CAPITOLO VI
LA TUTELA DEI
PARCHI.
SOMMARIO: 1. Le
aree protette.
1.1. Le misure
di salvaguardia.
2. I parchi
nazionali.
2.1.
L’approvazione del piano del parco. Gli effetti.
3. I parchi
regionali.
3.1.
L’approvazione.
3.2. Le misure
di salvaguardia.
4. Il nulla osta
dell’ente parco.
5. I rapporti
tra la disciplina del parco e le cave.
6. La vigilanza
dell’Ente parco.
7. Il potere di
vigilanza del Ministro dell'ambiente.
8. I reati
previsti dalla l. 6.12.1991, n. 394 sulle aree protette.
9.
Il concorso con i reati urbanistici.
9.1. Il concorso
con i reati previsti dalla l. 431/1985.
10.
La costituzione di parte civile dell'Ente parco.
11. Il
risarcimento dei danni provocati alle coltivazioni dalla fauna selvatica.
1. Le aree
protette.
Legislazione l. 6.12.1991,
n. 394, artt. 1, 3.
Bibliografia Assini e
Mantini 1997.
La legge quadro
sulle aree protette, l. 6.12.1991, n. 394, art. 1, ha fissato i principi
generali per l’istituzione e la gestione delle aree naturali protette, col fine
di garantire la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale della
nazione.
La composizione
di interessi di diversa natura e la configurazione del giusto equilibrio tra
conservazione e sviluppo trovano momento di sintesi nella elaborazione del
piano dell’area protetta.
(Assini e
Mantini 1997, 881).
Il patrimonio
naturale è costituito dalle formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e
biologiche che hanno rilevante valore naturalistico e ambientale.
Una speciale
tutela e una particolare gestione sono adottate nei territori che possiedono i
valori che caratterizzano il patrimonio naturale e costituiscono le aree
naturali protette.
In dette aree la
compressione dello ius aedificandi è massima; è dovuto, infatti, il più
totale rispetto dell’ambiente anche se non sono esclusi gli interventi edilizi;
essi sono considerati possibili solo previo parere dell’ente preposto.
La l. 6.12.1991,
n. 394 istituisce una apposita amministrazione di settore cui compete la
gestione delle aree protette e la loro tutela (Desideri e Fonderico 1998, 20).
Al vertice di
tale amministrazione l’art. 3 della l. 394/1991 pone il Comitato per le aree
naturali protette, un organo a composizione paritetica Stato-regioni.
I compiti del
Comitato sono quelli di individuare lo stato dell’ambiente naturale in Italia,
evidenziando i valori naturali e i profili di vulnerabilità del settore, ed
inoltre di adottare il programma triennale delle aree protette.
I compiti del
Comitato sono stati successivamente limitati dall’abrogazione del programma
effettuata dall’art. 76, d.lg. 112/1998, in relazione ai compiti attribuiti
alla Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le
province autonome dal d.lg. 281/1997, su delega dell'art. 1, 4° co., lett. c)
della l. 59/1997.
Il Comitato è
assistito da un organo tecnico, la Consulta tecnica per le aree naturali
protette.
Sono, però, gli
enti gestori dei parchi, sia nazionali che regionali, che hanno i poteri di
programmazione e di pianificazione, oltre a quelli regolamentari e di tutela.
Ai sensi
dell’art. 34 del d. lg. 267/2000, lo Stato, le regioni e gli enti locali devono
realizzare forme di collaborazione e d’intesa per la tutela e la gestione delle
aree naturali protette.
1.1. Le misure
di salvaguardia.
Legislazione l. 6.12.1991, n.
394, artt. 4, 6.
Bibliografia Desideri e
Fonderico 1998.
Le misure di
salvaguardia consistono nella sospensione di ogni attività di modifica del
territorio in attesa della pianificazione disposta dal piano per il parco; esse
sono previste in rapporto a fasi diverse (Desideri e Fonderico 1998, 45).
L’art. 4, 9° co.
della l. 394/1991, prevede l’adozione delle misure di salvaguardia in rapporto
all’adozione del programma delle aree protette.
Le misure di
salvaguardia scattano ancora quando è individuata l’area da destinare a
protezione.
La
giurisprudenza ritiene necessario l’intervento consultivo delle regioni.
Solo dopo avere
sentito le Regioni interessate ovvero solo dopo che siano decorsi trenta giorni
dalla data di richiesta del parere senza che questo sia stato espresso, il
Ministro dell’ambiente possa adottare le misure di salvaguardia nelle zone
individuate come aree da destinare a riserve naturali d’importanza nazionale o
internazionale.
(Corte cost.,
22.11.1991, n. 422. Corte cost., 13.12.1991, n. 464).
Il Ministro
dell'ambiente e le regioni possono individuare, in caso di necessità ed
urgenza, aree da proteggere ed adottare su di esse misure di salvaguardia, ex
art. 6, l. 394/1991.
Per quanto
concerne le aree protette marine detti poteri sono esercitati dal Ministro
dell'ambiente di concerto con il Ministro della marina mercantile.
La proposta
d'istituzione dell'area protetta e le relative misure di salvaguardia devono
essere esaminate dal Comitato nella prima seduta successiva alla pubblicazione
del provvedimento di individuazione dell'area stessa.
Dalla
pubblicazione del programma fino all'istituzione delle singole aree protette
operano direttamente le misure di salvaguardia.
Per gravi motivi
di salvaguardia ambientale sono vietati fuori dei centri edificati di cui
all'art. 18 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, e, con provvedimento motivato,
anche nei centri edificati, l'esecuzione di nuove costruzioni e la
trasformazione di quelle esistenti, qualsiasi mutamento dell'utilizzazione dei
terreni con destinazione diversa da quella agricola e quant'altro possa
incidere sulla morfologia del territorio, sugli equilibri ecologici, idraulici
ed idrogeotermici e sulle finalità istitutive dell'area protetta.
In caso di
necessità ed urgenza, il Ministro dell'ambiente, con provvedimento motivato,
sentita la Consulta, può consentire deroghe alle misure di salvaguardia in
questione, prescrivendo le modalità di attuazione di lavori ed opere idonei a
salvaguardare l'integrità dei luoghi e dell'ambiente naturale.
1.1. Le misure
di salvaguardia.
Le misure di
salvaguardia, stabilite dall'art. 6, l. 394 del 1991, hanno lo scopo di
preservare le aree sottoposte alla particolare tutela da ogni evento che
potesse pregiudicare la pianificazione e la regolamentazione di competenza
dell'Ente Parco, e quindi consentissero l'integrale conservazione dei siti, per
quanto possibile, non solo sino alla istituzione del Parco, ma anche sino alla
relativa regolamentazione.
L’art. 8, 5°
co., l. 394 del 1991, consente che le misure di salvaguardia possano essere
integrate, con il provvedimento che istituisce l'Ente Parco, "sino
all'entrata in vigore della disciplina di ciascuna area protetta.
2. I parchi
nazionali.
Legislazione l. 6.12.1991, n.
394, artt. 9, 12.
Bibliografia Desideri e
Fonderico 1998.
Con decreto del
Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’ambiente, sentita la
Regione, sono istituiti e delimitati i parchi nazionali, individuati dal
programma triennale; in tale fase non è, quindi, richiesta la partecipazione
degli enti locali (Desideri e Fonderico 1998, 37).
L’Ente Parco ha
la gestione del parco; esso, la cui istituzione è regolamentata dall'art. 9, l.
394/1991, ha personalità di diritto pubblico; l’Ente ha sede legale ed
amministrativa nel territorio del parco ed è sotto la vigilanza del Ministero
dell’ambiente.
Organi dell’Ente
sono: il Presidente; il Consiglio direttivo; la Giunta esecutiva, che può
essere eletta su decisione del Consiglio direttivo; il vice Presidente, il
quale è compreso, assieme al Presidente, fra i membri che formano la Giunta; il
Collegio dei Revisori dei conti.
L'obbligo di
stabilire la sede legale e amministrativa dell'ente Parco nel territorio del
parco stesso è introdotto dall'art. 9, 1° co. l. 6.12.1991, n. 394:
L'obbligo deve
ritenersi operante non soltanto per gli enti Parco di nuova istituzione, ma
anche per gli enti Parco già istituiti, nel rispetto del principio fondamentale
di territorialità stabilito in via generale dalla legge stessa.
(T.A.R. Lazio
sez. II, 3.5.1995, n. 766, FA, 1996, 210).
L’Ente Parco
tutela i valori naturali ed ambientali mediante il piano per il Parco.
1. La tutela dei
valori naturali ed ambientali nonché storici, culturali, antropologici
tradizionali affidata all'Ente parco è perseguita attraverso lo strumento del
piano per il parco, di seguito denominato “piano”, che deve, in particolare,
disciplinare i seguenti contenuti:
a)
organizzazione generale del territorio e sua articolazione in aree o parti
caratterizzate da forme differenziate di uso, godimento e tutela;
b) vincoli,
destinazioni di uso pubblico o privato e norme di attuazione relative con
riferimento alle varie aree o parti del piano;
c) sistemi di
accessibilità veicolare e pedonale con particolare riguardo ai percorsi,
accessi e strutture riservati ai disabili, ai portatori di handicap e agli
anziani;
d) sistemi di
attrezzature e servizi per la gestione e la funzione sociale del parco, musei,
centri di visite, uffici informativi, aree di campeggio, attività
agro-turistiche;
e) indirizzi e
criteri per gli interventi sulla flora, sulla fauna e sull'ambiente naturale in
genere.
2. Il piano
suddivide il territorio in base al diverso grado di protezione, prevedendo:
a) riserve
integrali nelle quali l'ambiente naturale è conservato nella sua integrità;
b) riserve
generali orientate, nelle quali è vietato costruire nuove opere edilizie,
ampliare le costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del
territorio. Possono essere tuttavia consentite le utilizzazioni produttive
tradizionali, la realizzazione delle infrastrutture strettamente necessarie,
nonché interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell'Ente parco.
Sono altresì ammesse opere di manutenzione delle opere esistenti, ai sensi
delle lettere a) e b) del primo comma dell'art. 31 della l. 5.8.1978, n. 457;
c) aree di
protezione nelle quali, in armonia con le finalità istitutive ed in conformità
ai criteri generali fissati dall'Ente parco, possono continuare, secondo gli
usi tradizionali ovvero secondo metodi di agricoltura biologica, le attività
agro-silvo-pastorali nonché di pesca e raccolta di prodotti naturali, ed è
incoraggiata anche la produzione artigianale di qualità. Sono ammessi gli
interventi autorizzati ai sensi delle lettere a), b) e c) del primo comma
dell'art. 31 della citata legge n. 457 del 1978, salvo l'osservanza delle norme
di piano sulle destinazioni d'uso;
d) aree di
promozione economica e sociale facenti parte del medesimo ecosistema, più
estesamente modificate dai processi di antropizzazione, nelle quali sono
consentite attività compatibili con le finalità istitutive del parco e
finalizzate al miglioramento della vita socio-culturale delle collettività
locali e al miglior godimento del parco da parte dei visitatori.
(art. 12, l. 394/1991, mod.art. 2, 30° co., l. 9.12.1998, n. 426).
La scelta dei
territori da includere nella perimetrazione provvisoria del Parco nazionale,
che l'art. 34, l. 6.12.1991, n. 394 demanda al Ministero dell'ambiente,
concreta un'attività tecnico discrezionale insindacabile in sede di giudizio di
legittimità se non per palese illogicità o arbitrarietà della scelta operata
dall'amministrazione (T.A.R. Lazio sez. II, 22.6.1995, n. 1093, FA,
1996, 218).
2.1.
L’approvazione del piano del parco. Gli effetti.
L’Ente Parco,
entro diciotto mesi dalla sua istituzione, deve predisporre il piano che deve
essere adottato, sentiti gli enti locali.
Il piano è
depositato presso le sedi dei Comuni, delle Comunità montane e delle Regioni
per 40 giorni:
E' illegittimo
il provvedimento di perimetrazione di un parco nazionale, ove non sia stato
acquisito, ai sensi dell'art. 34, 3° co. della l. 6.12.1991, n. 394, il parere
delle regioni interessate.
(T.A.R. Lazio,
sez. II, 22.6.1995, n. 1092, DGA, 1996, 342)
Chiunque può
inviare osservazioni scritte entro i successivi 40 giorni e ad esse l’Ente deve
rispondere, esprimendo il proprio parere, entro i successivi 30 giorni.
La Regione, in
accordo con l’Ente Parco ed i Comuni, per quanto riguarda le disposizioni del
piano relative alle attrezzature e ai servizi che consentono la gestione
sociale del parco stesso, emana il provvedimento di approvazione entro 90
giorni dal ricevimento del piano e del parere sulle osservazioni presentate.
L’impugnazione
va proposta dal momento di pubblicazione nel BUR.
Il piano
territoriale di coordinamento del Parco nazionale del Mincio va impugnato nel
prescritto termine di decadenza, decorrenti dalla pubblicazione nel bollettino
ufficiale della regione dell'avviso di deposito del detto piano presso la
segreteria del consorzio del parco, anche da parte dell'utente di acqua
pubblica, tenuto ad osservare i vincoli stabiliti dal piano stesso.
(Trib. sup.
acque, 2.10.1992, n. 64, CS, 1992, II, 1535).
Il piano, ogni
10 anni, è modificato con la stessa procedura ed è aggiornato.
Esso equivale ad
una dichiarazione di interesse pubblico generale e gli interventi in esso
previsti assumono il carattere di indifferibilità ed urgenza.
Esso sostituisce
ad ogni livello i piani paesistici, i piani territoriali od urbanistici ed ogni
altro strumento di pianificazione.
Dal momento
della sua pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale e sul B.U.R. il piano è
immediatamente vincolante sia per le amministrazioni sia per i privati (art.
12, l. 6.12.1991, n. 394).
La protezione si
estende anche alle aree contigue.
La nozione di
zona contigua di cui all'art. 32 della l. 6.12.1991, n. 394, sostituisce quella
di zona limitrofa, di cui all'art. 2 della l. 12.7.1923, n. 1511, istitutiva
del Parco nazionale d'Abruzzo, pur restando comune la funzione di entrambe di
assicurare tutela alle specie protette, garantendo la permanenza di una
disciplina controllata e limitata della caccia immediatamente al di fuori del
parco.
(T.A.R. Molise,
10.1.1996, n. 1, T.A.R., 1996, I, 999).
L'art. 34 della
l. 6.12.1991, n. 394 istituisce alcuni parchi e aree di reperimento come, ad
esempio, i parchi nazionali del Cilento e del Vallo di Diano, del Gargano, del
Gran Sasso e Monti della Laga, della Maiella, della Val Grande e del Vesuvio.
3. I parchi
regionali.
Legislazione l. 6.12.1991, n.
394, artt. 22, 23.
Bibliografia Assini e
Mantini 1997 - Desideri e Fonderico 1998 - Centofanti 2004.
La legge quadro
sulle aree protette fissa, all’art. 22, le norme quadro cui deve riferirsi la
legislazione regionale, che deve definire la perimetrazione provvisoria e le
misure di salvaguardia, nonché il soggetto gestore e deve poi indicare gli
elementi del piano del parco e i principi del regolamento (Assini e Mantini
1997, 881).
Il parco
regionale è istituito con legge regionale che deve definire la sua
perimetrazione provvisoria.
1.
La legge regionale istitutiva del parco naturale regionale, tenuto conto del
documento di indirizzo di cui all'articolo 22, comma 1, lettera a) , definisce
la perimetrazione provvisoria e le misure di salvaguardia, individua il
soggetto per la gestione del parco e indica gli elementi del piano per il
parco, di cui all'articolo 25, comma 1, nonché i princìpi del regolamento del
parco. A tal fine possono essere istituiti appositi enti di diritto pubblico o
consorzi obbligatori tra enti locali od organismi associativi ai sensi della
legge 8 giugno 1990, n. 142. Per la gestione dei servizi del parco, esclusa la
vigilanza, possono essere stipulate convenzioni con enti pubblici, con soggetti
privati, nonché con comunioni familiari montane.
(art. 23, l. 6.12.1991, n. 394).
(art. 23, l. 6.12.1991, n. 394).
I piani
territoriali di coordinamento di parco regionale sostituiscono quelli
territoriali paesistici nei territori compresi nei parchi naturali ed hanno la
funzione non solo di coordinamento al fine di indirizzare le successive
pianificazioni sottordinate, ma comportano immediatamente e direttamente
vincoli e limiti anche per i privati.
La normativa
regionale deve prevedere la partecipazione degli enti locali al procedimento
pianificatorio (Desideri e Fonderico 1998, 43).
3.1.
L’approvazione.
Il procedimento
di approvazione è richiesto dalla giurisprudenza per ogni provvedimento che
identifichi un’area soggetta a tale normativa:
L'approvazione
del piano territoriale di ogni stazione di parco regionale, ai sensi dell'art.
9, l. r. Emilia Romagna, 2.4.1988, n. 11, deve essere preceduta, oltre che
dalla relativa delibera di adozione, da talune fasi procedimentali dirette in
particolare ad assicurare a chiunque, mediante il deposito per sessanta giorni
del piano adottato, la possibilità di presentare osservazioni e proposte
scritte.
(T.A.R. Emilia
Romagna, sez. II, Bologna, 5.10.1991, n. 480, FA, 1992, 2764).
La dottrina nota
che la legislazione regionale nell’istituzione dei parchi prescinde da un
documento programmatico pianificatorio anche se individua le aree protette -
come ad esempio la l.r. Abruzzo 38/1996 - e difficilmente essa si inserisce
nella pianificazione territoriale, come fa, invece, la l.r. Toscana 49/1995
(Desideri e Fonderico 1998, 47).
Ai
fini dell’impugnazione, la giurisprudenza ha affermato che la procedura -
prevista dalla l. r. Lombardia n. 86 del 1983, di formazione, adozione e
approvazione dei piani territoriali di coordinamento di parco regionale - è
suddivisa in due fasi autonome
La
prima, esclusivamente amministrativa, è diretta a realizzare la partecipazione
ed il concorso dei soggetti pubblici e privati portatori dei molteplici
interessi coinvolti, come apporto non solo meramente collaborativo, ma con
funzione anche garantistica del ruolo dei Comuni, cioè con il concorso attivo
degli enti locali e con la facoltà di intervento di altri soggetti privati
interessati.
In
detta fase sono posti in essere atti, adottati da organi amministrativi e
nell'esercizio di attività amministrativa, con efficacia non limitata
all'interno del procedimento di formazione e adozione del piano territoriale -
ma suscettibili di ledere immediatamente, attraverso l'automatica imposizione
della salvaguardia, le posizioni di tutti i soggetti interessati che
soggiacciono alle previsioni del progetto di piano.
Spetta
allo Stato, e per esso al giudice amministrativo, con la sentenza del T.a.r.
Lombardia, sez. II, 8.10.1997, n. 1738, annullare le delibere della Giunta
regionale della Lombardia relative alla verifica e alle modifiche del piano
territoriale dei parchi naturali e dei parchi di cintura metropolitana, in
accoglimento di ricorsi proposti dai soggetti immediatamente lesi
dall'applicazione delle misure di salvaguardia.
I
vizi della delibera di adozione del piano del parco assunta dall'ente gestore e
della delibera di modifiche da parte della Giunta regionale, nonché le
eventuali violazioni dello specifico procedimento amministrativo di formazione,
adozione, verifica e partecipazione, non sono sottratti all'ordinario sindacato
giurisdizionale sulle scelte amministrative che incidano immediatamente su
posizioni giuridiche soggettive.
(Corte
cost., 11.6.1999, n. 226, GC, 1999, 2046).
Gli eventuali
vizi della delibera di adozione del piano del parco assunta dall'ente gestore e
della delibera di modifiche da parte della Giunta regionale, nonché le
eventuali violazioni dello specifico procedimento amministrativo di formazione,
adozione, verifica e partecipazione non rimangono sottratti all'ordinario
sindacato giurisdizionale sulle scelte amministrative che incidono su
situazioni giuridiche soggettive.
Per tali motivi
la Corte Cost. ha respinto la questione di legittimità costituzionale dato che
il procedimento così configurato non può paralizzare l’impugnazione
giurisdizionale degli atti amministrativi (Centofanti 2004, 67).
La
seconda fase è di mera approvazione di natura politica da parte dell'assemblea
regionale, che tuttavia non attribuisce al contenuto del piano valore di legge
né assume il significato di conversione dell'atto di pianificazione del parco
(Corte cost., 11.6.1999, n. 225, R, 1999, 1029 nota Cecchetti).
3.2. Le misure
di salvaguardia.
Le misure di
salvaguardia scattano quando è realizzata la perimetrazione provvisoria del
parco regionale, ai sensi degli artt. 22 e 23 della l. 394/1991.
Le misure di
salvaguardia scattano in relazione alle fattispecie previste e non abbisognano
dell’approvazione di ulteriori strumenti pianificatori.
Ai sensi
dell'art. 6, 3° co. della L. reg. Toscana 13.12.1979, n. 61, istitutiva del
Parco naturale di Migliarino, San Rossore e Massaciuccoli, l'efficacia delle
misure di salvaguardia relative alla cessazione delle attività di cava in corso
non è subordinata all'approvazione del piano territoriale, essendo sufficiente
la sola sua adozione. Le misure di salvaguardia hanno efficacia temporanea e
perdono la forza vincolante se entro cinque anni dall'entrata in vigore del
piano territoriale di recupero non siano approvati i relativi piani di
gestione, quali atti secondari di pianificazione e programmazione.
(Cons. St., sez. VI, 25.3.1996, n. 497, CS, 1996, I, 491).
Tra le misure di
salvaguardia, stabilite dall’art. 6, l. 394/1991, è annoverato il divieto di
realizzazione di nuove costruzioni e di trasformazione di quelle esistenti, che
è previsto nei siti al di fuori dei centri abitati e, per gravi motivi di
salvaguardia ambientale, nei centri edificati.
Il legislatore
ha inteso salvaguardare le aree sottoposte alla particolare tutela da ogni
evento che potesse pregiudicare la pianificazione e la regolamentazione di
competenza dell'Ente Parco, dettando norme che, come è tipico delle misure di
salvaguardia, consentissero, per quanto possibile, l'integrale conservazione
dei siti sino all'istituzione del Parco ed alla relativa regolamentazione.
La
considerazione è coerente con le finalità della legislazione in materia e trova
argomento testuale nell’art. 8, 5° co., l. 394/1991 che dispone che, con il
provvedimento d'istituzione del Parco possono essere integrate le misure di
salvaguardia introdotte dall'art. 6 sino all'entrata in vigore della disciplina
di ciascuna area protetta.
Tra le misure di
salvaguardia, stabilite dall'art. 6, l. 394 del 1991 unitamente alla tassativa
sanzione ripristinatoria, è annoverato il divieto di realizzazione di nuove
costruzioni e di trasformazione di quelle esistenti, previsto nei siti al di
fuori dei centri abitati ed anche, per gravi motivi di salvaguardia ambientale
e con provvedimento motivato, nei centri edificati.
(T.A.R. Campania
Salerno, sez. II, 22.4.2003, n. 329, FATAR, 2003, 1751).
Qualora non
siano ancora adottati il Piano e il Regolamento del parco la giurisprudenza
afferma che sono correttamente applicate le misure di salvaguardia approvate
dall'Ente parco.
L'art. 6, 4°
co°, l. 394/1991, nell'occuparsi di misure di salvaguardia, stabilisce che,
dall'istituzione della singola area protetta sino all'approvazione del relativo
regolamento, operano i divieti e le procedura per eventuali deroghe di cui
all'art. 11, 3° co., l. 394/1991.
Quest'ultima
norma tra l'altro stabilisce, con disposizione di carattere generale
attributiva di un potere di valutazione discrezionale da parte
dell'Amministrazione, che nei parchi sono vietate le attività e le opere che
possono compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali
tutelati con particolare riguardo alla flora e alla fauna protette e ai
rispettivi habitat.
Inoltre, l'art.
8, 5° co., l. 394/91, precisa che con il provvedimento di istituzione del parco
possono essere integrate, sino alla entrata in vigore della disciplina di
ciascuna area protetta, le misure di salvaguardia introdotte dall'art. 6, l.
394/91.
L'art. 13, l.
6.12.1991, n. 394, che disciplina il rilascio del nulla osta da parte dell'ente
parco a concessioni o autorizzazioni relative a interventi, impianti ed opere
all'interno dei parchi nazionali, e prevede un termine di sessanta giorni per
la formazione del silenzio - assenso, si applica solo dopo l'approvazione del
piano e del regolamento del parco.
Nella attesa
della formazione e approvazione del piano e del regolamento di un parco
nazionale, operano le misure di salvaguardia previste dall'art. 6 e i divieti
di cui all'art. 11, l. 6.12.1991 n. 394, che possono essere integrati da misure
dettate dal provvedimento di istituzione dell'ente parco.
Il nulla osta di
competenza dell'ente parco ai sensi dell'art. 13, l. 6.12.1991, n. 394 e
l'autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497, ora
art. 151, t.u. 490 del 1999, sono atti diversi e concorrenti, attribuiti ad
autorità differenti e preposte alla cura di interessi solo in parte
coincidenti; pertanto, l'autorizzazione paesaggistica non tiene luogo del nulla
osta né delle misure di salvaguardia dettate dal provvedimento istitutivo del
parco nazionale.
(T.A.R. Toscana,
sez. I, 19.2.2002, n. 288, FI, 2002, III, 599).
4. Il nulla osta
dell’ente parco.
Legislazione l. 6.12.991, n.
394, artt. 13, 30, 2° co.
Bibliografia Desideri
Fonderico 1998.
Ogni intervento
edilizio all’interno del parco deve essere sottoposto al preventivo nulla osta
dell’ente (Desideri C. Fonderico F. 1998, 116).
Per la
realizzazione degli interventi, opere e costruzioni in aree protette - quali
parchi nazionali, regionali, riserve naturali - occorrono tre distinti ed
autonomi provvedimenti: la concessione edilizia, l'autorizzazione paesaggistica
ed il nulla osta dell'ente parco. Questi ultimi sono, in ogni caso, il frutto
di una duplice valutazione, anche se rimessi ad un unico organo, e mantengono la
loro autonomia ad ogni effetto in quanto espressione di due discipline
concorrenti. Di conseguenza né il nulla osta del parco né il suo diniego fanno
venire meno la necessità dell'autorizzazione paesaggistica (Cons. St., sez.
IV, 28.2.2005, n. 714,
FACDS, 2005, f. 2, 398).
Il nulla osta di
competenza dell'ente parco ai sensi dell'art. 13, l. 6.12.1991, n. 394, e
l'autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'art. 7, l. 29.6.1939, n. 1497,
sono atti diversi e concorrenti, attribuiti ad autorità differenti e preposte
alla cura di interessi solo in parte coincidenti; pertanto, l'autorizzazione
paesaggistica non tiene luogo del nulla osta né delle misure di salvaguardia dettate
dal provvedimento istitutivo del parco nazionale.
Il nulla osta
previsto dall'art. 13, l. 6.12.1991, n. 394 sulle aree protette, non funziona
nel senso di "rimuovere divieti" né di "costituire posizioni
soggettive", ma solo in quello di accertare la conformità o meno delle
attività proposte alle figure consentite.
Il nulla osta
dell'ente parco, previsto dall'art. 13, l. 6.12.1991, n. 394 per interventi,
impianti ed opere da realizzarsi all'interno dell'area protetta non elimina la
necessità, oltre che dell'ordinaria concessione edilizia, anche
dell'autorizzazione paesistica, salvo che la l. reg. attribuisca espressamente
al nulla - osta il valore anche di autorizzazione paesistica.
Ne consegue che,
mancando tale condizione, la realizzazione abusiva di opere all'interno
dell'area protetta rende configurabile tanto il reato di cui all'art. 1 sexies,
l. 8.8.1985, n. 431, quanto quello di cui all'art. 30, l. 6.12.1991, n. 394.
(Cass. pen., sez. III, 13.10.1998, n. 12917, UA, 1999, 1148).
Il nulla-osta è
regolato dal sistema del silenzio assenso.
L'art.
13, l. 6.12.1991, n. 394, prevede che il nulla-osta necessario per
l'edificazione nell'ambito dei parchi nazionali, qualora non intervenga entro
il termine di 60 giorni, decorrente dalla presentazione della domanda, si
intende assentito.
E’ illegittimo
il provvedimento di diniego del nulla-osta adottato dall'ente parco dopo la
scadenza del detto termine.
(T.A.R. Abruzzo,
sez. L'Aquila, 24.9.1993, n. 434, T.A.R., 1993, I, 4148).
L’obbligo del
nulla-osta scatta dal momento dell’approvazione del piano del parco.
In
tema di attività edilizia e tutela delle bellezze naturali, fino alla
approvazione del regolamento e del piano del parco previsti dalla l. 6.12.1991,
n. 394, non sono applicabili gli artt. 13 e 30 della stessa legge.
Non è
imputabile, pertanto, né il sindaco per aver rilasciato una concessione
edilizia per la costruzione di un edificio all'interno del perimetro del Parco
Nazionale d'Abruzzo in assenza del nullaosta dell'ente parco in violazione
degli artt. 13 e 30 della legge, né i titolari del manufatto per l'illecito
urbanistico.
(Cass. pen., sez. III, 27.6.1995, n. 10407, RTDPE, 1996, 1114).
E’ ammessa la
sanatoria delle opere eseguite abusivamente nell'ambito di parchi solo dopo
l'acquisizione del nulla osta dell'Ente Parco.
Qualora
l'intervento abusivo sia stato eseguito su area ricadente nell'ambito di un
parco, la sanatoria delle opere eseguite abusivamente nell'ambito di parchi e
riserve è disciplinata dalla disposizione di cui all'art. 24, l. r. Sicilia n.
37 del 1985 la quale prevede (ad eccezione di opere ricadenti in zone assolutamente
inedificabili realizzate in data successiva alla imposizione del vincolo)
l'acquisizione del nulla osta dell'Ente Parco ai fini del rilascio della
concessione o autorizzazione in sanatoria; ne consegue che su tale disposizione
nessuna refluenza ha l'art. 17, l. r. n. 4 del 2003 che ha innovato unicamente
le procedure nelle quali debbano essere acquisiti i nulla osta di cui ai commi
8 e 10, art. 23, l. r. n. 37 del 1985 e per le quali soltanto opera l'istituto
del silenzio assenso.
5. I rapporti
tra la disciplina del parco e le cave.
La legislazione
regionale può disporre delle limitazioni nella realizzazione di determinate
attività nelle zone destinate a parco, come, ad esempio, escludere l’attività
di cava.
Non è fondata la
questione di legittimità costituzionale dell'art. 5, commi 2, 3 e 5, l. reg.
Umbria 3.1.2000, n. 2, come sostituito dall'art. 5, l. r. Umbria 29.12.2003, n.
26, censurato, in riferimento all'art. 117, comma 2, lett. l), cost., in
quanto, nel prevedere, in linea di principio, il divieto di condurre cave nei
parchi regionali, stabilisce altresì, in alcune ipotesi, la possibilità di
deroghe a tale divieto.
L'art. 11, l.
6.12.1991, n. 394, prevede infatti tale possibilità, e pertanto le disposizioni
censurate, limitandosi a riprodurre i principi fondamentali per la disciplina
delle aree protette di cui all'art. 22 della medesima l. n. 394 del 1991, non
consentono arbitrariamente deroghe in peius in materia di ambiente,
giacché non esiste, per i parchi regionali, disposizione analoga a quella che,
per i parchi nazionali, demanda al regolamento dell'Ente Parco la possibilità
di prevedere deroghe al divieto di esercizio di cava, e dovendosi ritenere che,
essendo i parchi regionali espressione dell'autonomia regionale, la disciplina
delle deroghe debba, in mancanza di un regolamento adottato dal parco, essere
dettata dalla Regione; e, nella specie, la disciplina impugnata è rispettosa
altresì del principio della partecipazione degli enti locali interessati alla
gestione dell'area protetta.
6. La vigilanza
dell’Ente parco.
L'Autorità di
gestione del Parco ha il potere di disporre la riduzione in pristino dei luoghi
e di ricostituzione delle specie vegetali o animali danneggiate, ex art.
6, 6° co., della l. 394/1991, per i casi di violazione delle misure di salvaguardia,
dettate dall'art. 6, 3° co., in attesa della pianificazione e della
regolamentazione dell'Ente Parco.
L’art. 6 della
l. 6.12.1991, n. 394, prevede, nei casi di violazione delle misure di
salvaguardia, la riduzione in pristino e la ricostituzione delle specie
vegetali e animali danneggiate dall'edificazione.
Il presidente dell’Ente parco vigila, inoltre, sulle attività difformi dal nulla osta o realizzate in carenza del suo rilascio con potere cautelare di intervento.
Il presidente dell’Ente parco vigila, inoltre, sulle attività difformi dal nulla osta o realizzate in carenza del suo rilascio con potere cautelare di intervento.
Egli, infatti,
dispone l’immediata sospensione dell’attività medesima ed ordina in ogni caso
la riduzione in pristino o la ricostituzione di specie vegetali o animali a
spese del trasgressore.
In caso di
inottemperanza provvede all’esecuzione in danno, ai sensi dell’art. 29, l.
394/1991.
L’art. 30, 2°
co., l. 6.12.1991, n. 394, prevede sanzioni pecuniarie per la violazione delle
norme emanate dagli organi di gestione che vanno da euro 25 a euro 1032.
La
norma non è in contrasto con lo statuto speciale per la regione Trentino Alto
Adige e relative norme di attuazione, poiché i citati articoli hanno valore
dispositivo e sono quindi applicabili, nel caso di ambienti naturali di rilievo
regionale, solo allorché le regioni non vi abbiano provveduto con apposite
norme.
(Corte Cost., 27.7.1992, n. 366, CS, 1992, II, 1107).
La legislazione
regionale può disporre che il nulla osta possa sostituire la autorizzazione
statale prevista per le zone soggette a vincolo idrologico.
Non è fondata,
in riferimento all'art. 117 cost. la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 20, 2° co., l. r. Toscana 16.3.1994, n. 24 - Istituzione degli enti
parco per la gestione dei parchi regionali della Maremma e di Migliarino, San
Rossore, Massaciuccoli e soppressione dei relativi consorzi - nella parte in cui
prescrive che il rilascio del nulla osta dell'ente parco tiene luogo delle
autorizzazioni previste dalla normativa statale per gli interventi in zone
sottoposte a vincoli paesaggistici e idrogeologici.
(Corte cost.,
21.3. 1997, n. 67, RGE, 1997, I, 238).
7. Il potere di
vigilanza del Ministro dell'ambiente.
Legislazione l. 6.12.1991,
n. 394, art. 21.
Bibliografia Centofanti
2005.
La vigilanza
sulla gestione delle aree protette è esercitata, per le aree terrestri, dal
Ministro per l’ambiente e, per le aree marine, congiuntamente dal Ministro per
l’ambiente e dal Ministro per la marina mercantile (Centofanti N. 2005, 386)
E’ stata posta
la questione di legittimità costituzionale di tale attribuzione, per contrasto
con le competenze regionali, da parte di alcune regioni a statuto speciale.
L'art. 21, l.
6.12.1991, n. 394, che attribuisce al Ministro dell'ambiente il potere di
vigilanza, tramite il corpo forestale, sulla gestione delle aree naturali
protette di interesse nazionale ed internazionale, non è in contrasto con lo
statuto del Trentino Alto Adige, rientrando i compiti di vigilanza ivi previsti
nelle competenze statali.
(Corte Cost.,
27.7.1992, n. 366, RGE, 1992, I, 779).
8. I reati
previsti dalla l. 6.12.1991, n. 394 sulle aree protette.
Legislazione c.p., art. 624
– l. 6.12.1991, n. 394, artt. 1, 11, 3° co., lett. a) e f), 30, 1° co.,
Bibliografia Centofanti
2006.
La l. 394 del
1991, all’art. 30, prevede due distinti reati.
Il primo reato
prevede due distinte fattispecie, sanzionate con l’arresto fino a dodici mesi e
con l’ammenda da euro 103 a euro 25.822.
La prima punisce
il mancato rispetto delle misure di salvaguardia emanate dal Ministero
dell’ambiente e dalle regioni volte a proteggere le aree del cosiddetto
patrimonio naturale in cui siano presenti, come precisa l’art. 1 della stessa
legge, formazioni fisiche, geologiche, geomorfologiche e biologiche che hanno
rilevante valore naturalistico o ambientale.
La seconda sanziona
la mancanza di preventivo nulla osta dell'Ente parco per interventi, impianti
ed opere all'interno del parco.
La realizzazione
di interventi, opere e costruzioni in aree protette deve essere preceduta da
tre autonomi provvedimenti: il permesso di costruire disciplinato dal t.u.
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, d.p.r.
6.6.2001, n. 380, l'autorizzazione paesaggistica di cui al d.lg. 22.1.2004, n.
42, ed il nulla osta dell'ente parco di cui alla l. 6.12.1991, n. 394. La
circostanza che il rilascio di questi due ultimi provvedimenti sia attributo,
con legge regionale, ad un unico organo, non fa perdere agli stessi la loro
autonomia, con la conseguente necessità di una duplice valutazione in merito.
(Cass. Pen., sez. III, 9.10.2003, n. 47706, CP, 2004, 3760).
Il secondo reato
prevede altre due distinte fattispecie, sanzionate con l’arresto fino a sei
mesi e con l’ammenda da euro 103 a euro 12.911 (Centofanti N. 2006, 74).
La prima
colpisce le attività e le opere che possono compromettere la salvaguardia del
paesaggio e degli ambienti naturali tutelati, come l’apertura di cave o la
realizzazione di un campeggio.
In tema di aree
protette, l'allestimento di un campeggio all'interno di un parco senza la
prescritta autorizzazione integra il reato di cui agli artt. 11, 3° co., e 30,
l. 6.12.1991, n. 394, in quanto la prima norma, pur recando un elenco di
specifiche condotte vietate che non comprende la realizzazione di un campeggio
abusivo, proibisce in generale tutte le attività ed opere che possano
compromettere la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati
in relazione alla flora ed alla fauna protette. In motivazione la Corte ha
rilevato che la realizzazione di un campeggio pone in pericolo quanto meno la flora
del parco, attraverso opere di sbancamento della terra, accensione di fuochi ed
altro.
(Cass. Pen., sez. III, 22.10.2002, n. 42209, CP, 2004, 1742).
Detta
fattispecie colpisce inoltre la modificazione del regime delle acque con
particolare riguardo alla flora, come il relativo danneggiamento delle specie
vegetali protette, o della fauna, come la cattura, l’uccisione, il
danneggiamento e il disturbo delle specie animali.
L'ipotesi
contravvenzionale prevista e punita dagli artt. 11, 3° co., lett. a) e f) e 30,
1° co., l. 6.12.1991, n. 394, che vieta la cattura nei parchi delle specie
animali, senza distinzione alcuna, è da ritenersi speciale rispetto a quella
delittuosa di cui all'art. 624, c.p.
Gli elementi
tipici, specializzati, sono rappresentati dalla particolarità del luogo, aree
protette, in cui si deve attuare il comportamento volto alla realizzazione di
atti diretti alla cattura e alla natura della res che è oggetto di
questa, specie animale.
Nella specie si
trattava di pesca di trote all'interno del Parco Nazionale del Gran Paradiso.
(Cass. pen., sez. IV, 9.11.1995, n. 12680, CP, 1997, 708).
La seconda
sanziona le attività vietate nelle aree marine protette, come la cattura, la
raccolta ed il danneggiamento delle specie animali e vegetali, l’alterazione
delle caratteristiche delle acque, la navigazione a motore, la discarica dei
rifiuti e il sorvolo.
Ai fini della
sussistenza del reato di effettuazione di navigazione a motore nelle aree
protette marine - nella specie nelle acque dell'isola di Giannutri - di cui
all'art. 30, 1° co., seconda parte, in relazione all'art. 19, 3° co., l.
6.12.1991, n. 394, è necessario, per stabilire il tipo di navigazione, verificare
quale sia il mezzo di propulsione usato in concreto dal natante.
Nella specie,
relativa ad annullamento senza rinvio, perché il fatto non sussiste, di
sentenza di condanna con la quale il pretore aveva ritenuto che si sarebbe
ugualmente realizzata un'ipotesi di navigazione a motore perché la barca
dell'imputato, pur utilizzando soltanto le vele, era dotata di un motore
ausiliario e quindi la sua navigazione deve qualificarsi sempre navigazione a
motore.
La S.C. ha,
invece, affermato che l'imputato, avendo utilizzato le vele e non il motore,
aveva posto in essere una navigazione a vela e non a motore.
(Cass. pen., sez. III, 15 7.1997, n. 9159, CP, 1998, 3406).
Il sorvolo deve
essere preventivamente autorizzato per non incorrere nel relativo reato.
Nei Parchi
Nazionali è la l. 6.12.1991, n. 394, con l'art. 11, 3° co., a prescrivere
espressamente la necessità della preventiva autorizzazione dell'Ente Parco per
il "sorvolo di veicoli" - e tali devono considerarsi anche gli
elicotteri - in quanto il divieto riguarda testualmente "il sorvolo di
veicoli non autorizzati", ossia un'attività che per legge si presume
potenzialmente pericolosa per gli equilibri naturali dell'area protetta.
Poiché il
legislatore fissa con sufficiente chiarezza le condotte vietate nell'art. 11,
3° co., e prevede una specifica sanzione penale nell'art. 30, 1° co., deve
ritenersi che la normativa in oggetto è immediatamente applicabile, pur in
mancanza di ulteriori determinazioni nel regolamento di fatto adottato nel
Parco.
Fattispecie
relativa a rigetto di ricorso avverso sentenza di condanna per sorvolo del
Parco Nazionale dello Stelvio con un elicottero senza autorizzazione dell'Ente
Parco per la pratica dello eli-ski.
(Cass. pen., sez. III, 2.6.1995, n. 8561, RP, 1996, 744).
La giurisprudenza
ha escluso l’esistenza del reato qualora dalla condotta dell’agente non derivi
alcun danneggiamento. Ad esempio, il reato non sussiste nel caso di ormeggio.
Il transito e
l'ormeggio in acque protette, nella specie circostanti l'isola di Giannutri,
non integrano il reato di cui all'art. 1-sexies, l. 8.8.1985, n. 431, in
riferimento all'art. 30, l. 6.12.1991, n. 394, poiché manca l'alterazione dello
stato dei luoghi vincolati e cioè una modificazione non momentanea, ma
destinata a durare nel tempo.
La nozione di
"alterazione" non può poi essere desunta da leggi regionali, nella
specie della Toscana, applicativa di quella n. 431 citata, poiché detto
concetto deve essere unitario in tutto il territorio.
Nel caso la
Corte ha rigettato il ricorso del p.m. avverso il proscioglimento per oblazione
dal reato di cui all'art. 164, c.p.
(Cass. pen.,
sez. III, 10.2.1993, CP, 1994, 1062).
9.
Il concorso con i reati urbanistici.
Le opere abusive
in zone soggette ad autorizzazione dell’Ente parco integrano il concorso
formale con il reato edilizio disciplinato dall’art. 44, lett. c), d.p.r.
380/2001 che sost. art. 20, lett. c), l. n. 47/85.
Integra la
contravvenzione di cui all'art. 20, lett. c), l. n. 47/85, l'aver chiuso con
mattoni le pareti perimetrali aperte ad arcata di un edificio già adibito a
fornace e sottoposto a vincolo archeologico (archeologia industriale) e
paesaggistico (parco regionale), l'aver creato una soletta interna per
realizzare due piani, nonché l'aver eretto alcuni tavolati interni, trattandosi
di interventi che per loro natura, anche a prescindere da un cambio di
destinazione d'uso o meno dell'immobile, necessitano di concessione edilizia,
non solo in relazione ai muri di "tamponamento" esterni, ma anche per
le opere interne, riguardando le stesse edifici vincolati. I medesimi
interventi integrano in concorso formale con il reato edilizio, entrambe le
contravvenzioni di cui agli artt. 151, 163 e 146, 1° co., lett. d), d.lg.
490/1999, 13 e 30, 1° co., l. 394/1991, poiché sono stati effettuati in un'area
sottoposta a vincolo paesaggistico (parco), in assenza del rilascio
obbligatorio dell'autorizzazione paesaggistica e del nulla osta dell'ente
parco: l'istituzione del parco regionale, infatti, non fa venir meno la
necessità dell'autorizzazione paesaggistica.
(Trib. Milano,
4.11.2002, FAmbr, 2003, 99).
9.1. Il concorso
con i reati previsti dalla l. 431/1985.
Legislazione l. 8.8.1985, n.
431, art. 1 sexies, l. 6.12.1991, n. 394, artt. 19, 3° co., 30.
Bibliografia D’Agostino 1991.
La dottrina si è
posta il problema se, dato il carattere di specialità della l. 394/1991, vi sia
concorso con i reati previsti dalla l. 431/1985 (D’Agostino A. 1991, 80).
La
giurisprudenza prevalente afferma che si ha concorso di reati con quelli previsti
dalla l. 431/1985 solo per le fattispecie nelle quali si abbia carenza di
autorizzazione.
Il nulla osta
dell'ente parco, previsto dall'art. 13, l. 6.12.1991, n. 394, per interventi,
impianti ed opere da realizzarsi all'interno dell'area protetta non elimina la
necessità, oltre che dell'ordinaria concessione edilizia, anche
dell'autorizzazione paesistica, salvo che la l. reg. attribuisca espressamente
al nulla-osta il valore anche di autorizzazione paesistica.
Ne consegue che,
mancando tale condizione, la realizzazione abusiva di opere all'interno
dell'area protetta rende configurabile tanto il reato di cui all'art. 1 sexies,
l. 8.8.1985, n. 431, quanto quello di cui all'art. 30, l. 6.12.1991, n. 394.
(Cass. pen., sez. III, 13.10.1998, n. 12917, RP,
1999, 43).
Il
reato previsto dagli artt. 13 e 30, l. 394/91, che sanziona la mancanza di
preventivo nulla osta dell'ente parco per interventi, impianti ed opere
all'interno del parco, non sostituisce, per gli interventi eseguiti all'interno
del parco, quello previsto dall'art. 1 sexies della l. 431 del 1985,
essendo diversi i beni giuridici tutelati e le procedure da seguire per
ottenere, rispettivamente, il nulla osta dell'ente parco e quello dell'autorità
preposta alla tutela del vincolo.
(Pret. Castiglione
S., 11.12.1992, GM, 1994, 171).
Non si ha,
invece, concorso di reati con quelli previsti dalla l. 431/1985 per le
fattispecie contemplate dagli artt. 19, 3° co. e 30, della l. 394/91, nel caso
di condotte illecite che abbiano cagionato danno o pericolo all'ecosistema
dell'area protetta, visto il rapporto di specialità che esiste fra le due
normative.
La fattispecie
in esame riguarda l'arcipelago toscano, che dall'art. 31 della legge sulla
difesa del mare, l. 979/82, era individuato tra le aree da sottoporre ad
accertamento ai fini della costituzione di una riserva marina, e che è stato
successivamente scelto come parco nazionale marino e territoriale, con la
conseguenza dell'applicazione del regime giuridico specifico dei parchi
nazionali.
(Cass. pen., sez. III, 12.11.1993, CP, 1994, 2196).
10.
La costituzione di parte civile dell'Ente parco.
E’ ammessa la
costituzione di parte civile dell'Ente parco nei giudizi penali tesi a
reprimere gli abusi derivanti da opere realizzate in mancanza di
autorizzazione.
La
costituzione di parte civile dell'Ente parco nei giudizi riguardanti fatti
dolosi o colposi che possano compromettere l'integrità del patrimonio naturale
dell'area protetta si rende necessaria allorché impianti od opere siano state
realizzate senza il nulla osta previsto dall'art. 13, l. n. 394 del 1991, la
cui finalità è quella di assicurare in via preventiva la conformità con il
Piano del parco, che una volta pubblicato è immediatamente vincolante nei
confronti delle amministrazioni e dei privati, sostituendo ad ogni livello i
piani paesistici, i piani territoriali e urbanistici ed ogni altro strumento.
In conseguenza,
pur rimanendo fermo il potere urbanistico dei comuni inseriti in un Parco
nazionale, la realizzazione di eventuali opere è possibile solo con il concorde
consenso degli enti locali e degli enti parco.
(Cass. pen., sez. III, 26.2.1998, n. 3443, RP, 1998, 694).
11. Il
risarcimento dei danni provocati alle coltivazioni dalla fauna selvatica.
L'art. 15, 3°
co., l. 6.12.1991, n. 394, dispone che l'ente parco è tenuto a indennizzare i
danni provocati dalla fauna selvatica del parco.
Il regolamento del parco deve stabilire le modalità per la liquidazione e la corresponsione degli indennizzi che devono essere pagati entro novanta giorni dal verificarsi del nocumento, ex art. 15, 4° co., l. 6.12.1991, n. 394.
Il regolamento del parco deve stabilire le modalità per la liquidazione e la corresponsione degli indennizzi che devono essere pagati entro novanta giorni dal verificarsi del nocumento, ex art. 15, 4° co., l. 6.12.1991, n. 394.
Vi è
controversia in giurisprudenza sull’attribuzione della giurisdizione al giudice
ordinario o al giudice amministrativo in materia di risarcimento dei danni
arrecati dalla selvaggina protetta alle colture agricole.
L’orientamento
giurisprudenziale ha attribuito essenziale rilievo, a tal fine, al concreto
atteggiarsi della disciplina positiva.
La
giurisprudenza, in particolare, occupandosi di una fattispecie in cui il
privato aveva lamentato danni a due appezzamenti di terreno inclusi nel
comprensorio del Parco naturale dei Monti Sibillini, che erano stati invasi in
ore notturne da cinghiali usciti dai boschi circostanti, ha posto in risalto la
singolarità della figura dei parchi naturali e del regime giuridico dei terreni
agricoli in essi compresi, soggetti a forti restrizioni del diritto di
proprietà e di godimento in vista delle perseguite finalità di tutela e
miglioramento della flora e della fauna e della conservazione dell'ambiente.
La
giurisprudenza ha affermato che le situazioni di eventuale pregiudizio che i
proprietari di tali terreni possono subire, o per limitazioni dirette di
attività o per una forma indiretta di limitazione di sfruttamento, derivante
dall'impossibilità di abbattimento degli animali selvatici, sono situazioni
meramente conseguenti e connesse alla tutela dell'interesse collettivo,
rispetto al quale la situazione giuridica del privato è degradata ad interesse.
L’interpretazione
giurisprudenziale ha finito, però, col ritenere risolutivo, ai fini della
affermata giurisdizione del giudice amministrativo, il fatto che, coerentemente
con tutto questo, nella disciplina dettata dalla l. 12.7.1923, n. 1511 e dal
relativo regolamento approvato con r.d. 27.9.1923, n. 2124, per il Parco
Nazionale d'Abruzzo, non era disposto alcun indennizzo ragguagliato alla effettività
dei danni cagionati dagli animali selvatici a singole coltivazioni.
Detta normativa
ha previsto solo un compenso che, in assenza di elementi normativamente
prefissati per la sua determinazione e liquidazione, non assumeva alcun
carattere di certezza, almeno nel quantum, cosicché doveva ritenersi che
la situazione riconosciuta al privato danneggiato fosse solo di interesse
legittimo.
È
devoluta alla giurisdizione del giudice amministrativo la controversia
proposta, contro la regione Marche, la provincia di Ascoli Piceno e il
Ministero dell'ambiente dal privato per ottenere il risarcimento dei danni
patiti per essere stato un proprio terreno coltivato a patate, sito nel
comprensorio del Parco dei Monti Sibillini, invaso in ore notturne da cinghiali
usciti dai boschi circostanti.
(Cass. civ., Sez. U., 23.11.1995, n. 12106, GC, 1996, I, 702).
Un altro indirizzo giurisprudenziale ha dichiarato che la domanda di risarcimento dei danni provocati alle coltivazioni dalla fauna selvatica appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, perché fondata sull'art. 15 della legge quadro sulle aree protette n. 394 del 1991.
La norma,
infatti, prevede, senza margini di discrezionalità, l'obbligo dell'ente parco
di indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del parco nel termine
di novanta giorni dal loro verificarsi (Cass. Civ., 30.12.1998, n. 12901).
La dottrina
censura il criterio individuato dalla giurisprudenza poiché non lo ritiene
sufficientemente discriminante.
Il nuovo
criterio proposto dalla Cassazione tiene invece conto esclusivamente del tenore
letterale della normativa di riferimento (soprattutto di quella regionale) a
prescindere da ogni considerazione sistematica avente riguardo alla normativa
statale quadro.
(Deledda M. 1999, 507).
Altra
giurisprudenza determina la giurisdizione avendo a riferimento la posizione
giuridica che si intende tutelare.
Il fatto che
nella legge e nel regolamento del Parco sia adoperata l'espressione indennizzo,
in luogo di quella di risarcimento del danno, non incide sulla posizione
giuridica del privato danneggiato.
I termini indennizzo o indennità indicano, in generale, una posizione giuridica che deve essere riparata nello stesso modo del risarcimento del danno propriamente detto.
Indennizzo o indennità, infatti, si riferiscono ad una prestazione, per conseguire la quale la legge ha già attribuito all'interessato una tutela per equivalente monetario. In questo caso, il diritto si trasforma da diritto al bene in diritto all'indennizzo e parlare d'interesse legittimo non è corretto.
Cosa diversa dal riconoscimento del diritto al bene è la liquidazione della somma dovuta che la pubblica amministrazione può determinare secondo criteri che l'interessato può chiedere di verificare attraverso il ricorso al giudice ordinario.
I termini indennizzo o indennità indicano, in generale, una posizione giuridica che deve essere riparata nello stesso modo del risarcimento del danno propriamente detto.
Indennizzo o indennità, infatti, si riferiscono ad una prestazione, per conseguire la quale la legge ha già attribuito all'interessato una tutela per equivalente monetario. In questo caso, il diritto si trasforma da diritto al bene in diritto all'indennizzo e parlare d'interesse legittimo non è corretto.
Cosa diversa dal riconoscimento del diritto al bene è la liquidazione della somma dovuta che la pubblica amministrazione può determinare secondo criteri che l'interessato può chiedere di verificare attraverso il ricorso al giudice ordinario.
Gli eventuali
poteri limitativi previsti nel Regolamento del Parco non incidono sulla
posizione di diritto soggettivo del danneggiato.
Si tratta, infatti, di poteri che sono volti a circoscrivere la sola liquidazione del danno e non interferiscono sull'esistenza del diritto al risarcimento.
Si tratta, infatti, di poteri che sono volti a circoscrivere la sola liquidazione del danno e non interferiscono sull'esistenza del diritto al risarcimento.
La domanda di
risarcimento dei danni provocati alle coltivazioni dalla fauna selvatica,
nell'ambito del Parco nazionale del Cilento e Vallo del Diano, appartiene alla
giurisdizione del giudice ordinario, essendo fondata sull'art. 15 della legge
quadro sulle aree protette 6 dicembre 1991 n. 394, il quale prevede, senza
margini di discrezionalità, l'obbligo dell'ente parco di indennizzare i danni
suddetti nel termine di novanta giorni dal loro verificarsi, così configurando
come diritto soggettivo la posizione giuridica del privato danneggiato.
CAPITOLO VIa
IL CONTROLLO DEI BOSCHI E TERRENI
MONTANI.
SOMMARIO: 1. Le funzioni
regionali. Problemi di costituzionalità.
2. Il parere dell'autorità
competente in tema di vincoli idrogeologici, ex art. 7, r.d. 30.12.1923, n.
3267.
3. Le sanzioni penali.
4. Sanzioni amministrative.
4.1. L’ordinanza ingiunzione.
4.2. L'opposizione.
5. La giurisdizione del giudice
di pace e del tribunale.
6. Il rapporto di specialità.
1. Le funzioni regionali.
Problemi di costituzionalità.
La materia del taglio dei boschi
rientrava espressamente nella competenza regionale dell'agricoltura e foreste, ex
art. 117 della Costituzione nel testo anteriore alla riforma del titolo V della
parte seconda della Costituzione.
L’art.
117, cost., come modificato dall’art. 3, l. cost. 18.10.2001, n. 3, ripartisce la
potestà legislativa fra Stato e Regioni.
L’art. 177, 3° co., cost.
definisce le materie a legislazione concorrente ove la potestà legislativa
spetta alle regioni, salvo per la determinazione dei criteri fondamentali
riservata alla legislazione dello Stato.
Il governo del territorio è
oggetto di legislazione concorrente delle regioni con riserva dello Stato della
determinazione dei principi fondamentali
L'attribuzione ai comuni di
funzioni diverse da quelle esclusivamente locali nella materia non può,
pertanto, essere disposta con legge statale, occorrendo un intervento
legislativo della Regione.
E’ stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, 2° co., della l. 11.12.2000, n. 365, che attribuiva al sindaco del comune, nelle regioni danneggiate da calamità naturali, il potere di autorizzare il taglio dei boschi, in zone con vincolo idrogeologico.
E’ stata dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, 2° co., della l. 11.12.2000, n. 365, che attribuiva al sindaco del comune, nelle regioni danneggiate da calamità naturali, il potere di autorizzare il taglio dei boschi, in zone con vincolo idrogeologico.
È
costituzionalmente illegittimo l'art. 2, 2° co., l. 11.12.2000, n. 365, che
attribuiva al sindaco del comune, nelle regioni danneggiate da calamità
naturali, il potere di autorizzare il taglio dei boschi, in zone con vincolo
idrogeologico.
2. Il parere dell'autorità
competente in tema di vincoli idrogeologici, ex art. 7, r.d. 30.12.1923, n.
3267.
Legislazione: r.d. 30.12.1923,
n. 3267, artt. 7, 12 - d.p.r. 24.7.1977, n. 616, art. 69, 2° co.
Bibliografia: Cosentino e
Frasca 2002.
Lo scopo del vincolo
idrogeologico è quello di assoggettare determinati terreni all'obbligo della
coltura boschiva limitandone l'utilizzazione onde evitare la denudazione che
può cagionare perdita di stabilità o turbamento del regime delle acque (T.A.R.
Lombardia-Milano II Sez. 14.9.2000, n. 5597).
L'indirizzo giurisprudenziale
prevalente afferma che la tutela di carattere idrogeologico esclude le attività
di tipo edificatorio e si estende anche agli interventi che interessano terreni
non boschivi, purché compresi all'interno dell'area vincolata, essendo palese
l'irrilevanza, ai fini delle esigenze di tutela, che la superficie assoggettata
al vincolo sia boschiva ovvero priva di alberi (Cons. St., sez. V, 28.1.1997,
n. 88. T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II, 22.7.1999, n. 384).
La mancanza in un'area più o meno estesa, organicamente inserita nel tessuto
La mancanza in un'area più o meno estesa, organicamente inserita nel tessuto
boschivo, di alberi ad alto fusto
o di vegetazione non esclude la estraneità di
tale area dal rispetto dei valori
di tutela delle zone boschive, conseguentemente è assoggettabile al vincolo di
inedificabilità (T.A.R. Toscana III Sez. 23/03/1996 n. 237).L'intensa attività
edificatoria in una determinata zona, ampiamente lottizzata, non esclude, ma fa
emergere con maggiore evidenza la necessità di rapportare l'incidenza negativa
di ulteriori interventi edilizi agli scopi propri del vincolo idrogeologico. (T.A.R. Puglia Lecce, sez. III, 8
aprile 2005, n. 1981).
Le zone che possono subire danni
per effetto della eliminazione dei boschi sono sottoposte a vincolo
idrogeologico.
Le norme del r.d.
30.12.1923, n. 3267, consentono sia la sottoposizione a vincolo idrogeologico
di terreni privati che, per effetto di forme di utilizzazione, "possono
con danno pubblico subire denudazioni, perdere la stabilità o turbare il regime
delle acque" (art. 1), sia le trasformazioni di detti terreni -
originariamente riferite alle sole attività agricole e forestali e
successivamente estese dalla giurisprudenza anche ad ogni lavoro di
trasformazione che sia per sua natura o per i mezzi usati capace di arrecare
danni analoghi o maggiori rispetto alle mere trasformazioni agricole (ex art.
21 del regolamento n. 1126/26), incluse le attività di tipo edificatorio -
previa valutazione dell'autorità competente alla gestione e alla tutela del
vincolo stesso (art. 7, r.d. n. 3267 del 1923), perché l'esistenza del vincolo
non interdice in modo assoluto l'attività edificatoria, ma richiede soltanto
che l'intervento progettato sia espressamente autorizzato da quella autorità.
La giurisprudenza ha stabilito
che il vincolo non ha carattere di divieto assoluto.
Per il regime di utilizzazione
controllata dei terreni boschivi e montani legittimamente la pubblica
amministrazione può subordinare ad autorizzazione l'esercizio di quelle forme
di godimento del bene che, in astratto, siano in contrasto con le suddette
finalità, e, corrispondentemente, può vietare quelle utilizzazioni che, in concreto,
pregiudichino l'equilibrio idrogeologico.
La regione è competente a
rilasciare, mediante l’organo fissato dalla relativa legislazione,
l'autorizzazione contemplata dall'art. 7, r.d. 30.12.1923, n. 3267 per gli
interventi da effettuarsi nelle zone sottoposte a vincolo idrogeologico,
trattandosi di autorizzazione affidata alla competenza regionale, ai sensi
dell'art. 69, 2° co., del d.p.r. 24.7.1977, n. 616 (Cosentino e Frasca 2002,
79).
Il
vincolo idrogeologico e forestale disciplinato dal r.d.l. n. 3267 del 1923 non
comporta inedificabilità assoluta, per questo non ogni opera edilizia in zona
vincolata arreca pregiudizio all'interesse pubblico tutelato, ma solo quelle
(opere) che, a seguito di puntuale accertamento, da condursi caso per caso,
risultino con esso pubblico interesse in effettivo contrasto.
Il mancato rilascio
dell’autorizzazione comporta che l’autorità comunale deve negare il permesso di
costruire richiesto.
Pur
dovendosi riconoscere che gli interessi pubblici tutelati dalla legislazione in
materia di boschi e da quella urbanistica sono nettamente distinti ed autonomi,
nel caso in cui l'Autorità comunale, in sede di esame della domanda del
permesso di costruire, ne abbia subordinato il rilascio alla presentazione del
nullaosta del dipartimento alle foreste relativo al vincolo idrogeologico, lo
stesso nullaosta diviene presupposto di legittimità al rilascio della
concessione edilizia e la sua mancanza legittima il diniego dell'assenso
edilizio.
Il mancato rilascio
dell’autorizzazione rende comunque inefficaci i provvedimenti eventualmente
emessi dall’autorità comunale sia quelli relativi ad un singolo permesso di
costruire sia quelli inerenti ad un piano di lottizzazione.
Il
piano di lottizzazione insistente su un terreno sottoposto a vincolo
idrogeologico forestale privo della necessaria autorizzazione dell'autorità
competente deve considerarsi inefficace, per cui legittimamente
l'amministrazione ne prescinde in occasione della formazione del piano
regolatore generale.
(T.A.R. Calabria
Catanzaro, sez. I, 16.6.2003, n. 2032, FATAR, 2003, 2075).
Nel caso di mancata
autorizzazione, o di diniego della stessa, il privato può tutelare il proprio
interesse solo ricorrendo alla giustizia amministrativa.
La
deliberazione della commissione permanente per l'agricoltura, le foreste e
l'economia montana presso la camera di commercio, con la quale è espresso
parere non favorevole sotto l'aspetto idrogeologico e forestale, in ordine a domanda
di sanatoria edilizia presentata ai sensi dell'art. 31 della l. 28.2.1985, n.
47, e il conforme parere negativo dell'ispettorato compartimentale delle
foreste costituiscono determinazioni amministrative idonee a produrre un
definitivo arresto procedimentale e a ledere, conseguentemente, con il
carattere dell'attualità e dell'immediatezza, la posizione giuridica del
soggetto interessato alla conclusione del procedimento, il quale non ha altro
modo di tutelare il proprio interesse pretensivo, se non quello di azionare il
proprio interesse strumentale all'eliminazione dell'atto o del comportamento
preclusivo del successivo sviluppo del procedimento.
(T.A.R. Lazio,
sez. Latina, 21.6.1994, n. 677, FA, 1995, 164).
3. Le sanzioni penali.
L’art. 181, d.lg. 22.1.2004, n.
42, sanziona chiunque, senza la prescritta autorizzazione o in difformità ad
essa, esegue lavori di qualsiasi genere su beni paesaggistici.
Le pene sono determinate per
rinvio a quelle previste dall'articolo 20 della l. 28.2.1985, n. 47, sost. art.
44, d.p.r. 380/2001.
La fattispecie è stata ritenuta applicabile anche al taglio di alberi avvenuto senza preventiva autorizzazione.
La fattispecie è stata ritenuta applicabile anche al taglio di alberi avvenuto senza preventiva autorizzazione.
In materia
paesaggistica, il taglio del bosco eseguito con tecnica a raso e non colturale
configura il reato di cui all'art. 163, d.lg. 29.10.1999, n. 490, ora
sostituito dall'art. 181, d.lg. 22.1.2004, n. 42, stante anche il contrasto con
l'art. 6, d.lg. 18.5.2001, n. 227, disciplinante le attività selvicolturali.
(Cass. Pen., sez.
III, 22.4.2004, n. 18695, DGA, 2005, 400 nota Abrami).
Con la sentenza di condanna viene
ordinata la rimessione in pristino dello stato dei luoghi a spese del
condannato. Copia della sentenza è trasmessa alla regione ed al comune nel cui
territorio è stata commessa la violazione
4. Sanzioni amministrative.
La violazione alle disposizioni
degli artt. 8, 26, e 28 del r.d. 30.12.1923, n. 3267, costituisce
contravvenzione espressamente sanzionata con pena pecuniaria il cui ammontare
può variare dal doppio al quadruplo del valore delle piante tagliate.
Coloro
che nei boschi vincolati per scopi idrogeologici o per gli scopi previsti
dall'art. 17 taglino o danneggino piante o arrechino altri danni, in
contravvenzione alle prescrizioni emanate dal comitato forestale ed alle
disposizioni impartite dalle autorità, di cui al comma secondo dell'articolo
predetto, saranno puniti con una pena pecuniaria dal doppio al quadruplo del
valore delle piante tagliate o del danno commesso, salvo gli obblighi imposti
dagli articoli precedenti.
(art. 26, r.d. 30.12.1923, n. 3267).
(art. 26, r.d. 30.12.1923, n. 3267).
Essa è stata depenalizzata per
effetto della l. 24.10.1981, n. 689, costituendo in precedenza reato a norma
dell'art. 10 della l. 1.3.1975, n. 47 (Cass. 9.6.1989, n. 2792).
È ad essa applicabile
l'orientamento ribadito dalla Cass. Pen., Sez. Un., 18.11.1988, n. 6255, che,
con riguardo a reato contravvenzionale, commesso prima dell'entrata in vigore
della l. 24.11.1981, n. 689, e poi depenalizzato da tale legge, ha affermato la
pregressa estinzione del reato stesso per amnistia.
Tale
interpretazione è invocabile dall'autore della violazione, in forza del
principio del favor rei di cui all'art. 2 c. p., prevalente sulla
retroattività della legge di depenalizzazione, ed è deducibile con
l'opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione pecuniaria
amministrativa, quale ipotesi di insussistenza del fatto sanzionato.
La
normativa è ora disciplinata dalla legislazione regionale.
La
sanzione trova applicazione anche nei casi in cui non si sia verificato un
danno in conseguenza delle opere stesse.
Dalle
disposizioni degli artt. 1, 25 e 27, l. forestale r. Lombardia 5.4.1976, n. 8,
nonché da quella dell'art. 55 del regolamento della stessa regione 23.2.1993,
n. 1, e mod., si evince che la specifica finalità normativa è quella di attuare
misure di prevenzione per la conservazione dello stato dei luoghi, disponendo a
tal fine che qualsiasi attività diretta a mutare l'assetto dei terreni soggetti
a vincolo idrogeologico sia preceduta da autorizzazione amministrativa, in vista
di un pericolo di danno (sempre immanente in quei terreni) che si vuole
scongiurare, punendo le opere abusive (tra le quali gli scavi) con sanzioni
amministrative.
(Cass. civ., sez. I, 19.4.2002, n. 5723, GCM, 2002, 684).
Le funzioni di controllo sul patrimonio
boschivo sono attribuite al Corpo forestale regionale e/o agli organi delle
comunità montane.
La giurisprudenza
ha stabilito che il potere del Corpo forestale regionale di procedere
all'accertamento delle violazioni degli art. 130 e 26, r.d. 30.12.1923, n.
3267, per il taglio di piante in un bosco, atteso che l'art. 13, 4° co., l.
24.11.1981, n. 689, legittima all'accertamento delle violazioni punite con le
sanzioni amministrative pecuniarie anche gli ufficiali di polizia giudiziaria,
tra i quali rientrano anche gli agenti forestali. Nella specie si tratta di
violazione avvenuta nella regione Friuli Venezia Giulia.
La
specifica finalità normativa è quella di attuare misure di prevenzione per la
conservazione dello stato dei luoghi, disponendo a tal fine che qualsiasi
attività diretta a mutare l'assetto dei terreni soggetti a vincolo idrogeologico
sia preceduta da autorizzazione amministrativa, in vista di un pericolo di
danno sempre immanente in quei terreni che si vuole scongiurare, punendo le
opere abusive con sanzioni amministrative.
La
sanzione prevista dal combinato disposto degli artt. 25 e 27, l. Lombardia 5.4.
1976, n. 8, che sanziona l’esecuzione di opere senza la prescritta
autorizzazione. trova applicazione anche nei casi in cui non si sia verificato
un danno in conseguenza delle opere stesse.
(Cass. civ., sez. I, 19.4.2002, n. 5723, GCM, 2002, 684).
Dalla combinata lettura dell'art.
3, l. 26.1.1865, n. 2134, dell'art. 124, 2° co., lett. e), r.d. 30.12.1923, n.
3267 e dell'art. 18, l. 5.1.1933, n. 30, risulta inequivocabilmente espresso il
principio per cui agli agenti accertatori di violazioni alla normativa
forestale spetta la somma corrispondente al quarto dell'importo incassato a
titolo di ammenda, oblazione, pena pecuniaria.
La giurisprudenza distingue
infatti il compenso spettante ai dipendenti del corpo forestale che è
inquadrabile come personale militare, che tuttora persiste, da quello spettante
ai dipendenti civili che è stato riassorbito.
Sebbene l'art. 6,
l. 15.11.1973, n. 734, abbia previsto il versamento integrale dei proventi
contravvenzionali al bilancio dello Stato, con abrogazione di tutte le
disposizioni di ripartizione dei proventi stessi a favore del personale
statale, l'applicazione di tale norma è stata correttamente esclusa nei
confronti del personale militare, in quanto non rientrante nell'ambito dei
"dipendenti civili" dello Stato cui la legge medesima si riferisce,
di modo che anche il personale del Corpo Forestale dello Stato è rimasto
escluso dal divieto di riparto contenuto nel predetto art. 6.
4.1. L’ordinanza ingiunzione.
L'autorità competente, sentiti
gli interessati ed esaminati i documenti, se ritiene fondato l'accertamento,
determina, con ordinanza motivata, la somma dovuta per la violazione e ne
ingiunge il pagamento, insieme con le spese, all'autore della violazione ed
alle persone che vi sono obbligate solidalmente; altrimenti emette ordinanza
motivata di archiviazione degli atti.
L'ordinanza ingiunzione costituisce titolo esecutivo per il pagamento, art. 18, l. 689/1981.
L'ordinanza ingiunzione costituisce titolo esecutivo per il pagamento, art. 18, l. 689/1981.
Secondo il consolidato
orientamento della giurisprudenza il pagamento, da parte dell'indicato autore
della violazione amministrativa, della sanzione irrogata con
l'ordinanza-ingiunzione - il che avviene, di regola, a scopo cautelativo ed al
fine di evitare le conseguenze derivanti dalla natura di titolo esecutivo del
provvedimento sanzionatorio - non comporta di per sé acquiescenza ad essa, né
incide sull'interesse dello stesso ad insorgere in sede giurisdizionale avverso
il provvedimento medesimo. Altrimenti opinando, potrebbero porsi seri dubbi di
illegittimità costituzionale di una interpretazione siffatta per violazione, ai
sensi dell'art. 24, c. 1, cost., del diritto alla tutela
giurisdizionale (Cass. Civ., n. 3735 del 2004).
4.2. L'opposizione.
Legislazione l. 24.11.1981, n. 689, artt. 22 e
22 bis.
Bibliografia Galli 1996.
L'eventuale opposizione
all'ordinanza si deve presentare al giudice ordinario competente per territorio
entro trenta giorni dalla notifica, ai sensi dell'art. 22 della l. 689/1981.
La giurisprudenza ha affermato
che la giurisdizione sulla controversia avente ad oggetto l'opposizione ad una
sanzione amministrativa emessa dalla p.a. è devoluta al giudice ordinario, ai
sensi degli artt. 22 e 22 bis, l. 24.11.1981, n. 689 - norme speciali
rispetto agli artt. 2 e 3, l. 6.12.1971, n. 1034 - a nulla rilevando
l'eventuale pendenza di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo per
l'annullamento del provvedimento, la cui inottemperanza è stata sanzionata,
rilevando gli effetti di quel giudizio non sulla giurisdizione, ma sul merito
del giudizio di opposizione (Cass. Civ., Sez. U., 8.3.2005, n. 4954).
L'opposizione all'ordinanza
irrogativa di una sanzione amministrativa introduce un ordinario giudizio di
cognizione sul fondamento della pretesa dell'autorità amministrativa, cui
spetta l'onere di dimostrarne gli elementi costitutivi. Tuttavia, detta
autorità può avvalersi di presunzioni che trasferiscono a carico dell'intimato
l'onere della prova contraria, purché i fatti sui quali esse si fondano siano
tali da far apparire l'esistenza del fatto ignoto come una conseguenza del
fatto noto, alla stregua di canoni di ragionevole probabilità e secondo regole
di esperienza, restando il relativo giudizio insindacabile in sede di
legittimità se convenientemente motivato sulla base di detti criteri (Cass. Civ., sez. I, 4.2.2005, n.
2363).
Eccezionalmente si consente al
giudice ordinario la possibilità, nel caso in cui consideri l'opposizione
fondata, di annullare un provvedimento amministrativo contrariamente al
principio generale che demanda tale funzione al giudice amministrativo.
Il giudice ordinario può sia
annullare per illegittimità l’atto sanzionatorio sia modificarlo intervenendo
sull’entità della sanzione. (Galli R. 1996, 704).
L'ordinanza è provvedimento
esecutivo, l'opposizione non ne sospende l'esecuzione.
Essa può essere sospesa dal
giudice per gravi motivi.
L'opposizione avverso
l'ordinanza-ingiunzione di pagamento di una somma a titolo di sanzione
amministrativa introduce un giudizio disciplinato dalle regole proprie del
processo civile di cognizione.
Ne consegue che, in caso di
mancata comparizione della parti ad un'udienza successiva alla prima, il
giudice non può convalidare l'ordinanza - ingiunzione e, più in generale, deve
astenersi dal pronunciare nel merito, essendo tenuto ad applicare la norma
dettata dall'art. 309, c.p.c. (Cass. Civ., sez. I, 10.3.2005, n. 5290).
La Corte costituzionale ha
dichiarato la illegittimità dell'art. 23, 5° co., , l. 24.11.1981, n. 689,
nella parte in cui prevede che il giudice convalidi il provvedimento opposto in
caso di assenza ingiustificata dell'opponente (o del suo procuratore) alla
prima udienza "anche quando l'illegittimità del provvedimento risulti
dalla documentazione allegata dall'opponente" (Corte cost. n. 534 del 1990)
nonché "quando l'amministrazione irrogante abbia omesso il deposito dei
documenti di cui allo stesso art. 23, 2° co., l. 24.11.1981, n. 689 (Corte
cost. 507 del 1993).
L'emanazione dell'ordinanza di
convalida è subordinata alla duplice condizione della mancata comparizione
dell'opponente o del suo procuratore e della non fondatezza dell'opposizione,
da valutarsi peraltro in relazione ai motivi del ricorso dai quali è stabilito
l'oggetto del giudizio di opposizione.
Ne consegue l'obbligo del giudice
di motivare in ordine ad entrambi gli indicati presupposti, restando in
particolare escluso che, con riferimento al giudizio di non fondatezza
dell'opposizione, valga a soddisfare siffatto obbligo un generico richiamo alla
"non evidente illegittimità" del provvedimento opposto. (Cass. Civ., sez. I, 16.3.2005, n.
5715).
5. La giurisdizione del giudice
di pace e del tribunale.
Legislazione l. 24.11.1981,
n. 689, art. 22 bis - d.lg. 30.12.1999, n. 507, art. 98.
Bibliografia Barbuto 1999.
L’art. 98, d.lg. 30.12.1999, n.
507, che mod. l’art. 22 bis, l. 24.11.1981, n. 689, attribuisce la
competenza in materia di ordinanze ingiunzione al giudice di pace.
1. Salvo quanto
previsto dai commi seguenti, l'opposizione di cui all'articolo 22 si propone
davanti al giudice di pace.
2. L'opposizione si propone davanti al tribunale quando la sanzione è stata applicata per una violazione concernente disposizioni in materia:
2. L'opposizione si propone davanti al tribunale quando la sanzione è stata applicata per una violazione concernente disposizioni in materia:
omissis
d) di tutela dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette;
(art. 22 bis, l. 24.11.1981, n. 689).
d) di tutela dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette;
(art. 22 bis, l. 24.11.1981, n. 689).
La
giurisprudenza ha riconosciuto che l'opposizione avverso l'ordinanza
ingiunzione di pagamento di sanzione pecuniaria amministrativa si propone non
più davanti al pretore del luogo in cui è stata commessa la violazione, ma
davanti al giudice di pace del luogo in cui questa è stata commessa,
individuato a norma dell'art. 22 bis, l. 24.11.1981, n. 689, come
introdotto dal d.lg. 30.12.1999, n. 507, attuativo della legge di delega
25.6.1999, n. 205.
Rimane al Tribunale la competenza
per determinate materie tassativamente indicate dallo stesso articolo, quali la
tutela del lavoro, la previdenza, l’urbanistica, la tutela dell’ambiente,
l’igiene degli alimenti, le società finanziarie, i tributi, oltre al caso in
cui la sanzione sia superiore a trenta milioni (Barbuto M. 1999, 143).
3. L'opposizione
si propone altresì davanti al tribunale:
a) se per la violazione è prevista una sanzione pecuniaria superiore nel massimo a lire trenta milioni;
b) quando, essendo la violazione punita con sanzione pecuniaria proporzionale senza previsione di un limite massimo, è stata applicata una sanzione superiore a lire trenta milioni;
c) quando è stata applicata una sanzione di natura diversa da quella pecuniaria, sola o congiunta a quest'ultima, fatta eccezione per le violazioni previste dal regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, dalla legge 15 dicembre 1990, n. 386 e dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
4. Restano salve le competenze stabilite da diverse disposizioni di legge.
(art. 22 bis, l. 24.11.1981, n. 689).
a) se per la violazione è prevista una sanzione pecuniaria superiore nel massimo a lire trenta milioni;
b) quando, essendo la violazione punita con sanzione pecuniaria proporzionale senza previsione di un limite massimo, è stata applicata una sanzione superiore a lire trenta milioni;
c) quando è stata applicata una sanzione di natura diversa da quella pecuniaria, sola o congiunta a quest'ultima, fatta eccezione per le violazioni previste dal regio decreto 21 dicembre 1933, n. 1736, dalla legge 15 dicembre 1990, n. 386 e dal decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
4. Restano salve le competenze stabilite da diverse disposizioni di legge.
(art. 22 bis, l. 24.11.1981, n. 689).
L’interprete deve verificare se
la legge regionale sia manifestamente legata alla tutela dell'ambiente
dall'inquinamento e della flora per accertare la competenza del tribunale.
Alle violazioni concernenti disposizioni in materia di tutela dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette è riconducibile la violazione dell'art. 31 lett. g), l. reg. Molise 10.8.1993, n. 19, avente ad oggetto la bruciatura di terreno incolto con erbe infestanti secche e cespugli. (Cass. Civ., sez. I, 30.10.2003, n. 16312).
Alle violazioni concernenti disposizioni in materia di tutela dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette è riconducibile la violazione dell'art. 31 lett. g), l. reg. Molise 10.8.1993, n. 19, avente ad oggetto la bruciatura di terreno incolto con erbe infestanti secche e cespugli. (Cass. Civ., sez. I, 30.10.2003, n. 16312).
6. Il rapporto di specialità.
Legislazione l. 24.11.1981,
n. 689, art. 9, 2° co.
La giurisprudenza ha notato che
il bene giuridico protetto dalla legge regionale è la risorsa sociale ed
economica del settore agro-silvo-pastorale; sicché la tutela del bosco per la
legge regionale prescinde da ogni considerazione relativa alla bellezza
naturale dello stesso, trovando fondamento in interessi di carattere
economico-sociali legati alla produzione e alla commercializzazione del legno.
Da ciò consegue che diversi essendo i beni giuridici protetti dalle due norme non può essere applicato l'art. 9, 2° co., l. 689/1981, che presuppone oltre allo stesso fatto, nella specie taglio del bosco, anche un rapporto di specialità fra la norma statale e la norma regionale escluso come detto dalla diversità dei beni giuridici protetti.
Le norme regionali peraltro sarebbero ugualmente applicabili anche in assenza della legge statale posto che la finalità delle leggi regionali non è quella di prevenire la scomparsa di bellezze naturali, ma quella di preservare i boschi, anche se non di particolare pregio naturale.
Da ciò consegue che diversi essendo i beni giuridici protetti dalle due norme non può essere applicato l'art. 9, 2° co., l. 689/1981, che presuppone oltre allo stesso fatto, nella specie taglio del bosco, anche un rapporto di specialità fra la norma statale e la norma regionale escluso come detto dalla diversità dei beni giuridici protetti.
Le norme regionali peraltro sarebbero ugualmente applicabili anche in assenza della legge statale posto che la finalità delle leggi regionali non è quella di prevenire la scomparsa di bellezze naturali, ma quella di preservare i boschi, anche se non di particolare pregio naturale.
La giurisprudenza ha rilevato che
l'art. 9, 2° co., l. 689/1981, trova applicazione solo quando
le norme che sanzionino un medesimo fatto, nella specie taglio del bosco, si
trovino fra loro in rapporto di specialità, che deve escludersi quando sia
diversa l'obiettività giuridica degli interessi protetti dalle due norme.
In tema di
sanzioni amministrative, l'art. 9, 2 °co., l. 24.11.1981, n. 689 - a tenore del
quale quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una
disposizione regionale che preveda una sanzione amministrativa, si applica in
ogni caso la disposizione penale - in tanto opera in quanto le norme
sanzionanti un medesimo fatto si trovino fra loro in rapporto di specialità, il
quale deve escludersi quando sia diversa l'obiettività giuridica degli
interessi protetti dalle due norme. Non sussiste pertanto un rapporto di
specialità tra la disposizione penale di cui all'art. 1 sexies, l.
8.8.1985, n. 431, dettata a protezione delle bellezze naturali, e gli art. 6 e
11 l. reg. Lombardia 27.1.1977, n. 9, che - configurando come illecito
amministrativo il taglio senza denuncia o non autorizzato dei boschi -
prescindono da ogni considerazione relativa alla bellezza naturale dello
stesso.
Il fondamento della disposizione
è costituito dalla necessità di non eludere il comando più gravemente
sanzionato attraverso disposizioni amministrative favorevoli.
L'art. 9, 2° co., l. 689/1981, afferma l'impossibilità di
eludere il precetto penale attraverso la disposizione - da parte del
legislatore regionale o provinciale - di sanzioni amministrative applicabili in
luogo di quelle penali, per la riferita relazione di specialità, senza
possibilità di cumularle (Cass. Civ., sez. I, 22.11.2004,
n. 21967).
CAPITOLO VI B
LA TUTELA DEGLI HABITAT
NATURALI.
SOMMARIO: 1. La conservazione
degli habitat naturali.
2. Le funzioni statali e
regionali nell’interpretazione della Corte costituzionale.
1. La conservazione degli habitat
naturali.
Legislazione: dir. 92/43/CE,
artt. 5, 21 - d.p.r. 8.9.1997, n. 357, art. 3.
Il Ministero dell'ambiente, con
il d.m. 3.4.2000, ha pubblicato l'elenco dei siti di importanza comunitaria e
delle zone di protezione speciale che meritano particolare tutela.
Questi siti sono individuati e
proposti dalle Regioni e dalle Province autonome e trasmessi, dallo stesso
Ministero, alla Commissione europea in attuazione della direttiva 79/409/CEE e
della direttiva 92/43/CE.
Quest'ultima, finalizzata a
salvaguardare la biodiversità mediante la conservazione degli habitat
naturali, nonché della flora e della fauna selvatiche nel territorio europeo,
ex art. 2,
dir. 92/43/CE, prevede la costituzione di una
rete ecologica europea coerente di zone speciali di conservazione, denominata
Natura 2000, ex art. 3, dir. 92/43/CE.
A tal fine, ogni Stato membro
propone alla Commissione europea un elenco di siti degli habitat
naturali e delle specie locali scelti tra quelli indicati nella direttiva.
La Commissione, d'accordo con
ciascuno degli Stati, elabora un progetto di elenco dei siti di importanza
comunitaria che è poi approvato secondo il complesso procedimento descritto
nell'art. 21, dir. 92/43/CE.
Inoltre, l'art. 5, dir. 92/43/CE,
prevede anche che la Commissione, ove constati l'assenza di un sito
particolarmente significativo da un elenco nazionale, possa attivare una
procedura di concertazione con lo Stato interessato e, ove questa non si
risolva entro sei mesi, far decidere in materia il Consiglio dei ministri della
Comunità europea.
Quando un sito è stato scelto
dalla Commissione sulla base delle descritte procedure, esso deve essere
designato dallo Stato interessato come zona speciale di conservazione entro il
termine massimo di sei anni.
Solo al momento in cui un sito
risulti iscritto nell'elenco approvato in sede comunitaria, esso diventa
soggetto al regime di tutela previsto dalle disposizioni dell'art. 6, paragrafi
2, 3 e 4, dir. 92/43/CE.
In base a tali previsioni, gli
Stati membri sono tenuti ad adottare le opportune misure atte ad evitare il
degrado degli habitat naturali e degli habitat di specie, nonché il
turbamento delle specie presenti nel sito; inoltre, si stabilisce la necessità
di una preventiva valutazione di incidenza sul sito di qualunque piano o
progetto che non sia direttamente connesso o necessario alla sua gestione, con
l'ulteriore conseguenza, in caso di valutazione negativa, dell'obbligo per lo
Stato membro di adottare misure compensative.
Non risulta
violato l'art. 6, 3° co., della direttiva n. 92/43 né il regolamento di
recepimento di cui al d.p.r. 8.9.1997, n. 357, che impongono la necessaria
valutazione di incidenza degli effetti dell'opera su habitat, flora e
fauna su siti di importanza comunitaria - SIC e zone di protezione speciale -
ZPS laddove nell'ambito della più ampia procedura di valutazione di impatto
ambientale sia presentato uno studio di impatto comprensivo di un'analisi
globale sull'ambiente, incluse flora, fauna ed habitat naturale che
analizzi adeguatamente le interferenze delle opere sull'ambiente in termini
sostanzialmente corrispondenti a quanto richiesto dalla direttiva n. 92/43 e
dal d.p.r. 357 del 1997.
(T.A.R. Veneto,
sez. I, 26.7.2004, n. 2480, RGA, 2005, 359. Nota Barichello E. 2005,
363).
La Commissione ha, peraltro,
invitato gli Stati membri ad adeguarsi affinché sia evitato il degrado dei siti
iscritti negli elenchi nazionali.
Il d.p.r. 8.9.1997, n. 357, ha
dato attuazione alla direttiva 92/43/CE; in particolare, l'art. 3 di tale
regolamento definisce la procedura d'individuazione dei siti comprendenti gli habitat
e le specie di cui agli allegati I e II della direttiva.
Esso stabilisce che le Regioni e
le Province autonome di Trento e di Bolzano individuano, con proprio
procedimento, i siti in cui si trovano tipi di habitat che abbiano le
caratteristiche di quelli elencati nell'allegato A e habitat che
comprendano le specie di cui all'allegato B e ne diano comunicazione al
Ministero dell'ambiente, ai fini della formulazione della proposta dei siti di
importanza comunitaria da parte del Ministro dell'ambiente alla Commissione
europea, per costituire la rete ecologica europea coerente di zone speciali di
conservazione denominata Natura 2000.
Nella formazione della rete
ecologica europea "Natura 2000-programma Bioitaly", volta a individuare
a livello europeo i "Siti di interesse comunitario" (Sic) nonché le
"Zone di protezione speciale" (Zps), la direttiva n. 92/43/Cee
"Habitat" del 21.5.1992 evidenzia l'obbligo della conservazione degli
habitat naturali e seminaturali della flora e della fauna selvatiche mediante
l'individuazione appunto dei Sic e delle Zps, queste ultime designate anche ai
sensi della direttiva n. 79/409/Cee "Uccelli".
Queste direttive hanno avuto la
loro applicazione normativa mediante il d.p.r. 8.9.1997 n. 357.
Questo decreto prevede, tra
l'altro, che i proponenti di piani territoriali, urbanistici e di settore
presentino al Ministero dell'ambiente, se di rilevanza nazionale, o alle
regioni, se di rilevanza regionale o provinciale, la "valutazione di
incidenza", ex art. 5, d.p.r. 8.9.1997 n. 357, ossia una relazione
documentata per individuare e valutare i principali effetti di valenza
naturalistico-ambientale che il piano può avere sul Sic, tenuto conto degli
obiettivi di conservazione del medesimo.
Ne sono esclusi gli interventi ai
quali già si applica la procedura di valutazione d'impatto ambientale (Via), ex
art. 6, l. 8.7.1986, n. 349, e d.p.r. 12.4.1996, nell'ambito della quale deve
operare anche il subprocedimento della "valutazione di incidenza",
secondo l'art. 5, 3° e 4° co., d.p.r. 8.9.1997 n. 357 (T.A.R. Campania Salerno, sez. II,
23.3.2004, n. 206,
FATAR, 2004, 805).
Gli Stati membri devono adottare
le opportune misure per evitare nelle zone speciali di conservazione il degrado
degli habitat naturali e degli habitat di specie nonché la perturbazione delle
specie per cui le zone sono state designate, nella misura in cui tale
perturbazione potrebbe avere conseguenze significative per quanto riguarda gli
obiettivi della presente direttiva.
La giurisprudenza limita
l’obbligatorietà di queste misure di salvaguardia solamente ai siti iscritti.
L'art. 4, n. 5, della direttiva del Consiglio 21.5.1992, n. 92/43/Cee, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, deve essere interpretato nel senso che le misure di salvaguardia da questa previste all'art. 6, n. 2 - 4, si impongono soltanto in relazione ai siti che siano iscritti, in conformità dell'art. 4, n. 2, comma 3, della direttiva stessa, nell'elenco di quelli selezionati come siti di importanza comunitaria adottato dalla Commissione delle Comunità europee secondo la procedura prevista dall'art. 21 del detto testo normativo.
(Corte giust. CE,
sez. II, 13.1.2005, n. 117, DGA, 2005, 224 nota Di Dio).
La compressione del diritto di
edificare effettuata da tale procedura imposta dalla direttiva 92/43/CE è
sicuramente rilevante e tale da modificare anche gli strumenti attuativi già
adottati.
Si tratta di provvedimenti tesi
ad accertare lo stato naturale dei luoghi che non comportano l’obbligo di
indennizzo delle proprietà interessate.
L'avvenuta
adozione di un piano regolatore particolareggiato di iniziativa privata (in
pratica di una lottizzazione) non ne comporta necessariamente l'approvazione,
ben potendo il Consiglio comunale, in base all'art. 45, 4° co., l. r.
19.11.1991, n. 52, deliberarne la riadozione o rielaborazione totale o
parziale, ed a tale risultato si può pervenire anche per la tutela di una
specie classificata come prioritaria ai sensi della direttiva 92/43/Cee,
scoperta nell'ambito della lottizzazione, e di tali esigenze non può farsi
carico, ai sensi dell'art. 4, d.p.r. n. 357, del 1997 la sola Regione, estranea
al procedimento di approvazione, ma anche il Comune, in quanto l'art. 6
paragrafo 2, della predetta direttiva obbliga gli Stati membri, e quindi tutte
le loro articolazioni, ad adottare le misure necessarie ad evitare il degrado
delle specie protette.
(T.A.R. Friuli
Venezia Giulia, 23.2.2002, n. 38, FATAR, 2002, 432).
2. Le funzioni statali e
regionali nell’interpretazione della Corte costituzionale.
La Corte costituzionale ha
definito l'esatta portata del d.p.r. 357/1997 nei confronti del conseguente
potere ministeriale.
La Corte ha precisato che esso
sarebbe limitato ad un mero compito di formalizzazione e trasmissione alla
Commissione europea di decisioni assunte in sede locale.
Il d.p.r. n. 357
del 1997, mira esclusivamente a porre l'autorità di governo nazionale in
condizione di adempiere all'obbligo di comunicazione derivante dalla direttiva,
senza che vi sia in essa alcun elemento da cui arguire uno spostamento di
competenze circa il diverso potere di individuazione sostanziale dei siti da
sottoporre a speciale protezione, potere che rimane disciplinato dalle norme
sui rapporti Stato-Regioni e Province autonome in materia ambientale.
(Corte cost.,
10.11.1999, n. 425).
Sulla base di tali norme, nonché
del dettato dell'art. 3 del d.p.r. 357 del 1997, secondo l'interpretazione
datane dalla Corte costituzionale con la sentenza richiamata, sarebbe riservato
alla competenza costituzionale della Regione il procedimento di individuazione
sostanziale dei siti di importanza comunitaria ai sensi della direttiva
92/43/CE.
Esso sarebbe distinto rispetto
alle operazioni preliminari di ricognizione scientifica dei luoghi costituenti habitat
naturali delle specie vegetali ed animali potenzialmente meritevoli di tutela
che le Regioni dovevano eseguire nell'ambito del progetto Bioitaly
predisposto dal Ministero in vista dell'attuazione della direttiva.
La Corte ha dichiarato
inammissibile il conflitto di interessi fra Stato e regioni in quanto il d.m.
3.4.2000 rappresenta soltanto lo strumento attraverso il quale si è ritenuto
opportuno rendere pubblici elenchi di siti proposti già trasmessi alla
Commissione europea e, proprio al fine di evitare interpretazioni distorte del
decreto stesso, il legislatore ha provveduto a correggere il suo titolo
evidenziando che i siti ivi elencati sarebbero soltanto oggetto di proposta.
È inammissibile
il conflitto di attribuzione proposto dalla provincia autonoma di Trento nei confronti
dello Stato, in relazione al decreto del Ministro dell'ambiente 3.4.2000,
nonché all'atto, avente estremi non noti, con cui il Ministero dell'ambiente ha
trasmesso alla Commissione europea l'elenco dei siti di importanza comunitaria
ubicati nel territorio della provincia di Trento.
Premesso che
l'art. 3, d.p.r. 8.9.1997, n. 357, il quale riserva alle regioni e alle
province autonome il compito di individuare, con proprio procedimento, i siti
in cui si trovano gli habitat elencati in allegato al decreto stesso ed
assegna al Ministero il compito di formulare alla Commissione europea la
proposta dei siti di importanza comunitaria, mira esclusivamente a porre
l'autorità di governo nazionale in condizione di adempiere all'obbligo di
comunicazione derivante dalla direttiva, senza che vi sia in essa alcun
elemento da cui arguire uno spostamento di competenze circa il diverso potere
di individuazione sostanziale dei siti da sottoporre a speciale protezione -
potere che rimane disciplinato dalle norme sui rapporti Stato-regioni e
province autonome in materia ambientale - deve escludersi che gli atti
impugnati siano idonei ad incidere sulle attribuzioni costituzionali della
provincia di Trento, non avendo determinato alcuna lesione delle potestà di
quest'ultima, che ben avrebbero potuto e potrebbero tuttora essere esercitate.
(Corte cost.,
22.7.2003, n. 265).
1.
2. Le sanzioni.
Rilevato come Luigi Di Biase
abbia adito quest'ultimo giudice in sede di opposizione avverso l'ordinanza n.
4212 emessa dalla Provincia di Campobasso il 12.12.2001 con la quale gli era
stato ingiunto il pagamento a favore della Regione Molise della somma di lire
400.000 (euro 206,58), oltre gli accessori, a titolo di sanzione amministrativa
per avere, in violazione dell'art. 31, lettera g), della legge della medesima
Regione n. 19 del 10 agosto 1993, punita a norma dell'art. 38, comma secondo,
lettera c), della legge sopra citata, praticato "la bruciatura di terreno
incolto con erbe infestanti secche e cespugli e sporadiche piante di cerro,
ciliegio selvatico e pero selvatico, per una superficie ragguagliata di mq. 500
circa".
Rilevato come detto giudice, con ordinanza del 1 1.2002, abbia "rigettato" il ricorso sul rilievo che, a norma dell'art. 98 del decreto legislativo n. 205 del 1999 di modifica della legge n. 689 del 1981 (rectius, dell'art. 98 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, il quale ha aggiunto l'art. 22 - bis alla richiamata legge n. 689 del 1981), "la contestazione sollevata al ricorrente dal Corpo Forestale di Sant'Elia a Pianisi in data 12.9.2001 oggetto del presente ricorso non rientra nelle ipotesi ivi enunciate".
Rilevato come il già menzionato art. 22 - bis della legge n. 689-1981, al primo comma, stabilisca che l'opposizione di cui all'art. 22 si propone davanti al giudice di pace "salvo quanto previsto dai commi seguenti".
Rilevato come il secondo comma del medesimo art. 22 - bis preveda espressamente che l'opposizione si propone davanti al tribunale quando la sanzione è stata applicata per una violazione concernente disposizioni in materia, tra l'altro, "di tutela dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette" (lettera "d").
Ritenuto che in siffatta previsione debba ricondursi la violazione ascritta al Di Biase, contemplata da una disposizione (l'art. 31, lettera "g") la quale figura racchiusa in una legge regionale (la n. 19 del 1993) recante "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. Ecologia" e che, nella parte in cui fa divieto di "bruciare sui campi le stoppie delle culture graminacee e leguminose nonché prati, erbe palustri ed infestanti, anche nei terreni incolti...", appare manifestamente legata alla "tutela dell'ambiente dall'inquinamento (e) della flora".
Rilevato come detto giudice, con ordinanza del 1 1.2002, abbia "rigettato" il ricorso sul rilievo che, a norma dell'art. 98 del decreto legislativo n. 205 del 1999 di modifica della legge n. 689 del 1981 (rectius, dell'art. 98 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, il quale ha aggiunto l'art. 22 - bis alla richiamata legge n. 689 del 1981), "la contestazione sollevata al ricorrente dal Corpo Forestale di Sant'Elia a Pianisi in data 12.9.2001 oggetto del presente ricorso non rientra nelle ipotesi ivi enunciate".
Rilevato come il già menzionato art. 22 - bis della legge n. 689-1981, al primo comma, stabilisca che l'opposizione di cui all'art. 22 si propone davanti al giudice di pace "salvo quanto previsto dai commi seguenti".
Rilevato come il secondo comma del medesimo art. 22 - bis preveda espressamente che l'opposizione si propone davanti al tribunale quando la sanzione è stata applicata per una violazione concernente disposizioni in materia, tra l'altro, "di tutela dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree protette" (lettera "d").
Ritenuto che in siffatta previsione debba ricondursi la violazione ascritta al Di Biase, contemplata da una disposizione (l'art. 31, lettera "g") la quale figura racchiusa in una legge regionale (la n. 19 del 1993) recante "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. Ecologia" e che, nella parte in cui fa divieto di "bruciare sui campi le stoppie delle culture graminacee e leguminose nonché prati, erbe palustri ed infestanti, anche nei terreni incolti...", appare manifestamente legata alla "tutela dell'ambiente dall'inquinamento (e) della flora".
In tema di sanzioni
amministrative ed in ipotesi di opposizione ad ordinanza ingiunzione, ai sensi
dell'art. 22 bis comma 2 l. n. 689 del 1981, è competente il tribunale quando
si tratti di violazioni concernenti disposizioni in materia di tutela
dell'ambiente dall'inquinamento, della flora, della fauna e delle aree
protette. Ad esse è riconducibile la violazione dell'art. 31 lett. g) l. reg.
Molise 10 agosto 1993 n. 19, avente ad oggetto la bruciatura di terreno incolto
con erbe infestanti secche e cespugli.
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