è stata ravvisata la
probabilità di danno futuro connessa all'uso considerato illecito che in concreto
è fatto di un'area del demanio militare.
Nella
vicenda in esame, con il sequestro, l'area non è stata sottratta alle finalità
di difesa nazionale alle quali è destinata per la sua natura demaniale. Ciò che
è stato impedito non è l'uso pubblico istituzionale del bene demaniale Cass.
Pen., Sez. III, 16.3.1994, n. 270, bensì l'uso illecito di esso quale sito di
abbandono incontrollato di rifiuti ed in proposito va ricordato che, ai sensi
dell'art. 321, 3° co., c.p.p., il giudice deve revocare immediatamente la
misura di cautela allorquando "risultano mancanti, anche per fatti
sopravvenuti" i requisiti previsti dal 1^ comma dello stesso articolo.
(Cass. Pen., Sez. III, 5.3.2004, n. 10662).
La giurisprudenza
conferma la possibilità di sequestro di beni demaniali in rapporto al reato di
invasione.
Poiché il delitto
ha natura permanente - perché l'offesa al patrimonio demaniale perdura sino a
che continua l'invasione arbitraria del terreno al fine di occuparlo o di
trarne altrimenti profitto – in sede cautelare sussiste il fumus del
delitto di invasione arbitraria di terreno demaniale e sussiste inoltre il periculum
in mora atto a legittimare il sequestro preventivo ai sensi dell'art. 321
c.p.p..
Nella fattispecie
la Cotte ha affermato che la libera disponibilità del terreno da parte del
gestore del campeggio può protrarre e aggravare le conseguenze del reato, e -
in ipotesi di inondazione - può anche agevolare la commissione di altri reati
quali l'omicidio e la lesione personale per colpa (Cass. Pen., sez. III, 26.11.2003,
n. 2026, CP,
2005, n. 4, 1258).
E’
stato ritenuto legittimo il sequestro di costruzione realizzata su area del
demanio marittimo anche dopo il suo completamento.
In materia di
tutela delle zone demaniali, è legittimo il sequestro preventivo di una
costruzione realizzata nella fascia di rispetto di trenta metri dal demanio
marittimo, in relazione all'ipotesi di reato di cui agli art. 55 e 1161 c.
nav., anche successivamente alla avvenuta ultimazione dell'opera, atteso che a
tal fine non occorre fare riferimento alla condotta attiva del soggetto, bensì
alle conseguenze di essa, accertando se nel caso tali conseguenze siano tuttora
lesive dell'interesse protetto, potendosi verificare che attraverso la
disponibilità del bene, anche ad evento realizzatosi, si producano ulteriori
conseguenze antigiuridiche che le disposizioni in questione mirano ad evitare.
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