CAPITOLO X
IL CONTROLLO DELL’ATMOSFERA.
SOMMARIO: 1. Le funzioni dello
Stato, delle regioni e dei comuni.
2. I piani per il risanamento e
la tutela della qualità dell’aria nel d.p.r. 203/1988.
2.1. Le direttivie europee.
3. L’autorizzazione per l’esercizio
di impianti industriali.
4. Le sanzioni amministrative.
5. Le sanzioni penali. La
costruzione di nuovo impianto senza autorizzazione.
5.1. L’esercizio di impianto
esistente senza autorizzazione.
1. Le funzioni dello Stato, delle
regioni e dei comuni.
Legislazione d.p.r. 24.5.1988, n. 203, artt.
3, 4, 6, 7, 10.
Bibliografia Bertolini 1989 - Salvia Teresi
1998.
La legge antismog 615/1966 è
stata sostituita dal d.p.r. 24.5.1988, n. 203, che reca norme in materia della
qualità dell’aria in rapporto all’inquinamento, e dall’atto di indirizzo per la
sua attuazione, approvato con d.p.c.m. 21.7.1989.
Il d.p.r. 24.5.1988, n. 203,
all’art. 1, assume un concetto ampio di inquinamento atmosferico, con la
conseguenza della sottoposizione alla suddetta disciplina normativa di tutte le
attività degli impianti destinati alla produzione, al commercio,
all'artigianato, ai servizi da cui derivi anche soltanto uno degli effetti
contemplati, come l’alterazione delle normali condizioni ambientali,
l’alterazione della salubrità, un pericolo o un danno alla salute,
l’alterazione di risorse biologiche ed ecoesistenti, la compromissione di usi
legittimi da parte di terzi.
Per aversi
inquinamento atmosferico non è necessario il pericolo di danno alla salute
dell'uomo, per la presenza di sostanze inquinanti o tossiche o nocive, ma è
sufficiente che l'alterazione dell'atmosfera incida negativamente sui beni
naturali o anche semplicemente sull'uso di essi.
(Cass. pen., sez. I, 7.6.1996, RP, 1996, 1097).
Il
d.p.r. 24.5.1988, n. 203, assume un concetto ampio di inquinamento atmosferico
con la conseguenza della sottoposizione alla disciplina normativa di tutte le
attività degli impianti destinati alla produzione, al commercio,
all'artigianato, ai servizi da cui derivi anche soltanto uno degli effetti
contemplati: alterazioni delle normali condizioni ambientali, alterazioni della
salubrità, pericolo o danno alla salute, alterazione di risorse biologiche ed
ecosistemi, compromissione di usi legittimi da parte di terzi. Per aversi
inquinamento atmosferico non è necessario, pertanto, il pericolo di danno alla
salute dell'uomo per la presenza di sostanze inquinanti o tossiche o nocive, ma
è sufficiente che l'alterazione dell'atmosfera incida negativamente sui beni
naturali o anche semplicemente sull'uso di essi.
(Cass. pen., sez. I, 12.4.1996, n. 5702, CP, 1997, 531).
Il
d.p.r. 24.5.1988, n. 203, in materia di tutela della qualità dell'aria, ai fini
della protezione della salute e dell'ambiente su tutto il territorio nazionale,
adotta un concetto di inquinamento atmosferico riferito ad "ogni
modificazione della normale composizione o stato fisico dell'aria atmosferica,
dovuta alla presenza nella stessa di una o più sostanze in quantità e con
caratteristiche tali da alterare le normali condizioni ambientali e di
salubrità dell'aria; da costituire pericolo, ovvero, pregiudizio diretto od
indiretto per la salute dell'uomo; da compromettere le attività ricreative e
gli altri usi legittimi dell'ambiente, alterare le risorse biologiche e gli
ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati".
Si tratta di una
concezione integrata ispirata alla protezione della risorsa naturale in sé,
nella sua specificità naturale, attraverso la prevenzione, in quanto si tenda
ad evitare non solo il danno rilevante, ma anche la semplice modificazione od
alterazione del normale stato fisico naturale, per il pericolo di negativi
effetti sull'uomo e sulla natura.
(Cass. pen., sez. III, 3.5.1995, n. 7692, RPE, 1997, 88).
Il sistema ripartisce le funzioni
fra Stato, regioni e comuni (Salvia F. Teresi F., 1998, 333).
Lo Stato deve fissare gli
standard di qualità dell’aria indicando i valori limite, che sono i livelli
massimi di accettabilità delle concentrazioni prodotte dagli impianti
industriali.
Gli artt. 3 e 4 del d.p.r. 24.5.
1988, n. 203 hanno attribuito al Ministro dell'ambiente il potere di fissare ed
aggiornare i valori-limite della qualità dell'aria, validi per tutto il
territorio nazionale, e di stabilire le linee guida per il contenimento delle
emissioni degli impianti industriali, salva la facoltà delle regioni di
stabilire limiti più restrittivi.
La
ripartizione delle competenze tra Stato e regioni in relazione alla tutela
dell'ambiente dall'inquinamento atmosferico è definita dagli artt. 3 e 4, d.p.r.
24 .5.1988, n. 203, emanato in attuazione delle direttive CEE n. 80/799,
82/884, 84/360 e 85/203, con attribuzione allo Stato della determinazione delle
linee guida e dei valori minimi e massimi di emissione per ogni tipo di
sostanze inquinanti e alle regioni della competenza a fissare valori di
emissione per categorie di impianti e per sostanze inquinanti, nel quadro delle
direttive e di limiti posti dallo Stato.
Le competenze
regionali possono, pertanto, essere esercitate solo all'interno degli spazi
posti dallo Stato nello svolgimento delle proprie attribuzioni, con la
conseguenza che le regioni sono poste in grado di esercitare le competenze
previste dall'art. 4, d.p.r. n. 203/1988, soltanto dopo che lo Stato stesso
abbia determinato i valori limite, minimi e massimi, di propria spettanza.
(T.A.R.
Lombardia, sez. I, Milano, 10.1.1994, n. 2, T.A.R., 1994, I, 1059).
Gli
artt. 3 e 4, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, in attuazione delle direttive CEE, hanno
attribuito al ministro dell'ambiente il potere di fissare ed aggiornare i
valori-limite della qualità dell'aria, validi per tutto il territorio nazionale
e di stabilire le linee guida per il contenimento delle emissioni degli
impianti industriali, salva la facoltà delle regioni di stabilire limiti più restrittivi.
Il decreto del
ministro dell'ambiente 12.7.1990, che stabilisce i valori-limite delle
emissioni per le sole sostanze previste dal decreto, precludendo così alle
regioni la possibilità di stabilire limiti per altre sostanze nocive emesse
nell'atmosfera, è, pertanto, legittimo in quanto emanato in conformità della
legge, allo scopo di assicurare uniformità di trattamento su tutto il
territorio nazionale, nella determinazione delle emissioni a tutela
dell'inquinamento atmosferico e uniforme trattamento delle imprese, in
concorrenza fra loro, per i costi aziendali derivanti dalle misure
antinquinamento.
(Corte cost.,
6.2.1991, n. 53, RGE, 1991, I, 319).
Lo Stato, oltre a rilasciare
l’autorizzazione per determinati impianti, come ad esempio le centrali
termoelettriche, deve fissare il piano nazionale di tutela della qualità
dell’aria e deve stabilire i criteri cui le regioni devono conformare i piani
regionali.
Le regioni
sanciscono i volumi massimi di emissioni inquinanti degli impianti industriali
nei limiti generali posti dallo Stato o entro limiti più restrittivi, solo
previa emanazione del piano di risanamento di cui all'art. 4, 1° co., lett. e),
d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
(T.A.R. Trentino
Alto Adige, sez. Trento, 3.3.1993, n. 64, T.A.R., 1993, I, 1815).
Il potere di vigilanza e
sostitutivo dello Stato nei confronti delle regioni inadempienti è stato
ritenuto costituzionalmente legittimo.
Lo Stato può
legittimamente esercitare il controllo sostitutivo nei confronti delle regioni
quando disponga di un potere di vigilanza nei confronti dell'attività
esercitata dalle regioni che sia strumentale all'adempimento di obblighi ed al
perseguimento di interessi costituzionalmente tutelati e quando l'esercizio del
controllo sostitutivo sia assistito da garanzie sostanziali e procedurali, con
riguardo ai rapporti fra Stato e regione ed al principio di leale cooperazione.
Gli artt. 4,
lett. d), e 7, 2° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, non sono, pertanto, in
contrasto con gli artt. 117 e 118, cost., nel prevedere un potere sostitutivo
del ministro dell'ambiente in relazione all'autorizzazione alla costruzione di
nuovi impianti, ai fini della tutela dall'inquinamento, ove, decorsi sessanta
giorni dalla richiesta avanzata alla regione questa non provveda e l'interessato,
entro i successivi sessanta giorni, riproponga la richiesta.
Gli artt. 4, 6 e
7, 1°, 3°, 4° e 5° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, che prevedono competenze
regionali in materia di tutela dagli inquinamenti e ridisciplinano il potere di
autorizzazione per la costruzione di nuovi impianti in grado di provocare
inquinamento atmosferico, non pongono illegittimi limiti o restrizioni
all'autonomia regionale, in contrasto con gli artt. 117 e 118, cost.,
stabilendo direttive in ordine ad oneri di cooperazione con lo Stato ed ai
presupposti minimali per il rilascio delle autorizzazioni, al fine
dell'attuazione di direttive comunitarie.
(Corte cost.,
9.3.1989 n. 101, RGE, 1989, I, 499).
Le regioni predispongono i piani
regionali di rilevamento, prevenzione, conservazione e risanamento del proprio
territorio (Bertolini L. 1989, 12).
Esse, inoltre, rilasciano le
autorizzazioni per i nuovi impianti.
Le province hanno il compito di
redigere e tenere l’inventario delle emissioni atmosferiche.
I comuni, ai sensi degli artt. 6,
7 del d.p.r. 24.5.1988, n. 203, hanno una competenza consultiva - parere
obbligatorio, ma non vincolante - per quanto riguarda l'autorizzazione alle
emissioni in atmosfera dei nuovi impianti industriali, partecipando con la
presentazione di un parere al procedimento regionale di rilascio.
Permangono i poteri del sindaco
di emanare ordinanze contingibili ed urgenti in materia di igiene e sanità,
ribaditi dall'art. 38, della l. 8.6.1990, n. 142.
L’art. 10 del d.p.r. 24.5.1988,
n. 203 affida i poteri di controllo alla regione.
2. I piani per il risanamento e
la tutela della qualità dell’aria nel d.p.r. 203/1988.
Legislazione d.p.r. 24.5.1988, n. 203, art. 4,
lett. a).
Bibliografia Dell’Anno 2000.
L’art. 4, lett. a), d.p.r.
24.5.1988, n. 203, conferma la tendenza della legislazione ambientale di
integrare il sistema dei procedimenti autorizzatori con misure programmate di
intervento da adottarsi mediante un piano di rilevamento, prevenzione e
risanamento dell’aria di competenza regionale (Dell’Anno P. 2000, 426).
I piani contemplati dal d.p.r.
24.5.1988, n. 203, concernono l’inquinamento di origine industriale.
L’art. 3, d. m. 20.5.1991, indica
come obiettivo del piano regionale il risanamento delle aree nelle quali si
abbia il superamento o il rischio di superamento dei valori di qualità
dell’aria.
Esso deve tendere, in via
generale, a garantire la tutela dell’ambiente dall’inquinamento atmosferico
mediante una azione di prevenzione mirata allo studio e alla messa in opera di
interventi che promuovano il miglioramento complessivo della qualità dell’aria.
Nell’ambito del piano le regioni
devono, fra l’altro, dare le opportune direttive per la conservazione di
determinate zone o per l’individuazione di zone particolarmente inquinate.
L’art. 7, d.lg. 351/
1999,contempla piani di azione per la riduzione del rischio di superamento dei
valori di qualità, precisando che essi possono adottare le misure necessarie
per ridurre l’inquinamento atmosferico inclusa la sospensione di attività e
compreso il blocco del traffico veicolare, vedi Cap. 5, n. 4.
2.1. Le direttive europee.
Articolo
13 Articolo 14
In base all'esame dell'evoluzione
della migliore tecnologia disponibile e della situazione dell'ambiente, gli
Stati membri applicano politiche e strategie comportanti misure adeguate per
adattare progressivamente gli impianti esistenti appartenenti alle categorie di
cui all'allegato I alla migliore tecnologia disponibile, tenendo conto in
particolare:
- delle caratteristiche tecniche degli impianti;
- del tasso di utilizzazione e della durata di vita residua degli impianti;
- della natura e del volume delle emissioni inquinanti degli impianti;
- dell' opportunità di evitare costi eccessivi per gli impianti in questione, tenendo conto in particolare della situazione economica delle imprese appartenenti alla categoria considerata.
- delle caratteristiche tecniche degli impianti;
- del tasso di utilizzazione e della durata di vita residua degli impianti;
- della natura e del volume delle emissioni inquinanti degli impianti;
- dell' opportunità di evitare costi eccessivi per gli impianti in questione, tenendo conto in particolare della situazione economica delle imprese appartenenti alla categoria considerata.
In forza dell'art. 13 della
direttiva del Consiglio 28 giugno 1984, 84/360/Cee, concernente la lotta contro
l'inquinamento atmosferico provocato dagli impianti industriali, gli Stati
membri pur avendo una certa libertà di decidere le misure più opportune per la
lotta all'inquinamento atmosferico, hanno l'obbligo di procedere
all'adattamento progressivo alla tecnologia, man mano che questa si evolve,
degli impianti indicati nella direttiva stessa. Ne consegue che, siccome è
pacifico che le emissioni di anidride solforosa e di ossido di azoto hanno
effetti nocivi sulla salute dell'uomo nonché sulle risorse biologiche e sugli
ecosistemi, l'obbligo incombente agli Stati membri di adottare le misure
necessarie a ridurre le emissioni di tali due sostanze prescinde dalla
situazione ambientale generale della regione in cui si trova l'impianto
industriale in causa.
-
D&G - Dir. e Giust. 2005, f.
37, 92
3. L’autorizzazione per
l’esercizio di impianti industriali.
Legislazione d.p.r. 24.5.1988, n. 203, artt.
6, 7, 10.
Bibliografia Dell’Anno 2000.
Il d.p.r. 24.5.1988,
n. 203 ha previsto una richiesta di autorizzazione per tutti gli impianti
esistenti alla data della sua entrata in vigore.
In tal caso può essere rilasciata
una autorizzazione provvisoria per la continuazione dell’attività nell’attesa
dell’adeguamento alle nuove prescrizioni (Dell’Anno P. 2000, 400).
Tutti i nuovi impianti, le
parziali innovazioni o, anche, le modifiche sostanziali di un impianto
precedente che possono dar luogo ad emissioni nell'atmosfera sono soggetti alla
necessaria autorizzazione preventiva, ex art. 6, d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
Il d.p.r.
24.5.1988, n. 203, collega la necessità della preventiva autorizzazione regionale
non solo alla "costruzione di un nuovo impianto" nel senso di un
insediamento produttivo totale, ma anche nel senso parziale.
Il
concetto di impianto, ex art. 2, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, comprende, infatti,
non solo lo "stabilimento", ma anche qualsiasi "altro impianto
fisso" che possa dar luogo ad inquinamento atmosferico, che si riferisce
ad una parte della struttura produttiva esistente.
A conferma di
ciò, l'art. 15 sottopone a preventiva autorizzazione anche le "modifiche
sostanziali" che comportino variazioni qualitative e quantitative delle
emissioni inquinanti di un impianto già esistente.
La legge infine
non solo distingue nettamente la fase della "costruzione" da quella
di "esercizio", ma esige che l'autorizzazione per entrambe queste fasi
sia anticipata all'effettivo "inizio", onde assicurare un controllo
di compatibilità ambientale serio.
(Cass. pen., sez. IV, 15.6.1994, CP, 1996, 299).
Per la
costruzione, localizzazione e gestione di un impianto che, anche in via
potenziale, può dar luogo ad emissione inquinanti nell'aria occorre
l'autorizzazione regionale, non essendo sufficiente l'esistenza di un idoneo
sistema di depurazione ed abbattimento.
Il controllo
sulla rispondenza dei dispositivi tecnologici adottati alla necessità di prevenzione
dell'inquinamento atmosferico, è affidata alla p.a. e non all'interessato.
(Cass. pen., sez. III, 30.6.1993, CP, 1994, 2531).
La regione rilascia
l’autorizzazione, ex art. 7, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, dopo aver accertato che
siano state adottate le misure di prevenzione necessarie e avere accertato che
l’impianto non produca emissioni superiori ai limiti consentiti, sentiti i
comuni interessati.
Ai sensi
dell'art. 216, t.u. 27.7.1934 n. 1265, la valutazione effettuata dalla Usl ai
fini del rilascio dell'autorizzazione all'attività di autocarrozzeria, di cui
all'art. 6, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, attiene alla verifica dell'esistenza
delle condizioni strutturali e impiantistiche dell'opera progettata, che
garantiscano l'assenza di rischio per le condizioni igienico sanitarie
derivanti dall'attivazione dell'impianto con riferimento ai soggetti che vi
lavorano, e alla presenza degli indispensabili elementi strutturali.
(T.A.R. Liguria,
sez. I, 27.11.1998, n. 549, RGSan, 1999, f. 178-9, 173).
Per
la costruzione, localizzazione e gestione di un impianto che, anche in via
potenziale, può dar luogo ad emissione inquinanti nell'aria occorre
l'autorizzazione regionale, non essendo sufficiente l'esistenza di un idoneo
sistema di depurazione ed abbattimento.
Il controllo
sulla rispondenza dei dispositivi tecnologici adottati alla necessità di
prevenzione dall'inquinamento atmosferico, è affidata alla p.a. e non
all'interessato.
(Cass. pen., sez. III, 30.6.1993, CP, 1994,2531).
La giurisprudenza ha precisato
che sono soggetti ad autorizzazione solo gli impianti industriali escludendo di
conseguenza le produzioni connesse con l’agricoltura.
L'attività
di essiccazione dell'erba medica, pur comportando una modificazione del
prodotto necessaria per l'utilizzazione di essa come foraggio, in quanto
attività che normalmente viene svolta dallo stesso agricoltore e che porta ad
un prodotto che presenta ancora le caratteristiche di prodotto agricolo, deve,
di regola qualificarsi come attività connessa all'agricoltura e, quindi, avente
natura agricola.
L'esercizio
di tale attività non è, pertanto, assoggettabile al sistema di autorizzazioni
previsto dagli artt. 6, 12 e 15, d.p.r. n. 203 del 1988 in relazione alle
emissioni in atmosfera.
(T.A.R. Veneto,
7.4.1997, n. 735, DGA, 1998, 317).
In
materia di inquinamento atmosferico, l'aver iniziato, senza l'autorizzazione
dell'autorità amministrativa competente, la costruzione di un impianto per
l'esercizio dell'attività di lombricoltura, e l'aver attivato l'impianto senza
averne dato comunicazione alla medesima autorità, non configura i reati
previsti dagli artt. 6, 8 e 24, 1° e 2° co., d.p.r. n. 203 del 1988,
trattandosi, infatti, di azienda agricola e non di un impianto di produzione
industriale.
(Pret. Viterbo, 24.3.1997,
RP, 1997, 756).
Il provvedimento regionale di
autorizzazione è soggetto ad impugnazione presso la giustizia amministrativa da
parte dei terzi interessati.
L'autorizzazione
regionale relativa ad emissioni in atmosfera di sostanze inquinanti, collegate
ad impianti di qualsiasi tipo deve contenere la fissazione dei valori di
emissione stabilita in base alla migliore tecnologia disponibile, ex art. 4,
d.p.r. 24.5.1988, n. 203, con accertamento della validità di tutte le misure
appropriate di prevenzione dell'inquinamento atmosferico, ex art. 7, d.p.r.
24.5.1988, n. 203.
Ne deriva che è
illegittimo il provvedimento regionale che esprime soltanto una valutazione di
sufficienza delle misure di contenimento e di prevenzione proposte, senza che
siano state acquisite le valutazioni della USL competente per territorio.
Nella specie si
tratta di un cementificio.
(T.A.R. Emilia
Romagna, sez. Parma, 20 3.1990, n. 116, FA, 1990, 1546).
L’art. 8, d.p.r. 24.5.1988, n.
203, prevede una ulteriore autorizzazione per la messa in esercizio
dell’impianto con il controllo regionale in tempi perentori del rispetto dei
valori limite, con le eventuali prescrizioni necessarie per la messa a norma
dell’impianto.
Il d.p.r.
24.5.1988, n. 203, sottopone a preventivo controllo nella forma di una
autorizzazione regionale espressa e specifica l'inizio della
"costruzione" di un nuovo impianto e distingue tale momento da quello
dell'attivazione dell’esercizio" egualmente soggetto a controllo
regionale.
(Cass. pen., sez. III, 15.6.1994, CP, 1996, 298).
4. Le sanzioni amministrative.
Legislazione d.p.r. 24.5.1988, n. 203, art.
10, lett. a), lett. b), lett. c).
Bibliografia Dell’Anno 2000.
Le sanzioni amministrative sono
disciplinate dall’art. 10, d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
Esse puniscono l’inosservanza
delle prescrizioni autorizzatorie in materia di impianti industriali (Dell’Anno
P. 2000, 434).
Le sanzioni contemplano: la
diffida ad eliminare le irregolarità riscontrate nella gestione dell’impianto
entro un termine perentorio, ex art. 10, lett. a), d.p.r. 24.5.1988, n. 203; la
diffida e contestuale sospensione dell’attività precedentemente autorizzata per
un tempo determinato in caso di riscontrato pericolo per l’ambiente ad
eliminare le irregolarità riscontrate nella gestione dell’impianto entro un
termine perentorio, ex art. 10, lett. b), d.p.r. 24.5.1988, n. 203; la revoca
dell’autorizzazione e chiusura dell’impianto in caso di inosservanza della
diffida ovvero per reiterate violazione con pericolo o danno per la salute o
l’ambiente, ex art. 10, lett. c), d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
I provvedimenti amministrativi
che irrogano le sanzioni sono soggetti alle normali impugnazioni presso il
giudice amministrativo
Le sanzioni determinate dalla
legge statale non sono state ritenute dalla giurisprudenza costituzionale
lesive delle funzioni regionali in materia.
Gli
artt. 8, 10, 11, 12, 13, 14 e 15 d.p.r. 24.5.1988, n. 203, i quali
rispettivamente fissano alcuni termini per il compimento di adempimenti in
materia di tutela dall'inquinamento, onde evitare disparità di trattamento fra
le imprese dettano norme per l'adeguamento delle prescrizioni, attinenti
all'autorizzazione, in seguito al perfezionamento delle tecnologie,
stabiliscono l'astratta tipologia delle sanzioni irrogabili e dispongono la
regolarizzazione degli impianti esistenti, lasciando alle regioni un
sufficiente spazio per un'autonoma disciplina della materia e rispondono
all'esigenza di modificare la normativa vigente in attuazione di direttive
comunitarie.
I citati articoli
non sono, pertanto, in contrasto con gli artt. 117 e 118, cost.
(Corte cost.,
9.3.1989, n. 101, RGE, 1989, I, 499).
Fare indgiur
(Cass. pen., sez.
III, 30.6.1993, cap 10
5. Le sanzioni penali. La
costruzione di nuovo impianto senza autorizzazione.
Legislazione c.p., art. 5 - c.p.p., artt. 521
e 522 - d.p.r. 24.5.1988, n. 203, art. 24.
Bibliografia Dell’Anno 2000.
La dottrina distingue tra i reati
formali che consistono in comportamenti privi del necessario provvedimento di
assenso dell’amministrazione per l’esercizio dell’attività e reati sostanziali
consistenti nel superamento dei limiti di emissione e nella mancata
realizzazione del piano di adeguamento degli impianti già esistenti (Dell’Anno
P. 2000, 435).
Il legislatore distingue a sua
volta i reati relativi alla costruzione di nuovo impianto senza autorizzazione
da quelli relativi all’esercizio di impianto esistente, per i quali prevede
l’ipotesi di concorso dato che si tratta di due fattispecie diverse.
Il reato previsto
dall'art. 24, 1° co., d.p.r. n. 203 del 1988, costruzione di un nuovo impianto
senza autorizzazione, può concorrere con quello previsto dall'art. 24, 2° co.,
d.p.r. n. 203 del 1988, che prevede l’attivazione di un nuovo impianto senza preventiva
comunicazione alle autorità competenti.
(Pret. Reggio
Emilia, 15.5.1992, GM, 1992, 1314).
La giurisprudenza è restia ad
ammettere quali cause di non punibilità l’ignoranza della legge penale e la
buona fede nella mancata conoscenza della normativa in materia.
Nelle
fattispecie contravvenzionali la buona fede può acquistare giuridica rilevanza
solo a condizione che si traduca in mancanza di coscienza dell'illiceità del
fatto commissivo od omissivo e derivi da un elemento positivo, estraneo all'agente,
consistente in una circostanza che induca alla convinzione della liceità del
comportamento tenuto.
La prova della
sussistenza di un elemento positivo di tal genere, però, deve essere data
dall'imputato, il quale ha anche l'onere di dimostrare di avere compiuto tutto
quanto poteva per osservare la norma violata.
Nella specie,
relativa a rigetto di ricorso, la S.C. ha ritenuto che tale onere probatorio
non potesse ritenersi adempiuto attraverso la mera produzione in giudizio di
una fattura rilasciata da un architetto, che il ricorrente assumeva di avere
incaricato di provvedere alle pratiche amministrative necessarie per
l'autorizzazione dell'impianto - forno per le carrozzerie di autoveicoli da lui
esercitato, allorché si consideri, inoltre, che il conferimento dell'incarico
professionale, anche così configurato, non esonerava il ricorrente medesimo
comunque dal vigilare affinché l'incaricato espletasse puntualmente l'attività
affidatagli.
(Cass. pen., sez. III, 29.11.1994, RP, 1996, 68).
Con riferimento
al principio della scusabilità dell'ignoranza inevitabile della legge penale,
previsto dall’art. 5, c.p., il d.p.r. n. 203 del 1988 è sufficientemente chiaro
per quanto concerne i concetti di impianto nuovo e di impianto esistente nonché
sugli obblighi e relative sanzioni posti a carico dei titolari degli impianti.
(Pret. Reggio
Emilia, 15.5.1992, GM, 1992, 1314).
L’art. 24, 1° co., d.p.r.
24.5.1988, n. 203, prevede il reato di nuovo impianto senza autorizzazione –
comminando la pena dell’arresto da due mesi a due anni e dell’ammenda da lire
cinquecentomila a due milioni - mentre l’art. 24, 2° co., d.p.r. 24.5.1988, n.
203, prevede il reato di esercizio di nuovo impianto senza comunicazione –
comminando la pena dell’arresto fino a due anni e dell’ammenda da lire
cinquecentomila a due milioni.
La ratio
dell'art. 24, 1° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, il quale prevede che non è
possibile costruire un nuovo impianto senza preventiva autorizzazione
regionale, risponde all'esigenza di impedire, in mancanza delle condizioni
necessarie, la creazione di un'entità che dia luogo ad emissioni nell'atmosfera
incidendo in senso negativo sulla qualità dell'aria, in vista della protezione
della salute e dell'ambiente, obiettivo essenziale della normativa in materia.
(App. Brescia,
16.1.1993, RP, 1993, 308).
L’entità della sanzione è stata
dichiarata incostituzionale per eccesso di delega in quanto prevede pene
congiunte e non alternative, come ha disposto il legislatore delegante.
Sono
incostituzionali, per violazione dell'art. 76, cost., gli art. 24, 1° co., e
25, 5° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203 - il secondo in applicazione del potere di
estensione concesso alla Corte dall'art. 27 l. 11.3.1953 n. 87 - nella parte in
cui, in sede di attuazione di varie direttive comunitarie degli anni ottanta in
materia di inquinamento atmosferico prodotto da impianti industriali,
stabilisce, per le violazioni connesse alle ipotesi di costruzione o esercizio
di un impianto in assenza di autorizzazione, o con autorizzazione sospesa,
rifiutata o revocata, o contro l'ordine di chiusura, le pene congiunte
dell'arresto e dell'ammenda, invece che i due tipi di pena in alternativa, come
prescritto dall'art. 15, legge delega 16.4.1987, n. 183.
(Corte cost.
15.7.1997, n. 234, RGE, 1997, I, 859).
Logicamente la contestazione
iniziale deve avere lo stesso oggetto della sentenza di eventuale condanna per
il principio della correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza,
pena la nullità assoluta della sentenza pronunciata, ex 522, c.p.p..
Si verifica
immutazione sostanziale, e quindi violazione del principio della correlazione
tra fatto contestato e fatto ritenuto in sentenza, di cui alla disciplina degli
artt. 521 e 522, c.p.p., nel caso in cui l'imputato, tratto a giudizio per
rispondere dell'attivazione di un impianto di torrefazione di caffè grezzo
senza avere richiesto l'autorizzazione prescritta dall'art. 6, d.p.r.
24.5.1988, n. 203, in materia di inquinamento atmosferico, sia condannato
invece, per avere attivato quell'impianto senza averne data comunicazione
preventiva alla autorità competente, fatto nuovo e previsto da una distinta
norma incriminatrice, ex art. 24, 2° co., d.p.r.
n.
203 del 1988.
(Cass. pen., sez. III, 18.10.1996, n. 9855, CP, 1999, 1248).
Il reato sussiste sia nel caso di
un impianto di modeste dimensioni sia nel caso in cui si tratto di impianti
gestiti da enti pubblici.
In tema di
controllo delle emissioni nell'atmosfera il concetto di impianto non implica
necessariamente una struttura di notevoli dimensioni e neppure una struttura
complessa dell'insediamento, essendo sufficiente anche una postazione parziale,
che abbia attitudine concreta a cagionare l'inquinamento dell'atmosfera.
Nella specie la
Corte ha ritenuto integrare tale concetto l'installazione di una cabina di
verniciatura in una falegnameria già esistente.
(Cass. pen., sez. III, 1.4.1998, n. 6153, GP, 1999, II, 355).
In tema di
inquinamento atmosferico, anche per l'esercizio di un inceneritore di un
mattatoio comunale è necessaria l'autorizzazione regionale prevista dal d.p.r.
24.5.1988, n. 203, poiché il provvedimento non trova applicazione solo per gli
impianti industriali, ma per "tutti gli impianti che possono dar luogo ad
emissione nell'atmosfera" come testualmente previsto dall'art. 1, punto 2
lett. a).
(Cass. pen., sez.
III, 2.6.1995, n. 10245, RPE, 1997, 111).
La giurisprudenza ha ribadito che
l’autorizzazione è unica anche se l’impianto è articolato attraverso più
lavorazioni.
Ai
sensi del d.p.r. 24.5.1988, n. 203, attuativo di quattro direttive CEE sulla
qualità dell'aria e sull'inquinamento da impianti industriali, il singolo
impianto all'interno di uno stabilimento è l'insieme delle linee produttive
finalizzate ad una specifica produzione, sicché non è alle singole fasi di
produzione che occorre far riferimento, ma all'intero processo produttivo.
Fattispecie
relativa ad annullamento, perché il fatto non sussiste, di sentenza di condanna
- ex art. 24, 1° co., d.p.r. n. 203 del 1988, in relazione all'art. 6 stesso
decreto, per avere l'imputato installato un forno di fusione di alluminio senza
la prescritta autorizzazione - avendo erroneamente ritenuto il giudice di
merito che il singolo punto di emissione derivante dal forno costituisse
impianto per il quale era necessaria l'autorizzazione.
(Cass. pen., sez. III, 28.1.1993, CP, 1994,1636).
Il soggetto attivo del reato è
chi esercita materialmente le lavorazioni a prescindere della proprietà
dell’impianto.
In tema di tutela
della qualità dell'aria, per individuare l'autore del reato di cui all'art. 24,
d.p.r. 24.5.1988, n. 203, è rilevante accertare non gia' chi sia il
proprietario dell'impianto, bensì quale soggetto, avendone la disponibilità a
qualsiasi titolo, ne ha iniziato la costruzione senza essere in possesso della
prescritta autorizzazione.
Fattispecie in
cui è stato rigettato il ricorso dell'imputato non proprietario, essendosi
accertato nel giudizio di merito che l'imputato deteneva da tempo la struttura
in questione ed aveva chiesto altre autorizzazioni, nonché, dopo l'ispezione
subita, quella rilevante ai fini del processo).
(Cass. pen., sez. III, 15.5.1998, GP, 1999,II, 442).
Il reato è considerato permanente
dalla giurisprudenza fino al rilascio della dovuta autorizzazione, con evidenti
conseguenze in ordine ala decorrenza della prescrizione del reato.
In materia di
inquinamento atmosferico, la contravvenzione di cui all'art. 24, 1° co., d.p.r.
24.5.1988, n. 203, è un reato la cui permanenza dura fino al rilascio della
prevista autorizzazione, poiché la norma è finalizzata alla tutela della
qualità dell'aria e l'autorizzazione costituisce mezzo di controllo preventivo
sugli impianti inquinanti onde verificare la tollerabilità delle emissioni e
l'adozione di appropriate misure di prevenzione dell'inquinamento atmosferico,
sicché il reato permane finché il competente ente territoriale, non abbia
effettuato tale controllo.
Permanente è
altresì la contravvenzione di cui all’art. 24, 2° co., poiché la comunicazione
di messa in esercizio dell'impianto - come le ulteriori richieste comunicazioni
dei dati relativi alle emissioni effettuate - è temporalmente collegata
all'esperimento dell'accertamento previsto dall'art. 8, 3° co., d.p.r.
24.5.1988, n. 203, sicché il reato permane finché il protrarsi dell'omissione
impedisce tale accertamento.
Nella specie,
relativa a rigetto di ricorso, la S.C. ha ritenuto non maturato il termine di
prescrizione.
(Cass. pen., sez. III, 29.11.1994, RP, 1996, 68).
(Cass. pen., sez. I, 12.4.1996, n. 5702, CP, 1997, 531).
Cass. pen., sez. III, 3.5.1995, n. 7692, RPE, 1997, 88).
Fare indgiur
5.1. L’esercizio di impianto
esistente senza autorizzazione.
Legislazione
c.p., art. 162 bis - d.p.r. 24.5.1988, n. 203, artt.
12, 13, 5° co., 25, 1°, 2°, 6°, 7° co.
Bibliografia Dell’Anno 2000.
l’art. 25, 1° co., d.p.r.
24.5.1988, n. 203, prevede il reato di esercizio di impianto esistente qualora,
chi conduca un impianto – sia esso permanente o temporaneo - al tempo
dell’entrata in vigore della legge, non presenti la domanda di autorizzazione
dell’esercizio dell’attività nei tempi prescritti tassativamente.
Sono sottoposti
alla disciplina dell’art. 1, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, "tutti gli impianti
che possono dar luogo ad emissioni nell'atmosfera" sicché anche strutture
temporanee quali impianti di selezione e lavaggio di materia di cava
suscettibile di emanare polveri e fumi - e non solo i tradizionali impianti fissi
industriali - sono soggette alla necessaria autorizzazione preventiva.
(Cass. pen., sez. III, 13.10.1995, n. 11334, CP, 1997, 848).
Esso è qualificato dalla
giurisprudenza come reato di pericolo e come reato permanente.
Gli effetti sono evidenti in tema
di prescrizione che decorre dalla cessazione della permanenza della situazione
pericolosa.
In
materia di inquinamento atmosferico, il sistema d.p.r. 24.5.1988, n. 203,
impone sempre l'obbligo di presentare la domanda di autorizzazione per gli
impianti esistenti come si desume dal tenore degli artt. 12, 13 e 25, e la
mancata presentazione della domanda di autorizzazione alla regione competente,
costituisce formale reato di pericolo, che prescinde dall'effettiva produzione
di un evento dannoso.
(Cass. pen., sez. III, 18.12.1998, n. 1669, RP, 1999, 483).
La
contravvenzione prevista dall'art. 25, 1° co d.p.r. 24.5.1988, n. 203, ha
natura di reato formale di pericolo perché prescinde da un evento dannoso e
mira a realizzare un controllo anticipato delle autorità competenti sugli
impianti esistenti, ed ha altresì natura di reato permanente che si protrae
anche dopo la scadenza prevista dalla legge sino al momento della presentazione
dell'istanza in quanto l'esercizio degli impianti esistenti richiede sempre un
controllo dell'autorità.
(Cass. pen., sez. III, 29.5.1996, n. 7300, RGA, 1997, 708).
In materia di
inquinamento atmosferico, il reato punito dall'art. 25, d.p.r. 24.5.1988, n.
203, per l'omessa richiesta della autorizzazione per gli impianti già
esistenti, ha natura di reato formale di pericolo, perche' prescinde dalla
effettiva produzione di un evento dannoso ed ha carattere permanente, in quanto
e' nel potere del relativo autore far cessare la situazione lesiva del bene
giuridico protetto richiedendo l'autorizzazione.
La prescrizione
perciò non comincia a decorrere dal termine fissato dalla legge per la
presentazione della domanda, ma dalla cessazione della permanenza.
Cass. pen., sez. I, 12.4.1996, n. 5702, CP, 1997, 531. Conf.
Cass. pen., sez. III, 8.11.1995, n. 12220, CP, 1997, 848).
Il reato di cui
all'art. 25, 1° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, consistente nella mancata
presentazione della domanda di autorizzazione nel termine prescritto, continua
a sussistere anche dopo la scadenza del termine stesso, perché l'esercizio
degli impianti esistenti richiede sempre un controllo preventivo della regione
nella forma di una autorizzazione espressa e specifica, provvisoria o
definitiva, ex art. 13, d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
Nella specie,
relativa ad annullamento con rinvio, la suprema Corte ha ritenuto che
erroneamente era stata applicata la prescrizione con riferimento alla scadenza
del termine per la presentazione della domanda.
(Cass. pen., sez. III, 9.6.1994, CP, 1997, 533).
La norma, prevede, oltre alla
richiesta dell’autorizzazione per potere continuare ad utilizzare l’impianto,
l’adozione delle misure ad evitare un peggioramento delle emissioni.
In
materia di inquinamento atmosferico ex art. 13, 5° co., e 25, 7° co., d.p.r.
24.5.1988, n. 203, per gli impianti esistenti sussiste un obbligo positivo di
adottare tutte le misure necessarie ad evitare un peggioramento anche
temporaneo delle emissioni e non può essere invocato il "guasto
tecnico" - non contemplato dal d.p.r. 24.5.1988, n. 203 - per escludere
tale obbligo penalmente sanzionato dallo Stato.
Il guasto tecnico
per sua natura deve essere previsto ed evitato con l'utilizzo di quei sistemi
di prevenzione idonei ad evitare comunque l'inquinamento, nella forma del
peggioramento temporaneo o del superamento dei limiti legali.
I valori di
emissione inderogabili ex d.p.r. 24.5.1988, n. 203, devono essere rispettati,
anche nel caso di guasto tecnico dell'impianto, perché la legge formale prevale
su atti amministrativi generali di livello subordinato
Nel caso di
specie si tratta dell’interpretazione del d.m. 12.7.1990, art. 3, punto 14 e
15, ritenuto non più applicabile.
(Cass. pen., sez. III, 3.5.1995, n. 7692, RPE, 1997, 88).
Nel settore ambientale,
l'autorizzazione svolge non solo una funzione abilitativa, cioè di rimozione di
un ostacolo all'esercizio di alcune facoltà, ma assume anche un ruolo di
controllo del rispetto della normativa e dei correlati standards e consente il
c.d. monitoraggio ecologico, la mancanza di detto provvedimento incide,
pertanto, su alcuni interessi protetti dalla norma penale.
Il contenuto della domanda deve,
pertanto, rispondere ai precetti contenuti della legge per non incorrere nel
reato .
La
relazione tecnica che accompagna la domanda di autorizzazione alle emissioni
per gli impianti esistenti deve contenere non solo l'indicazione della
quantità, ma anche della qualità delle emissioni, sicché l'istanza priva di
tale obbligatorio ed essenziale contenuto equivale ad omessa presentazione
della domanda in considerazione del chiaro tenore dell'art. 12, d.p.r. 24.5.1988,
n. 203, onde è configurabile il reato previsto e punito dall'art. 25, 1° co., d.p.r.
24.5.1988, n. 203.
(Cass. pen., sez. III, 29.5.1996, n. 7300, RGA, 1997, 708).
In
materia di tutela della qualità dell'aria, il d.p.r. 24.5.1988, n. 203,
prescrive per gli impianti esistenti un triplice obbligo: presentare
tempestivamente la domanda di autorizzazione; osservare le prescrizioni
dell'autorizzazione o quelle imposte subito dalla autorità competente;
realizzare il progetto di adeguamento nei tempi e modi indicati nella domanda
di autorizzazione.
Non
può, perciò, valere come domanda una istanza non sottoscritta o incompleta e
generica, in quanto l'art. 12 del predetto decreto prescrive che la domanda sia
specifica e finalizzata ad un reale adeguamento ai valori delle emissioni
consentiti e, perciò, esige che sia allegato il progetto di adeguamento.
Nella
specie, relativa ad annullamento con rinvio di sentenza di non doversi
procedere perché il fatto non sussiste, trattavasi di una grande
autocarrozzeria, il cui titolare non aveva presentato una regolare domanda e,
soprattutto, non si era adeguato ai valori prescritti, violando l'art. 25, d.p.r.
24.5.1988, n. 203).
(Cass. pen., sez. III, 7.2.1995, n. 378, CP, 1996, 2750).
In tema di
inquinamento atmosferico, la presentazione, per gli impianti produttivi
emittenti nell'atmosfera, di una domanda di autorizzazione incompleta, in
quanto priva delle obbligatorie ed essenziali indicazioni relative alla
quantità ed alla qualità delle emissioni, equivale a mancata presentazione
della domanda e integra, pertanto, il reato previsto dall'art. 25, d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
(Cass. pen., sez. III, 10.11.1994, GP, 1996, II, 246).
La giurisprudenza ha precisato
che il successivo rilascio dell’autorizzazione non esplica efficacia sanante
per il precedente comportamento omissivo
In
tema di immissioni inquinanti nell'atmosfera, deve escludersi che nell'ipotesi
di esecuzione senza autorizzazione di una modifica sostanziale di un impianto
industriale, ex artt. 15 e 25, 6° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, il successivo
rilascio dell'autorizzazione abbia efficacia sanante di una situazione
antigiuridica e pericolosa venutasi a creare a causa del comportamento omissivo
o commissivo dell'agente.
La
contravvenzione non integra un reato istantaneo, la cui epoca di commissione
debba farsi risalire al momento in cui avviene la modifica non autorizzata,
bensì un reato permanente in cui detta modifica costituisce solo il momento
iniziale.
La consumazione
del reato si protrae sino alla conclusione del procedimento di controllo ed al
rilascio dell'autorizzazione, con cui si mira ad accertare la compatibilità di
quanto eseguito con la salvaguardia dell'interesse protetto, ovvero sino a che
l'agente non abbia desistito dal comportamento o ripristinato la situazione
precedente.
(Cass. pen., sez. III, 18.11.1997, n. 11836, RTDPE, 1998, 1091).
L'omessa
valutazione dalla p.a. impedisce quella conoscenza ed informazione ambientale e
quel controllo sull'attività cui sono deputati il procedimento autorizzatorio e
le relative sanzioni in caso di disobbedienza a questi precetti, comportando,
perciò, una effettiva conseguenza pericolosa, in quanto conoscenza ed
informazione sono strumenti necessari per la prevenzione.
Solo dopo aver
ottenuto il provvedimento autorizzatorio può affermarsi che sono venute meno le
conseguenze pericolose eliminabili dal contravventore, onde è possibile
richiedere l'oblazione cosiddetta facoltativa, mentre le importanti funzioni
svolte dall'autorizzazione nel campo ambientale escludono la possibilità che il
successivo rilascio abbia efficacia sanante di una situazione antigiuridica e
pericolosa venutasi a creare a causa di un comportamento omissivo e commissivo
dell'agente.
Fattispecie
relativa a rigetto di ricorso con il quale si deduceva, fra l'altro, la
violazione dell'art. 162 bis, c.p., poiché non era stata ammessa l'oblazione
condizionata per il reato di emissioni in atmosfera senza la prescritta
autorizzazione richiesta in sede di trasferimento dell'impianto in altra
località.
(Cass. pen., sez. III, 13.3.1996, n. 3589, DGA, 1998, 304).
Il
reato di cui all'art. 25, 1° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, consistente nella
mancata presentazione della domanda di autorizzazione nel termine prescritto,
continua a sussistere anche dopo la scadenza del termine stesso, perché
l'esercizio degli impianti esistenti richiede sempre un controllo preventivo
della Regione nella forma di una autorizzazione espressa e specifica,
provvisoria o definitiva, ex art. 13, d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
Nella specie,
relativa ad annullamento con rinvio, la S.C. ha ritenuto che erroneamente era
stata applicata la prescrizione con riferimento alla scadenza del termine per
la presentazione della domanda.
(Cass. pen., sez. III, 9.6.1994, RPE, 1996, 20).
Il sistema sanzionatorio è stato
dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui la norma ha fatto
riferimento per le modifiche sostanziali dell’impianto al procedimento previsto
per gli impianti esistenti dall’art. 13, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, e non a
quello previsto dall’art. 15, d.p.r. 24.5.1988, n. 203, che impone per i nuovi
impianti l’obbligo di richiedere una nuova autorizzazione (Dell’Anno P. 2000,
435).
L'art. 25, 6°
co., d.p.r. 24.5.1988, n. 203, che sanziona penalmente il trasferimento di un
impianto produttivo senza la prescritta autorizzazione, è costituzionalmente
illegittimo nella parte in cui fa riferimento alla autorizzazione di cui
all'art. 13, d.p.r.
24.5.1988, n. 203,
relativa alla continuazione dell'attività produttiva nello stesso posto, in
luogo di quella di cui all'art. 15, d.p.r.
24.5.1988, n. 203, concernente
il trasferimento dell'impianto.
Il
riferimento alla autorizzazione di cui all'art. 13, frutto di un errore
materiale di redazione del testo legislativo, determina una violazione del
principio di determinatezza delle norme penali, il quale impone la formulazione
di norme chiare ed intelligibili sotto il profilo semantico.
(Corte cost.,
22.4.1992, n. 185, CP, 1993, 5. Conf. Corte giust. CEE 20.4.1993, n. 71,
CS, 1993, II, 1057).
Il soggetto attivo del reato è
chi esercita attualmente le lavorazioni a prescindere dell’attività
autorizzatoria richiesta dalla precedente proprietà.
In
materia di inquinamento atmosferico, la permanenza del reato di omessa
presentazione della domanda di autorizzazione, di cui all'art. 25, d.p.r.
24.5.1988, n. 203 - equiparabile alla condotta di presentazione della domanda
incompleta, ove priva delle obbligatorie ed essenziali indicazioni relative
alla quantita' ed alla qualità delle emissioni - radica la responsabilità di
coloro i quali hanno proseguito nell'esercizio degli impianti sapendo e
comunque dovendo sapere e controllare che la domanda di autorizzazione non era
stata presentata, a suo tempo, con le prescritte modalità, dal precedente
amministratore.
Sussiste la
responsabilità penale per violazione dell'art. 25, 1° co., del d.p.r.
24.5.1988, n. 203, degli amministratori di società succedutisi a quello
originariamente inadempiente laddove abbiano proseguito nell'esercizio di
impianti esistenti sapendo o, comunque, dovendo sapere che la domanda di
autorizzazione provvisoria per le emissioni in atmosfera non era stata a suo
tempo presentata con le prescritte modalità.
(Cass. pen., sez. III, 29.5.1996, n. 7300, RGA, 1997, 708).
La giurisprudenza mette l
concorso il reato di getto di cose previsto dall'art. 674, c.p., vedi Cap. IX,
par. 7.1.
Il reato previsto
dell'art. 674, c.p., può concorrere con le contravvenzioni sanzionate dall'art.
25, 1°, 2° e 7°, del d.p.r. 24.5.1988, n. 203.
(Cass. pen., sez.
I, 25.5.1994, CP, 1995, 3346).
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