Capitolo sesto
I diritti reali e i vincoli reali su
cose altrui.
Guida bibliografica.
Guida bibliografica.
1. I diritti reali della pubblica amministrazione
su cose altrui. Le servitù prediali pubbliche.
I diritti reali sono costituiti su beni altrui a
favore di beni demaniali. Le servitù di uso pubblico sono pesi imposti ai
proprietari del fondo servente non correlati con la dipendenza del loro bene ad
un bene demaniale dominante. Sandulli 1984, 791.
2. Il diritto di superficie.
I comuni non possono disporre delle aree date in
concessione prima che venga a cessare il servizio pubblico cui sono state
destinate. Sandulli 1984, 791.
2.1. Gli usi civici.
La politica di soppressione degli usi civici ha dato luogo
all’approvazione della l. 16.6.1927 n. 1766.
La legge ammette l’alienazione dei terreni gravati da
uso civico, in base alla specifica disciplina contenuta, oltre che nella legge
fondamentale di riordino degli usi civici e nel relativo regolamento. Essa
presuppone l'esistenza di un reale beneficio per la generalità degli abitanti
e, pertanto, tale alienazione può essere disposta solo per finalità
agroforestali o per finalità pubbliche o di interesse pubblico, regolamento, ex
art. 12, l. 16.6.1927, n. 1766, ed art. 41, r.d. 26.2.1928, n. 332. T.A.R.
Abruzzo Pescara, 27.6.2005, n. 411, FATAR, 2005, 6 2091.
3. I vincoli reali sui beni privati.
L’art. 40 della l. urb., mod. art. 5, l. 19.11.1968,
n. 1187, ha posto il principio della non indennizzabilità dei vincoli di piano,
affermando che nessun indennizzo è dovuto per le limitazioni ed i vincoli
previsti dal piano regolatore generale nonché per le limitazioni e per gli
oneri relativi all'allineamento edilizio delle nuove costruzioni.
Alla pianificazione urbanistica è riconosciuto,
infatti, il potere conformativo della proprietà che è esercitato senza che
l’amministrazione debba corrispondere alcun indennizzo. Centofanti 2005 (3),
87.
4. Le limitazioni alle proprietà confinanti con i
beni pubblici.
La dottrina ha rilevato che la proprietà di taluni
beni, pur rimanendo nominativamente rapportata alla disponibilità del privato,
viene, però, variamente limitata per la forte presenza d’interessi pubblici che
li caratterizzano.
Caratteristica comune di questi vincoli è che essi
limitano il diritto di proprietà di quei beni che si trovano nella situazione
prevista dalla legge.
La ratio delle limitazioni è spesso la
vicinanza delle proprietà private a beni appartenenti al demanio o al
patrimonio indisponibile dello Stato o degli enti pubblici. Centofanti 2003,
239.
Le limitazioni alle proprietà private in favore dei
beni demaniali comportano per i privati proprietari degli obblighi di non
facere. Sandulli 1984, 791.
5. Le zone di rispetto stradali.
Il codice della strada ha la finalità più ampia di
perseguire lo scopo della migliore circolazione dei pedoni, dei veicoli e degli
animali sulle strade, perciò le distanze di rispetto stradale prescritte per le
costruzioni devono essere viste sotto l’aspetto della più sicura fruizione
delle strade. Assini e Mantini 1997, 525.
6. La distanza da tenere dalle strade.
Le fasce di rispetto impediscono di eseguire ogni
forma di costruzione in vicinanza delle strade. Esse consentono di realizzare i
requisiti minimi di sicurezza per la circolazione stradale. Tamborrino e
Cialdini 1994, 310.
7. La non indennizzabilità del vincolo.
Le limitazioni allo ius aedificandi non sono
indennizzabili se riguardano categorie omogenee di beni che, per la loro
qualità, sono ritenuti da salvaguardare da parte del legislatore. Centofanti
2005 (2), 199.
1. I diritti reali della pubblica amministrazione su
cose altrui. Le servitù prediali pubbliche.
Il codice civile assoggetta alla normativa del demanio
pubblico i diritti reali che spettano allo Stato o agli enti locali su di un
bene.
1. Sono parimenti soggetti al regime del demanio pubblico i diritti reali
che spettano allo Stato, alle province e ai comuni su beni appartenenti ad
altri soggetti, quando i diritti stessi sono costituiti per l'utilità di alcuno
dei beni indicati dagli articoli precedenti o per il conseguimento di fini di
pubblico interesse corrispondenti a quelli a cui servono i beni medesimi.
(art. 825, c.c.).
(art. 825, c.c.).
La dottrina distingue le servitù prediali pubbliche
dalle servitù di uso pubblico (De Martino 1964, 103).
Le servitù prediali pubbliche consistono in un potere
diretto dell’ente sulla cosa altrui.
Dette servitù consistono in una limitazione imposta al
godimento di un bene privato per l’utilità di un altro bene pubblico.
Nel demanio idrico, ad esempio, il testo unico delle
disposizioni di legge sulla navigazione interna e sulla fluitazione prevede la
servitù di via alzaia che era imposta ai fondi latistanti ai fiumi navigabili
I beni laterali ai fiumi navigabili sono soggetti alla servitù della via
alzata, detta anche d'attiraglio o di marciapiede.
Dove la larghezza di questa non è determinata da regolamenti e consuetudini vigenti, si intenderà stabilita a metri 5. Essa insieme alla sponda fino al fiume dovrà dai proprietari essere lasciata libera da ogni ingombro od ostacolo al passaggio d'uomini e di bestie da tiro.
(art. 52, r. d. 11.7.1913, n. 959).
Dove la larghezza di questa non è determinata da regolamenti e consuetudini vigenti, si intenderà stabilita a metri 5. Essa insieme alla sponda fino al fiume dovrà dai proprietari essere lasciata libera da ogni ingombro od ostacolo al passaggio d'uomini e di bestie da tiro.
(art. 52, r. d. 11.7.1913, n. 959).
I proprietari del fondo servente hanno l’obbligo di
sopportare che la generalità degli utenti goda dei loro beni in relazione di
una dipendenza del loro bene al bene demaniale dominante. Detto godimento ha
durata illimitata a meno che non intervenga un provvedimento amministrativo di
sdemanializzazione (Sandulli 1984, 791).
I modi di costituzione delle servitù prediali
pubbliche sono disciplinati dagli artt. 1027, ss., c.c.
Ai fini della sussistenza del requisito dell'apparenza, richiesto dall'art.
1061, c.p.c., per l'acquisto delle servitù prediali per usucapione o per
destinazione del padre di famiglia, non occorre necessariamente, in materia di
servitù di passaggio, un opus manufactum, ossia un tracciato dovuto
all'opera dell'uomo, essendo sufficiente anche un sentiero formatosi
naturalmente per effetto del calpestio, qualora esso presenti un tracciato tale
da denotare la sua funzione - visibile, non equivoca e permanente - di accesso
al fondo dominante mediante il fondo servente.
La servitù di passo consiste nella possibilità di
accedere da un bene demaniale ad un altro attraverso l’attraversamento di un
fondo privato.
La servitù di sopra passaggio consente che siano
costruiti ponti, viadotti o cavalcavia su terreni e strade private.
1.1. Le servitù di uso pubblico.
Le servitù di uso pubblico consistono in obbligo di pati
posto al privato proprietario nel pubblico interesse.
Esse comportano l’obbligo di sopportare un onere
imposto ai proprietari del fondo servente non correlato con la dipendenza del
loro bene ad un bene demaniale dominante.
Nella categoria dei diritti di uso pubblico rientra in
primo luogo l’uso da parte del pubblico delle strade e degli altri spazi
privati aperti al pubblico transito.
Per affermare che una strada possa rientrare nella
categoria delle strade soggette a servitù di pubblico transito, la
giurisprudenza richiede che devono sussistere i requisiti del passaggio
esercitato iure servitutis publicae da una collettività di
persone qualificate dall'appartenenza ad una comunità territoriale, della
concreta idoneità della strada a soddisfare esigenze di generale interesse
anche per il collegamento con la pubblica via e del titolo valido a sorreggere
l'affermazione del diritto di uso pubblico che può identificarsi anche nella
protrazione dell'uso stesso da tempo immemorabile.
Quando la strada vicinale non è iscritta negli
appositi elenchi comunali, l'Amministrazione deve porre a base delle sue
determinazioni idonei accertamenti da cui risulti un titolo di acquisto del
relativo diritto da parte della collettività (T.A.R. Emilia Romagna Parma, 25.5.2005, n. 287, FATAR, 2005, 5, 1459).
Rientra nella categoria delle servitù di uso pubblico
anche il diritto di visita pubblica agli immobili di interesse storico
artistico.
Tali diritti sono costituiti o con provvedimento
dell’amministrazione o con una dicatio ad patriam.
Le servitù di uso pubblico possono essere acquistate
mediante possesso protrattosi per il tempo necessario alla usucapione anche se
manchino opere visibili e permanenti destinate al loro esercizio, poiché il
requisito dell'apparenza, di cui all'art. 1061, c.c., riguarda
solo le servitù prediali.
La servitù di uso pubblico si acquista per usucapione in capo all'Ente e non ai singoli cittadini, considerati uti cives, né alla collettività che usa il bene.
La servitù di uso pubblico si acquista per usucapione in capo all'Ente e non ai singoli cittadini, considerati uti cives, né alla collettività che usa il bene.
Ai fini dell'assoggettamento per usucapione di un'area privata ad una
servitù di uso pubblico, è necessario che l'uso risponda alla necessità ed
utilità di un insieme di persone, agenti come componenti della collettività, e
che sia esercitato continuativamente per oltre un ventennio con l'intenzione di
agire uti cives e disconoscendo il diritto del proprietario.
La costituzione di un diritto d'uso pubblico può
avvenire anche mediante un provvedimento amministrativo.
Le servitù di uso pubblico, o diritti di uso pubblico, a differenza delle
servitù prediali pubbliche, non sono disciplinate, quanto ai modi di
costituzione, dagli artt. 1027 ss. c.c.
(T.A.R. Lombardia Milano, 16.3.1987, n. 62, T.A.R., 1987, I, 1843).
La servitù di uso pubblico può essere costituita
attraverso la dicatio ad patriam. Essa consiste nel fatto che il privato
univocamente ammette l'uso pubblico di un suo bene.
La servitù di uso pubblico può essere costituita mediante dicatio ad
patriam postula un comportamento del proprietario univocamente rivolto, con
carattere di continuità e non di precarietà e tolleranza, a porre a
disposizione del pubblico una cosa propria oggettivamente idonea al
soddisfacimento di un'esigenza comune ad una collettività; tale intento è da
escludersi nel caso di mancata utilizzazione del bene (nel caso di specie: un
parcheggio) da parte del proprietario e dal correlato sfruttamento della
collettività, dato che non è ipotizzabile che questi si disinteressi di un bene
e nel contempo lo destini ad un uso pubblico.
(T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. I, 1.12.2004, n. 2177, FATAR, 2004,
12, 3850).
La giurisprudenza ritiene che i diritti reali pubblici
sui beni dei privati siano tutelati con la autotutela possessoria
amministrativa.
Le strade vicinali soggette a pubblico transito restano tali, e quindi sono
oggetto di autotutela possessoria, fino a quando mantengono l'attitudine a
soddisfare l'interesse alla pubblica circolazione, in quanto a norma dell'art.
825 c.c. il diritto che nasce dalla servitù di uso pubblico è soggetto al
regime demaniale e pertanto non è suscettibile di prescrizione, potendo venire
meno solo a seguito di apposito provvedimento dell'ente pubblico titolare del
diritto o per un fatto tale da renderne oggettivamente impossibile l'esercizio.
(T.A.R. Umbria, 21.9.2004, n. 545, FATAR, 2004, 2518).
1.2. Gli oneri manutentivi.
L’uso pubblico del bene determina l’obbligo dell’ente
che esercita il diritto reale di provvedere alla manutenzione del medesimo.
Ad esempio l’uso della strada da parte della
collettività secondo le caratteristiche e nella misura delle strade comunali
viene ad assorbire l'uso che della stessa fanno i privati a ciò abilitati dai
proprietari o dall'ente proprietario, potendosi in tal caso affermare
l'esistenza di un diritto di uso pubblico. Esso è riconducibile alla fattispecie
di cui all'art. 825, c.c., che assoggetta al regime dei beni demaniali i
diritti reali che spettano allo Stato ed agli altri enti territoriali su beni
di proprietà di altri soggetti, quando tali diritti sono costituiti per il
conseguimento di fini di pubblico interesse corrispondenti a quelli cui servono
i beni demaniali.
L'uso della strada da parte della collettività secondo
le caratteristiche e nella misura delle strade comunali, ex art. 2, d.
lg. n. 285 del 1992, viene ad assorbire l'uso che della stessa fanno i privati
a ciò abilitati dai proprietari o dall'ente proprietario, sicché l’uno viene a
confondersi nell’altro.
La circostanza che alcune delle vie realizzate e di proprietà del consorzio
siano di fatto utilizzate in modo prevalente dalla collettività, ferma restando
la proprietà della strada, costituisce una situazione giuridica corrispondente
all'esercizio di una servitù ed impone all'ente esponenziale della collettività
che esercita l'uso di curarne la manutenzione.
Fattispecie relativa al contenzioso fra il Consorzio SISRI e il comune di
Brindisi relativo all'individuazione del soggetto deputato ad effettuare i
lavori di ordinaria e straordinaria manutenzione della rete viaria insistente
nella zona industriale realizzata quasi interamente dal Consorzio nel corso
degli anni per le esigenze delle imprese ivi ubicate e dei loro fornitori.
In particolare è stato siglato un protocollo di intesa per l'acquisizione e
classificazione da parte del Comune di Brindisi di alcune strade dell'agglomerato
industriale di Brindisi.
2. Il diritto di superficie.
I comuni possono concedere le aree facenti parte del
loro patrimonio indisponibile in diritto di superficie a tempo indeterminato
per la realizzazione di impianti e servizi pubblici quali ad esempio linee
ferroviarie e uffici pubblici.
2. Le aree acquisite al comune fanno parte del suo patrimonio indisponibile.
3. Il comune utilizza direttamente le aree occorrenti per l'esecuzione delle opere di sua competenza e dà in concessione le aree occorrenti per la realizzazione di opere o di interventi di pubblica utilità.
(art. 21, l. 865/1971).
3. Il comune utilizza direttamente le aree occorrenti per l'esecuzione delle opere di sua competenza e dà in concessione le aree occorrenti per la realizzazione di opere o di interventi di pubblica utilità.
(art. 21, l. 865/1971).
Alla fine del servizio le aree e ciò che vi è stato
realizzato passano nella proprietà del comune.
La cessione successiva può avvenire qualora sia
intervenuta la sdemanializzazione dell’area in questione solo con le procedure
dell’evidenza pubblica.
Ai sensi degli artt. 953 e ss., c.c., che disciplinano il diritto di
superficie, alla scadenza di una concessione amministrativa relativa alla
costruzione di opere su terreno demaniale la proprietà di queste ultime passa
allo Stato senza bisogno di alcuna manifestazione di volontà
dell'amministrazione, essendo necessario per il verificarsi di un eventuale
usucapione, non solo l'inerzia degli organi competenti, ma anche un formale
atteggiamento, da parte del possessore, di sostanziale negazione del diritto di
proprietà.
Qualora sia intervenuta la successiva sdemanializzazione dell'intero
compendio, terreno ed opere su di esso costruite, qualora lo Stato intenda
alienare le suddette opere al privato già concessionario, che abbia provveduto
alla loro costruzione, dovranno essere applicate le regole proprie della
vendita a trattativa privata di beni pubblici e non già quelle che disciplinano
gli atti di transazione non avendo l'altro contraente, per le ragioni
sopraesposte, qualsivoglia pretesa attivabile in giudizio in merito alla
proprietà delle suddette opere.
(Corte Conti, sez. contr., 8.3.1996, n. 53, RCC, 1996, fasc. 2, 23).
2.1. Gli usi civici.
Gli usi civici sono diritti di godimento esercitati
sotto varia forma - quali il diritto di pascolo, di caccia, di semina e di fare
legna - da parte dei membri di talune collettività su terreni di proprietà di
comuni o di terzi.
Detti diritti non hanno il carattere dell’uso
demaniale anche se presentano un certa affinità con i diritti di uso pubblico.
La caratteristica dell’uso civico è la perpetuità del
vincolo della collettività.
Tale diritto, pertanto, non è disponibile da parte
della collettività e tanto meno pro quota dal singolo che ne usufruisce.
La dottrina sottolinea che l'istituto degli usi civici
è tutt'altro che anacronistico e superato, tutt'altro che un relitto storico da
rimuovere nel tempo più rapido ed indolore possibile.
Il suo mantenimento, preservazione e valorizzazione
devono essere sostenuti nella prospettiva in cui esso è un mezzo funzionale al
fine meritevole di tutela della conservazione dell'ambiente.
L'equilibrio ambientale dell'ecosistema è ottenibile
attraverso un corretto esercizio dei diritti di uso civico che, in tal modo,
appaiono meritevoli di adeguata considerazione (Nunziata 1996, 82).
Il giudice amministrativo ammette la possibilità del
cambio di destinazione dei terreni d'uso civico.
Occorre che siano rispettate le condizioni poste dalla
legge per la completezza del procedimento, tra cui l'assegnazione a categoria
dei terreni oggetto della richiesta di sdemanializzazione al fine di consentire
quella comparazione di interessi che la legge affida all'organo competente a
promuovere il mutamento di destinazione, cioè la Regione (T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 9.5.2005, n. 2082, FATAR, 2005, n. 5, 1461).
Essa è realizzabile a condizione che si tratti di
mutamento comportante un reale beneficio ed una più utile fruizione del bene
per la generalità dei cittadini titolari del relativo diritto d'uso.
La possibilità del cambio di destinazione dei terreni d'uso civico è
realizzabile solo a condizione che si tratti di mutamento comportante un reale
beneficio ed una più utile fruizione del bene per la generalità dei cittadini.
Ora, non pare dubbio che la produzione di energia elettrica da fonti
rinnovabili costituisce, come ribadito recentemente dallo stesso Consiglio di
Stato, un preciso impegno internazionale assunto dal nostro Stato per la lotta,
tra l'altro, ai cd. gas serra.
(T.A.R. Molise Campobasso, 19.9.2005, n. 880, FATAR, 2005, n. 9, 292).
(T.A.R. Molise Campobasso, 19.9.2005, n. 880, FATAR, 2005, n. 9, 292).
2.2. I beni realizzati dal concessionario di beni
demaniali.
Nessuna disposizione di legge stabilisce espressamente
il regime giuridico dei beni costruiti dal concessionario sul suolo demaniale.
La giurisprudenza ritiene si tratti di proprietà
superficiaria di cui all'art. 953, c.c.
Sul presupposto che il bene demaniale è insuscettibile
per sua natura di essere oggetto di diritti reali a favore di terzi, sicché non
potrebbe mai darsi la proprietà superficiaria, nella più avvertita dottrina si
qualifica la fattispecie come proprietà separata.
In questa qualificazione, il concessionario acquista
solo il diritto di costruire e mantenere la costruzione sul suolo demaniale in
virtù del contratto ad effetti obbligatori accessivo alla concessione.
È appena il caso di rilevare come tale configurazione
sia la più rispondente all'interesse pubblico connesso all'uso dei beni
demaniali solo che si abbia riguardo, a mero titolo di esempio, alla
possibilità dell'amministrazione di rientrare nel possesso dei beni demaniali,
e con essi delle opere realizzate dal concessionario, per sopravvenute esigenze
pubbliche prima della naturale scadenza della concessione.
Il provvedimento concessorio condiziona infatti anche il titolo negoziale accessivo in base al quale il diritto di proprietà separata si è costituito.
In sintesi questo, diversamente dalla proprietà superficiaria, assume ab origine carattere limitato o relativo in senso atecnico, cioè rigidamente circoscritto alla funzione per il quale è stato attribuito dall'amministrazione concedente; così si concretizza uno dei casi di cosiddetta proprietà funzionale.
Conseguentemente non è dato nemmeno astrattamente ipotizzare una sorta di concessione pubblicistica di secondo grado avente ad oggetto beni di proprietà ab origine privata né tantomeno un'autonoma fattispecie di subingresso in detti beni per effetto della loro alienazione al terzo acquirente: piuttosto, dal punto di vista dell'aderenza della forma giuridica alla realtà, l'inopponibilità all'amministrazione del negozio traslativo con il terzo è la conseguenza più adeguata per tradurre sul piano giuridico gli effetti previsti all'art. 46, 2° co., c. n.
Né è giuridicamente sostenibile un effetto reale differito posto che, per un verso, come già avuto modo di precisare, la concessione, quale titolo pubblicistico per l'uso del bene demaniale, è indisponibile da parte del concessionario; mentre, per l'altro, le singole opere e gli impianti possono essere oggetto di compravendita ove l'effetto reale fra le parti è immediato anche se, in mancanza dell'autorizzazione prevista all'art. 46, 2° co., c.n., il negozio non è comunque opponibile all'amministrazione concedente ai fini del subingresso nella concessione. Detti rilievi non sono superabili evocando la presunta e non dimostrata specificità demaniale del bene porto.
Il provvedimento concessorio condiziona infatti anche il titolo negoziale accessivo in base al quale il diritto di proprietà separata si è costituito.
In sintesi questo, diversamente dalla proprietà superficiaria, assume ab origine carattere limitato o relativo in senso atecnico, cioè rigidamente circoscritto alla funzione per il quale è stato attribuito dall'amministrazione concedente; così si concretizza uno dei casi di cosiddetta proprietà funzionale.
Conseguentemente non è dato nemmeno astrattamente ipotizzare una sorta di concessione pubblicistica di secondo grado avente ad oggetto beni di proprietà ab origine privata né tantomeno un'autonoma fattispecie di subingresso in detti beni per effetto della loro alienazione al terzo acquirente: piuttosto, dal punto di vista dell'aderenza della forma giuridica alla realtà, l'inopponibilità all'amministrazione del negozio traslativo con il terzo è la conseguenza più adeguata per tradurre sul piano giuridico gli effetti previsti all'art. 46, 2° co., c. n.
Né è giuridicamente sostenibile un effetto reale differito posto che, per un verso, come già avuto modo di precisare, la concessione, quale titolo pubblicistico per l'uso del bene demaniale, è indisponibile da parte del concessionario; mentre, per l'altro, le singole opere e gli impianti possono essere oggetto di compravendita ove l'effetto reale fra le parti è immediato anche se, in mancanza dell'autorizzazione prevista all'art. 46, 2° co., c.n., il negozio non è comunque opponibile all'amministrazione concedente ai fini del subingresso nella concessione. Detti rilievi non sono superabili evocando la presunta e non dimostrata specificità demaniale del bene porto.
Per smentire tale indirizzo è sufficiente sottolineare
che il concetto di demanio non è ordinativo di realtà individuabile in base a
criteri di fatto specifici: è nozione eminentemente normativa; non rinvia a
descrizioni della realtà bensì a norme che sono in pari tempo costitutive degli
istituti ed espressione della loro stessa disciplina.
Con riguardo alla concessione di edificare attribuita dall'amministrazione
pubblica sul suolo demaniale, sul presupposto che il bene demaniale è
insuscettibile per sua natura di formare oggetto di diritti reali a favore di
terzi, sicché non potrebbe mai darsi la proprietà superficiaria, nella più
coerente qualificazione, il concessionario acquista (solo) il diritto di
costruire e mantenere la costruzione sul suolo demaniale in virtù del contratto
ad effetti obbligatori accessivo alla concessione; tale configurazione sia la
più rispondente all'interesse pubblico connesso all'uso dei beni demaniali.
3. I vincoli reali sui beni privati.
La possibilità di intervento della pubblica
amministrazione sui beni dei privati trova la sua forma più generale nella
programmazione urbanistica generale.
Si tratta della costituzione di un vincolo reale sul
bene che condiziona sostanzialmente le possibilità di utilizzazione del bene,
incidendo profondamente sul suo valore economico (Sandulli 1984, 140).
Tali vincoli sono disciplinati dalla legislazione
urbanistica che attraverso gli strumenti della pianificazione urbanistica
esercita il potere conformativo sulla proprietà.
Il potere conformativo si realizza inoltre nella
legislazione speciale.
La presenza di beni appartenenti al demanio o al
patrimonio indisponibile comporta la predisposizione di particolari vincoli
alla proprietà privata.
La norma generale prevista dall’art. 879, c.c., deroga
al regime delle distanze e rinvia alla legislazione speciale.
L’analisi della stessa è limitata alle disposizioni
che impongono dei vincoli alle costruzioni da realizzarsi in prossimità della
riva del mare e degli impianti aeronautici, previste dal c.n., e a quelle che
impongono dei vincoli per le opere da costruire lungo le strade, previste dal
codice della strada.
4. Le limitazioni alle proprietà confinanti con i beni
pubblici.
La legislazione fissa numerose limitazioni alle
proprietà confinanti con i beni pubblici.
L’art. 879, c.c., in deroga alla disposizione
contenuta nell'art. 877, c.c., proibisce di costruire in aderenza ad un
qualsiasi edificio demaniale.
La legislazione speciale regola le limitazioni che la
vicinanza ad edifici che abbiano una destinazione speciale, a prescindere o
meno del carattere della loro demanialità, comporta per tutte le altre
costruzioni.
L’art. 55, r.d. 327/1942, impone per l’esecuzione di
nuove opere il limite di trenta metri dal demanio marittimo o dal ciglio dei
terreni elevati sul mare e sottopone i lavori a previa autorizzazione del capo
del compartimento marittimo (Assini e Mantini 1997, 536).
I 30 m., di cui all'art. 55, c. n., entro i quali è necessario ottenere
l'autorizzazione del capo compartimento marittimo per eseguire nuove opere,
vanno misurati non dal limite del lido, ma da quello della spiaggia
(Cons. Stato, sez. V, 19 maggio 1978 n. 570, RGE, 1978, I, 801).
L’art. 715, r.d. 30.3.1942, n. 327, mod. art. 1, l.
4.2.1963, n. 58, afferma il divieto di realizzare nuove costruzioni su terreni
che si trovino a meno di trecento metri da impianti aeronautici.
Nelle direzioni di atterraggio degli aeroporti non
possono sorgere manufatti che ostacolino le manovre di avvicinamento e il
successivo atterraggio (Assini e Mantini 1997, 535).
Il legislatore, con l'art. 233, l. 20.3.1865, n. 2248,
all. f), ha disposto i vincoli da rispettare lungo le linee ferroviarie,
successivamente modificati con l'art. 49, d.p.r. 11.7.1980, n. 753.
Lungo i tracciati delle linee ferroviarie è, infatti,
vietato costruire, ricostruire o ampliare edifici o manufatti di qualsiasi
specie ad una distanza, da misurarsi in proiezione orizzontale, minore di metri
trenta dal limite della zona di occupazione della più vicina rotaia.
Le limitazioni principali riguardano le distanze da
tenere dalle strade.
5. Le zone di rispetto stradali.
Le zone di rispetto delle strade, statali e non, non
rientrano nel demanio statale e non, ma costituiscono una proprietà privata
sottoposta a regime d'uso particolarmente restrittivo, onde tutelare la
sicurezza della circolazione (Cons. St., sez. IV, 30.6.2005, n. 3591, FACDS, 2005, f. 6,1763).
Il regolamento di attuazione del codice della strada,
approvato con d.p.r. 16.12.1992, n. 495, fissa le fasce di rispetto da tenere
facendo riferimento alle classificazioni delle strade sopra indicate.
Esso integra le disposizioni in tema di distanze stradali
contenute dal d.m. 1.4.1968.
La dottrina considera questo secondo provvedimento
legislativo come completamento e come ulteriore specificazione del primo.
Le nuove prescrizioni portate dal codice della strada
vanno riferite alla diversa funzione di questo secondo provvedimento.
Il regolamento ha il fine di rapportare la disciplina
della distanza minima a protezione del nastro stradale alla programmazione
urbanistica.
Il divieto di costruire a una certa distanza non può essere inteso
restrittivamente, e cioè come previsto al solo scopo di prevenire l'esistenza
di ostacoli materiali emergenti dal suolo e suscettibili di costituire, per la
prossimità alla sede stradale, pregiudizio alla sicurezza del traffico ed alla
incolumità delle persone, in quanto è correlato alla più ampia esigenza di
assicurare una fascia di rispetto utilizzabile, all'occorrenza, dal
concessionario per l'esecuzione dei lavori, per l'impianto dei cantieri, per il
deposito dei materiali, per la realizzazione di opere accessorie, senza
limitazioni connesse alla presenza di costruzioni.
Il vincolo in questione comporta un divieto assoluto
di costruire; esso rende legalmente inedificabili le aree site in fascia di
rispetto stradale o autostradale, indipendentemente dalle caratteristiche dell'opera
realizzata e dalla necessità di accertamento in concreto dei connessi rischi
per la circolazione stradale.
Le distanze previste dalla norma suddetta, vanno rispettate anche con
riferimento a costruzioni realizzate ad un diverso livello da quello della sede
stradale o che costituiscano mere sopraelevazioni o che, pur rientrando nella
fascia, siano arretrate rispetto alle opere preesistenti.
La dottrina rileva come i limiti e le prescrizioni
imposte ai proprietari confinanti siano posti a tutela dell’integrità del bene
strada e della sicurezza della circolazione (Ragazzino 1993, 8).
La determinazione dei vincoli stradali dipende dal
fatto che le vie di comunicazione siano collocate dentro o fuori del centro
abitato.
Secondo l’interpretazione giurisprudenziale prevalente
la perimetrazione del centro edificato, disposta ai sensi dell'art. 16, l. n.
865 del 1971, è vincolante anche per le distanze minime delle costruzioni a
protezione del nastro stradale, come stabilito dall'art. 1 del regolamento
ministeriale del 1.4.1968, emanato ai sensi dell'art. 19, l. 6.8.1967, n. 765.
La giurisprudenza amministrativa ha precisato che la
possibilità di far riferimento alla nozione di centro abitato di fatto, al fine
di escludere l'operatività del divieto di costruzione lungo le strade, è
subordinata al fatto che l'insediamento urbano preso in considerazione sia
privo di piano regolatore generale o di programma di fabbricazione.
La possibilità di far riferimento alla nozione di centro abitato di fatto,
al fine di escludere l'operatività del divieto di costruzione lungo le strade,
di cui all'art. 26 del regolamento di esecuzione del codice della strada di cui
al d.p.r. 16.12.1992, n. 495, è subordinata al fatto che l'insediamento urbano
preso in considerazione sia privo di piano regolatore generale o di programma
di fabbricazione
(T.A.R. Abruzzo Pescara, 23.1.2003, n. 192, FATAR, 2003, 210. Cons. giust.
amm. Reg. Sic., 30.3.1995, n. 109).
Essa ha, inoltre, precisato che la deliberazione di
perimetrazione del centro abitato ha natura e portata di strumento urbanistico,
con forza normativa secondaria e rilevanza esterna, e non può, pertanto, essere
desunta da una mera situazione di fatto (Cons. St., IV, 7.3.1997, n. 211).
E’ stato anche chiarito che è irrilevante lo
spostamento dei cartelli segnaletici di delimitazione di un centro abitato, che
sia stato effettuato di fatto oppure in seguito a meri verbali di organi del
comune e non in base a formali delibere degli organi competenti, giacché la
determinazione dei confini di un centro abitato può avvenire solo seguendo il
prescritto procedimento amministrativo (T.A.R. Emilia Romagna, 23.1.1986, n.
16).
La giurisprudenza ha precisato che la distanza minima,
da calcolare sulla base della definizione del ciglio della strada, ai sensi
dell'art. 2 del regolamento d.m. 1.4.1968, ora sost. col d.p.r. 16.12.1992, n.
495, va integrata con una distanza variabile e da accertare in concreto,
intercorrente tra il ciglio della strada e la larghezza della protezione di eventuali
scarpate o fossi.
La sua ratio, oltre quella di consentire
l'eventuale ampliamento, è quella di tenere in considerazione il particolare
stato dei luoghi e la concreta pericolosità della strada statale (Cons. St.,
sez. V, 7.6.1999, n. 596, CI, 2000, 110).
6. La distanza da tenere dalle strade.
Il d.p.r. 16.12.1992, n. 495, all’art. 26, determina
le fasce di rispetto da tenere fuori dai centri abitati.
1. La distanza dal confine stradale, fuori dai centri abitati, da
rispettare nell'aprire canali, fossi o nell'eseguire qualsiasi escavazione
lateralmente alle strade, non può essere inferiore alla profondità dei canali,
fossi od escavazioni, ed in ogni caso non può essere inferiore a 3 m.
2. Fuori dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell'art. 4 del
codice, le distanze dal confine stradale, da rispettare nelle nuove
costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a demolizioni integrali o negli
ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere inferiori a:
a) 60 m per le strade di tipo A;
b) 40 m per le strade di tipo B;
c) 30 m per le strade di tipo C;
d) 20 m per le strade di tipo F, ad eccezione delle "strade
vicinali" come definite dall'art. 3, comma 1, n. 52 del codice;
e) 10 m per le "strade vicinali" di tipo F.
3. Fuori dai centri abitati, come delimitati ai sensi dell'art. 4 del
codice, ma all'interno delle zone previste come edificabili o trasformabili
dallo strumento urbanistico generale, nel caso che detto strumento sia
suscettibile di attuazione diretta, ovvero se per tali zone siano già esecutivi
gli strumenti urbanistici attuativi, le distanze dal confine stradale, da
rispettare nelle nuove costruzioni, nelle ricostruzioni conseguenti a
demolizioni integrali o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono
essere inferiori a:
a) 30 m per le strade di tipo A;
b) 20 m per le strade di tipo B;
c) 10 m per le strade di tipo C.
4. Le distanze dal confine stradale, fuori dai centri abitati, da
rispettare nella costruzione o ricostruzione di muri di cinta, di qualsiasi
natura e consistenza, lateralmente alle strade, non possono essere inferiori a:
a) 5 m per le strade di tipo A, B;
b) 3 m per le strade di tipo C, F.
5. Per le strade di tipo F, nel caso di cui al comma 3, non sono stabilite
distanze minime dal confine stradale, ai fini della sicurezza della
circolazione, sia per le nuove costruzioni, le ricostruzioni conseguenti a
demolizioni integrali e gli ampliamenti fronteggianti le case, che per la
costruzione o ricostruzione di muri di cinta di qualsiasi materia e
consistenza. Non sono parimenti stabilite distanze minime dalle strade di
quartiere dei nuovi insediamenti edilizi previsti o in corso di realizzazione.
6. La distanza dal confine stradale, fuori dai centri abitati, da
rispettare per impiantare alberi lateralmente alla strada, non può essere
inferiore alla massima altezza raggiungibile per ciascun tipo di essenza a
completamento del ciclo vegetativo e comunque non inferiore a 6 m.
7. La distanza dal confine stradale, fuori dai centri abitati, da rispettare
per impiantare lateralmente alle strade siepi vive, anche a carattere
stagionale, tenute ad altezza non superiore ad 1 m sul terreno non può essere
inferiore a 1 m. Tale distanza si applica anche per le recinzioni non superiori
ad 1 m costituite da siepi morte in legno, reti metalliche, fili spinati e
materiali similari, sostenute da paletti infissi direttamente nel terreno o in
cordoli emergenti non oltre 30 cm dal suolo.
8. La distanza dal confine stradale, fuori dai centri abitati, da
rispettare per impiantare lateralmente alle strade, siepi vive o piantagioni di
altezza superiore ad 1 m sul terreno, non può essere inferiore a 3 m. Tale
distanza si applica anche per le recinzioni di altezza superiore ad 1 m sul
terreno costituite come previsto al comma 7, e per quelle di altezza inferiore
ad 1 m sul terreno se impiantate su cordoli emergenti oltre 30 cm dal suolo.
9. Le prescrizioni contenute nei commi 1 ed 8 non si applicano alle opere e
colture preesistenti
(art. 26, d.p.r. 16.12.1992,
n. 495, mod. art. 24, d.p.r. 16.9.1996, n. 610).
Limiti meno restrittivi sono imposti per le aree
situate fuori dai centri abitati ma all’interno delle aree che il piano
urbanistico definisce come edificabili ai sensi dall’art. 28, d.p.r. 16.12.1992,
n. 495, rispetto a quelli fissati in carenza di piani urbanistici (Tamborrino e
Cialdini 1994, 314).
Per le strade locali e per quelle vicinali, infatti,
non sono stabilite distanze minime dal confine stradale che sono determinate
dallo stesso strumento urbanistico.
1. Le distanze dal confine stradale all'interno dei centri abitati, da
rispettare nelle nuove costruzioni, nelle demolizioni integrali e conseguenti
ricostruzioni o negli ampliamenti fronteggianti le strade, non possono essere
inferiori a:
a) 30 m per le strade di tipo A;
b) 20 m per le strade di tipo D.
2. Per le strade di tipo E ed F, nei casi di cui al comma 1, non sono
stabilite distanze minime dal confine stradale ai fini della sicurezza della
circolazione.
3. In assenza di strumento urbanistico vigente, le distanze dal confine
stradale da rispettare nei centri abitati non possono essere inferiori a:
a) 30 m per le strade di tipo A;
b) 20 m per le strade di tipo D ed E;
c) 10 m per le strade di tipo F.
4. Le distanze dal confine stradale, all'interno dei centri abitati, da
rispettare nella costruzione o ricostruzione dei muri di cinta, di qualsiasi
natura o consistenza, lateralmente alle strade, non possono essere inferiori a:
a) m 3 per le strade di tipo A;
b) m 2 per le strade di tipo D.
5. Per le altre strade, nei casi di cui al comma 4, non sono stabilite,
distanze minime dal confine stradale ai fini della sicurezza della
circolazione.”
(art. 28, d.p.r. 16.12.1992,
n. 495, mod. art. 1, lett. c), d.p.r. 26.4.1993, n. 147).
La giurisprudenza ha stabilito che il potere
regolamentare spetta allo Stato e non può essere demandato ai comuni.
La disciplina regolamentare della circolazione stradale, ai fini della
snellezza della sicurezza e del traffico spetta allo Stato; pertanto, il
regolamento di attuazione degli artt. 26 e 29 del codice della strada approvato
con d.lg. 30.4.1992, n. 285, relativo alla disciplina della fasce di rispetto
fuori e dentro l'abitato, non può trasferire, sia pure in parte, la potestà
normativa in materia, ai comuni in sede di regolamentazione urbanistica.
Il codice della strada prevede distanze di rispetto fuori e dentro il
centro abitato e non consente quindi, al regolamento di attuazione di
introdurre la categoria delle strade fuori del centro abitato, che si trovino
in zone previste come edificabili o trasformabili dallo strumento urbanistico;
pertanto, il regolamento, con interpretazione estensiva della legge, può solo
prevedere, l'applicazione delle norme sui centri abitati alle zone di espansione
previste da strumenti urbanistici attuativi, già approvati ed esecutivi, che
ragionevolmente possono essere considerati centri abitati in fieri salva
la deroga, per quel che attiene alle norme sulla velocità di circolazione, che
andranno estese alle dette zone, quando saranno in esse realizzate le
costruzioni
(Cons. St., A. G., 15.4.1993,
n. 35, CS, 1993, I, 1541).
Le norme hanno valore di norme quadro: esse non
possono essere derogate dalla legislazione regionale né tanto meno possono
costituire oggetto di concessione in deroga, ora permesso di costruire.
E' illegittima la deliberazione con la quale la giunta concede il nulla -
osta per il rilascio, da parte del comune di Isernia, di una concessione
edilizia in deroga, per la costruzione in zona agricola di un edificio da
adibire a rimessa di autobus, stante il parere negativo della USL e il mancato
rispetto della distanza minima di metri 30, fuori da centri abitati, prevista
dal regolamento del nuovo codice della strada
(Corte Conti, Molise, sez. contr., 12.5.1995, n. 152, RCC, 1995,
104).
7. La non indennizzabilità del vincolo.
La normativa speciale in materia di vincoli comprende
le norme che regolano la sicurezza nella circolazione sia essa aerea, stradale
o ferroviaria; le disposizioni dettate per disciplinare la costruzione di
impianti destinati alla realizzazione di particolari beni di consumo come, ad
esempio, la captazione di acque; le norme che tutelano i beni di interesse
naturistico e il patrimonio artistico; le disposizioni sugli impianti
pericolosi per la salute dei cittadini; le norme, infine, destinate a tutelare
la diffusione di certi beni o servizi.
I vincoli imposti per legge hanno la funzione di
acclarare la natura particolare del bene o di conformarla regolando le
possibili forme di intervento, disciplinando l’esercizio del diritto del
proprietario al fine di salvaguardare le esigenze pubbliche.
Essi devono disporre, pertanto, una disciplina
omogenea per le varie tipologie di beni.
La giurisprudenza ritiene, pertanto, che essi non
siano indennizzabili non avendo natura ablatoria a differenza dei vincoli di
piano.
In tema di imposizione di vincoli urbanistici, il
legislatore non è tenuto a disporre indennizzi quando i modi di godimento e i
limiti imposti direttamente dalla legge ovvero mediante il completamento di un
particolare procedimento amministrativo riguardino intere categorie di beni
secondo caratteristiche loro intrinseche, con carattere di generalità ed in
modo obiettivo.
I vincoli limitativi delle facoltà del proprietario, prima tra tutte
dell'edificazione, devono annoverarsi ancor prima di quelli derivanti dagli
strumenti urbanistici ed a monte di essi, i vincoli direttamente imposti dalla
legge al fine di disciplinare l'edilizia nei suoi molteplici aspetti
(localizzazione delle costruzioni, distacchi ecc.) e comunque per ragioni di
interesse generale fra cui rientrano sicuramente quelli stabiliti dall'art. 41 septies
della legge urbanistica del 1942,come modificato dall'art. 19, l. 765 del 1967,
dal d.m. 1.4.1968, nonché dall'art. 9 della l. 729 del 1961.
La l. 729/1961 fissa fasce di inedificabilità senza indennizzo di varia
misura dalle strade ed autostrade.
Tali limiti sono obiettivi e riguardano la totalità dei beni che si trovino
in un particolare rapporto di vicinanza o contiguità con i suddetti beni
demaniali.
Ha pertanto rilevato al riguardo la giurisprudenza sia di questa Corte (sent.1220-2000; 841-2000; 7563-1992; 3028-1992; 11133-1991), che della Corte Costituzionale che ne ha dichiarato la legittimità costituzionale (sent.133-1971; 79-1971; 63-1970), che detta categoria di vincoli, denominata anche limitazioni legali della proprietà, è collegata sotto il profilo soggettivo, al loro carattere generale, concernente tutti i cittadini, in quanto proprietari di determinati beni che si trovino in una determinata situazione e non per le loro qualità e condizioni e, dal punto di vista oggettivo, al fatto di gravare su immobili individuati a priori per categoria derivante dalla loro posizione o localizzazione rispetto ad un'opera pubblica stradale o autostradale; per cui, ancorché resi concretamente applicabili in conseguenza della destinazione di interesse pubblico data alla parte sottratta al privato, non gli arrecano in via specifica alcun deprezzamento del quale debba tenersi conto in sede di determinazione del valore dell'immobile, facendo difetto il nesso di causalità diretto sia con l'ablazione sia con l'esercizio del pubblico servizio cui l'opera è destinata.
(Cass. Civ., sez. I, 17.1.2001, n. 556, UA, 2001, 404).
Ha pertanto rilevato al riguardo la giurisprudenza sia di questa Corte (sent.1220-2000; 841-2000; 7563-1992; 3028-1992; 11133-1991), che della Corte Costituzionale che ne ha dichiarato la legittimità costituzionale (sent.133-1971; 79-1971; 63-1970), che detta categoria di vincoli, denominata anche limitazioni legali della proprietà, è collegata sotto il profilo soggettivo, al loro carattere generale, concernente tutti i cittadini, in quanto proprietari di determinati beni che si trovino in una determinata situazione e non per le loro qualità e condizioni e, dal punto di vista oggettivo, al fatto di gravare su immobili individuati a priori per categoria derivante dalla loro posizione o localizzazione rispetto ad un'opera pubblica stradale o autostradale; per cui, ancorché resi concretamente applicabili in conseguenza della destinazione di interesse pubblico data alla parte sottratta al privato, non gli arrecano in via specifica alcun deprezzamento del quale debba tenersi conto in sede di determinazione del valore dell'immobile, facendo difetto il nesso di causalità diretto sia con l'ablazione sia con l'esercizio del pubblico servizio cui l'opera è destinata.
(Cass. Civ., sez. I, 17.1.2001, n. 556, UA, 2001, 404).
Lo stesso orientamento ha tenuto la Corte
costituzionale in materia di vincoli imposti dalla legge sui beni culturali,
poiché i vincoli, anche in tal caso, riguardano i beni che si trovano in una
particolare situazione giuridica acclarata per tutti i beni della stessa
specie.
È manifestamente infondata - in riferimento all'art. 42 cost. - la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 21, l. 1.6.1939, n. 1089,
nella parte in cui attribuisce al ministro per la pubblica istruzione la
facoltà di imporre qualsiasi altra misura rivolta ad impedire che siano
alterate le condizioni dell'ambiente che circonda le cose immobili soggette
alla disciplina di detta legge e a vietare, quindi, che nuove costruzioni
modifichino la fisionomia della zona, dando così modo di istituire un vero e
proprio vincolo di inedificabilità senza indennizzo poiché la norma denunciata
non comporta ablazione del diritto di proprietà.
2 commenti:
su delle strade vicinali ad uso pubblico dove insiste un consorzio stradale obbligatorio l' occupazione di suolo pubblico è dovuto a Comune o al Consorzio ?
su delle strade vicinali ad uso pubblico dove insiste un consorzio stradale obbligatorio l' occupazione di suolo pubblico è dovuto a Comune o al Consorzio ?
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