CAPITOLO VII
IL CONTROLLO DELLE ACQUE.
SOMMARIO: 1.
Gli scarichi.
2. Le competenze. Il potere
sostitutivo dello Stato.
3. L’autorizzazione comunale e
provinciale allo scarico.
3.1. La tutela giurisdizionale
sul diniego e sul silenzio inadempimento sulla domanda di autorizzazione.
L’art. 2, l. 205/2000.
4. I controlli. La fase
amministrativa.
5. Gli illeciti amministrativi.
6. Il controllo del giudice
penale. Il processo verbale di prelevamento di campioni.
7. I reati previsti dalla l.
152/1999.
8. IL soggetto attivo del reato.
9. Il danno ambientale.
10. Piani di tutela delle acque.
11. La tutela del mare.
1. Gli scarichi.
Legislazione d. lg. 11.5.1999, n. 152, artt. 1,
lett. a), 2, lett. h), lett. bb), 3, 45, 59, 5° co.
Bibliografia Conti 1998 - Santoloci 1999 -
Fimiani 2000.
La l. 319/1976, detta legge Merli
dal nome del suo presentatore, ha disciplinato in maniera organica gli scarichi
- siano essi pubblici o privati, diretti ed indiretti, in tutte le acque
superficiali e sotterranee, interne e marine, sia pubbliche che private, nonché
in fognature sul suolo e nel sottosuolo (Conti L. 1998, 458).
Essa è stata abrogata e
sostituita dal d. lg. 11.5.1999, n. 152.
Essa ha come primo obiettivo
quello di prevenire e ridurre l'inquinamento e attuare il risanamento dei corpi
idrici inquinati, art. 1, lett. a), d. lg. 11.5.1999, n. 152.
La normativa amplia il concetto
di scarico comprendendo in tale termine qualsiasi immissione diretta tramite
condotta di acque reflue liquide, semiliquide e comunque convogliabili nelle
acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete fognaria,
indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche se sottoposte a
preventivo trattamento di depurazione, art. 2, lett. bb), d. lg. 11.5.1999, n.
152 (Fimiani P. 2000, 3).
La norma definisce il confine fra
scarico e rifiuto.
Viene, infatti, proibito lo
scarico indiretto.
Per scarico si intende il
versamento diretto dei reflui nel corpo ricettore.
Nel caso la linea di collegamento
tra fonte di versamento e corpo ricettore sia interrotta, dando origine a
quello che finora è stato classificato dalla giurisprudenza come scarico
indiretto, essa è ora definita come una entità totalmente diversa, perché cessa
la nozione di scarico e quella sostanza è definita rifiuto liquido, disciplinato
dal d.lg. 22/1997 sui rifiuti (Santoloci M. 1999, n. 5, 112).
In tema di
scarico da insediamento produttivo di cui all'art. 21, l. n. 319 del 1976 -
coincidente con lo scarico di acque reflue industriali di cui all'art. 59,
d.lg. n. 152 del 1999 - è da rilevarsi che per scarico deve intendersi il
liquido proveniente dall'insediamento produttivo nella sua totalità.
Cioè
nell'inscindibile composizione dei suoi elementi confluenti nel corpo
ricettore, a nulla rilevando che parte di esso sia composto da liquidi non
direttamente derivanti dal ciclo produttivo, come quelli dei servizi igienici o
delle acque meteoriche immesse in un unico corpo ricettore.
Nella specie, lo
scarico risultava dal percolamento intrinseco di vinacce e ceneri depositate
sul terreno o dal dilavamento di tale complessivo materiale per effetto delle
acque meteoriche.
(Cass. pen., sez. III, 30.9.1999, n. 12186, RP, 1999, 1093. Cass.
pen., sez. III, 7.5.1997, n. 5734).
Alla
luce di quanto dispone il d. lg. 11.5.1999, n. 152, si può ritenere scomparso
il concetto di scarico indiretto, ovvero la sua trasformazione in rifiuto
liquido.
Se per scarico si
intende ora, più esattamente, il riversamento diretto nei corpi recettori,
quando il collegamento tra fonte di riversamento e corpo recettore è
interrotto, viene meno lo scarico (indiretto) per far posto alla fase di
smaltimento del rifiuto liquido.
(Cass. pen., sez. III, 24.6.1999, n. 2358, RP, 1999, 725).
Nella nuova disciplina diventa
fondamentale la distinzione tra scarico di acque reflue industriali ed
immissione occasionale.
L’art. 59, d.lg. 11.5.1999, n.
152 ha modificato la precedente disciplina della l. 10.5.1976, n. 319.
Lo scarico di acque reflue
industriali deve avvenire tramite condotta, ex art. 2, lett. bb, e, cioè, a
mezzo di qualsiasi sistema stabile - anche se non esattamente ripetitivo e non
necessariamente costituito da una tubazione - di rilascio delle acque predette;
il secondo tipo di scarico ha il carattere dell'eccezionalità collegata con la
menzionata occasionalità.
L’immissione
occasionale non è più prevista come reato con riferimento alla mancanza di
autorizzazione; mentre è ancora tale in relazione al superamento dei limiti
d'accettabilità, poiché espressamente disciplinata, ex art. 59, 5° co., d.lg.
11.5.1999, n. 152.
Il giudice di
merito, nel caso in cui l'imputato assuma che l'immissione sia stata occasionale,
ha, pertanto, il dovere di verificare tale estremo anche in relazione ai fatti
commessi prima della vigenza della nuova disciplina, che è ad essi applicabile,
essendo disposizione più favorevole, ex art. 2, c.p.
Nell'ipotesi in
cui la menzionata occasionalità risulta dal testo della sentenza impugnata deve
essere la Corte di cassazione ad annullare senza rinvio la sentenza impugnata,
perché il fatto non è previsto come reato.
Con riguardo ai
fatti commessi prima dell'entrata in vigore del d.lg. 11.5.1999, n. 152,
qualora l'imputato assuma che si sia trattato di immissioni occasionali, il
giudice di merito deve verificare la fondatezza di tale assunto, ai fini
dell'eventuale applicabilità, ai sensi dell'art. 2, c.p., della sopravvenuta
norma più favorevole.
Tale verifica può
essere compiuta anche dalla Corte di cassazione, ove il requisito
dell'occasionalità risulti dal testo della sentenza impugnata con la quale, in
applicazione della disciplina previgente, sia stata affermata la responsabilità
dell'imputato.
In tal caso detta
sentenza va annullata senza rinvio perché il fatto non è previsto dalla legge
come reato.
Alla stregua del
combinato disposto degli artt. 2, lett. h) e bb), 45 1° co., 59, 1° e 5° co.,
d.lg. 11.5.1999, n. 152, le immissioni occasionali non autorizzate di acque
reflue industriali non costituiscono reato salvo che diano luogo a superamento
dei valori limite fissati nella tabella 3 allegata al suddetto decreto
legislativo, essendo penalmente sanzionato per difetto di autorizzazione solo
il vero e proprio "scarico", il quale deve avvenire "tramite
condotta", e cioè a mezzo di qualsiasi sistema stabile - anche se non
esattamente ripetitivo e non necessariamente costituito da una tubazione - di
rilascio delle acque predette.
(Cass. pen., sez. III, 3.9.1999, n. 2774, RP, 1999, 974).
2. Le competenze. Il potere
sostitutivo dello Stato.
Legislazione d. lg. 31.3.1998, n. 112, artt.
5, 80, 81 - d. lg. 11.5.1999, n. 152, art. 3, 3° co., 53.
Bibliografia Centofanti 1999 - Tescaroli
2000.
Le competenze nelle materie
disciplinate dal presente decreto sono stabilite dal d. lg. 31.3.1998, n. 112,
e dagli altri provvedimenti statali e regionali adottati ai sensi della l.
15.3.1997, n. 59 (Tescaroli S. 2000, 1768).
Lo Stato, le regioni, le province,
i comuni, le autorità di bacino, l'Agenzia nazionale e le Agenzie regionali per
la protezione dell'ambiente assicurano l'esercizio delle competenze già
spettanti alla data di entrata in vigore della l. 15.3.1997, n. 59, fino
all'attuazione delle disposizioni di cui all’art. 3, d. lg. 31.3.1998, n. 112.
Allo Stato sono riservate, ex
art. 80, d. lg. 31.3.1998, n. 112, le funzioni generali in materia ad esempio
di aggiornamento delle sostanze nocive e di fissazione dei valori limite delle
emissioni; per contro, alle regioni e agli enti locali sono demandate tutte le
funzioni non espressamente attribuite allo Stato, ex art. 81, d. lg. 31.3.1998,
n. 112.
In caso di accertata inattività
dell’organo competente che comporti inadempimento agli obblighi derivanti
dall'appartenenza all'Unione europea o pericolo di grave pregiudizio alla
salute o all'ambiente o inottemperanza agli obblighi di informazione, il
Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta dei Ministri competenti,
esercita i poteri sostitutivi, in conformità all'art. 5, d. lg. 31.3.1998, n.
112, ex artt. 3, 3° co., 53, d. lg. 11.5.1999, n. 152.
Il controllo sostitutivo
governativo è disciplinato, in particolare da questo provvedimento, nei settori
che sono soggetti ad adempimenti derivanti da obblighi determinati
dall’appartenenza all’unione europea, o in via generale o nel caso di pericolo
di grave pregiudizio per gli interessi nazionali.
Per l’esercizio del potere lo
schema procedimentale prevede un atto del presidente del consiglio dei ministri,
su proposta del ministro competente per materia, che diffidi l’amministrazione
inadempiente assegnandole un congruo termine a provvedere.
Nel caso di inadempimento il
consiglio dei ministri, sentita l’amministrazione inadempiente, nomina un
commissario ad acta che si sostituisce all’amministrazione nell’emanare
il provvedimento intimato.
In caso di assoluta urgenza è
prevista una procedura semplificata (Centofanti N. 1999, 134).
3. L’autorizzazione comunale e
provinciale allo scarico.
Legislazione d. lg. 11.5.1999, n. 152, artt.
45, 4° co., 46.
Bibliografia Tricomi 1999 - Fimiani 2000.
L’autorizzazione conserva ancora
la struttura giuridica di atto amministrativo necessario per l’attivazione
dello scarico, ex art. 45, d.lg. 11.5.1999, n. 152.
La mancanza dell’autorizzazione
fa scattare le sanzioni amministrative penali a seconda che lo scarico riguardi
insediamenti civili od industriali (Fimiani P. 2000, 111).
Dopo l'entrata in
vigore della l. 172 del 1995, gli scarichi (nuovi) provenienti da insediamenti
civili o equiparati effettuati senza autorizzazione sono soggetti alla sanzione
amministrativa prevista dall'art. 21, l. 319 del 1976 e non a quella penale
prevista dall'art. 23, 1° e 2° co., che configura come reato l'effettuazione di
uno scarico prima che l'autorizzazione, chiesta nelle forme prescritte, sia
stata concessa, applicandosi tale disposizione solo nei confronti dei titolari
di scarichi provenienti da insediamenti produttivi.
(Cass. pen., sez. III, 26.11.1996, FI, 1997, II, 217).
Le regioni devono definire il
regime autorizzatorio degli scarichi di acque reflue domestiche e di reti
fognarie, servite o meno da impianti di depurazione delle acque reflue urbane
che è distinto da quello degli scarichi industriali (Tricomi L. 1999, 122).
Gli scarichi di acque reflue
domestiche in reti fognarie sono sempre ammessi nell'osservanza dei regolamenti
fissati dal gestore del servizio idrico integrato.
Per gli insediamenti le cui acque
reflue non recapitano in reti fognarie il rilascio della concessione edilizia è
comprensiva dell'autorizzazione dello scarico, ex art. 45, 4° co., d.lg.
11.5.1999, n. 152.
Salvo diversa disciplina
regionale, la domanda di autorizzazione è presentata alla provincia ovvero al
comune se lo scarico è in pubblica fognatura, ex art. 45, 9° co., d.lg.
11.5.1999, n. 152.
L'autorità competente provvede
entro novanta giorni dalla ricezione della domanda, ex art. 45, 6° co., d.lg.
11.5.1999, n. 152, salve diverse disposizioni regionali.
L'autorizzazione è valida per
quattro anni dal momento del rilascio. Un anno prima della scadenza ne deve
essere richiesto il rinnovo.
La domanda di autorizzazione agli
scarichi di acque reflue industriali deve essere accompagnata dall'indicazione
delle caratteristiche quantitative e qualitative dello scarico, della quantità
di acqua da prelevare nell'anno solare, del corpo ricettore e del punto previsto
per il prelievo al fine del controllo e dalla descrizione del sistema
complessivo di scarico, ex art. 46, d.lg. 11.5.1999, n. 152.
3.1. La tutela giurisdizionale
sul diniego e sul silenzio inadempimento sulla domanda di autorizzazione. L’art.
2, l. 205/2000.
Legislazione
t.u. 3/1957, art. 25 - l. 241/1990, art. 2, 3° co. -
d.lg. 11.5.1999, n. 152, art. 45, 6° co. - l. 205/2000, art. 2, 3° co., 9.
Bibliografia Centofanti 1999 - Volpe 2000.
I provvedimenti di diniego sulla
domanda di autorizzazione allo scarico sono soggetti alla giurisdizione
amministrativa.
Con riguardo alle
domande proposte dal comune contro i provvedimenti di rigetto delle sue istanze
di autorizzazione allo scarico delle acque fognarie, sussiste la giurisdizione
del giudice amministrativo, vertendosi in tema di interesse legittimo dell'ente
pubblico al corretto esercizio, da parte della provincia, del suo potere
discrezionale di concessione o di diniego di atti permissivi.
(Cass. civ., Sez. U., 14.10.1997, n. 10036, GCM, 1997, 1936).
E'
illegittimo il diniego di autorizzazione allo scarico di sostanze inquinanti,
adottato dalla giunta comunale non nell'esercizio del potere ad essa conferito
dalla l. 10.5.1976, n. 319, bensì per perseguire il soddisfacimento di
interessi urbanistici.
(T.A.R. Toscana,
3.4..1982, n. 141, T.A.R., 1982, I, 1599).
Se l’autorità competente non
provvede nel termine di novanta giorni previsto dalla ricezione della domanda,
ex art. 45, 6° co., d.lg. 11.5.1999, n. 152, non si forma un provvedimento
assentivo.
Anche se la dizione legislativa,
l. 241/1990, art. 2, 3° co., afferma il principio dell’obbligo a provvedere
entro termini prefissati da regolamenti - o, in carenza, entro trenta giorni
dalla domanda - l’interpretazione giurisprudenziale prevalente ritiene ancora
sussistere il silenzio inadempimento con la necessità della diffida, ai sensi
dell’art. 25 del t.u. 3/1957.
La procedura è richiesta, in via
generale, per tutti i procedimenti che tendono ad acclarare il comportamento di
rifiuto a provvedere.
Perché
il comportamento tacito dell'amministrazione possa configurare il
silenzio-rifiuto, impugnabile davanti al giudice amministrativo, è necessaria,
ai sensi dell'art. 25, t.u. 10.1.1957, n. 3, la presentazione dell'istanza da
parte dell'interessato diretta all'emanazione del provvedimento amministrativo
richiesto.
(Cons. Giust.
Amm. Sicilia, 25.2.1994, n. 73, CS, 1994, I, 262).
La dottrina considera ininfluente
la nuova normativa ai fini della tutela giurisdizionale (Centofanti N. 1999,
44).
L’art. 2, l. 205/2000, mantiene
l’onere della messa in mora e delle diffida ad adempiere nei riguardi
dell’amministrazione per configurare l’inadempimento, ma presenta un nuovo
sistema di tutela (Volpe I. 2000, 50).
I ricorsi avverso il silenzio
possono decidersi direttamente in camera di consiglio, analogamente a quanto
avviene in relazione alla domanda di provvedimenti cautelari.
La forma della decisione è quella
della sentenza succintamente motivata, prevista dall’art. 9, l. 205/2000.
I termini da osservare per la
decisione sono di trenta giorni dalla scadenza del termine di legge per il
deposito, che è di trenta giorni dall’ultima notifica del ricorso.
Del pari sono previsti tempi
strettissimi anche per l’appello che deve essere proposto entro trenta giorni
dalla notifica o, in mancanza, entro novanta giorni dalla comunicazione della
pubblicazione.
La modifica più sostanziale
attiene alle possibilità totalmente nuove offerte al giudice amministrativo
qualora persista il comportamento inerte dell’amministrazione.
Nel caso di accoglimento
definitivo – esperito l’eventuale gravame - totale o parziale del ricorso di
primo grado il giudice amministrativo, su istanza del ricorrente, che ha invano
preventivamente diffidato l’amministrazione a provvedere, ordina direttamente
all’amministrazione di provvedere entro un termine di trenta giorni.
Qualora l’amministrazione resti
inadempiente oltre detto termine, il giudice amministrativo, su richiesta del
ricorrente, nomina un commissario che provveda in luogo della stessa
amministrazione accertando preventivamente che questa, nelle more della sua
nomina, non abbia già provveduto, ex art. 2, 3° co., l. 205/2000.
La giurisprudenza ha precisato
che le controversie relative a scarichi riguardanti concessioni di derivazione
sono affidate alla giurisdizione del Tribunale superiore delle acque pubbliche
Il
giudizio sulla legittimità di un provvedimento di diniego allo scarico nella
rete fognante delle acque reflue utilizzate da una cartiera, titolare di una
concessione di derivazione, è devoluto alla giurisdizione del Tribunale
superiore delle acque pubbliche, avendo diretta incidenza sulla concessione
medesima.
(Trib. sup.
acque, 17.2.1997, n. 10, CS, 1997,II, 294).
4. I controlli. La fase
amministrativa.
Legislazione
d. lg. 11.5.1999, n. 152, art. 28 - l. 10.5.1976, n.
319, art. 9, 3° co.
Bibliografia Fimiani 2000.
L’art. 28, d. lg. 11.5.1999, n.
152, dedica ampio spazio alla disciplina dei controlli introducendo il
principio della programmazione degli stessi.
La disciplina dei poteri
d’accesso è regolata in maniera tale da assicurare i poteri di accertamento e
di ispezione all’interno degli stabilimenti (Fimiani P. 2000, 247).
La dottrina si pone il problema
se la fase del prelievo e del campionamento rientra nell’attività
amministrativa o in quella di polizia giudiziaria.
Essa propende per la prima teoria
con la conseguenza che, nella fase del prelievo, non deve essere assicurata
alcuna garanzia difensiva; in tale fase, inoltre, non deve essere dato
preavviso ai soggetti nei cui confronti sono eseguiti gli accertamenti (Fimiani
P. 2000, 257).
In materia di
tutela delle acque dall'inquinamento, l'attività di prelievo di campioni ha
natura amministrativa e non richiede il preavviso degli interessati, mentre
l'avviso della data e luogo delle analisi è prescritto a pena di nullità.
(Cass. pen., sez. III, 19.4.1999, n. 4993, DGA, 1999, 424).
A
norma dell'art. 9, 3° co., l. 10.5.1976, n. 319, la misurazione degli scarichi
industriali deve essere effettuata subito a monte del punto di immissione nei
corpi recettori di cui all'art. 1, lett. a), che, a sua volta, individua, quali
corpi recettori le acque superficiali, il suolo e il sottosuolo.
(T.A.R.
Lombardia, sez. I, Milano, 18.2.1998, n. 376).
In materia di
tutela delle acque dall'inquinamento, l. 10.5.1976, n. 319, deve affermarsi che
l'attività relativa al prelevamento dei campioni ha natura amministrativa.
Ne consegue che,
prevedendo la legge - in via generale ed alternativa - sia il campionamento
istantaneo che quello medio, la scelta del metodo più appropriato al caso
specifico è rimessa alla discrezionalità tecnica della p.a. ai fini penali,
peraltro, non è rilevante l'atto amministrativo del verbale di prelievo, bensì
il risultato delle analisi, qualora esso non sia conforme anche ad uno soltanto
dei limiti indicati dalla legge nelle apposite tabelle.
La mancanza di
motivazione in ordine alla scelta del metodo del prelievo non è sanzionata da
alcuna nullità: essa comporta una irregolarità di tipo procedimentale
superabile dal giudice che può ritenere attendibile e rappresentativo il
prelievo sulla base degli elementi di fatto risultanti dagli atti.
(Cass. pen., sez. III, 19.1.1996, n. 2033, CP, 1998, 621).
In materia di
tutela delle acque l'attività di campionamento ha natura esclusivamente
amministrativa, ed è documentata da un apposito verbale sottoscritto
dall'operatore e dal titolare dell'insediamento o da un dipendente.
Il verbale
documenta il luogo del prelievo, il metodo di campionamento, istantaneo o
medio, utilizzato, indica la data di inizio delle analisi e quant'altro appare
tecnicamente utile ai fini della valutazione della attendibilità e
rappresentatività, affidata al giudice nel caso concreto.
La mancata
consegna del campione all'interessato, se richiesta, non essendo previste
analisi di revisione, implica una irregolarità amministrativa, non una nullità
processuale, in quanto l'interessato può essere presente all'apertura del
campione sigillato al momento di inizio delle analisi, con la presenza di un
consulente e far verbalizzare eventuali osservazioni.
(Cass. pen., sez. III, 2.11.1992, GP, 1993, III, 204).
Per ovvii motivi è esclusa la
disciplina dell’accesso al procedimento di accertamento, potendo l’interessato
facilmente eliminare le conseguenze della sua condotta illegittima.
E' legittima la
norma che non preveda il preavviso delle operazioni di campionamento delle
acque, al fine di accertare se queste superino i limiti di accettabilità
stabiliti dalla legge e dell'adozione delle misure antinquinamento, poiché
altrimenti il responsabile potrebbe far sparire le tracce di ogni irregolarità
degli scarichi e pregiudicare l'attività amministrativa diretta alla tutela
delle acque dall'inquinamento.
Pertanto, l'art.
15, 7° co., l. 10.5.1976, n. 319, non è in contrasto con l'art. 24, 2° co.,
cost., nella parte in cui non prevede l'obbligo del preavviso delle operazioni
di campionamento delle acque all'interessato, perché possa farsi assistere da
un difensore o da persona di sua fiducia nelle operazioni stesse.
(Corte cost., 13.7.1990, n. 330, CS, 1990, II, 1054).
5. Gli illeciti amministrativi.
Legislazione d. lg. 11.5.1999, n. 152, art.
54, 1°, 2°, 3° co.
Bibliografia Tescaroli N. 2000, 1785 -
Fimiani 2000.
Il sistema delineato dal d. lg.
11.5.1999, n. 152 trasforma da reato in illecito amministrativo di una parte
dei superamenti tabellari riferibili agli scarichi domestici - e assimilati - e
fognari, la modifica delle entità delle sanzioni penali per le ipotesi previste
dalla recente legislazione e la loro diversificazione secondo che i parametri
superati siano o meno di natura tossica, persistente o bioaccumulabile, l’esclusione
di qualsiasi sanzione nei confronti dei pubblici amministratori nell’ipotesi di
progetti esecutivi cantierabili, purché i parametri violati siano privi di
natura tossica.
La nuova disciplina
sanzionatoria, quando si presenti più favorevole di quella preesistente
rispetto ai fatti compiuti prima della dell’entrata in vigore della legge, si
applica retroattivamente ed ha effetti a favore del reo, anche rispetto ai
giudizi penali in corso (Tescaroli N. 2000, 1785)
Costituisce illecito amministrativo
l’aprire o, comunque, l’effettuare scarichi di edifici civili e di pubbliche
fognature, servite o meno da impianti pubblici di depurazione delle acque, sul
suolo o nel sottosuolo, senza aver richiesto l'autorizzazione ovvero continuare
ad effettuare o mantenere detti scarichi dopo che la citata autorizzazione sia
stata negata o revocata.
L’elemento, che differenzia
l’applicazione del regime sanzionatorio penale da quello amministrativo, è
costituito dalla natura dello scarico.
Lo scarico di acque reflue
domestiche costituisce illecito amministrativo, mentre lo scarico di acque
reflue industriali costituisce illecito penale (Fimiani P. 2000, 61).
Con una concezione prettamente
analitica le sanzioni sono state diversificate secondo tre ipotesi principali.
Chiunque, salvo che il fatto
costituisca reato, nell'effettuazione di uno scarico ovvero di una immissione
occasionale, superi i valori limite di emissione fissati nelle tabelle, ovvero
i diversi valori limite stabiliti dalle regioni ovvero quelli fissati dall'autorità
competente è punito con la sanzione amministrativa da lire cinque milioni a
lire cinquanta milioni, ex art. 54, 1° co., d. lg. 11.5.1999, n. 152.
Chiunque apra o, comunque,
effettui scarichi di acque reflue domestiche o di reti fognarie, servite o meno
da impianti pubblici di depurazione, senza l'autorizzazione ovvero continui ad
effettuare o mantenere detti scarichi dopo che l'autorizzazione sia stata
sospesa o revocata, è punito con la sanzione amministrativa da lire dieci
milioni a lire cento milioni, ex art. 54, 2° co., d. lg. 11.5.1999, n. 152.
Chiunque, salvo che il fatto
costituisca reato, effettui o mantenga uno scarico senza osservare le
prescrizioni indicate nel provvedimento di autorizzazione ovvero le
prescrizioni regolamentari e le altre norme tecniche fissate dall'ente gestore,
è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire due milioni a lire
venticinque milioni, ex art. 54, 3° co., d. lg. 11.5.1999, n. 152.
6. Il controllo del giudice
penale. Il processo verbale di prelevamento di campioni.
Legislazione c.p.p., artt. 55,
57, 431, lett. b) - c.p.p., disp. att., art. 220, 223, 229, 3° co. - d. lg.
11.5.1999, n. 152, art. 28.
Bibliografia Fimiani 2000.
Trovano applicazione, invece, le
garanzie difensive qualora vi sia un indiziato di reato.
In materia di
tutela delle acque dall'inquinamento, l'attività di prelievo dei campioni ha
natura amministrativa e sussiste una discrezionalità tecnica nella scelta del
metodo, sempre che essa non venga eseguita su disposizione del magistrato o non
esista già un soggetto determinato, indiziabile di reati. Solo in tal caso
trovano applicazione le garanzie difensive previste dall'art. 220, disp. att.
c.p.p., mentre, vertendosi in attività amministrativa, è applicabile l'art. 223
disp. att. cit.
(Cass. pen., sez.
III, 16.10.1998, n. 12390).
In tema di tutela
delle acque dall'inquinamento, i processi verbali di prelevamento di campioni e
quelli di analisi dei campioni stessi, essendo atti irripetibili compiuti dalla
polizia giudiziaria, ex art. 431, lett. b), c.p.p. e 229, 3° co., d.lg.
28.7.1989, n. 271, possono essere inclusi nel fascicolo per il dibattimento.
Invero i funzionari delle UU.SS.LL. quando effettuano le analisi dei campioni,
a seguito del connesso prelievo, assicurano le fonti di prova del reato, e
quindi esercitano funzioni di polizia giudiziaria, artt. 55, 57, c.p.p.
(Cass. pen., sez.
III, 14.10.1994, CP, 1996, 296).
Le analisi dei
campioni per le quali non è possibile la revisione - come per i campioni di
acque di scarico di rapida deteriorabilità - sono atti tipicamente
amministrativi e non atti giudiziari, che hanno piena rilevanza probatoria
nell'ambito del processo penale, purché vi sia stato il preavviso
all'interessato, onde consentirgli di presenziare, eventualmente con
l'assistenza di un consulente tecnico.
Il preavviso
costituisce l'unico requisito di utilizzabilità delle analisi anche alla luce
del nuovo codice di procedura penale, art. 223 comma ultimo, disposizioni di
attuazione d.l. 28.7.1989, n. 271, che sul punto ha codificato la regola già
introdotta con la nota sentenza n. 248 del 1983 della corte costituzionale,
recepita dalla Cass. pen., Sez. U. 3.9.1991.
Una volta che
l'interessato abbia ricevuto l'avviso e non sia stato presente all'inizio delle
operazioni di analisi non potrà ex post, in sede processuale, eccepire
eventuali irregolarità delle operazioni tecniche di prelievo e di analisi,
lasciate alla discrezionalità degli operatori, in quanto il diritto di difesa è
garantito nella fase degli accertamenti amministrativi solo con il preavviso,
in forma attenuata, secondo la sentenza n. 248 del 1983 della corte
costituzionale, per l'impossibilità pratica di una revisione delle analisi
medesime.
Di conseguenza
non si possono trasferire nel processo quelle deduzioni, che si aveva la
possibilità di proporre al momento dello svolgimento delle analisi e che per
propria scelta o inerzia non sono state compiute.
(Cass. pen., sez. III, 18.3.1993, DGA, 1995, 363).
Il reato di cui
all'art. 21, 1° co., d.p.r. 24.5.1988, n. 236, configurabile a carico di chi
"fornisce al consumo umano acque che non presentano i requisiti di qualità
previsti dall'allegato I", presuppone la verificata non corrispondenza
dell'acqua ai suddetti parametri e, pertanto, l'espletamento di analisi, da
effettuarsi, a pena dell'inutilizzabilità dei risultati nel processo penale,
con l'osservanza del procedimento previsto dall'art. 223 att. c.p.p.
Nella specie, in
applicazione di tale principio, la Corte ha annullato una pronuncia di condanna
per il reato anzidetto, siccome fondata sul risultato di analisi non precedute
in difformità di quanto prescritto dall’art. 223, att. c.p.p., dall'avviso
all'interessato del giorno, dell'ora e del luogo in cui le stesse sarebbero
state effettuate.
(Cass. pen., sez. III, 21.2.1994, RP, 1994, 1237).
La giurisprudenza prevede che
l'avviso relativo all'inizio delle operazioni di analisi sui campioni debba
essere dato al titolare dello scarico pena l’annullamento dei provvedimenti
successivi.
In tema di tutela
delle acque dall'inquinamento, l'avviso relativo all'inizio delle operazioni di
analisi sui campioni deve essere dato al titolare dello scarico, il quale,
essendo responsabile dell'eventuale superamento dei limiti di accettabilità dei
liquami, deve essere messo nella condizione di preparare tutte le difese che
ritenga necessarie ed opportune per dimostrare la sua innocenza.
Nella specie,
relativa ad annullamento di sentenza di condanna, l'avviso era stato dato ad un
socio.
(Cass. pen., sez. III, 2.10.1987, GP, 1988, III, 484).
7. I reati previsti dalla l.
152/1999.
Legislazione
l. 10.5.1976, n. 319, artt. 9, 21, 1°, 2° co. - l.
17.5.1995, n. 172, art. 3 - d. lg. 11.5.1999, n. 152, art. 1, lett. a).
Bibliografia Oberdan 1999 - Tescaroli 2000.
L'art. 21, l. 10.5.1976, n. 319,
mod. l. 17.5.1995, n. 172, prevede distinte figure criminose.
Costituisce reato effettuare uno
scarico senza aver richiesto la prevista autorizzazione o se la stessa è stata
negata o revocata - per quanto attiene gli scarichi provenienti da insediamenti
civili o produttivi che versano in acque superficiali, nel suolo o nel
sottosuolo (Tescaroli N. 2000, 1785).
Tale reato è punito con ammenda
da L. 500.000 a L. 10.000.000 o con l’arresto da due mesi a due anni, ai sensi
dell'art. 21, 1° co., l. 10.5.1976, n. 319, mod. art. 3, l. 17.5.1995, n. 172.
Nell'ipotesi
di scarico da insediamento produttivo in fogna la mancanza dell'autorizzazione,
richiesta dall'art. 9, l. 10.5.1976, n. 319, non integra gli estremi del reato
di cui all'art. 21, 1° co., l. cit., in quanto tale norma concerne soltanto gli
scarichi, oltre che nel suolo e nel sottosuolo, nelle acque indicate nell'art.
1, tenute distinte dalle fognature, alle quali il legislatore, quando ha
voluto, ha fatto riferimento espressamente, pure in altri commi dello stesso
art. 21 legge citata.
(Cass. pen., sez. IV, 8.4.1998, n. 5014, CP, 1999, 1587).
Nell'ipotesi di
scarico d’insediamento produttivo in fogna, la mancanza dell'autorizzazione non
integra gli estremi del reato di cui all'art. 21, l. 10.5.1976, n. 319, poiché
quest'ultima norma concerne soltanto gli scarichi che avvengono in tre dei vari
corpi ricettori, menzionati nell'art. 1, e cioè "acque, suolo e
sottosuolo" e non anche nelle fognature, pur tenute presenti ed
espressamente previste nei commi successivi della stessa disposizione.
Nel rispetto del
principio di tassatività delle fattispecie penali, inoltre, la suddetta
elencazione, chiara, precisa ed univoca, non può essere arbitrariamente
integrata attraverso l'interpretazione
giurisprudenziale.
La determinazione
legislativa, già incensurabile in sé, non è neppure illogica, specialmente in
base alla l. 17.5.1995, n. 172, che ha depenalizzato gran parte dell'intera
materia degli scarichi fognari.
(Cass. pen., sez. III, 28.9.1998, n. 11915, DGA, 1999, 50).
Lo
scarico da insediamento produttivo in pubblica fognatura non è depenalizzato,
poiché la l. 17.5.1995, n. 172, non ha apportato sostanziali modifiche alla l.
10.5.1976, n. 319, che continua ad applicarsi a tutti gli scarichi, ossia agli
scarichi di qualsiasi tipo di cui all'art. 1, l. cit., compresi quelli pubblici
e relativi alle pubbliche fognature.
Permane il
principio del controllo preventivo per tutti gli scarichi ai sensi dell'art. 9,
comma ultimo, essendo irrilevante che tra i corpi recettori non sia indicata
espressamente la fognatura, poiché la norma richiama le acque menzionate
dall'art. 1, l. cit., quindi anche i corpi recettori intermedi, tra i quali
rientra la fognatura.
L'obbligo di
autorizzazione per tutti gli scarichi da insediamento produttivo comprende
anche quelli effettuati in tale sito.
(Cass. pen., sez. III, 27.11.1998, n. 603).
Nell'ipotesi
di scarico di insediamento produttivo in fogna, la mancata autorizzazione,
richiesta dall'art. 9, l. n. 319 del 1976, non integra gli estremi del reato di
cui all'art. 21 l. cit., poiché quest'ultima norma concerne soltanto gli
scarichi che avvengono in tre dei vari corpi ricettori, menzionati nell'art. 1,
e cioè le "acque, suolo e sottosuolo" e non anche nelle fognature,
pur tenute presenti ed espressamente disciplinate nei commi successivi della
stessa disposizione.
Nel rispetto del
principio di tassatività delle fattispecie penali, inoltre, la suddetta
elencazione chiara, precisa ed univoca, non può essere arbitrariamente
integrata attraverso l'interpretazione giurisprudenziale. La determinazione
legislativa già incensurabile in sé non è neppure illogica, specialmente in
base alla l. n. 172 del 1995 che ha depenalizzato gran parte dell'intera
materia degli scarichi fognari.
(Cass. pen., sez. III, 16.12.1997, n. 1790, RTDPE, 1997,1349).
Per essere sanzionata l’apertura
deve riguardare un nuovo scarico non avendo rilevanza le modifiche soggettive
del titolare.
In tema di tutela
delle acque dall'inquinamento, nel caso di cessione di azienda, il nuovo
titolare non deve presentare ulteriore domanda di autorizzazione allo scarico,
perché l'autorizzazione è concessa all'insediamento produttivo in sé e non al
titolare dello stesso.
La ratio evidente
che ispira la disciplina dell'autorizzazione agli scarichi ha riguardo alle
loro caratteristiche oggettive e non all'identità soggettiva di chi effettua lo
scarico.
(Cass. pen., sez. III, 29.4.1997, n. 6304, CP, 1998, 2467).
Il superamento dei limiti
previsti dalla Tab. A, per quanto riguarda gli scarichi provenienti da
insediamenti produttivi, o il superamento dei limiti risultanti dal regolamento
di accettabilità, se lo scarico versa in fognatura, è punito con l’ammenda da
L. 15.000.000 a L. 150.000.000 o con l’arresto fino ad un anno, ai sensi
dell'art. 21, 2° co., l. 10.5.1976, n. 319, mod. art. 3, l. 17.5.1995, n. 172.;
la condanna comporta l’incapacità di contrattare con la p.a.
Il superamento dei limiti
inerenti agli elementi bioaccumulabili e di natura tossico persistente, fissati
dalla deliberazione del 30/12/1989 del Comitato interministeriale previsto
dall’art. 3, l. 319 del 1976 - per quanto attiene gli scarichi provenienti da
pubbliche fognature, da insediamenti civili e da insediamenti produttivi - è
punito con ammenda da L. 25.000.000 a L. 250.000.000 o con l’arresto da due
mesi a due anni, ai sensi dell'art. 21, 3° co., l. 10.5.1976, n. 319, come
modificato dall'art. 3, l. 17.5.1995, n. 172.
La condanna determina
l’impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione.
La nuova disciplina, contenuta
nel d.lg. 152/1999, prevede come reato solo lo scarico non autorizzato di acque
reflue industriali sono puniti solo i nuovi scarichi che provengono da edifici
in cui si svolgono attività commerciali o industriali, diverse da quelle reflue
domestiche e dalle acque meteoriche di dilavamento, ex art. 2, l° co., lett.
h), d.lg. 152/1999 (Oberdan F. 1999, 131).
Lo scarico non
autorizzato di liquami provenienti da un allevamento di animali - nella specie,
suini - ed il superamento dei limiti tabellari in tanto possono costituire
reato, anche ai sensi del sopravvenuto d.lg. n. 152 del 1999, in quanto risulti
accertato che i suddetti liquami non siano assimilabili alle acque reflue
domestiche, secondo le previsioni di cui all'art. 28, 7° co., lett. b), d.lg.
n. 152 del 1999.
L'assimilazione
alle acque reflue domestiche sussiste quando trattisi di liquami provenienti da
impresa dedita all'allevamento del bestiame le quali dispongano di "almeno
un ettaro di terreno agricolo funzionalmente connesso con le attività di
allevamento e di coltivazione del fondo, per ogni 340 Kg di azoto presente
negli effluenti di allevamento al netto delle perdite di stoccaggio e di distribuzione.
(Cass. pen., sez. III, 3.6.1999, n. 11542, RP, 1999, 1094).
Pur dopo
l'entrata in vigore del d.lg. n. 152 del 1999, costituisce reato lo scarico,
senza autorizzazione, in una vasca a tenuta stagna dei reflui derivanti dal
lavaggio delle autobotti adibite al trasporto dei rifiuti.
(Cass. pen., sez. III, 14.6.1999, FI, 1999, II, 553).
L'art. 59, 6° co., d.lg. n. 152
del 1999, punisce il superamento dei limiti tabellari da parte di scarico
proveniente da impianto comunale di depurazione solo per dolo o colpa grave.
Nel caso di
superamento dei limiti tabellari da parte di scarico proveniente da impianto
comunale di depurazione, il sindaco, nella qualità di gestore di tale impianto,
risponde penalmente, ai sensi dell'art. 59, 6° co., d.lg. n. 152 del 1999, solo
a titolo di dolo o di colpa grave, con esclusione, quindi, dell'ipotesi della
colpa lieve.
Nella specie il
S.C. - essendo fuori discussione il dolo - ha ritenuto che fosse da escludere
anche la colpa grave, residuando quindi la sola colpa lieve, tale dovendosi intendere
quella consistita nel non avere il sindaco disposto che si procedesse ad una
verifica dell'idoneità dell'impianto in questione - realizzato sotto una
precedente amministrazione - eventualmente imponendo anche agli utenti il
divieto di scarico di determinate sostanze inquinanti non eliminabili.
(Cass. pen., sez. III, 25.6.1999, n. 11301, RP, 1999, 1097).
Il d.lg. 11.5.1999, n. 152 si
applica solo nel caso di fattispecie punite in maniera meno grave per il
principio del favor rei, sancito
dall'art. 2, 3° co., c.p..
Poiché il d.lg.
11.5.1999, n. 152, in tema di disposizioni sulla tutela delle acque
dall'inquinamento, pur elencando nell'art. 63 una serie di atti normativi
dichiarati in modo espresso abrogati, si colloca in posizione di sostanziale continuità
rispetto ad essi, quantunque preveda in parte un regime sanzionatorio piu'
mite, ai fini della configurabilità come reato e della punibilità di condotta
posta in essere prima della sua entrata in vigore occorre accertare in via
prioritaria l'eventuale sua depenalizzazione e, successivamente, la possibilità
di applicare l'art. 2, 3° co., c.p.
Fattispecie
relativa al reato di scarico non autorizzato di acque reflue industriali con
superamento dei limiti di accettabilità, per il quale la S.C. ha ritenuto il
diritto sopravvenuto meno favorevole della l. n. 319 del 1976.
(Cass. pen., sez. III, 16.6.1999, n. 9739).
8. IL soggetto attivo del reato.
Legislazione
c.p., art. 62, n. 1, - d. lg. 11.5.1999, n. 152, art.
59.
Bibliografia Tescaroli 2000.
Viene sanzionato penalmente
chiunque apre o, comunque, effettua nuovi scariche di acque reflue industriali
senza autorizzazione d. lg. 11.5.1999, n. 152, art. 59.
Si rende necessario individuare,
nell’ambito delle aziende industriali, quale è la persona che debba rispondere
di detti reati (Tescaroli N. 2000, 1783).
In materia di personalizzazione
della responsabilità la giurisprudenza ha precisato che l’imprenditore non è
penalmente responsabile in ordine alla tutela delle acque dall’inquinamento, se
ha assegnato la gestione ed il controllo degli impianti di depurazione ad un
funzionario o ad un direttore.
Tale incarico deve però essere
conferito con delega espressa e formale e deve essere approvato dagli organi
statutari.
La
personalizzazione della responsabilità, riconoscendo la legittimità della
delega e l'autonomia dei poteri e doveri del delegato, è configurabile anche
nella materia ambientale.
I criteri per
ritenere legittima ed applicabile la medesima vanno individuati sotto due
profili.
Sotto l'aspetto
oggettivo sono: le dimensioni dell'impresa, che devono essere tali da
giustificare la necessità di decentrare compiti e responsabilità; l'effettivo
trasferimento dei poteri in capo al delegato con l'attribuzione di una completa
autonomia decisionale e di gestione e con piena disponibilità economica;
l'esistenza di precise ed ineludibili norme interne o disposizioni statutarie,
che disciplinano il conferimento della delega ed adeguata pubblicità della
medesima; uno specifico e puntuale contenuto della delega. Sotto l'aspetto
soggettivo vanno considerati: la capacità e l'idoneità tecnica del soggetto
delegato; il divieto e l'ingerenza da parte del delegante nell'espletamento
delle attività del delegato;
l'insussistenza
di una richiesta d'intervento da parte del delegato; la mancata conoscenza
della negligenza o della sopravvenuta inidoneità del delegato.
(Cass. pen., sez. III, 23.4.1996, CP, 1997, 1868).
In tema di tutela
delle acque dall'inquinamento, la delega a terzi può escludere la
responsabilità del titolare solo quando l'azienda ha notevoli dimensioni e si
articola in varie branche, che rendano impossibile ad una sola persona il
controllo dell'intera attività produttiva.
In questi casi è
necessario che al delegato sia attribuita completa autonomia decisionale e
finanziaria per provvedere all'adeguamento delle situazioni produttive ai
dettami normativi.
In ogni caso il
titolare delegante è responsabile qualora i fatti penalmente rilevanti
dipendano dalla gestione centrale dell'azienda o quando, venuto a conoscenza di
disfunzioni nei reparti affidati ai delegati, non compia alcuna attività per
adeguare gli impianti alle norme di legge.
Fattispecie
relativa a rigetto di ricorso di imputati condannati per contravvenzioni in
materia di discariche abusive e di inquinamento del suolo con acque reflue
della lavorazione di castagne.
(Cass. pen., sez. fer., 31.8.1993, CP, 1994, 1937, 2206).
In
materia di tutela delle acque dall'inquinamento, l'amministratore di un
insediamento produttivo è responsabile per la mancata richiesta di
autorizzazione allo scarico, essendo il connesso dovere posto a carico proprio
di chi ha la responsabilità legale della ditta.
(Cass. pen., sez. III, 4.3.1992, CP, 1993, 1209).
In tema di tutela
delle acque dall'inquinamento, il legale rappresentante di una impresa non è
penalmente responsabile, qualora abbia affidato la gestione ed il controllo
degli impianti di depurazione ad un funzionario o direttore.
Tale affidamento
deve, però, risultare dalla struttura organizzativa della società o ente e deve
essere conferito mediante delega espressa e formale ed approvata dagli organi
statutari.
(Cass. pen., sez. III, 24.9.1990, CP, 1992, 747).
La responsabilità penale è stata
estesa dalla giurisprudenza anche al trasportatore.
In tema di tutela
delle acque dall'inquinamento, è responsabile dello scarico non autorizzato non
solo chi produce, ma anche colui che trasporta i rifiuti, non essendo la
contravvenzione prevista dall'art. 21, 1° co., l. 10.5.1976, n. 319, reato
proprio.
Infatti per
l'art. 1, lett. a), di detta legge, che disciplina qualsiasi tipo di scarico,
sia diretto che indiretto, sia nelle acque che sul suolo e nel sottosuolo, il
concetto di scarico deve essere inteso in senso ampio, sicché anche lo scarico
indiretto ed occasionale è penalmente punibile.
(Cass.
pen., sez. IV, 16.11.1988, CP, 1991, I, 301).
In tema di tutela
delle acque dall'inquinamento, è responsabile dello scarico non autorizzato non
solo chi produce, ma anche colui che trasporta i rifiuti. Infatti, per l'art.
1, lett. a) l. 10.5.1976, n. 319, che disciplina "qualsiasi tipo" di
scarico, sia "diretto che indiretto" sia "nelle acque", che
"sul suolo" e "nel sottosuolo", il concetto di scarico deve
essere inteso in senso ampio, sicché anche lo scarico indiretto ed occasionale
è penalmente punibile.
Nella specie è
stata affermata la responsabilità di trasportatore il quale, impegnatosi con la
società produttrice dei rifiuti al trasporto presso un depuratore, ne aveva
invece effettuato il versamento senza autorizzazione in una discarica comunale.
(Cass. pen., sez. III, 8.10.1985, CP, 1986, 2028).
In tema di tutela
delle acque dall'inquinamento, nei grossi complessi industriali, quando in
virtù di precise ed ineludibili norme interne preventivamente fissate ed
approvate dai competenti organi di gestione, ai singoli settori interessati
venga preposta persona adatta, dotata di capacità ed autonomia decisionale, la
colpa del titolare dello scarico per fenomeni di inquinamento può essere
ravvisata soltanto quando si dimostri - con giudizio ex ante - la inidoneità
del soggetto prescelto come responsabile del singolo ramo o si acclari la sua
interferenza nell'espletamento dei compiti a quest'ultimo riservati.
Nella
specie è stata ritenuta la colpevolezza del direttore di uno degli stabilimenti
di una industria, in assenza di una rigorosa prova circa la preventiva e
puntuale attribuzione di responsabilità ai dirigenti dei singoli rami e
servizi, disciplinata da precise norme interne.
Si è precisato
che la responsabilità del titolare non esclude - ex se - quella dei
collaboratori, ove ne sussistano gli estremi).
(Cass. pen., sez. III, 13.3.1987, CP 1988, 922).
La giurisprudenza ritiene che
l’inquinamento non possa essere giustificato da esigenze occupazionali non
concedendo le relative attenuanti.
In tema di tutela
delle acque dall'inquinamento, non può invocare l'attenuante di cui all'art.
62, n. 1, c.p., ossia avere agito per motivi di particolare valore morale o
sociale, colui che si rende responsabile dell'inquinamento ed adduca di averlo
cagionato per esigenze produttive e di tutela dei posti di lavoro, in quanto il
valore ambientale e la qualità della vita sono percepiti oggi quali valori
sociali e morali primari nella coscienza sociale.
(Cass. pen., sez. III, 10.11.1993, CP, 1995, 1351).
La responsabilità di un
responsabile di consorzio per la depurazione va accertata con particolare
riferimento ai suoi compiti di coordinamento nella depurazione dei singoli
scarichi.
Il responsabile
di un consorzio privato o pubblico per la depurazione delle acque provenienti
da vari insediamenti, associati al consorzio medesimo, è tenuto ad accertare
con rigore che i singoli scarichi, gravanti sull'impianto consortile di
depurazione, siano conformi alle prescrizioni di legge e non determinino, per
quantità e qualità, condizioni di incapacità dell'impianto consortile alla
funzione essenziale di prevenzione dell'inquinamento delle acque.
Infatti, il
consorzio di depurazione delle acque deve essere considerato come insediamento
produttivo distinto da quelli associati ad esso, con la conseguenza, sotto il
profilo penale, di una piena responsabilità, per dolo o per colpa, del titolare
in aggiunta a quella dei gestori di singoli insediamenti.
Pertanto, il
carico inquinante che grava sull'impianto consortile di depurazione deve essere
controllato in modo costante perché l'impianto medesimo possa funzionare
regolarmente sotto il profilo tecnico, né il titolare del consorzio, perciò
responsabile del servizio di depurazione, può invocare genericamente il caso
fortuito in relazione ad eventi naturali, anche gravi, come eccezionali piogge,
posto che trattasi di circostanze non imponderabili e imprevedibili.
(Cass. pen., sez. III, 25.3.1987, CP, 1988, 1098).
E’, inoltre, sanzionato penalmente
il gestore di impianti di depurazione che per dolo o grave negligenza
nell’effettuazione di uno scarico supera i valori limite previsti dalla
normativa nazionale e regionale.
Il diverso ruolo far amministratori
pubblici e privati ha legittimato, per la Corte costituzionale la diversità di
sanzioni comminate dalla legge.
E'
manifestamente infondata l'eccezione di legittimità costituzionale dell'art. 3,
l. 17.5.1995, n. 172, che ha sostituito l'art. 21, 3° co., l. 10.5.1976, n.
319, in tema di tutela delle acque dall'inquinamento, dedotta per violazione
dell'art. 3, cost., sull'assunto della disparità di trattamento fra
amministratori pubblici e privati, data la diversità della posizione delle due
categorie di amministratori.
Quelli privati,
in assenza delle condizioni che assicurino la regolarità dello sversamento,
hanno sempre la possibilità di decidere autonomamente se effettuare o meno tale
attività da cui discendono conseguenze penali.
L’amministratore
pubblico, che dispone di un progetto esecutivo cantierabile finalizzato alla
depurazione delle acque, a meno che non sia aliunde responsabile della
mancata realizzazione dell'opera pubblica, nelle more dell'attivazione non ha
il potere di interrompere il servizio che genera il flusso dell'acqua da
depurare.
(Cass. pen., sez. III, 13.3.1997, n. 1263).
La giurisprudenza, inoltre, ha
distinto il ruolo degli amministratori locali ed i dirigenti di ufficio
delegato ad incombenze ambientali rimanendo la inosservanza ad incombenze
tecniche sotto la responsabilità del tecnico ed il controllo politico sotto la
responsabilità del sindaco ove configuri omissione.
In
tema di tutela delle acque dall'inquinamento, al sindaco non è addebitabile
alcun profilo di colpevolezza, qualora trovi giustificazione che egli non abbia
curato di persona i doveri inerenti alla sua posizione di destinatario della
norma penale e non abbia impedito il verificarsi dell'evento in ragione
dell'ordinamento dell'ente di appartenenza e della disposta, rituale delega,
nonché in relazione alla particolare natura tecnica delle funzioni delegate,
estranee alla politica ambientale ed ai suoi compiti di "governo"
dell'ente.
Occorre,
inoltre, che, in considerazione delle circostanze di fatto e della natura del
precetto violato, il sindaco medesimo non sia nelle condizioni di rendersi
conto preventivamente dell’inadempienza del delegato e quindi della necessità
del suo intervento al fine di garantire il rispetto della norma penale violata
dallo stesso "delegato".
La S.C.,
nell'annullare senza rinvio la sentenza di condanna, ha osservato che il
dirigente di un ufficio, "delegato" di specifiche incombenze
ambientali proprie dal legale rappresentante dell'ente, risponde penalmente per
l'inosservanza degli obblighi rientranti nelle funzioni trasferibili, già di
competenza del sindaco, su cui grava, a seguito ed in ragione della delega, un
nuovo, specifico dovere di vigilanza e controllo dell'incaricato, nella specie
non violato, circa l'esatto adempimento di detti obblighi.
Nella specie si
tratta del sindaco quale responsabile del macello comunale per l'avvenuto
superamento di alcuni limiti di accettabilità.
(Cass. pen., sez. III, 29.5.1996, n. 9053, CP, 1999, 2646).
Va
ritenuto responsabile del reato di aumento di inquinamento delle acque, di cui
all'art. 25, l. 10.5.1976, n. 319, il sindaco che non abbia adottato
provvedimenti amministrativi di sua competenza, idonei a ridurre gli effetti
inquinanti provocati dagli scarichi dell'impianto comunale di pubblica
fognatura.
(Pret. Vibo
Valentia, 24.11.1986, FI, 1988, II, 48).
Le ipotesi di
reato previste dalla legislazione a tutela delle acque dall'inquinamento si
riferiscono, quali soggetti attivi, soltanto a coloro cui siano direttamente
imputabili specifiche violazioni nella particolare materia e non investono il
diverso profilo dell'esercizio dei poteri-doveri di sorveglianza con
particolare collegamento agli effetti conseguenti alla loro inosservanza.
E pertanto, il
sindaco, in qualità di ufficiale sanitario, che indebitamente non adotta i
provvedimenti urgenti per fronteggiare fenomeni di inquinamento suscettibili di
costituire pericolo per la salute pubblica, è responsabile del reato di
omissione di atti d'ufficio.
Tale situazione
di pericolo si ha non soltanto a causa del possibile insorgere di una specifica
malattia o infermità, ma anche a causa di qualsiasi fenomeno obiettivamente
individuato che, per la qualità e/o la quantità di sostanze tossiche presenti
nelle acque, sia in grado di interessare l'intero complesso ambientale
influenzato dalle stesse: fauna, flora, irrigazione.
(Cass. pen., sez.
VI, 21.6.1985, GP, 1986, II, 1).
9. Il danno ambientale.
Legislazione l. 8.7.1986, n. 349, art. 18 - d.
lg. 5.2.1997, n. 22, art. 17 - d. lg. 11.5.1999, n. 152, art. 58.
Bibliografia Tescaroli N. 2000, 1791.
L’art. 58, d. lg. 11.5.1999, n.
152, prevede nei confronti di chi con il proprio comportamento omissivo e
commissivo provoca un danno alle acque, al suolo, al sottosuolo e alle altre
risorse ambientali, ovvero determina un pericolo concreto ed attuale di
inquinamento ambientale, l’obbligo di procedere a proprie spese agli interventi
di messa in sicurezza, di bonifica e di ripristino ambientale delle aree inquinate
e degli impianti dai quali è derivato il danno ovvero deriva il pericolo di
inquinamento.
Il progetto di bonifica è
predisposto dal comune, con la possibilità di intervento regionale e deve
essere eseguito nei tempi prefissati dall’ente locale, secondo il procedimento
di cui all'art. 17, d. lg. 5.2.1997, n. 22.
E’ fatto salvo il diritto ad
ottenere il risarcimento del danno non eliminabile con la bonifica ed il
ripristino ambientale, ex art. 18, l. 8.7.1986, n. 349.
Nel caso in cui non sia possibile
una precisa quantificazione del danno, lo stesso si presume, salvo prova
contraria, di ammontare non inferiore alla somma corrispondente alla sanzione
pecuniaria amministrativa, ovvero alla sanzione penale, in concreto applicata
(Tescaroli N. 2000, 1791).
10. I piani di tutela delle
acque.
Legislazione
d.lg. 112/1998, art. 79 - d. lg. 11.5.1999, n. 152,
art. 44.
Bibliografia Dell’Anno 2000.
Il ruolo programmatico delle
regioni è valorizzato dal decreto 152, che conferma sostanzialmente la
distribuzione delle competenze prevista dal d.lg. 112 del 1998, cui viene
attribuita l’approvazione del piano di tutela delle acque.
Il piano di tutela delle acque
costituisce un piano stralcio di settore del piano di bacino ai sensi dell'art.
17, comma 6-ter, della legge 18 maggio 1989, n. 183.
Il piano di tutela contiene,
oltre agli interventi volti a garantire il raggiungimento o il mantenimento
degli obiettivi di cui al d. lg. 11.5.1999, n. 152, le misure necessarie alla
tutela qualitativa e quantitativa del sistema idrico, ex art. 44, d. lg.
11.5.1999, n. 152.
Le norme sono, peraltro,
meramente precettive, rinviando a futuri adempimenti.
Entro il 31 dicembre 2001 le
Autorità di bacino di rilievo nazionale ed interregionale, sentite le province
e le autorità d'ambito, definiscono gli obiettivi su scala di bacino, cui
devono attenersi i piani di tutela delle acque, nonché le priorità degli
interventi.
Entro il 31 dicembre 2003, le
regioni, sentite le province, previa adozione delle eventuali misure di
salvaguardia, adottano il piano di tutela delle acque e lo trasmettono alle
competenti Autorità di bacino.
Sono stati soppressi il piano
nazionale di risanamento delle acque, il piano di risanamento del mare
Adriatico, il piano degli interventi a tutela della balneazione, il piano
generale di risanamento delle acque dolci superficiali destinate a essere
potabili, ai sensi dell’art. 79, d.lg. 112/1998, ma tale soppressione è stata
bilanciata dalla potestà, attribuita allo Stato, di adottare il piano d’azione
nazionale e di definire i criteri generali per l’elaborazione dei piani
regionali di tutela, ai sensi dell’art. 80, comma 1, lett. n, d.lg. 112 del
1998.
Viene ancora riconosciuta,
invece, la competenza statale a disporre il piano generale di difesa del mare e
della costa marina dall’inquinamento
e ad attuare e verificare il
piano straordinario di completamento dei sistemi di raccolta e depurazione
delle acque reflue, art. 80, d.lg. 112 del 1998.
Il piano di tutela svolge una
essenziale funzione ricognitiva e conoscitiva della situazione esistente e,
inoltre, adotta le misure necessarie per la protezione e gestione dei beni
idrici che si trovano nella propria competenza territoriale.
Esso è, quindi, uno strumento con
particolari finalità, dato che prevede misure di prevenzione, di tutela e
risanamento, dotate di efficacia di prescrizione, in quanto dispone sia
direttive rivolte a soggetti pubblici sia ordini conformativi degli usi idrici
e delle modalità di scarico, e nello stesso tempo prevede vincoli di immediata
efficacia nei confronti dei soggetti privati.
Il procedimento di approvazione è
affidato alla regione assicurando la partecipazione di tute le parti
interessate (Dell’Anno P. 2000, 361).
11. La tutela del mare.
Legislazione l. 31.12.1982, n. 979, art. 1 -
l. 24.12,1993, n. 537, art. 1.
Bibliografia Narducci 2000.
Il Ministro dell'ambiente attua
la politica intesa alla protezione dell'ambiente marino ed alla prevenzione di
effetti dannosi alle risorse del mare, provvedendo alla formazione, di intesa
con le regioni, del piano generale di difesa del mare e delle coste marine
dall'inquinamento e di tutela dell'ambiente marino, valido per tutto il
territorio nazionale, tenuto conto dei programmi statali e regionali anche in
materie connesse, degli indirizzi comunitari e degli impegni internazionali, ex
art. 1, l. 31.12.1982, n. 979, mod. art. 1, l. 24.12,1993, n. 537.
Tale piano, di durata non
inferiore al quinquennio, è approvato dal CIPE.
Con la stessa procedura sono
adottate le eventuali modifiche e varianti che si rendessero necessarie in
relazione alla evoluzione orografica, urbanistica, economica ed ecologica delle
coste.
Il piano delle coste indirizza,
promuove e coordina gli interventi e le attività in materia di difesa del mare
e delle coste dagli inquinamenti e di tutela dell'ambiente marino, secondo
criteri di programmazione e con particolare rilievo alla previsione degli
eventi potenzialmente pericolosi e degli interventi necessari per delimitarne
gli effetti e per contrastarli una volta che si siano determinati.
Ai fini della formazione del
piano, il Ministro dell'ambiente comunica alle singole regioni le proposte di
piano relative al rispettivo territorio. Entro 60 giorni da tale comunicazione
il Ministro dell'ambiente sente la Commissione consultiva interregionale di cui
all'articolo 13 della legge 16 maggio 1970, n. 281, al fine di definire e
coordinare le osservazioni e le proposte delle regioni stesse che concorreranno
alla formazione del piano.
Entro i successivi 30 giorni le
regioni debbono comunque esprimere il loro motivato avviso sulle proposte
formulate dal Ministro dell'ambiente.
Ove le regioni non provvedano
entro il termine predetto, il Ministro dell'ambiente procede autonomamente.
La mancata adozione de piano non
ha comportato effetti di salvaguardia.
L'art. 1, l.
31.12.1982, n. 979, attributivo della potestà di formulazione di un piano di
difesa del mare e delle coste, è norma non immediatamente precettiva.
In difetto di
formulazione del piano suddetto, non è precluso, pertanto, di operare in sede
amministrativa mediante concessione a privati di un tratto di superficie
demaniale per costruire e gestire un approdo per il diporto nautico.
(Corte Conti, sez. contr., 1.6.1989 n. 2129, CS,
1990, II, 510).
I provvedimenti concessori devono
peraltro, essere rispettosi dell’ambiente marino.
Le
iniziative per la creazione di porti turistici devono ritenersi soggette - ai
sensi dell'art. 1 della l. 31 dicembre 1982 n. 979 - ad una valutazione di
incidenza sulla morfologia o sull'assetto costiero che impone al competente
Ministero dei trasporti e della navigazione di tutelare, in ogni caso,
l'ambiente marino.
(Cons. Stato,
sez. II, 12.12.1994, n. 1280, DGA, 1996, 342).
E' illegittima
una concessione di superficie demaniale marittima al fine di costruire e
gestire un approdo pluriennale per il diporto nautico - nella specie: per
cinquant'anni - approvata dal ministro della marina mercantile senza alcuna
previa dimostrazione non solo in ordine alla compatibilità dell'interesse del
concessionario con "le esigenze del pubblico uso" del mare - come
richiesto dall'art. 36, c. n. - ma anche e soprattutto in ordine all'osservanza
dell'art. 1 l. 31.12. 1982, n. 979 sulla difesa del mare - che impone, in via
primaria la tutela dell'ambiente.
Il provvedimento
si pone in contrasto, fra l'altro con quanto disposto dallo stesso ministro
della marina mercantile con circ. n. 154, 24.5.1975 e dalla presidenza del
consiglio dei ministri con nota n. 5162, 8.10.1985.
(Corte Conti,
sez. contr., 1.6.1989 n. 2129, CS, 1990, II, 510).
Sono salve le responsabilità
penali di chi ha causato l’inquinamento.
Nell'ipotesi
di inquinamento marino causato da fuoriuscita di idrocarburi da una nave, il
comandante è penalmente responsabile allorché abbia omesso di verificare lo
stato dei serbatoi, avendo tale omissione una precisa rilevanza causale ed
essendo egli obbligato a verificare lo stato di tutti i serbatoi di zavorra e a
controllare l'esistenza di certificati e registri, regolarmente tenuti,
attinenti alle acque di zavorra.
Qualora
l'inquinamento marino da idrocarburi si sia verificato per errore la
responsabilità del comandante della nave non è esclusa, salvo che si provi che
l'errore è stato incolpevole, e cioè determinato da caso fortuito o forza
maggiore, ovvero quando ci sia la prova di una volontà contraria alla
violazione di legge.
Nel caso di
inquinamento marino da idrocarburi il danno alla flora e alla fauna del mare va
valutato sul presupposto generale e notorio che gli olii combustibili sono
sostanze recanti danno alla flora e alla fauna del mare e sussiste a
prescindere dall'immediato verificarsi della scomparsa improvvisa
dell'ittiofauna e del calo progressivo dei prodotti ittici catturati nella
fascia di mare interessata all'inquinamento, potendo tali effetti manifestarsi
in tempi successivi all'evento e con conseguenze non precisamente determinabili
con giudizio ex ante.
Essendo
tale danno certo nella sua esistenza ma non accertabile con precisione nella
sua entità è sicuramente legittimo il ricorso alla valutazione equitativa e la
relativa rimessione alla competente sede civile, pur potendosi concedere alla
parte civile che ne faccia richiesta una provvisionale.
(Pret. Vasto
5.4.1990, RP, 1990, 957).
Le aree marine protette sono
disciplinate dall’art. 19, l. 394/1991 (Narducci F. 2000, 1716).
12. La azione di risarcimento
del danno.
Legislazione
Bibliografia
L'eventuale
danno che consegue al privato dal mancato esercizio da parte della p.a. dei
poteri discrezionali inerenti compiti di prevenzione e di polizia di sua
competenza in materia di attività inquinanti (disciplinati, nella specie, dalla
l. 10 maggio 1976 n. 319) non integra l'ipotesi di responsabilità aquiliana di
cui all'art. 2043 c.c. in quanto l'interesse del privato al rispetto di tali norme
non assurge a dignità di diritto soggettivo.
Tribunale
Rimini, 19 dicembre 1994
Assoc.
Faiat albergatori c. Reg. Lombardia
Riv.
giur. ambiente 1996, 523 nota (BERLUCCHI)
Berlucchi M.
1996 Alghe sulle spiagge
adriatiche e risarcimento del danno. Nota a
Trib. Rimini, 19.12.1994, in
RGA, 1996, 3, 523-527.
Il primo riguarda il problema della
competenza territoriale, affrontato e risolto preventivamente dal Tribunale
come punto di passaggio necessario per giungere alla pronunzia di reiezione nel
merito (su cui si dirà poi). La sentenza ha respinto l'eccezione di
incompetenza per territorio sollevata dalla Regione Lombardia (che invocava il
foro del convenuto cioè il Tribunale di Milano), rifacendosi a quella
giurisprudenza che identifica il forum delicti commissi non già nel
luogo dell'azione o omissione, bensì in quello ove si è prodotto l'evento
dannoso
CAPITOLO VII A
1.
IL CONTROLLO SUI
LAVORI A RIDOSSO DELLE ACQUE PUBBLICHE
SOMMARIO: 1. Le opere soggette a
tutela.
2. L'autorizzazione idraulica.
3. L’intervento repressivo. Le
sanzioni.
4. La giurisdizione del Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche.
1. Le opere soggette a tutela.
Legislazione r.d. 25.7.1904,
n. 523, artt. 96, 97 - 97,
l. 13.7.1911,
n. 774.
Bibliografia Cosentino e
Frasca 2002.
Il regime delle acque pubbliche è
soggetto a particolari tutele.
L’art. 96, r.d. 523/1904, prevede
il divieto di realizzare opere a ridosso del piede degli argini o delle sponde
dei corsi d’acqua.
Sono lavori ed
atti vietati in modo assoluto sulle acque pubbliche, loro alvei, sponde e
difese i seguenti:
a) la formazione di pescaie, chiuse, petraie ed altre opere per l'esercizio della pesca, con le quali si alterasse il corso naturale delle acque. Sono eccettuate da questa disposizione le consuetudini per l'esercizio di legittime ed innocue concessioni di pesca, quando in esse si osservino le cautele od imposte negli atti delle dette concessioni, o già prescritte dall'autorità competente, o che questa potesse trovare conveniente di prescrivere;
b) le piantagioni che si inoltrino dentro gli alvei dei fiumi, torrenti, rivi e canali, a costringerne la sezione normale e necessaria al libero deflusso delle acque;
c) lo sradicamento o l'abbruciamento dei ceppi degli alberi che sostengono le ripe dei fiumi e dei torrenti per una distanza orizzontale non minore di nove metri dalla linea in cui arrivano le acque ordinarie. Per i rivi, canali e scolatoi pubblici la stessa proibizione è limitata ai piantamenti aderenti alle sponde;
d) la piantagione sulle alluvioni delle sponde dei fiumi e torrenti e loro isole a distanza dalla opposta sponda minore di quella, nelle rispettive località, stabilita o determinata dal prefetto, sentite le amministrazioni dei comuni interessati e l'ufficio del Genio civile;
e) le piantagioni di qualunque sorta di alberi ed arbusti sul piano e sulle scarpe degli argini, loro banche e sottobanche, lungo i fiumi, torrenti e canali navigabili;
f) le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi;
g) qualunque opera o fatto che possa alterare lo stato, la forma, le dimensioni, la resistenza e la convenienza all'uso, a cui sono destinati gli argini e loro accessori come sopra, e manufatti attinenti;
h) le variazioni ed alterazioni ai ripari di difesa delle sponde dei fiumi, torrenti, rivi, canali e scolatori pubblici, tanto arginati come non arginati, e ad ogni altra sorta di manufatti attinenti;
i) il pascolo e la permanenza dei bestiami sui ripari, sugli argini e loro dipendenze, nonché sulle sponde, scarpe, o banchine dei pubblici canali e loro accessori;
k) l'apertura di cavi, fontanili e simili a distanza dai fiumi, torrenti e canali pubblici minori di quella voluta dai regolamenti e consuetudini locali, o di quella che dall'autorità amministrativa provinciale sia riconosciuta necessaria per evitare il pericolo di diversioni e indebite sottrazioni di acque;
l) qualunque opera nell'alveo o contro le sponde dei fiumi o canali navigabili, o sulle vie alzaie, che possa nuocere alla libertà ed alla sicurezza della navigazione ed all'esercizio dei porti natanti e ponti di barche;
m) i lavori od atti non autorizzati con cui venissero a ritardare od impedire le operazioni del trasporto dei legnami a galla ai legittimi concessionari;
n) lo stabilimento di molini natanti.
(art. 96, r.d 523/1904, mod., l. 13.7.1911, n. 774).
a) la formazione di pescaie, chiuse, petraie ed altre opere per l'esercizio della pesca, con le quali si alterasse il corso naturale delle acque. Sono eccettuate da questa disposizione le consuetudini per l'esercizio di legittime ed innocue concessioni di pesca, quando in esse si osservino le cautele od imposte negli atti delle dette concessioni, o già prescritte dall'autorità competente, o che questa potesse trovare conveniente di prescrivere;
b) le piantagioni che si inoltrino dentro gli alvei dei fiumi, torrenti, rivi e canali, a costringerne la sezione normale e necessaria al libero deflusso delle acque;
c) lo sradicamento o l'abbruciamento dei ceppi degli alberi che sostengono le ripe dei fiumi e dei torrenti per una distanza orizzontale non minore di nove metri dalla linea in cui arrivano le acque ordinarie. Per i rivi, canali e scolatoi pubblici la stessa proibizione è limitata ai piantamenti aderenti alle sponde;
d) la piantagione sulle alluvioni delle sponde dei fiumi e torrenti e loro isole a distanza dalla opposta sponda minore di quella, nelle rispettive località, stabilita o determinata dal prefetto, sentite le amministrazioni dei comuni interessati e l'ufficio del Genio civile;
e) le piantagioni di qualunque sorta di alberi ed arbusti sul piano e sulle scarpe degli argini, loro banche e sottobanche, lungo i fiumi, torrenti e canali navigabili;
f) le piantagioni di alberi e siepi, le fabbriche, gli scavi e lo smovimento del terreno a distanza dal piede degli argini e loro accessori come sopra, minore di quella stabilita dalle discipline vigenti nelle diverse località, ed in mancanza di tali discipline, a distanza minore di metri quattro per le piantagioni e smovimento del terreno e di metri dieci per le fabbriche e per gli scavi;
g) qualunque opera o fatto che possa alterare lo stato, la forma, le dimensioni, la resistenza e la convenienza all'uso, a cui sono destinati gli argini e loro accessori come sopra, e manufatti attinenti;
h) le variazioni ed alterazioni ai ripari di difesa delle sponde dei fiumi, torrenti, rivi, canali e scolatori pubblici, tanto arginati come non arginati, e ad ogni altra sorta di manufatti attinenti;
i) il pascolo e la permanenza dei bestiami sui ripari, sugli argini e loro dipendenze, nonché sulle sponde, scarpe, o banchine dei pubblici canali e loro accessori;
k) l'apertura di cavi, fontanili e simili a distanza dai fiumi, torrenti e canali pubblici minori di quella voluta dai regolamenti e consuetudini locali, o di quella che dall'autorità amministrativa provinciale sia riconosciuta necessaria per evitare il pericolo di diversioni e indebite sottrazioni di acque;
l) qualunque opera nell'alveo o contro le sponde dei fiumi o canali navigabili, o sulle vie alzaie, che possa nuocere alla libertà ed alla sicurezza della navigazione ed all'esercizio dei porti natanti e ponti di barche;
m) i lavori od atti non autorizzati con cui venissero a ritardare od impedire le operazioni del trasporto dei legnami a galla ai legittimi concessionari;
n) lo stabilimento di molini natanti.
(art. 96, r.d 523/1904, mod., l. 13.7.1911, n. 774).
L'art. 96, lett. f), r.d.
25.7.1904, n. 523, contempla, tra l'altro, un assoluto divieto di edificare a
meno di 10 metri dal piede degli argini dei corsi d'acqua, prevedendone altresì
la deroga solo allorquando la materia sia contemporaneamente disciplinata agli
stessi fini da normative locali, che ricomprendono anche quelle contenute nei
piani regolatori generali e nei regolamenti edilizi (T.A.R. Emilia Romagna Parma,
6.11.2003, n. 581,
FATAR, 2003, 3226).
In particolare la giurisprudenza
ha precisato che il divieto di cui all'art. 96, lett. g), r.d. 25.7.1904, n.
523 (t.u. delle leggi sulle opere idrauliche) appare riferito ad opere e atti
che investono gli alvei delle acque pubbliche, le sponde e difese, e cioè lo
spazio soggiacente alle piene ordinarie, le sponde e le ripe interne, formanti
con l'alveo del corso d'acqua una unità inscindibile per il contenimento e
l'economia di scorrimento delle acque, o, comunque, le opere e i fatti che
incidano sull'economia e sul regime dell'alveo del corso d'acqua, come sopra
definito (Cass. Pen., sez. III, 8.3.1994, CP, 1996, 908).
La giurisprudenza ha affermato
che i divieti di edificazione sanciti dall'art. 96 r.d. 25.7.1904, n. 523 sono
informati alla ragione pubblicistica di assicurare la possibilità di
sfruttamento delle acque demaniali ovvero di assicurare il libero deflusso delle
acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici; pertanto,
quando risulta oggettivamente non sussistente una massa di acqua pubblica
suscettibile di essere utilizzata ai predetti fini, deve escludersi
l'operatività dei menzionati divieti (Cass. Civ., Sez. U., 5.7.2004, n.
12271, FACDS,
2004, 1994).
L’art. 97, r.d 523/1904 elenca,
invece, le opere che si devono eseguire con speciale permesso del prefetto e
sotto l'osservanza delle condizioni dal medesimo imposte (Cosentino e Frasca
2002, 79).
Tali opere indicate
tassativamente sono, fra l’altro, la realizzazione di pennelli, chiuse ed altre
simili opere nell'alveo dei fiumi e torrenti; la formazione di riparti a difesa
delle sponde; i dissodamenti dei terreni boscati e cespugliati laterali ai
fiumi e torrenti; le piantagioni a protezione dalle alluvioni a qualsivoglia
distanza dalla opposta sponda; il trasporto in altra posizione dei molini
natanti eseguiti sia con chiuse sia senza chiuse; l'estrazione di ciottoli,
ghiaia, sabbia ed altre materie dal letto dei fiumi, torrenti e canali
pubblici; l'occupazione delle spiagge dei laghi con opere stabili.
2. L'autorizzazione idraulica.
Legislazione r.d. 25.7.1904,
n. 523, art. 96, 97 – r.d. 28.5.1931, n. 601, art. 1 - r.d. 11.12.1933 n. 1775,
art. 143.
La specifica competenza in tema
di controllo sull'esecuzione di opere che può incidere, anche indirettamente,
sul regime dei corsi d'acqua statale è prevista dagli art. 2 e 57 t.u.
25.7.1904, n. 523 ed è affidata allo Stato.
Essa non è venuta meno con
l'entrata in vigore del d.p.r. 24.7.1977, n. 616, non rientrando nell'ambito
delle materie trasferite o di quelle delegate alle regioni (Trib. sup.re acque,
13.10.1999, n. 117, CS, 1999, II,1562)
La norma assoggetta al controllo
della pubblica amministrazione i progetti per modificazioni di argini e per
costruzioni e modificazioni di altre opere di qualsiasi genere che possono
direttamente o indirettamente influire sul regime dei corsi d'acqua.
I progetti per
modificazione di argini e per costruzione e modificazione di altre opere di
qualsiasi genere, che possano direttamente o indirettamente influire sul regime
dei corsi d'acqua, quantunque di interesse puramente consorziale o privato, non
potranno eseguirsi senza la previa omologazione del prefetto.
I progetti saranno sottoposti all'approvazione del Ministero dei lavori pubblici, quando si tratti di opera che interessi notevolmente il regime del corso d'acqua; quando si tratti di costruire nuovi argini; e infine quando concorrano nella spesa lo Stato o le provincie.
(art. 57, r.d. 25.7.1904, n. 523).
I progetti saranno sottoposti all'approvazione del Ministero dei lavori pubblici, quando si tratti di opera che interessi notevolmente il regime del corso d'acqua; quando si tratti di costruire nuovi argini; e infine quando concorrano nella spesa lo Stato o le provincie.
(art. 57, r.d. 25.7.1904, n. 523).
L’art. 58, r.d. 25.7.1904, n.
523, consente una eccezione per le opere eseguite dai privati per semplice
difesa, aderente alle sponde dei loro beni, che non alterino in alcun modo il
regime dell'alveo.
Nella specie,
relativa ad annullamento senza rinvio di sentenza di condanna perché il fatto
non è previsto dalla legge come reato, le opere non sonos tate ritenute
soggetttte ad autotizzazione. L'imputato, per riparare le vasche di
decantazione dell'acqua proveniente dal lavaggio degli inerti (ghiaia e sabbia),
aveva rialzato l'argine del fiume (operando peraltro sulla sua proprietà), e
ciò non solo non aveva cagionato alcun pregiudizio all'ambiente e al paesaggio,
ma aveva rinforzato l'argine del fiume, senza incidere sul regime dell'alveo e
sul suo assetto.
(Cass. Pen., sez. III, 8.3.1994, CP, 1996, 908).
L'autorizzazione idraulica
prescritta dal t.u. 25.7.1904, n. 523, ha l'evidente scopo di prevenire
possibili pericoli per la corretta e regolare regimazione delle acque.
Il tipico contenuto
provvedimentale, di conseguenza, riguarda esclusivamente la valutazione delle
opere da eseguire sotto il profilo idraulico, per cui nulla vieta
all'amministrazione di inserire prescrizioni accessorie, purché queste, però,
non vadano ad alterare la tipicità funzionale del provvedimento autorizzatorio
(Trib. sup.re acque, 8.5.2002, n. 65, FACDS, 2002, 1356).
Per quanto riguarda l’estrazione
dall'alveo dei fiumi e torrenti di ghiaia e sabbia la giurisprudenza ha
precisato che la concessione amministrativa è richiesta in relazione all'uso
eccezionale del bene pubblico che intenda farne il privato nel proprio
interesse, ai sensi dell'art. 97, r.d. 25.7.1904, n. 523.
Detto uso comporta il pagamento
di un canone ed il previo accertamento che esso non leda i preminenti interessi
pubblici attinenti alla salvaguardia del regime delle acque, mentre la suddetta
concessione non deve ritenersi necessariamente richiesta ove l'estrazione si
colleghi, con carattere di necessità, al compimento di un'opera idraulica sul
fiume o torrente (Cass. civ., sez. I, 5.12.1998, n. 12332, GCM, 1998,
2544).
La autorizzazione idraulica non
esclude che qualora le opere siano da eseguirsi in zone di particolare
interesse ambientale, sia necessaria l'autorizzazione per effettuare un
intervento in zone protette.
Per raggiungere il risultato di
un equilibrato sviluppo degli interventi sul territorio ed evitare danni
all'ambiente, l'art. 181, d.lg. 42/2004, stabilisce che le modifiche su di esso
si svolgano secondo le linee preordinate dalla autorità amministrativa;
pertanto, ogni intervento effettuato in zone protette - esclusi quelli di
irrilevante entità non idonei ad incidere neppure in astratto sullo ambiente -
deve essere preceduto dalla autorizzazione paesaggistica.
Pertanto, la
realizzazione di un argine, con deviazione delle acque di un fiume, deve essere
sottoposta al controllo di impatto ambientale, nè è invocabile l'applicabilità
dell'art. 58 del testo unico sulla disciplina delle acque pubbliche, il quale -
a sua volta - consente ai privati di eseguire opere idrauliche a difesa della
proprietà solo quando non sia in alcun modo alterato il regime dell'alveo.
La mancanza della autorizzazione
idraulica legittima il diniego di altre autorizzazioni da parte dia utorità
legittimamente rpeposte al rilascio.
L'art. 17 l. n.
64 del 1974, obbliga chiunque intenda procedere a costruzioni, riparazioni e
sopraelevazioni nelle zone sismiche, a darne preavviso scritto al sindaco ed
all'ufficio tecnico della regione od all'ufficio del genio civile, secondo le
rispettive competenze. La valenza antisismica di tale onere di preavviso non
impedisce l'esame del progetto nel suo insieme, onde rilevarne le eventuali
anomalie rispetto ad altre norme, comprese quelle idrauliche (nella specie,
concernenti le prescritte distanze dagli argini), ben potendo, comunque,
l'ufficio del genio civile (per evidenti fini di economia procedimentale) non
esaminare l'istanza di nulla osta di un progetto ai fini antisismici, qualora
il progetto stesso sia difforme dalle prescrizioni idrauliche.
(Trib. sup.re
acque, 27.4.2005, n. 58, FACDS, 2005, f. 4, 1301).
3. L’intervento repressivo. Le
sanzioni.
Legislazione l. 20.3.1865, n.
2248, all. f, art. 374 - r.d. 25.7.1904, n. 523, artt. 96, 97 – r.d. 28.5.1931,
n. 601, art. 1 - d.lg.
42/2004, art. 181.
L’intereento repressivo è
demandato il comune può intervenire per la mancanza di un'autorizzazione, per
esempio, paesaggistica o idraulica, sempreché però si tratti di un'opera di
trasformazione edilizia o urbanistica del territorio comunale, necessitante di
concessione o autorizzazione edilizia, e realizzata in assenza di quelle altre,
distinte e preliminari autorizzazioni.
Il Comune può
intervenire per la mancanza di un'autorizzazione paesaggistica o idraulica,
sempre che si tratti di un'opera di trasformazione edilizia o urbanistica del
territorio comunale, necessitante di concessione o autorizzazione edilizia, e
realizzata in assenza di quelle altre, distinte e preliminari autorizzazioni.
I divieti
formulati dagli artt. 96, 97, t.u. 25.7.1904, n. 523, sulle
opere idrauliche,
soggiacciono alla sanzione stabilita dall'art. 374, l. 20.3.1865, n. 2248, all.
f), non abrogata dal testo unico che si è limitato a riordinare la materia.
Alle pene di polizia e alla
multa, comminate dalla disposizione del 1865, in virtù dell'art. 1, r.d.
28.5.1931, n. 601, corrispondono quelle dell'arresto e dell'ammenda (Cass.
pen., sez. III, 5.2.1996, CP, 1997, 1852).
E’ ammessa anche la facoltà di
esigere la rimessone in rpistino qaulora sia accertata la pericolosità delle
opere che escludono ogni possibile sanatoria.
Una
determinazione assunta dall'amministrazione preposta alla tutela di un vincolo
che, ritenute l'abusività e la pericolosità delle opere (in quanto prive di
ogni pur necessaria concessione od autorizzazione da parte dell'autorità
stessa) e, quindi, la loro incompatibilità con il vincolo medesimo, ne abbia
decretato la rimozione nell'esclusivo esercizio dei propri poteri, discendenti
dalle disposizioni di cui al r.d. 25.7.1904, n. 523, rientra nell'esercizio di
prerogative volte alla tutela dell'interesse e dell'incolumità pubblici che, in
quanto tali, possono e devono essere esercitate, dall'autorità competente,
anche in pendenza di domande di sanatoria edilizia.
La sanatoria non
può, comunque, essere accordata in presenza di opere rischiose per la
collettività (nella specie, con pericolo di esondazioni, peraltro già
verificatesi in presenza delle opere in contestazione), tanto più che le
eventuali inadempienze dell'interessato (nella specie, sul piano del
completamento della pratica edilizia) non possono certamente costituire valido
presupposto per paralizzare l'esercizio dei poteri di vigilanza sui corpi
idrici e delle relative potestà sanzionatorie, assegnati all'autorità preposta
alla tutela del vincolo nell'esercizio dei propri primari e generali compiti di
salvaguardia dell'interesse pubblico.
(Trib. sup.re
acque, 21.11.2003, n. 155, FACDS, 2003, 3460).
4. La giurisdizione del Tribunale
Superiore delle Acque Pubbliche.
Legislazione r.d. 11.12.1933
n. 1775, art. 143, 1° co. - d.lg. 31.3.1998, n. 80, art. 34.
L’art. 143, 1° co., r.d. n.
1775/1933 attribuisce la alla giurisdizione del giudice delle acque.
a) i ricorsi per
incompetenza, per eccesso di potere e per violazione di legge avverso i
provvedimenti presi dall'amministrazione in materia di acque; b) i ricorsi,
anche per il merito, contro i provvedimenti dell'autorità amministrativa
adottati ai sensi degli artt. 217 e 221 della presente legge; nonché contro i
provvedimenti adottati dall'autorità amministrativa in materia di regime delle
acque pubbliche ai sensi dell'art. 2 del testo unico delle leggi sulle opere
idrauliche approvato con r.d. 25 luglio 1904, n. 523, modificato con l'art. 22
della l. 13 luglio 1911, n. 774, del r.d. 19 novembre 1921, n. 1688, e degli
artt. 378 e 379 della l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F.
(art. 143, 1° co., r.d. 1775 del 1933).
(art. 143, 1° co., r.d. 1775 del 1933).
La giurisprudenza ha affermato
che la controversia relativa ad un provvedimento che, anche indirettamente, si
propone di tutelare il corretto deflusso delle acque, va sottoposta alla
giurisdizione del Trib. sup. acque pubbl., ai sensi dell'art. 143, r.d.
11.12.1933 n. 1775.
Nella vigenza
dell'art. 34, d.lg. 31.3.1998, n. 80 - successivamente modificato, in parte,
dalla l. 21.7.2000, n. 205 - sussiste la giurisdizione diretta di legittimità
del tribunale superiore delle acque pubbliche, ai sensi dell'art. 143, t.u.
11.12.1933, n. 1775, per le impugnazioni di tutti i provvedimenti con incidenza
diretta ed immediata sul regime delle acque pubbliche.
Tale
giurisdizione speciale sussiste, quindi, per le controversie relative
all'autorizzazione o concessione per la realizzazione di costruzioni ed opere
attinenti all'utilizzazione od al regime delle acque nella regione Lombardia,
nella quale esiste una specifica legislazione limitativa delle concessioni di
costruzione in zona a destinazione agricola.
(Trib. sup.re
acque, 21.5.2003, n. 74, FACDS, 2003, 1735).
La diretta incidenza del provvedimento
amministrativo sulla materia delle acque pubbliche, radicante la giurisdizione
di legittimità in unico grado del tribunale superiore delle acque, si configura
anche in rapporto ad atti di organi amministrativi non direttamente deputati
alla cura di interessi in detta materia, ma comunque interferenti con i
provvedimenti specificamente concernenti la realizzazione di un'opera
idraulica.
Nella specie, il
tribunale superiore ha ritenuto, in particolare, che l'eventuale destinazione
agricola di una zona impedisce ogni insediamento di tipo
abitativo-residenziale, ma non la localizzazione di opere idroelettriche di
pubblico interesse.
(Trib. sup.re
acque, 3.5.2005, n. 63, FACDS, 2005, f. 5,1639).
La controversia che riguarda la
verifica della legittimità di permessi di costruire concerne solo
indirettamente il regime degli argini - che entra in questione esclusivamente
quale riferimento per la verifica del rispetto o meno, nell'edificazione di
fabbricati residenziali, delle distanze previste dall'art. 96, r.d. 25.7.1904,
n. 523 - è ritenuta dalla giurisprudenza estranea al regime delle acque
pubbliche.
La giurisdizione
generale di legittimità del Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche in unico
grado ha per oggetto i ricorsi contro provvedimenti amministrativi
caratterizzati da incidenza diretta sulla materia di tali acque, ossia
questioni in ordine ad opere che su queste influiscono immediatamente;
esorbita, pertanto, da tale giurisdizione ed appartiene a quella del giudice
amministrativo, l'impugnazione di una concessione edilizia, trattandosi di
provvedimento non destinato, in quanto tale, ad avere riflessi immediati sul
regime delle acque secondo un criterio di efficacia diretta, ed inidoneo,
quindi, a fondare la competenza tecnica richiesta per verificare la validità
degli atti relativi alla realizzazione, modificazione, sospensione od
eliminazione di un'opera idraulica.
(Cass. Civ., Sez.. U., 10.12.1993, n. 12167).
Secondo la Corte di Cassazione,
la giurisdizione di legittimità del Tribunale superiore delle acque pubbliche
in unico grado ha per oggetto i ricorsi avverso provvedimenti amministrativi
che incidono direttamente sulla materia delle acque pubbliche, mentre ricorre
la giurisdizione generale di legittimità del giudice amministrativo riguardo ai
provvedimenti aventi un'incidenza strumentale ed indiretta su tale materia
(Cass. Civ., Sez. U., 20.6.2000 n. 457).
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