Parte Quarta
La tutela
Capitolo quattordicesimo
La tutela amministrativa
Guida bibliografica.
1. La tutela amministrativa dei beni demaniali.
Il potere di autotutela è considerato come uno dei
poteri della pubblica amministrazione oltre a quelli di autonomia e autarchia.
Benvenuti 1959, 152.
Egli distingue l’autotutela spontanea - che si
manifesta negli atti di annullamento revoca e abrogazione - da quella
necessaria - che comprende gli atti sostitutivi e di approvazione - e da quella
contenziosa che si verifica nel caso di ricorso amministrativo.
Altri autori, nel classificare i procedimenti
amministrativi, definiscono di secondo grado quelli che hanno ad oggetto altri
procedimenti amministrativi.
Nel procedimento di secondo grado l'amministrazione
riprende in considerazione i provvedimenti già emanati per motivi di
legittimità (annullamento) o di merito (revoca) ripercorrendo le fasi
procedimentali previste a pena di illegittimità e dando, puntualmente, idonea
motivazione del pubblico interesse che muove l'amministrazione nell'esercizio
del suo potere. Giannini 1988, 981.
Il potere si autotutela si esplica inoltre nella
possibilità di disporre e dare esecuzione a misure ripristinatorie. Sandulli
1984, 193.
1.1. L’autotutela e il condono edilizio.
La sanatoria straordinaria è stata prevista da
ultimo dall’art. 32 della l. 24.11.2003, n. 326 che converte in legge il d.l.
30.9.2003, n. 269 - che riapre i termini del primo condono introdotto dagli
artt. 31 e segg. della l. 47/1985 e dall’art. 39 della l. 23.12.1994, n. 724.
Il permesso di costruire in sanatoria è ora
disciplinato dall’art. 36, d.p.r. 6.6.2001, n. 380, e si caratterizza sotto il
profilo temporale per essere applicabile solo alle opere ultimate entro i
termini tassativi fissati dal legislatore e per estinguere l'azione penale in
corso. Centofanti 2005, 821.
2. La tutela amministrativa di autostrade o di
strade statali.
Per la giurisprudenza il potere di autotutela
possessoria per la demolizione di costruzioni realizzate nelle vicinanze di una
strada statale, ai fini della sicurezza della circolazione presuppone
necessariamente che l'avvenuta turbativa risulti debitamente accertata. Cons.
giust. amm. Sicilia , sez. giurisd., 18.11.1998, n. 665, CS, 1998, I,
2017.
3. La tutela amministrativa del demanio idrico.
L’art. 97, r.d 523/1904 elenca le opere che si
devono eseguire con speciale permesso del prefetto e sotto l'osservanza delle
condizioni dal medesimo imposte. Cosentino e Frasca 2002, 79.
Tali opere indicate tassativamente sono, fra
l’altro, la realizzazione di pennelli, chiuse ed altre simili opere nell'alveo
dei fiumi e torrenti; la formazione di riparti a difesa delle sponde; i
dissodamenti dei terreni boscati e cespugliati laterali ai fiumi e torrenti; le
piantagioni a protezione dalle alluvioni a qualsivoglia distanza dalla opposta
sponda; il trasporto in altra posizione dei molini natanti eseguiti sia con
chiuse sia senza chiuse; l'estrazione di ciottoli, ghiaia, sabbia ed altre
materie dal letto dei fiumi, torrenti e canali pubblici; l'occupazione delle
spiagge dei laghi con opere stabili.
L'autorizzazione idraulica prescritta dal t.u.
25.7.1904, n. 523, ha l'evidente scopo di prevenire possibili pericoli per la
corretta e regolare regimazione delle acque. Trib. sup.re acque, 8.5.2002, n.
65, FACDS, 2002, 1356.
4. Il limite temporale all’esercizio
dell’autotutela.
L’indirizzo giurisprudenziale meno recente pone un
limite temporale all’azione di autotutela della pubblica amministrazione,
ritenendo che essa non possa più esperirsi quando sia trascorso un periodo
eccedente un anno dal sofferto spoglio.
Tale limite, ripreso analogicamente dalla disciplina
civilistica, mal si concilia col rimedio disciplinato dalla legislazione
speciale.
Esso ha, infatti, natura pubblicistica e non deve
soffrire limitazioni temporali, ma semmai può essere censurato sotto il profilo
del difetto della motivazione a proporre soluzioni ripristinatorie dopo che la
situazione di fatto si sia consolidata per il passare del tempo.
La pubblica amministrazione deve, in tal caso,
dimostrare l’interesse attuale al provvedimento di autotutela.
Tale indirizzo ritiene che, passato l’anno dallo
spoglio, l'amministrazione può rivolgersi al giudice ordinario per ottenere in
via petitoria l'accertamento del suo diritto. Il potere di tutela dei beni
demaniali di carattere possessorio ha, infatti, quale norma di riferimento per
la sua individuazione e delimitazione l'art. 1168 c.c., che disciplina l'azione
di reintegrazione dello spoglio subito dai privati. Esso deve essere esercitato
dall'amministrazione nel termine di un anno, ex art. 1168, 1° co., c.c.
Tale termine solo in caso di spoglio clandestino
decorre dalla scoperta di quest'ultimo, ex art. 1168, 3° co., c.c. anziché
dall'avvenuta turbativa del possesso.
Decorso detto termine l'amministrazione può solo
rivolgersi al giudice ordinario per ottenere in via petitoria l'accertamento
del suo diritto, al fine di far cessare lo stato di fatto consolidatosi, dato
il tempo trascorso, in favore di chi abbia compiuto lo spoglio. Cons. giust.
amm. Sicilia sez. giurisd., 18.11.1998, n. 665, CS, 1998, I, 2017.
5. La tutela dei beni privati di interesse
pubblico. La tutela dei beni ambientali.
La tutela dei beni paesaggistici e dei beni culturali è garantita dal
d.lg. 42/2004. Tamiozzo 2005, 342.
6. L’ordine di demolizione.
La giurisprudenza al fine dell'irrogazione della
sanzione della demolizione ritiene necessaria e sufficiente la constatazione
dell'esistenza di un contrasto tra l'opera abusiva e le caratteristiche della
zona protetta, rilevata dall'organo tecnico, non essendo consentito
all'amministrazione di valutare l'opportunità di disporre o meno la sanzione in
ragione della già avvenuta compromissione della zona stessa, con il risultato
di sostituire il proprio giudizio sul valore ambientale della zona protetta a
quello espresso nella competente sede in occasione dell'imposizione del
vincolo. T.A.R. Lombardia, sez. Brescia, 22.10.1990, n. 1120, T.A.R.,
1990, I, 4266.
7. La sanzione pecuniaria alternativa alla
demolizione.
La sanzione pecuniaria ha tutt’altra natura rispetto
all’oblazione prevista dalla l. 47/1985 sul condono.
L'indennità è diretta a colpire l’alterazione del
territorio operata dall'intervento abusivo, al fine di reintegrare il valore
patrimoniale del bene pubblico compromesso dall'intervento dannoso, e
differisce dall'oblazione di cui all'art. 34 della l. 28.2.1985, n. 47, che
assorbe esclusivamente le sanzioni pecuniarie legate all'illecito urbanistico.
L'art. 32, l. 28.2.1985, n. 47, ha esteso la
possibilità di condono anche alle opere realizzate su aree sottoposte a vincolo
previo rilascio del parere favorevole dell’amministrazione preposta alla tutela
del vincolo.
L’indennità rimane applicabile anche nell’ipotesi di
rilascio della concessione in sanatoria.
Legittimamente, quindi, il provvedimento di
sanatoria di una costruzione abusiva realizzata su un'area sottoposta a vincolo
paesaggistico è condizionato al pagamento della indennità di cui alla l.
1497/1939. Cons. St., sez. II, 7.3.1990, n. 189, DGA, 1993, 442.
L'ammissibilità di un'autorizzazione paesaggistica
postuma, valevole ai fini della positiva definizione del procedimento di
sanatoria ai sensi dell'art. 13, l. 47 del 1985, non pregiudica il residuare
del potere dovere dell'autorità competente di procedere all'applicazione della
sanzione di cui all'art. 15, l. 1497 del 1939. Cons. St., sez. VI, 4.12.2000,
n. 6469, RGE, 2001, I, 481.
8. La tutela dei beni culturali.
La tutela dei beni culturali è di competenza statale.
Essa è demandata al Ministero per i beni e le
attività culturali dal d.lg. 42/2004. Tamiozzo 2005, 25.
9. La sospensione dei lavori.
La giurisprudenza non ritiene che il procedimento
cautelare sia soggetto alla norme sull’accesso al procedimento amministrativo.
Essa ha respinto la censura di violazione dell'art. 7, l. 241/90, per mancata
comunicazione dell'avvio del procedimento da parte del Comune.
L'Amministrazione è, infatti, tenuta ad attivarsi
nel breve termine di sessanta giorni di cui all'art. 20, l. 1089 del 1939, e
pertanto, ben poteva usufruire della deroga al procedimento generale derivante
da particolari esigenze di celerità, di cui all'art. 7, l. 241 del 1990. T.A.R.
Toscana sez. III, 13.9.2000, n. 1923.
10. La sanzione pecuniaria alternativa alla
demolizione.
All’affermazione della necessità di scegliere la
sanzione della demolizione, invece di quella pecuniaria, quando sia accertato
che con la demolizione si può realizzare la riduzione in pristino, fa, infatti,
riscontro l’affermazione che l’alternativa tra demolizione e risarcimento è
affidata ad un apprezzamento discrezionale della pubblica amministrazione.
Cons. St., sez. IV, 25.9.1968, n. 515, RGE, 1968, 1492.
11. Il provvedimento di riduzione in pristino.
Il provvedimento del Ministero dei beni culturali
che ordina la riduzione in pristino di un immobile vincolato a fini
storico-culturali legittimamente è diretto nei confronti del soggetto avente la
proprietà al tempo dell'abuso e che comunque ha proposto domanda di condono
edilizio all'autorità comunale, ancorché successivamente abbia alienato il
bene. Cons. St., sez. VI, 18.4.2000, n. 2305, FA,
2000, 1368.
12. L’azione di prevenzione del danno ambientale.
Il ripristino ambientale da parte dell’operatore.
L’art. 174, paragrafo 2, del Trattato CE introduce
il principio di precauzione. La politica della Comunità in materia ambientale
mira a un elevato livello di tutela, tenendo conto della diversità delle
situazioni nelle varie regioni. Essa è fondata sui principi della precauzione e
dell'azione preventiva, sul principio della correzione, in via prioritaria alla
fonte, dei danni causati all'ambiente, nonché sul principio chi inquina paga. Corte giustizia CE, sez. I, 14.4.2005, n. 6, FACDS, 2005, n. 4, 962.
13. L’ordinanza ministeriale di rimessione in pristino in forma
specifica e per equivalente patrimoniale.
La dottrina rileva che nuova formulazione dell’art. 311,
d.lg. 3.4.2006, n. 152, elimina il requisito della colpa del gestore punendo
anche il mero comportamento colposo che non tenga conto delle norme vigenti a
tutela dell’ambiente. (Robustella 2006, 786).
1.
Il potere di autotutela dell’autorità amministrativa sui beni demaniali.
L’art. 823 c.c. fissa le modalità di tutela dei beni
del demanio pubblico affermando la legittimità della tutela amministrativa che
ha pari dignità di quella giurisdizionale.
2. Spetta all'autorità amministrativa la tutela dei
beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in
via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà
e del possesso regolati dal presente codice.
(art. 823 c.c.).
L’articolo rinvia espressamente alle norme speciali
dettate per i singoli beni.
Il potere di autotutela si esplica sotto diverse
prospettazioni.
Sotto un primo profilo la pubblica amministrazione
ha la possibilità di riformare i suoi atti, anche senza la richiesta del
privato interessato al provvedimento, e può provvedere a risolvere i conflitti
eventualmente insorgenti con altri soggetti nell'attuazione dei propri
provvedimenti.
Questo è un potere di carattere generale.
In altre fattispecie rigidamente predeterminate il
potere si autotutela si esplica nella possibilità di disporre e dare esecuzione
a misure ripristinatorie nel caso di trasgressione da parte degli amministrati
di diritti reali pubblici dell’amministrazione.
Per il principio di legalità in tali casi
l’autotutela non può esercitarsi al di fuori dei casi tassativamente previsti
dalla legge speciale (Sandulli 1984, 783).
Un limite per l’esercizio della tutela
amministrativa esercitata da un ente pubblico si rivolga verso i privati non
essendo ammessa avverso altre pubbliche amministrazioni.
L'autotutela della p.a. è espressione della sua
supremazia, e conseguentemente può essere esercitata solo nei confronti di
soggetti privati, non anche nei confronti di soggetti che fanno parte anch'essi
della p.a., e che, in quanto tali, sono nella medesima condizione giuridica.
Pertanto, un Comune non può esercitare i propri poteri di autotutela a difesa
della proprietà demaniale, secondo la previsione dell'art. 823, comma 2, c.c.,
nei confronti di una Regione. Principio espresso in controversia possessoria
promossa dalla Regione nei confronti di un Comune; enunciando il principio di
cui in massima, le S.U. hanno dichiarato la giurisdizione del g.o.
L’art. 378, l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. f), reca
una disposizione avente carattere generale che sancisce il potere di ripristino
– che non sempre è potere di ripristino, ma a volte di rimozione – per le
contravvenzioni alle norme sui lavori pubblici che alterino lo stato delle cose
(Sandulli 1989, 784).
E’ una attività di polizia demaniale mediante la
quale le amministrazioni vigilano affinché l’uso dei beni pubblici non avvenga
in contrasto con le norme in vigore e affinché non siano violati i diritti
dell’amministrazione e degli eventuali concessionari sui beni stessi.
Per le contravvenzioni alla presente legge, che
alterano lo stato delle cose, è riservato al prefetto l'ordinare la riduzione
al primitivo stato, dopo di aver riconosciuta la regolarità delle denunce, e
sentito l'ufficio del Genio civile. Nei casi di urgenza il medesimo fa eseguire
immediatamente di ufficio i lavori per il ripristino.
Sentito poi il trasgressore per mezzo dell'autorità
locale, il prefetto provvede al rimborso a di lui carico delle spese degli atti
e della esecuzione di ufficio, rendendone esecutoria la nota, e facendone
riscuotere l'importo nelle forme e coi privilegi delle pubbliche imposte.
Il prefetto promuove inoltre l'azione penale contro
il trasgressore, allorché lo giudichi necessario od opportuno.
Queste attribuzioni sono esercitate dai sindaci
quando trattasi di contravvenzioni relative ad opere pubbliche dei comuni
(art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f).
La giurisprudenza ha riconosciuto all’autorità
amministrativa il più ampio potere in ordine alla funzione di eliminare ogni
situazione in contrasto con la normativa che possa causare un eventuale
pericolo alla circolazione
L'autotutela amministrativa dei beni demaniali o del
patrimonio indisponibile non s'esaurisce nei soli provvedimenti autoritativi di
riduzione in pristino - come quello previsto dall'art. 378, l. 20 marzo 1865,
n. 2248, all. f) - ma comprende anche la facoltà di revoca o di modificazione,
avente forza coattiva, degli atti e delle situazioni divenute incompatibili con
la destinazione pubblica del bene
(Cons. St., sez. V,
1.10.1999, n. 1224, FA, 1999, 2061).
L’autorità preposta è il prefetto.
Il sindaco è, invece, competente ad attivarsi per le
opere dei comuni; deve essere sentito per il relativo parere l’ufficio del
genio civile (Cassese 1969, 361).
Le strade vicinali sono utilizzabili non solo dai
proprietari confinanti, ma anche dalla collettività e, per essa, dal comune che
la rappresenta. Pertanto, è legittimo il provvedimento con cui un comune
esercita il potere di autotutela possessoria, ex art. 378, l. 20.3.1865, n.
2248, all. f), e artt. 15 e 17, d. l. 1.9.1918, n. 1446, ordinando la rimozione
delle opere che impediscono il transito attraverso una strada vicinale
(Cons. Stato, sez. V, 10.1.1997, n. 29, FA,
1997, 136).
La competenza del sindaco è affermata anche per le
strade vicinali aperte al pubblico transito.
La strada di accesso al mare, oggetto di diritto di
uso pubblico quale strada privata aperta al pubblico transito, deve essere
qualificata come strada vicinale adibita al pubblico transito; pertanto,
ritenuta la perdurante sussistenza del diritto di uso pubblico, deve essere
comunque riconosciuta in favore del Sindaco, ai sensi degli artt. 823 e 825
c.c. e 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f), e 15, d. l. 1.9.1918, n. 1446,
confermato dall'art. 20, r. d. 15.11.1923, n. 2506, la titolarità del potere di
autotutela possessoria juris publici della strada medesima, nel cui
ambito deve essere correttamente inquadrato il provvedimento recante
autorizzazione al ripristino della funzionalità del relativo tracciato
(T.A.R. Sardegna, 9.10.1996, n. 1351, T.A.R.
1996, I, 4756).
Il sindaco ha il potere di autotutela anche nei
riguardi dei beni del patrimonio comunale indisponibile, e tale potere non si
esaurisce nei provvedimenti autoritativi di riduzione in pristino, come quello
previsto dall'art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f), ma comprende anche la
facoltà di revoca e modificazione degli atti e delle situazioni divenute
incompatibili con la destinazione pubblica del bene.
In ordine agli immobili vincolati ai sensi della l.
1.6.1939, n. 1089, spetta all'organo monocratico del Comune il potere di
tutela, ex art. 823 c.c., nonché il generale potere di autotutela di cui
all'art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f)
(Cons. Stato, sez. IV, 15.3.2000, n. 1398, FA,
2000, 817).
La Corte costituzionale ha dichiarato illegittima la
disposizione che limitava l’azione penale da parte del prefetto, sostituito poi
successivamente dall’ingegnere capo del genio civile.
E' costituzionalmente illegittimo l'art. 378, 3°
co., l. 20.3.1865, n. 2248, all. F, in quanto riserva al solo Ingegnere capo del
genio civile, con esclusione del pubblico ministero, l'esercizio dell'azione
penale nei confronti di chi commette le contravvenzioni previste e punite dalla
legge predetta
(Corte cost., 26.7.1979, n. 84, CP, 1980,
593).
L’intervento della p.a., tenuta, in attuazione
dell'art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f), all'esecuzione degli
indispensabili lavori di ripristino è intervento di carattere generale
applicabile anche nel caso di infrazioni al divieto di eseguire opere
nell’alveo di fiumi.
Il divieto di eseguire opere nell'alveo dei fiumi,
torrenti, rivi, scolatori pubblici e canali di proprietà demaniale senza il
permesso dell'autorità amministrativa, di cui all'art. 93, r. d. 25.7.1904, n.
523, integra una contravvenzione la cui permanenza cessa con l'ultimazione dei
lavori e delle opere non autorizzate poste in essere, mentre gli ulteriori
effetti dannosi o pericolosi derivanti dal mantenimento delle opere eseguite
non integrano ipotesi di reato, ma determinano l’azione amministrativa ex art.
378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f).
(Cass. pen., sez. III,
18.12.1998, n. 1661, RGE, 2000, I, 203).
1. L’autotutela e
condono edilizio.
La giurisprudenza distingue tale potere di
autotutela dai provvedimenti sanzionatori azionati in relazione al fatto che il
soggetto passivo del procedimento si è reso responsabile di avere realizzato
opere abusive.
Costituisce sanzione contro un abuso edilizio e non
già atto di autotutela possessoria, ex art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all.
f), l'ordinanza con cui il sindaco, descrivendo l'abuso e dichiarando di fare
applicazione delle norme della l. 28.1.1977, n. 10 e della l. 28.2.1985, n. 47,
intima la rimozione di un'opera edilizia realizzata senza alcun titolo
abilitativo, indipendentemente dal fatto che essa insista, o meno, sul demanio
comunale o di altri enti
(Cons. St., sez. V,
4.2.1998, n. 134, FA, 1998, 405).
Il potere sanzionatorio è inoltre condizionato
dall’eventuale esame della richiesta di sanatoria edilizia.
Con l'entrata in vigore delle disposizioni normative
in tema di sanatoria edilizia, di cui alla l. 47 del 1985 e alla l. r. Sicilia
n. 37 del 1985, il prefetto non può ordinare sic et simpliciter, ai
sensi dell'art. 20, r.d. 8.12.1933, n. 1740, t.u. di norme per la tutela delle
strade e la circolazione, la riduzione in pristino stato delle costruzioni
realizzate in violazione delle distanze di cui all'art. 4, d. m. 1 aprile 1968,
relativamente alle quali è stata presentata domanda di sanatoria.
In tali casi, infatti, l'esercizio del potere -
dovere finalizzato alla tutela del nastro stradale è rimesso alla conclusione
del procedimento di sanatoria, e cioè al provvedimento del sindaco, il quale,
previa acquisizione del nulla osta rilasciato dall'ente titolare della strada,
accoglie o respinge l'istanza di sanatoria.
(T.A.R. Sicilia, sez. I, Palermo, 2.10.1991, n. 543,
1991, 647).
Il rilascio del titolo abilitativo edilizio in
sanatoria per abusi realizzati su aree soggette a vincolo presuppone il parere
favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo (Caruso 2003, 119).
1. Fatte salve le fattispecie previste dall'articolo
33, il rilascio del titolo abilitativo edilizio in sanatoria per opere eseguite
su immobili sottoposti a vincolo è subordinato al parere favorevole delle
amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso. Qualora tale parere
non venga formulato dalle suddette amministrazioni entro centottanta giorni
dalla data di ricevimento della richiesta di parere, il richiedente può
impugnare il silenzio-rifiuto. Il rilascio del titolo abilitativo edilizio
estingue anche il reato per la violazione del vincolo. Il parere non è
richiesto quando si tratti di violazioni riguardanti l'altezza, i distacchi, la
cubatura o la superficie coperta che non eccedano il 2 per cento delle misure
prescritte.
2. Sono suscettibili di sanatoria, alle condizioni
sotto indicate, le opere insistenti su aree vincolate dopo la loro esecuzione e
che risultino:
(omissis)
c) in contrasto con le norme del decreto
ministeriale 10.4.1968, n. 1404, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 96 del
13.4.1968, e con agli articoli 16, 17 e 18 della legge 13.6.1991, n.190, e
successive modificazioni, sempre che le opere stesse non costituiscano minaccia
alla sicurezza del traffico.
(art. 32, l.
28.2.1985 n. 47, mod. art. 32, 43° co., l. 24.11.2003, n. 326).
La giurisprudenza precedente all’entrata in vigore
della l. 326/2003 ha affermato che il rilascio della concessione in sanatoria
per abusi realizzati su aree soggette a vincolo presuppone in ogni caso il parere
favorevole dell'autorità preposta alla tutela del vincolo.
La concreta lesività del parere espresso dall'autorità
preposta alla tutela del vincolo paesaggistico si manifesta solo nel momento in
cui esso è trasposto o richiamato nell'atto finale che definisce la domanda di
sanatoria edilizia.
(Cons. St., sez. V, 10.2.2004,
n. 480).
2.
La tutela amministrativa di autostrade o di strade statali.
Se le opere abusive sono realizzate su autostrade o
strade statali la competenza è del capo compartimento per la viabilità
dell'ANAS, ex art. 25, l. 7.2.1961, n. 59.
L’intervento si può articolare in una preventiva
sospensiva delle opere in corso di esecuzione.
Il provvedimento emanato da altra autorità, ad
esempio il sindaco, è illegittimo.
L'ordine di sospensione dei lavori di costruzione di
un edificio a distanza illegale da un'autostrada o da una strada statale
(esclusi, per queste ultime, i tratti interni agli abitati classificati
comunali) rientra nella competenza del capo compartimento per la viabilità
dell'ANAS e non del prefetto o del sindaco
(Cons. St., sez. IV,
13.3.1991, n. 179, FA, 1991, 674).
Se si tratta di ferrovie la competenza è del
direttore compartimentale delle Ferrovie dello Stato.
Se, ai sensi dell'art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248,
all. f), il direttore compartimentale delle Ferrovie dello Stato, ai fini della
tutela delle distanze, può ordinare la demolizione delle costruzioni poste a
meno di 5 metri dalla strada ferrata, tuttavia tale provvedimento deve essere
motivato
(T.A.R. Calabria, sez. Reggio Calabria, 15.7.1981,
n. 115, RGCT, 1982, 395).
2.1.
Il procedimento ex art. 30, d. lg. 30.4.1992, n. 285, che approva il nuovo
codice della strada.
Le autorità provvedono all'accertamento delle
situazioni di pericolo relative a fabbricati ed a muri di qualunque genere
fronteggianti le strade e all’applicazione delle eventuali sanzioni
amministrative nonché ad ordinare la riduzione in pristino e a fare eseguire le
opere necessarie d’ufficio, qualora il soggetto passivo del provvedimento non
provveda ad eseguire le sue disposizioni, addebitando a quest’ultimo
l’eventuale spesa con uno speciale procedimento disciplinato dall’art. 30, d.
lg. 30.4.1992, n. 285.
1. I fabbricati ed i muri di qualunque genere
fronteggianti le strade devono essere conservati in modo da non compromettere
l'incolumità pubblica e da non arrecare danno alle strade ed alle relative
pertinenze.
2. Salvi i provvedimenti che nei casi contingibili ed urgenti possono essere adottati dal sindaco a tutela della pubblica incolumità, il prefetto sentito l'ente proprietario o concessionario, può ordinare la demolizione o il consolidamento a spese dello stesso proprietario dei fabbricati e dei muri che minacciano rovina se il proprietario, nonostante la diffida, non abbia provveduto a compiere le opere necessarie.
3. In caso di inadempienza nel termine fissato, l'autorità competente ai sensi del comma 2 provvede d'ufficio alla demolizione o al consolidamento, addebitando le spese al proprietario.
4. La costruzione e la riparazione delle opere di sostegno lungo le strade ed autostrade, qualora esse servano unicamente a difendere ed a sostenere i fondi adiacenti, sono a carico dei proprietari dei fondi stessi; se hanno per scopo la stabilità o la conservazione delle strade od autostrade, la costruzione o riparazione è a carico dell'ente proprietario della strada.
5. La spesa si divide in ragione dell'interesse quando l'opera abbia scopo promiscuo. Il riparto della spesa è fatto con decreto del Ministro dei lavori pubblici, su proposta dell'ufficio periferico dell'A.N.A.S., per le strade statali ed autostrade e negli altri casi con decreto del presidente della regione, su proposta del competente ufficio tecnico.
6. La costruzione di opere di sostegno che servono unicamente a difendere e a sostenere i fondi adiacenti, effettuata in sede di costruzione di nuove strade, è a carico dell'ente cui appartiene la strada, fermo restando a carico dei proprietari dei fondi l'obbligo e l'onere di manutenzione e di eventuale riparazione o ricostruzione di tali opere.
7. In caso di mancata esecuzione di quanto compete ai proprietari dei fondi si adotta nei confronti degli inadempienti la procedura di cui ai commi 2 e 3.
8. Chiunque non osserva le disposizioni di cui al comma 1 è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire cinquecentomila a lire due milioni.
(art. 30, d. lg. 30.4.1992, n. 285).
2. Salvi i provvedimenti che nei casi contingibili ed urgenti possono essere adottati dal sindaco a tutela della pubblica incolumità, il prefetto sentito l'ente proprietario o concessionario, può ordinare la demolizione o il consolidamento a spese dello stesso proprietario dei fabbricati e dei muri che minacciano rovina se il proprietario, nonostante la diffida, non abbia provveduto a compiere le opere necessarie.
3. In caso di inadempienza nel termine fissato, l'autorità competente ai sensi del comma 2 provvede d'ufficio alla demolizione o al consolidamento, addebitando le spese al proprietario.
4. La costruzione e la riparazione delle opere di sostegno lungo le strade ed autostrade, qualora esse servano unicamente a difendere ed a sostenere i fondi adiacenti, sono a carico dei proprietari dei fondi stessi; se hanno per scopo la stabilità o la conservazione delle strade od autostrade, la costruzione o riparazione è a carico dell'ente proprietario della strada.
5. La spesa si divide in ragione dell'interesse quando l'opera abbia scopo promiscuo. Il riparto della spesa è fatto con decreto del Ministro dei lavori pubblici, su proposta dell'ufficio periferico dell'A.N.A.S., per le strade statali ed autostrade e negli altri casi con decreto del presidente della regione, su proposta del competente ufficio tecnico.
6. La costruzione di opere di sostegno che servono unicamente a difendere e a sostenere i fondi adiacenti, effettuata in sede di costruzione di nuove strade, è a carico dell'ente cui appartiene la strada, fermo restando a carico dei proprietari dei fondi l'obbligo e l'onere di manutenzione e di eventuale riparazione o ricostruzione di tali opere.
7. In caso di mancata esecuzione di quanto compete ai proprietari dei fondi si adotta nei confronti degli inadempienti la procedura di cui ai commi 2 e 3.
8. Chiunque non osserva le disposizioni di cui al comma 1 è soggetto alla sanzione amministrativa del pagamento di una somma da lire cinquecentomila a lire due milioni.
(art. 30, d. lg. 30.4.1992, n. 285).
L'art. 20, t.u. 8.12.1933, n. 1740 che regolava la
materia prima dell’entrata in vigore del codice della strada consentiva
l'emanazione in un unico contesto della diffida a demolire e dell'ordine di
demolizione di un manufatto costruito rispetto a una strada pubblica a distanza
inferiore a quella prescritta.
L'ordine di demolizione può essere diretto al
contravventore, che non sempre coincide col proprietario (Cons. giust. amm.
Sicilia, 6.9.1986, n. 138, CS, 1986, 1387).
3.
La tutela amministrativa del demanio idrico.
Il regime delle acque pubbliche è soggetto a
particolari tutele.
L’art. 96, r.d. 523/1904, prevede il divieto di
realizzare opere a ridosso del piede degli argini o delle sponde dei corsi
d’acqua.
L'art. 96, lett. f), r.d. 25.7.1904, n. 523,
contempla, tra l'altro, un assoluto divieto di edificare a meno di 10 metri dal
piede degli argini dei corsi d'acqua, prevedendone altresì la deroga solo
allorquando la materia sia contemporaneamente disciplinata agli stessi fini da
normative locali, che comprendono anche quelle contenute nei piani regolatori
generali e nei regolamenti edilizi (T.A.R. Emilia Romagna Parma, 6.11.2003, n. 581, FATAR, 2003, 3226).
In particolare la giurisprudenza ha precisato che il
divieto di cui all'art. 96, lett. g), r.d. 25.7.1904, n. 523 (t.u. delle leggi
sulle opere idrauliche) appare riferito ad opere e atti che investono gli alvei
delle acque pubbliche, le sponde e difese, e cioè lo spazio soggiacente alle
piene ordinarie, le sponde e le ripe interne, formanti con l'alveo del corso
d'acqua una unità inscindibile per il contenimento e l'economia di scorrimento
delle acque, o, comunque, le opere e i fatti che incidano sull'economia e sul regime
dell'alveo del corso d'acqua, come sopra definito (Cass. Pen., sez. III,
8.3.1994, CP, 1996, 908).
La giurisprudenza ha affermato che i divieti di
edificazione sanciti dall'art. 96 r.d. 25.7.1904, n. 523 sono informati alla
ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di sfruttamento delle acque
demaniali ovvero di assicurare il libero deflusso delle acque scorrenti nei
fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici; pertanto, quando risulta
oggettivamente non sussistente una massa di acqua pubblica suscettibile di
essere utilizzata ai predetti fini, deve escludersi l'operatività dei
menzionati divieti (Cass. Civ., Sez. U., 5.7.2004, n. 12271, FACDS,
2004, 1994).
Per quanto riguarda l’estrazione dall'alveo dei
fiumi e torrenti di ghiaia e sabbia, ai sensi dell'art. 97, r.d. 25.7.1904, n.
523, la giurisprudenza ha precisato che la concessione amministrativa è
richiesta in relazione all'uso eccezionale del bene pubblico che intenda farne
il privato nel proprio interesse.
Detto uso comporta il pagamento di un canone ed il
previo accertamento che esso non leda i preminenti interessi pubblici attinenti
alla salvaguardia del regime delle acque, mentre la suddetta concessione non
deve ritenersi necessariamente richiesta ove l'estrazione si colleghi, con
carattere di necessità, al compimento di un'opera idraulica sul fiume o
torrente (Cass. civ., sez. I, 5.12.1998, n. 12332, GCM, 1998, 2544).
I divieti formulati dal t.u. 25.7.1904, n. 523,
sulle opere idrauliche, soggiacciono alla sanzione stabilita dall'art. 374, l.
20.3.1865, n.
2248, all. f), non abrogata dal testo unico che si è
limitato a riordinare la materia.
Alle pene di polizia e alla multa, comminate dalla
disposizione del 1865, in virtù dell'art. 1, r.d. 28.5.1931, n. 601,
corrispondono quelle dell'arresto e dell'ammenda (Cass. pen., sez. III,
5.2.1996, CP, 1997, 1852).
La giurisprudenza ha affermato che la controversia
relativa ad un provvedimento che, anche indirettamente, si propone di tutelare
il corretto deflusso delle acque, va sottoposta alla giurisdizione del Trib.
Sup. Acque Pubbl., ai sensi dell'art. 143, r.d. 11.12.1933 n. 1775.
Nella vigenza dell'art. 34, d.lg. 31.3.1998, n. 80 -
successivamente modificato, in parte, dalla l. 21.7.2000, n. 205 - sussiste la
giurisdizione diretta di legittimità del tribunale superiore delle acque
pubbliche, ai sensi dell'art. 143, t.u. 11.12.1933, n. 1775, per le
impugnazioni di tutti i provvedimenti con incidenza diretta ed immediata sul
regime delle acque pubbliche.
Tale giurisdizione speciale sussiste, quindi, per le
controversie relative all'autorizzazione o concessione per la realizzazione di
costruzioni ed opere attinenti all'utilizzazione od al regime delle acque nella
regione Lombardia, nella quale esiste una specifica legislazione limitativa
delle concessioni di costruzione in zona a destinazione agricola.
(Trib. sup.re acque, 21.5.2003, n. 74, FACDS,
2003, 1735).
3.1.
La tutela amministrativa del demanio marittimo. Le occupazioni abusive.
L’autorità marittima competente ha l’obbligo di
ordinare la rimessione in pristino delle occupazioni e innovazioni abusive.
1. Qualora siano abusivamente occupate zone del
demanio marittimo o vi siano eseguite innovazioni non autorizzate, il capo del
compartimento ingiunge al contravventore di rimettere le cose in pristino entro
il termine a tal fine stabilito e, in caso di mancata esecuzione dell'ordine,
provvede di ufficio a spese dell'interessato.
(art. 54, c.n.).
L’amministrazione non ha l’obbligo di alcuna
motivazione in quanto l’interesse pubblico alla rimessione in pristino non è
subordinato in alcun modo all’interesse privato alla conservazione del
manufatto abusivo.
L'esercizio dei poteri repressivi non richiede
alcuna particolare motivazione specifica in ordine alla prevalenza
dell'interesse pubblico al ripristino dello status quo ante rispetto a
quello del privato alla conservazione dell'occupazione dell'area demaniale
marittima.
Nell’esigere l’esecuzione l’amministrazione può
legittimamente rivolgersi a colui che al momento del procedimento di rimessione
in pristino è l’attuale detentore del bene
La qualità di utilizzatore di un immobile
abusivamente realizzato sul demanio costituisce requisito di per sé sufficiente
per poter essere individuato come legittimato passivo dell'ordine di
demolizione dell'immobile medesimo, atteso che la sua disponibilità consente
all'interessato di porre fine alla situazione antigiuridica; pertanto, la
circostanza di non aver realizzato tale manufatto, idonea ad escludere la
responsabilità penale e personale dell'interessato, non può anche esimerlo
dall'obbligo di ottemperare all'ordine di demolizione.
L’autorità amministrativa deve sanzionare anche il
deposito abusivo di merci e mancata rimozione di cose depositate.
1. È punito con la sanzione amministrativa fino a
516 euro:
1) chiunque deposita merci o altri materiali nei luoghi indicati negli articoli 50 e 57, senza il permesso dell'autorità competente e il pagamento del relativo canone;
2) chiunque non esegue l'ordine di rimozione delle cose depositate.
1) chiunque deposita merci o altri materiali nei luoghi indicati negli articoli 50 e 57, senza il permesso dell'autorità competente e il pagamento del relativo canone;
2) chiunque non esegue l'ordine di rimozione delle cose depositate.
(art. 1165, c.n., mod. art.
32, l. 24.11.1981, n. 689).
La condotta di chi non ottempera all'ordine di
rimozione di quanto insistente sul demanio marittimo, legittimamente emesso
dalla competente Capitaneria di Porto, specificatamente prevista dall'art.
1165, 1° co., lett. b), c. n., è originariamente punita con sanzione in origine
penale.
La fattispecie non costituisce più reato in quanto
la suddetta violazione è soltanto amministrativa a seguito della
depenalizzazione di cui all'art. 32, l. 24.11.1981, n. 689.
La condotta di chi non ottempera all'ordine di
rimozione, emesso dalla Capitaneria di porto, ex art. 51 c. n.,
sanzionata dall'art. 1165, 1° co., lett. b) c. n., è stata depenalizzata
dall'art. 32, l. n. 689 del 1981.
Tale fattispecie non può essere fatta rivivere come
illecito penale mediante l'utilizzazione dell'art. 650 c.p., che contiene una
norma penale in bianco a carattere sussidiario, applicabile solo quando il
fatto non sia previsto come reato da una specifica disposizione ovvero non sia
altrimenti sanzionato in relazione a regolamenti e ordinanze dell'autorità
amministrativa che già prevedano una sanzione per la loro inosservanza.
4.
Il limite temporale all’esercizio dell’autotutela.
L’orientamento giurisprudenziale che, dati i motivi
di sicurezza stradale che ispirano l’azione repressiva, non ritiene necessario
che il procedimento sia condizionato dal fatto di essere intrapreso entro il
termine di un anno dalla data dell’inizio dei lavori.
L’oggetto della tutela amministrativa è il pubblico
interesse alla sicurezza della circolazione del traffico sulle strade riferito
sia alla attuale situazione delle stesse che alle eventuali future, ma
possibili, modifiche.
In assenza di alcun termine di decadenza
legislativamente fissato per l'esercizio di detto potere ed in considerazione
del fatto che il privato è, comunque, a conoscenza della propria posizione di
irregolarità in base alla contestazione del verbale di contravvenzione, il
suddetto potere di autotutela può essere esercitato dall'amministrazione senza
limiti di tempo.
L'esercizio del potere non è soggetto al limite
temporale di un anno relativo all'esercizio dell'azione di manutenzione di cui
all'art. 1170 c.c.
L'esercizio del potere di autotutela possessoria iuris
publici in materia di strade vicinali, di cui agli art. 55, 81 e 378 della
l. 20.3.1865, n. 2248, all. F., non incontra limiti temporali, neppure in via
analogica nel termine di un anno di cui all'art. 1168, c.c. (disciplinante la
tutela possessoria privatistica), data l'eterogeneità dei due istituti, l'uno
relativo ad una potestà amministrativa volta a perseguire interessi pubblici,
l'altro concernente una forma speciale di tutela giurisdizionale di interessi
privati.
La giurisdizione sul potere di autotutela è
sicuramente del giudice amministrativo poiché il provvedimento repressivo
rientra nei poteri autoritativi che degradano i diritti del soggetto passivo a
meri interessi legittimi.
Il potere di ordinanza attribuito al sindaco in base
all'art. 378, l. 20.3.1865, n. 2248, all. f), in materia di riduzione in
pristino per la tutela del demanio stradale, si configura come un potere di
autotutela possessoria iuris publici, inteso all'immediato ripristino
dello stato di fatto preesistente, il cui esercizio non si sottrae al sindacato
di legittimità del giudice amministrativo trattandosi di verificare la presenza
dei necessari presupposti e la conformità alle norme che lo disciplinano.
(T.A.R. Lazio, sez. Latina, 14.5.1988 n. 354, FA,
1989, 770).
Le posizioni del privato destinatario dell'ordine di
demolizione, ancorché abbia conseguito dal comune l’autorizzazione per l’opera
ritenuta abusiva hanno natura e consistenza di meri interessi legittimi, come
tali tutelabili dinanzi al giudice amministrativo (Cass. civ., Sez. U.,
14.1.1987, n. 193, FI, 1987, I, 2450).
5.
La tutela dei beni privati di interesse pubblico. La tutela dei beni
ambientali.
La tutela amministrativa si svolge anche nei confronti
dei beni privati di interesse pubblico.
La qualità del bene comporta che l’amministrazione
preposta possa agire sia in via cautelare sia in via ordinaria per conservare
l’integrità dei beni ed evitare ogni loro manomissione o distruzione.
La legislazione speciale determina le modalità degli
interventi.
Le principali disposizioni si trovano nel codice dei
beni culturali e nel codice dell’ambiente.
Il primo, approvato con d.lg. 42/2004, regola la
tutela dei beni paesaggistici e quella dei beni culturali.
In tal caso la qualità del bene che si intende
tutelare deve essere verificata alla luce delle norme che attribuiscono tale
qualità.
Il secondo, approvato con d.lg. 152/2006, dispone la
tutela dei beni interessati da attività economiche soggette a controllo perché
possono essere pericolose per l’ambiente circostante e per la stessa salute
umana.
E’ l’operatore interessato che ha la responsabilità
diretta quando emerga il rischio suddetto, di informare gli enti preposti.
In tale ipotesi è lo stesso operatore - se vuole
evitare l’intervento degli organi di controllo in via sostitutiva e
l’interrompersi stesso dell’attività autorizzata - che deve attivarsi.
L’azione dell’operatore può essere contenitiva ed
essere idonea a ripristinare la situazione quo antea.
L’amministrazione si limita in questa fase ad
un’azione di accertamento per verificare che alcun danno non sia stato
prodotto.
In caso contrario l’amministrazione procede con
l’azione di danno ambientale. Vedi Cap. XVII, n. 6
La tutela dei beni paesaggistici è affidata
congiuntamente al Ministero e alle Regioni, ex art. 132, d.lg. 42/2004.
La tutela ha ad oggetto i beni di interesse
paesaggistico individuati dal procedimento di dichiarazione di notevole
interesse pubblico, i beni tutelati per legge ed i beni inseriti nel piano
paesaggistico, vedi Cap. V, n. 1.8 e segg.
Ogni intervento sull’immobile deve essere
autorizzato dalla competente autorità.
Qualora l'autorità amministrativa preposta alla
tutela paesaggistica non provveda d'ufficio è previsto l’intervento sostitutivo
del direttore regionale competente.
Egli può iniziare il procedimento su richiesta della
medesima autorità amministrativa ovvero direttamente in caso di inerzia
dell’amministrazione competente.
Nel secondo caso devono essere decorsi centottanta
giorni dall'accertamento dell'illecito e deve essere previamente diffidata l’autorità
competente.
6.
L’ordine di demolizione.
L’ordine di demolizione è il rimedio normale per
reprimere gli interventi abusivi realizzati sui beni paesaggistici.
Non è richiesto il preventivo ordine di sospensione
dei lavori
Costituisce motivazione sufficiente la constatazione
del contrasto fra l’opera abusiva e le caratteristiche della zona protetta.
La demolizione delle opere, abusivamente eseguite in
spregio della tutela delle bellezze panoramiche, costituisce sanzione
propriamente preordinata al ripristino dello stato dei luoghi turbato dalla
illecita costruzione, restando nella discrezionalità dell'amministratore
applicare la sanzione patrimoniale pecuniaria quando la lesione arrecata
all'ambiente paesaggistico sia di limitata entità, sulla base di valutazione
non sindacabile nel giudizio di legittimità (Cons. St., sez. VI, 15.4. 1993, n.
290, FA, 1993, 737).
La demolizione di un'opera edilizia realizzata senza
permesso di costruire, in una zona sottoposta a vincolo paesaggistico è
legittimamente ordinata se, tenuto conto del grave pregiudizio dei valori
paesaggistici, provocato dall'opera stessa, sia stato ritenuto di non
applicare, in alternativa, la sanzione pecuniaria (Cons. St., sez. II,
16.5.1990, n. 242, CS, 1993, I, 1046).
La mancanza ovvero l’inadeguatezza della motivazione
è sufficiente per poter fare dichiarare la illegittimità del provvedimento.
Il provvedimento di demolizione deve concedere al
trasgressore un termine per l’esecuzione dello stesso.
In caso di inadempienza si procede d’ufficio a mezzo
del Prefetto, con l’addebito delle spese sostenute, ex art. 167, 3° co.,
d.lg. 42/2004.
7. La sanzione
pecuniaria alternativa alla demolizione.
L’art. 167, d.lg. 42/2004, attribuisce alla autorità
amministrativa preposta al vincolo una scelta discrezionale sulle modalità
relative alla repressione dell’abuso sui beni ambientali, concedendole la
facoltà di valutare se procedere alla demolizione delle opere o alla
irrogazione di una sanzione pecuniaria.
La sanzione pecuniaria rappresenta una sanzione
amministrativa applicabile sia nel caso di illeciti sostanziali, vale a dire in
caso di compromissione dell'integrità paesaggistica, sia in ipotesi di illeciti
formali, quale è da ritenersi il caso di violazione dell'obbligo di conseguire
l'autorizzazione preventiva a fronte di intervento compatibile con il contesto
paesistico oggetto di protezione (Cons. St., sez. VI, 4.12.2000, n. 6469, RGE,
2001, I, 482).
Vi è discordanza nella giurisprudenza riguardo all’interpretazione
della norma che demanda alla discrezionalità dell’amministrazione la scelta,
mentre vi è assoluta concordanza sull’obbligo di emanare il provvedimento
sanzionatorio.
Una prima interpretazione più rigorosa vede la
logica conseguenza dei provvedimenti repressivi nella demolizione delle opere
abusive, salvo la possibilità di applicare la sanzione pecuniaria quando
ricorrano particolari circostanze, adeguatamente motivate, che escludano la
necessità di procedere alla demolizione (Cons. St., sez. VI, 2.5.1972, n. 193, RGE,
1972, 775).
Una seconda interpretazione più permissiva afferma
che la sanzione pecuniaria mira a colpire coloro che non ottemperano agli
obblighi e agli ordini contenuti nella legge stessa e va applicata anche in
presenza del solo comportamento colposo o doloso di chi ha commesso l'abuso,
prescindendo dal danno ambientale (Cons. St., sez. VI, 2.6.2000, n. 3184, DGA,
2001, 281).
Essa costituisce non già una forma di risarcimento
danni, ma una vera e propria sanzione amministrativa (Cons. St., sez. VI,
9.10.2000, n. 5386, GBLT, 2001, 160).
Nel caso di irrogazione della sanzione pecuniaria
essa è calcolata stabilendo una cifra pari alla maggiore somma tra danno
arrecato e profitto conseguito sulla base di una perizia di stima.
E’ pacifico il collegamento dell’indennità con
criteri obiettivi di valutazione.
L'indennità di tipo risarcitorio del danno
cosiddetto ambientale, nell'ambito di un procedimento amministrativo di tipo
autoritativo, deve essere collegata a criteri obiettivi di valutazione e non
può richiamarsi a generici criteri equitativi (T.A.R. Lombardia, sez. Brescia,
20.1.1992, n. 9, FA, 1992, 2015).
La quantificazione della sanzione pecuniaria
prevista art. 167, d.lg. 42/2004, recante il codice dei beni culturali e del
paesaggio, è determinata ai sensi dell'art. 2, d.m. 26.9.1997, previa apposita
perizia di valutazione del danno causato dall'intervento abusivo in rapporto
alle caratteristiche del territorio vincolato ed alla normativa di tutela
vigente sull'area interessata, nonché mediante la stima del profitto conseguito
dalla esecuzione delle opere abusive.
Tuttavia, poiché tale quantificazione non può essere
oggetto di una dimostrazione articolata ed analitica, sfuggendo il danno
paesistico ad una indagine dettagliata e minuta, la relativa valutazione può
essere censurata solo per manifesta illogicità (T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 11.11.2004, n. 16752, FATAR, 2004, 3438).
In un primo tempo la giurisprudenza, decidendo sulla
legittimità del D.M. 24 settembre 1997, n. 1698900, ha affermato che
l’indennità risarcitoria presuppone l'esistenza del danno ambientale e il suo
conseguente accertamento, anche se esso non è di tale rilevanza da richiedere
la demolizione delle opere da realizzare.
E’ stato quindi dichiarato illegittimo il d.m.
26.9.1997 nella parte in cui prevede l'applicazione della sanzione anche
nell'ipotesi di assenza di danno ambientale (T.A.R. Lazio, sez. II, 21.6.1999,
n. 1531, RGE, 2000, I, 304).
Successivamente è stato precisato che la sanzione
pecuniaria prevista dall'art. 15, l. 1497 del 1939 - ed ora dall'art. 167,
d.lg. 42/2004 - è diretta a reprimere, con effetto deterrente oltre che
ripristinatorio, ogni tipo di violazione sia sostanziale, per l'effettivo
contrasto della costruzione con i valori paesistici ed ambientali della zona,
sia formale, per l'omessa acquisizione del nulla osta paesistico.
Essa è dovuta anche in mancanza di un concreto danno
ambientale, dovendo, in tal caso, essere commisurata al profitto conseguito.(T.A.R. Campania Napoli, sez. IV, 11.11.2004, n. 16752).
E’ conforme la giurisprudenza nel ritenere che
sussista in tale materia la giurisdizione del giudice amministrativo.
8.
La tutela dei beni culturali.
La tutela statale dei beni culturali è demandata al
Ministero per i beni e le attività culturali dal d.lg. 42/2004; il controllo
può venire esercitato anche dal comune che deve rapportarsi nell’adozione dei
provvedimenti sanzionatori alle decisioni dell’autorità preposta alla tutela
del vincolo.
La tutela riguarda ogni tipo di intervento sul bene.
I beni culturali, infatti, non possono essere
distrutti, danneggiati o adibiti ad usi non compatibili con il loro carattere
storico o artistico oppure tali da recare pregiudizio alla loro conservazione,
ex art. 20, 1° co., d.lg. 42/2004.
L’art. 32, d.lg. 42/2004, prevede un potere
sostitutivo dello stesso ministero che ha la facoltà di provvedere direttamente
alle opere necessarie per assicurare la conservazione ed impedire il
deterioramento di tali beni.
Le modalità procedurali e finanziarie
dell’intervento sostitutivo sono precisate dall’art. 35, d.lg. 42/2004.
9.
La sospensione dei lavori.
La tutela statale prevede da parte del
soprintendente la possibilità di sospendere i lavori quando i progetti relativi
non siano stati preventivamente autorizzati dalla soprintendenza, ai sensi
dell’art. 21, d.lg. 42/2004.
L'adozione del provvedimento cautelare può anche
precedere l’adozione del provvedimento di vincolo definitivo che deve seguire
nel termine di sessanta giorni.
La sospensione in tal caso ha la funzione di mettere
l'interessato sull'avviso delle intenzioni dell'amministrazione, consentendogli
di partecipare al procedimento che lo riguarda (T.A.R. Sardegna, 19.11.1997, n.
1607, T.A.R., 1998, I, 398).
La sospensione dei lavori è una misura
soprassessoria e al tempo stesso anticipatoria del provvedimento impositivo del
vincolo storico-artistico su un determinato bene.
Essa è dettata dalla necessità di bloccare medio
tempore, nelle more cioè del relativo procedimento, interventi suscettibili
di comprometterne il valore, dovendosi ritenere che l'indicazione in siffatta
sospensione delle ragioni giustificatrici del vincolo trascende la natura e la
funzione della sospensione medesima ed appartiene ad una fase successiva,
quella cioè della effettiva imposizione del vincolo, ove le ragioni della
imposizione del vincolo trovano la loro collocazione logica e devono quindi
essere esplicitate (T.A.R. Campania, sez. II, Napoli, 26.6.1998, n. 2154, FA,
1999, 205).
10.
La sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione.
L’art. 160, d.lg. 42/2004, disciplina il
procedimento sanzionatorio di competenza del Ministero per i beni e le attività
culturali.
La giurisprudenza ha affermato anche per tale
provvedimento l'obbligo di motivazione.
La sanzione pecuniaria ha valenza residuale ed è
applicabile solo quando la riduzione in pristino non sia tecnicamente possibile
(T.A.R. Abruzzo, sez. Pescara, 12.2.2000, n. 97, FA, 2000, 2845).
La controversia rivolta a contestare la validità ed
efficacia del provvedimento applicativo di detta sanzione è devoluta alla
giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto si ricollega a posizioni di
interesse legittimo (Cass. civ., sez. un., 4.4.2000, n. 94, FI, 2000, I,
1120).
La sanzione pecuniaria, irrogata
dall'amministrazione al proprietario di un immobile di interesse artistico e
storico per l'esecuzione di opere pregiudizievoli per il bene, ha carattere
alternativo rispetto a misure di tipo ripristinatorio e rientra, pertanto,
nell'area dei poteri autoritativi dell'amministrazione medesima a tutela
diretta di interessi pubblici.
Ne deriva che la controversia, volta a contestare la
validità ed efficacia del provvedimento applicativo di detta sanzione, ancorché
insorga in via di opposizione ad ingiunzione resa a norma del r.d. 639 del
1910, è devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo in quanto si
ricollega a posizioni di interesse legittimo (Cass. civ., sez. un., 17.2.1995,
n. 1714, GC, 1995, I, 1491).
La sanzione pecuniaria è determinata direttamente
dal Ministero che stabilisce una somma pari al valore della cosa perduta o alla
diminuzione di valore subita dal bene a seguito della trasgressione. (T.A.R.
Toscana sez. I, 18.3.1999, n. 220, FA, 2000, 178).
La determinazione può non essere accettata e può,
pertanto, essere richiesta la costituzione di un’apposita commissione che
accerti il valore della cosa, secondo quanto disposto dall’art. 160, 5° co.,
d.lg. 42/2004.
L’azione del Ministero non è soggetta ad alcun
termine di prescrizione (Cons. Stato, sez. IV, 6.5.1975, n. 482, FA,
1975, I, 628).
11.
Il provvedimento di riduzione in pristino.
Il provvedimento di riconduzione in pristino deve
essere preso dal Ministero.
Nel caso di opere ritenute difformi dalle
prescrizioni dell'autorità preposta alla salvaguardia dei beni oggetto della
tutela, l'art. 160, d.lg. 42/2004, impone il ripristino dello stato originario
del bene, con l'esecuzione dei lavori ritenuti necessari per riparare ai danni
prodotti alla cosa. Rispetto al fine primario di conferire al bene l'assetto
precedente perché più idoneo alla salvaguardia del suo valore artistico e
architettonico, la sanzione pecuniaria, pari al valore della cosa perduta o
alla diminuzione di valore subita a seguito della trasgressione ha valenza
residuale ed è applicabile solo quando la riduzione in pristino della cosa non
sia possibile (Cons. St., sez. IV, 18.5.1998, n. 818, AUE, 1999, 415).
La giurisprudenza interpreta restrittivamente la
facoltà del Ministero, ritenendo piuttosto che si tratti di un obbligo ad
adottare le misure repressive.
Nel caso di opere che abbiano recato danno al
patrimonio storico-artistico l'amministrazione è vincolata ad emanare
provvedimenti di riduzione in pristino mediante demolizione dei manufatti
abusivi, con esclusione di valutazioni discrezionali conservative, ancorché
tali opere concernano beni sottoposti a vincolo indiretto, senza che sul dovere
di disporre la riduzione in pristino incida il lungo tempo trascorso dal
compimento della violazione edilizia.
(Cons. St., sez. VI, 25.9.1995, n. 965, FA,
1995, 1922).
12. L’azione di
prevenzione del danno ambientale. Il ripristino ambientale da parte
dell’operatore.
L’art. 301, d.lg. 3.4.2006, n. 152, introduce il
principio di precauzione in applicazione dell’art. 174, par. 2, del Trattato
CE.
Detto principio di precauzione prevede che in caso
di pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve
essere assicurato un alto livello di protezione.
E’ l’operatore interessato che ha la responsabilità
diretta quando emerga il rischio suddetto, di informarne senza indugio,
indicando tutti gli aspetti pertinenti alla situazione, il comune, la
provincia, la regione o la provincia autonoma nel cui territorio si prospetta
l’evento lesivo, nonché il Prefetto della provincia che, nelle ventiquattro ore
successive, informa il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio.
Il Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio che è autorità ad essere informata per ultima è quella, in
applicazione del principio di precauzione, che ha la facoltà di adottare in
qualsiasi momento misure di prevenzione.
L’azione di prevenzione deve essere eseguita quando
il danno ambientale non si è ancora verificato, ma esiste una minaccia
imminente che si verifichi, ex art. 304, d.lg. 3.4.2006, n. 152.
Anche in questo caso il soggetto abilitato
l’operatore interessato adotta, entro ventiquattro ore e a proprie spese, le
necessarie misure di prevenzione e di messa in sicurezza.
Gli interventi non devono essere sottoposti ad
alcuna autorizzazione amministrativa; essi devono essere preceduti da apposita
comunicazione al comune, alla provincia, alla regione, o alla provincia
autonoma nel cui territorio si prospetta l’evento lesivo, nonché al Prefetto
della provincia che nelle ventiquattro ore successive informa il Ministro
dell’ambiente e della tutela del territorio.
Tale comunicazione deve avere ad oggetto tutti gli
aspetti pertinenti della situazione, ed in particolare le generalità
dell’operatore, le caratteristiche del sito interessato, le matrici ambientali
presumibilmente coinvolte e la descrizione degli interventi da eseguire.
La comunicazione, non appena pervenuta al comune,
abilita immediatamente l’operatore alla realizzazione degli interventi.
La mancata attivazione dell’operatore comporta la
irrogazione di una sanzione amministrativa non inferiore a mille euro né
superiore a tremila euro per ogni giorno di ritardo.
La sanzione presuppone l’accertamento della
situazione di pericolo e la documentata inerzia dell’operatore di fronte
all’emergenza.
Il codice dell’ambiente ignora ogni intervento
cautelare delle amministrazioni locali prevedendo invece una intervento
cautelare del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio che ha
facoltà di chiedere all’operatore di fornire informazioni su qualsiasi minaccia
imminente di danno ambientale, di ordinare all’operatore di adottare le
specifiche misure di prevenzione considerate necessarie e di adottare egli
stesso le misure di prevenzione necessarie.
Il Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio ha facoltà di adottare egli stesso le misure necessarie per la
prevenzione del danno in caso di inottemperanza addebitando le relative spese.
Anche in tale fattispecie c’è da chiedersi se possa
intendersi abrogato il potere attribuito dall’art. 54, 3° co., d.lg. 267 del
2000, di adottare ordinanze contingibili ed urgenti conferito al sindaco.
La risposta non può che essere negativa poiché detto
potere è conferito per fare fronte ad una situazione di imminente pericolo per
l'igiene e l'incolumità pubblica alla quale non possa farsi fronte con i
normali rimedi apprestati dall'ordinamento giuridico e cioè nel caso in cui, in
mancanza di altra norma che autorizzi a provvedere altrimenti, ci si trovi di
fronte ad evenienze di carattere eccezionale ed imprevedibile che determinano,
per la sicurezza o l'igiene pubblica, una situazione di pericolo che occorre
eliminare immediatamente (T.A.R. Campania Salerno, sez. I, 19.10.2005, n. 19451,
FATAR, 2005, 10, 3267).
L’art. 305, d.lg. 3.4.2006, n. 152, definisce le
modalità di esecuzione dell’azione di ripristino ambientale
L’operatore nel caso del verificarsi di un danno
ambientale, deve comunicare senza indugio tutti gli aspetti pertinenti della
situazione alle autorità.
L’operatore ha inoltre l’obbligo di adottare
immediatamente tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere,
eliminare o gestire in altro modo, con effetto immediato, qualsiasi fattore di
danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali ed
effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi, anche
sulla base delle specifiche istruzioni formulate dalle autorità competenti
relativamente alle misure di prevenzione necessarie da adottare.
L’operatore ha inoltre l’obbligo di adottare le
necessarie misure di ripristino.
Il Ministro dell’ambiente e della tutela del
territorio può controllare le misure adottate dall’operatore; Il ministro può
ordinare all’operatore di adottare, tutte le iniziative opportune per
controllare, circoscrivere, eliminare o gestire in altro modo qualsiasi fattore
di danno, allo scopo di prevenire o limitare ulteriori pregiudizi ambientali e
effetti nocivi per la salute umana o ulteriori deterioramenti ai servizi.
Nell’ambito di detto potere è compresa la possibilità
di ordinare all’operatore di prendere le misure di ripristino necessarie con il
relativo potere sostitutivo in caso di inottemperanza con diritto a rivalsa.
Se la precedente situazione non viene ripristinata e
non sono eliminati completamente ai danni all’ambiente il d.lg. 3.4.2006, n.
152, consente al Ministero dell’ambiente una particolare azione di rimessione
in pristino.
13.
L’ordinanza ministeriale di rimessione in pristino in forma specifica e per
equivalente patrimoniale.
L’art. 311, d.lg. 3.4.2006, n. 152, prevede che il
Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio agisce, anche esercitando
l’azione civile in sede penale, per il risarcimento del danno ambientale in
forma specifica.
Il secondo comma dell’art. 311, d.lg. 3.4.2006, n.
152, dispone che chiunque realizzando un fatto illecito, o omettendo attività o
comportamenti doverosi, con violazione di legge, di regolamento, o di
provvedimento amministrativo, con negligenza, imperizia, imprudenza o
violazione di norme tecniche, arrechi danno all’ambiente, alterandolo,
deteriorandolo o distruggendolo in tutto o in parte, è obbligato al ripristino
della precedente situazione.
Spetta al magistrato in caso di mancanza di ogni
attività da parte del gestore si ripristino ambientale dettare le modalità
dell’azione di ripristino.
Così configurata l'azione di rimessione in pristino
è puramente teorica poiché, nel caso di latitanza del gestore, è evidente la
necessità di un'azione sostitutiva da parte dell’organismo pubblico tesa ad
eliminare il danno ambiente attraverso gli interventi più appropriati.
La nuova disciplina è tesa a conseguire
tempestivamente l’esecuzione delle sanzioni amministrative attraverso la
riduzione dei tempi del risarcimento.
In mancanza della possibilità di ottenere l’azione
di ripristino l’amministrazione può ottenere equivalente patrimoniale.
E’ prevista un’ordinanza ingiunzione che dà la
possibilità al Ministero di incassare in modo certo e veloce le somme.
Dette somme una volta riscosse confluiscono in un
fondo di rotazione che deve finanziare gli interventi di messa in sicurezza,
disinquinamento, bonifica e ripristino ambientale.
La giurisprudenza precedente ha precisato le
condizioni per l’esperimento dell’azione di risarcimento affermando la
volontarietà dell’azione, sotto il profilo soggettivo, e la necessità che
sussista, sotto il profilo oggettivo, un danno concreto all’ambiente.
Essa non riteneva sufficiente la modificazione,
alterazione o distruzione dell'ambiente naturale considerata da un mero punto
di vista obiettivo, nella sua materialità, ma occorreva l'elemento soggettivo
intenzionale, che cioè la condotta sia dolosa o colposa, e, per la legge
speciale, qualificata dalla violazione di disposizioni di legge o di
provvedimenti adottati in base a legge. Vige, altrimenti, la causa esimente
dell'esercizio legittimo di un diritto (Cass. civ., sez. III, 3.2.1998, n.
1087, RCP, 1999, 467).
Capitolo quindicesimo
La giurisdizione amministrativa
Guida
bibliografica.
1.
La giurisdizione amministrativa esclusiva.
La
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di concessioni è
introdotta dall'art. 5, l. 1034/1971. L’art. 7, l. 1034/1971, ha incrementato
le materie affidate alla giurisdizione del giudice amministrativo. Caringella
2005, 161.
La
giurisdizione esclusiva si caratterizza per il fatto che il giudice
amministrativo conosce indistintamente di interessi legittimi, giudicando sulla
legittimità dei provvedimenti impugnati, e dei diritti soggettivi ossia delle
conseguenze che derivano da detti atti. Satta 1997, 107.
La
giurisprudenza ha codificato il principio che la giurisdizione, a norma
dell’art. 386 c.p.c., va determinata in base all’oggetto della domanda. Deve
essere preso in considerazione il cosiddetto petitum sostanziale, da
identificarsi non solo in funzione della concreta statuizione chiesta al
giudice, il cosiddetto petitum formale, ma soprattutto in funzione della
causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione soggettiva
dedotta in giudizio con riguardo, in particolare, ai fatti indicati a sostegno
della pretesa avanzata nel giudizio. Cass. Civ., Sez. U. 3.3.2003, n. 3077.
2.
Il danno.
I
giudizi risarciti sono soggetti alla regola che determina la competenza in
ragione della connessione in base alla quale la competenza per il giudizio
principale di annullamento attira anche il consequenziale giudizio di
risarcimento. Caringella 2005, 892.
3.
La pregiudiziale dell’annullamento dell’atto amministrativo.
Altra
dottrina che appare minoritaria afferma l’autonomia dell’azione risarcitoria
rispetto a quella risarcitoria. Essa ritiene che affermare che oggetto del
risarcimento del danno è l’interesse legittimo e non il diritto soggettivo
all’integrità del patrimonio non significa in ogni modo, che si debba arrivare
fino al disconoscimento all’esistenza di un diritto al risarcimento del danno
come tale sottoposto alla prescrizione quinquennale. Caringella 2005, 902.
1. La giurisdizione amministrativa esclusiva.
La
giurisdizione del giudice amministrativo sussiste tutte le volte che il
ricorrente chieda la rimozione di un provvedimento amministrativo illegittimo
per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge.
In
tema di beni demaniali sono compresi tutti i ricorsi contro i provvedimenti che
affermano la demanialità del bene o la sua sdemanializzazione o i provvedimenti
che fissano che esso è di interesse pubblico, ex art. 5, l. 6.12.1971,
n. 1034.
Sono
soggetti alla giustizia amministrativa le controversie sul provvedimento di
concessione amministrativa che regola l’esercizio del diritto di terzi su beni
demaniali, ex art. 5, l. 6.12.1971, n. 1034.
Sono
devoluti alla competenza dei tribunali amministrativi regionali i ricorsi
contro atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessione di beni
pubblici. Si applicano, ai fini dell'individuazione del tribunale competente,
il secondo e il terzo comma dell'art. 3.
Resta salva la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle dei tribunali delle acque pubbliche e del tribunale superiore delle acque pubbliche, nelle materie indicate negli articoli 140-144 del t. u. 11.12.1933, n. 1775.
(art. 5, l. 6.12.1971, n. 1034).
Resta salva la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria per le controversie concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi e quelle dei tribunali delle acque pubbliche e del tribunale superiore delle acque pubbliche, nelle materie indicate negli articoli 140-144 del t. u. 11.12.1933, n. 1775.
(art. 5, l. 6.12.1971, n. 1034).
La
giurisprudenza ribadisce che sono soggetti alla giurisdizione amministrativa
anche i provvedimenti di carattere generale che disciplinano le modalità di
rilascio delle concessioni.
I
regolamenti e gli atti amministrativi a contenuto generale sono impugnabili
autonomamente solo qualora siano lesivi in via diretta e attuale di un
interesse specifico e concreto, senza che sia necessaria l'intermediazione di
una ulteriore attività applicativa da parte dell'amministrazione (nella
fattispecie, la determinazione regionale contenente criteri guida per
l'affidamento in concessione di aree del demanio marittimo è stata ritenuta
impugnabile nella parte in cui ha dettato nuove regole in materia di
subingresso e variazione dell'assetto societario, modificando quindi la
disciplina delle concessioni in essere).
La
giurisdizione amministrativa regola le controversie relative alle concessioni.
L'immobile
di proprietà di un Comune, che, sebbene non iscritto nell'elenco di cui
all'art. 4, 1° co., l. 1.6.1939, n. 1089, sia riconosciuto di interesse
storico, archeologico o artistico ad opera della competente sovrintendenza ai
monumenti, è soggetto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 822 e 824
c.c., al regime del demanio pubblico, con la conseguenza che il suo godimento
da parte di terzi non può avvenire in base a contratti di diritto privato, ma è
possibile soltanto sulla base di concessioni alla cui categoria devono
ricondursi i rapporti concretamente instaurati, indipendentemente dal nomen
iuris effettivamente usato nella relativa convenzione ed anche se con
questa sia stato fatto riferimento alla locazione. Pertanto, le controversie
attinenti al suddetto godimento - quando non abbiano ad oggetto indennità,
canoni ed altri corrispettivi - sono riservate alla giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 5, l. 6.12.1971, n. 1034.
Rientra
nella giurisdizione del giudice amministrativo anche i provvedimenti di
controllo e tutela sulle concessioni.
La
controversia avente per oggetto l'ordinanza di rilascio di un immobile sul
presupposto della sua appartenenza al demanio marittimo, nel caso in cui sia
denunciato il mancato previo esperimento della procedura di de limitazione di
zone del demanio marittimo ai sensi dell'art. 32 c. n., è soggetta alla
giurisdizione amministrativa
La
giurisdizione amministrativa riguarda anche tutte le controversie relative alle
procedure di tutela amministrativa sui beni pubblici come, ad esempio, le
ordinanze di sgombero.
L'impugnativa
di un'ordinanza di sgombero, adottata al sensi dell'art. 54 c. n., rientra
nella sfera di giurisdizione amministrativa e non già in quella di
giurisdizione ordinaria, quando si sollevino questioni attinenti alla
legittimità dell'ordinanza stessa.
L’accertamento
dei diritti soggettivi da parte del privato ossia il riconoscimento della sua
proprietà sul bene che contesta la presunta sua demanialità rientra, invece
nella giurisdizione ordinaria.
Nell'ipotesi
in cui la p.a. emetta ordinanza di rilascio di un immobile, sul presupposto
della sua appartenenza al demanio, ed il privato occupante insorga avverso tale
ordinanza, la cognizione della relativa controversia spetta al g.a., ove il
privato deduca vizi dell'atto amministrativo, mentre spetta al g.o., ove il
privato neghi la demanialità del bene e chieda che sia accertato il proprio
pieno e libero diritto di proprietà.
(Cons. St., sez. VI, 14.10.2004, DM, 2005,
903).
Resta
ferma la giurisdizione del giudice ordinario per le controversie in tema di
canoni, indennità e altri corrispettivi col limite della giurisdizione
amministrativa quando il canone è determinato sulla scorta di scelte
discrezionali dell’amministrazione.
Quando
fra concessionario e concedente si controverte sul canone dovuto per una
concessione del demanio marittimo, si profila la giurisdizione del g.a. quando
la misura del canone costituisce il risultato di scelte discrezionali nella
conformazione del rapporto. Invece, la giurisdizione del g.o. non può essere
esclusa quando esistono norme, regolamenti o atti generali emanati dalla p.a.,
i quali, per la determinazione del canone nel caso concreto, dettano criteri la
cui applicazione presuppone non scelte discrezionali, ma apprezzamenti di
ordine tecnico.
La
giurisprudenza ha precisato che anche dopo la riforma introdotta dalla l.
21.7.2000, n. 205, il riparto della giurisdizione in materia di concessione di
beni pubblici resta regolato dall'art. 5, l. 6.12.1971, n. 1034, che distingue
i ricorsi contro atti e provvedimenti relativi a rapporti di concessioni di
beni, che sono devoluti alla competenza dei T.A.R., dalle controversie
concernenti indennità, canoni ed altri corrispettivi, per i quali resta salva
la giurisdizione dell'autorità giudiziaria ordinaria (T.A.R. Sardegna,
4.5.2004, n. 554, FATAR, 2004, 1584).
2. Il danno.
L'art.
34, d. lg. 31.3.1998, n. 80, sost. art. 7, l. 21.7.2000, n. 205, devolve alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie aventi per
oggetto gli atti, i provvedimenti e i comportamenti delle amministrazioni
pubbliche e dei soggetti alle stesse equiparati in materia urbanistica che
concerne tutti gli aspetti dell'uso del territorio ed edilizia.
Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone il risarcimento del danno ingiusto, ex art. 34, d. lg. 31.3.1998, n. 80.
Il giudice amministrativo, nelle controversie devolute alla sua giurisdizione esclusiva, dispone il risarcimento del danno ingiusto, ex art. 34, d. lg. 31.3.1998, n. 80.
Il
d. lg. 80/1998 delinea i caratteri della nuova giurisdizione esclusiva in
materia di pubblici servizi, di urbanistica ed edilizia e di espropriazione ed
occupazione d’urgenza.
Qualora,
infatti, il giudice amministrativo sia investito della giurisdizione esclusiva
sulla controversia, egli può disporre il risarcimento del danno ingiusto, anche
attraverso la reintegrazione in forma specifica.
La
dottrina è unanime sull’onere per il ricorrente di dimostrare la sussistenza e
la consistenza delle aspettative lese dal provvedimento illegittimo (Caringella
2005, 902).
La
giurisprudenza, parimenti, afferma che nel giudizio per risarcimento del danno
derivante da lesione di interesse legittimo da parte della p.a., al danneggiato
spetterà provare sia l'illegittimità del provvedimento che l'esatto pregiudizio
patrimoniale conseguente (Cons. St., sez.
IV, 10.8.2004, n. 5500, GI, 2004, 2409).
Il
giudice amministrativo può disporre il risarcimento anche mediante il semplice
rinvio a dei criteri, sulla base di quali l’amministrazione pubblica o il
gestore del pubblico servizio devono proporre all’avente titolo il pagamento di
una somma entro un congruo termine.
E’
evidente che, ove si tratti di impugnative aventi ad oggetto un provvedimento
omissivo, il risarcimento potrà essere commisurato anche in relazione ai tempi
di emanazione del provvedimento stesso.
La
determinazione del risarcimento comporta la possibilità dell’assunzione di
mezzi di prova, in particolare, della consulenza tecnica di ufficio, mentre
rimangono esclusi l’interrogatorio formale ed il giuramento, in quanto
incompatibili con un giudizio sugli atti dell’amministrazione.
I
mezzi di prova devono essere evidentemente utilizzati in relazione alle
esigenze di celerità e di concentrazione del giudizio amministrativo.
I
diritti patrimoniali consequenziali non sono più riservati alla giurisdizione
del giudice ordinario.
Questi
sono attratti nella competenza del giudice amministrativo, risparmiando al
ricorrente un ulteriore processo.
Per
verificare se sussiste la giurisdizione amministrativa su controversie sui beni
demaniali bisogna accertare che rientrino nelle materie assegnate a tale
giurisdizione.
Rientrano
sicuramente nella giurisdizione esclusiva le controversie in materia di
concessioni.
La
giurisprudenza interpreta il disposto di cui all'art. 5, l.
6.12.1971, n. 1034
nel senso che sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie circa la durata del rapporto di concessione, la
stessa esistenza del rapporto o la rinnovazione della concessione (Cass. Civ.,
sez. un., 6.6.2002, n. 8227).
Rientrano
nella giurisdizione esclusiva, inoltre, tutte le controversie in cui il
concessionario deduca la responsabilità della controparte per allegate
violazioni degli obblighi scaturenti dal rapporto concessorio, invocando
pronunce di carattere risolutorio e risarcitorio (Cass. Civ., sez. un.,
9.5.2002, n. 6687).
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo riguarda tutte le controversie attinenti a concessioni di beni e servizi pubblici, ancorché non originate da provvedimenti della p.a., e quindi anche le controversie in cui l'amministrazione concedente o il concessionario deducano la responsabilità della controparte per allegate violazioni degli obblighi scaturenti dal rapporto concessorio.
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo riguarda tutte le controversie attinenti a concessioni di beni e servizi pubblici, ancorché non originate da provvedimenti della p.a., e quindi anche le controversie in cui l'amministrazione concedente o il concessionario deducano la responsabilità della controparte per allegate violazioni degli obblighi scaturenti dal rapporto concessorio.
Nella
specie le S.U. - qualificata come concessione dell'uso di bene pubblico la
convenzione con la quale il comune aveva concesso alla s.p.a. Telecom l'uso del
demanio viario comunale per consentire a detta società di interrare le
condutture necessarie all'attuazione nel territorio comunale di un progetto di
cablatura, volto alla realizzazione della nuova piattaforma di rete a banda
larga, e la società, a fronte di ciò, si era obbligata a predisporre le reti
primarie per tutti gli insediamenti abitativi, industriali e commerciali della
città e a versare al comune una certa somma per ciascuna delle unità
immobiliari raggiunte dalla rete - hanno riconosciuto, sulla base del principio
di cui in massima, la sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo in rapporto alla domanda con cui il comune concedente aveva
chiesto la condanna della società all'adempimento specifico delle obbligazioni
nascenti dalla convenzione, oltre al risarcimento del danno.
Per
contro, le controversie relative ai proventi derivanti dalla utilizzazione dei
beni del demanio pubblico sono devolute alla giurisdizione del giudice
ordinario a meno che non implichino la verifica dei poteri autoritativi della
p.a. sull'intero rapporto
Nella
specie, la Corte cass., in una controversia relativa a concessione di beni del
demanio comunale a scopi pubblicitari, ha dichiarato la giurisdizione del
giudice ordinario, in quanto, pur essendo stata dedotta una situazione che
avrebbe potuto portare alla risoluzione della concessione, la domanda del
concessionario aveva ad oggetto l'accertamento negativo del proprio dovere di
corrispondere all'ente concedente i canoni e la conseguente richiesta di
dichiarazione di infondatezza delle relative pretese del concedente.
Le
controversie sul demanio che non afferiscono specificatamente la materia
urbanistica rientrano, invece nella giurisdizione ordinaria.
La
giurisprudenza ha ritenuto che atti illegittimi in materie riguardanti il
demanio marittimo rientrino nella giurisdizione di legittimità, ma il danno
relativo poiché la materia non rientra nell’urbanistica.
Posto
che la demolizione delle opere costruite abusivamente sul suolo del demanio
rientra nella materia del controllo dell'attività urbanistico - edilizia da
parte del Comune, spetta alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo, ai sensi degli artt. 34 e 35, d.lg. 31.3.1998, n. 80, nel testo
sostituito ad opera dell'art. 7, l. 21.7.2000 n. 205, la domanda con cui il
privato chieda nei confronti del Comune medesimo il risarcimento dei danni
conseguenti a tale demolizione, sul presupposto che essa sia stata compiuta
illegittimamente.
Nell'enunciare
il principio di cui in massima, le S.U. hanno peraltro escluso che tale
giurisdizione esclusiva si estenda, nel caso, anche alla domanda proposta nei
confronti del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per il
comportamento, asseritamente contra ius, tenuto nella vicenda dalla
Capitaneria di porto, data la non inquadrabilità dell'azione svolta da
quest'ultima nella materia urbanistica od edilizia di cui al citato art. 34,
d.lg. 31.3.1998, n. 80.
3. La pregiudiziale dell’annullamento dell’atto
amministrativo.
L'adunanza
plenaria del Consiglio di Stato ha ritenuto che rispetto ai giudizi risarcitori
ha carattere pregiudiziale necessario il giudizio di annullamento dell'atto
amministrativo (Cons. St., ad.
plen., 26.3.2003, n. 4).
La pregiudizialità necessaria tra giudizio di annullamento e giudizio risarcitorio comporta una intima connessione tra i due giudizi, sicché sembra corretto applicare ai giudizi risarcitori una regola di competenza per connessione, in base alla quale la competenza per il giudizio principale di annullamento attira anche il giudizio consequenziale di risarcimento. La Corte Costituzionale, parimenti, ha ribadito, ad avviso del collegio, tale impostazione quando ha evidenziato che la tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo si atteggia non già come nuova "materia" attribuita alla sua giurisdizione bensì come uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio e/o conformativo, la cui coerenza costituzionale deve essere ricercata nell'art. 24 della Carta (Corte cost. 204/2004).
La Corte stessa afferma il potere di disporre il risarcimento proprio per rimarcare la stretta correlazione che sussiste tra il potere medesimo e la peculiarità della situazione da tutelare, nella specie connessa a quanto già oggetto di accertamento giurisdizionale.
La pregiudizialità necessaria tra giudizio di annullamento e giudizio risarcitorio comporta una intima connessione tra i due giudizi, sicché sembra corretto applicare ai giudizi risarcitori una regola di competenza per connessione, in base alla quale la competenza per il giudizio principale di annullamento attira anche il giudizio consequenziale di risarcimento. La Corte Costituzionale, parimenti, ha ribadito, ad avviso del collegio, tale impostazione quando ha evidenziato che la tutela risarcitoria dinanzi al giudice amministrativo si atteggia non già come nuova "materia" attribuita alla sua giurisdizione bensì come uno strumento di tutela ulteriore, rispetto a quello classico demolitorio e/o conformativo, la cui coerenza costituzionale deve essere ricercata nell'art. 24 della Carta (Corte cost. 204/2004).
La Corte stessa afferma il potere di disporre il risarcimento proprio per rimarcare la stretta correlazione che sussiste tra il potere medesimo e la peculiarità della situazione da tutelare, nella specie connessa a quanto già oggetto di accertamento giurisdizionale.
Rispetto
ai giudizi risarcitori ha carattere pregiudiziale necessario il giudizio di
annullamento dell'atto amministrativo. Detta pregiudizialità necessaria tra
giudizio di annullamento e giudizio risarcitorio comporta un'intima connessione
tra i due giudizi, sicché sembra corretto applicare a quelli risarcitori una
regola di competenza per connessione, in base alla quale la competenza per il
giudizio principale di annullamento attira anche il giudizio consequenziale di
risarcimento. Cons. St., sez.
IV, 31.1.2005, n. 200,
FACDS, 2005, n. 1, 85.
La dottrina ha negato che il risarcimento sia un
autonomo diritto soggettivo proprio della posizione di chi lamenta un danno
ingiusto causato da un atto amministrativo illegittimo ed ah affermato invece
che la tutela risarcitoria è di completamento all'azione di tutela
dell’interesse legittimo
Non è più pensabile alcuna sopravvivenza di distinte
azioni risarcitorie dopo al consumazione dell’azione impugnatoria propri
dell’interesse legittimo.
(Carpentieri 2004, 1121).
Nessun commento:
Posta un commento