Ambiente. L’impianto di produzione di energia
elettrica e calore che utilizza rifiuti. Necessità VIA. Localizzazione.
Ai fini della normativa di
tutela ambientale l’impianto di produzione di energia elettrica e calore che
utilizza rifiuti e produce sostanze chimiche non va considerato come un mero
impianto di produzione di energia bensì un impianto di recupero di dette
sostanze.
Ai fini dell'applicazione
della normativa in materia ambientale, infatti, non rileva soltanto il prodotto
finale costituito dall'energia bensì il processo produttivo utilizzato e la
matrice organica di ingresso nell'impianto, oltreché il materiale di risulta,
ossia il digestato.
L'Allegato C alla parte
quarta del D. lgs 152 del 2006, il cosiddetto Testo Unico dell'ambiente ,
elenca espressamente tra le operazioni di recupero dei rifiuti la loro
utilizzazione come combustibile o come altro mezzo per produrre energia (vedi
la categoria R1).
L'utilizzazione del rifiuto
per produrre energia comporta la sottoposizione dell'impianto realizzato alla
normativa in materia di recupero dei rifiuti.
Per la giurisprudenza i liquami hanno natura di
rifiuti.
Un impianto di produzione di
energia elettrica e calore che utilizza rifiuti e produce sostanze chimiche, ai
fini della normativa di tutela ambientale, non va considerato come un mero
impianto di produzione di energia bensì un impianto di recupero di dette
sostanze e ai fini dell'applicazione della normativa in materia ambientale non
rileva soltanto il prodotto finale costituito dall'energia bensì il processo
produttivo utilizzato e la matrice organica di ingresso nell'impianto, oltreché
il materiale di risulta, ossia il digestato.
Anche il digestato,
risultante dalla trasformazione del biogas in energia costituisce rifiuto.
Esso è così qualificato
dall'allegato D alla parte quarta del codice dell'ambiente. Infatti, al punto
19.06.06 è indicato il "digestato prodotto dal trattamento anaerobico di
rifiuti di origine animale o vegetale" né esso può essere considerato un
sottoprodotto stante la necessità di un post trattamento.
Infatti, il digestato, in
uscita dalla linea di fermentazione, viene inviato al separatore liquido -
solido posizionato al centro delle due vasche di stoccaggio. "la parte
solida cade direttamente dal separatore in un container che servirà per il
trasporto della sostanza all'interno del capannone. Esso sarà dimensionato per
contenere ca. 2.000 metri cubi di solido, vale a dire la parte solida prodotta
dall'impianto in un arco di tempo di circa 7-8 mesi. La parte liquida separata
potrà essere stoccata in una delle due vasche di stoccaggio delle linee di fermentazione
a seconda delle esigenze.
In definitiva ricorrono le
condizioni di cui al D. M. 5/2/10998 per considerare questo biogas come rifiuto
essendo il risultato del recupero di rifiuti e per considerare l'impianto in
parola come un impianto di recupero di rifiuti ad ogni effetto.
L'Allegato C alla parte
quarta del d.lgs. n. 152 del 2006, il cosidetto Testo Unico dell'ambiente,
elenca espressamente tra le operazioni di recupero dei rifiuti la loro
utilizzazione come combustibile o come altro mezzo per produrre energia
(categoria R1) e pertanto l'utilizzazione del rifiuto per produrre energia
comporta la sottoposizione dell'impianto realizzato alla normativa in materia
di recupero dei rifiuti. T.A.R. Emilia Romagna Bologna, sez. II, 9.7.2008, n.
3296.
La modifica del testo unico
dell'ambiente, adottata con D.Lgs. 4 del 2008, ha modificato l'art. 185 introducendo
ancorché "potenzialmente" i liquami tra i sottoprodotti qualora utilizzati
per produrre biogas. In particolare l'art. 185 novellato stabilisce che possono
essere sottoprodotti, nel rispetto delle condizioni della lettera p), comma 1,
dell'art. 183: materiali fecali e vegetali provenienti da attività agricole o
in impianti aziendali o interaziendali per produrre energia o calore o biogas.
Alla luce della nuova
normativa, dunque, qualora i liquami soddisfacessero i requisiti di cui
all'art. 183, comma 1, lett. p), ne deriverebbe che gli impianti di produzione
di biogas non dovrebbero essere considerati impianti di recupero dei rifiuti.
L'assoggettamento del regime
autorizzativo dell'impianto di biogas alla normativa sui rifiuti si ha qaundo
gran parte delle sostanze da cui deriva il biogas costituiscono un rifiuto e,
pertanto, l'impianto in parola ben può essere considerato anche un impianto di
recupero dei rifiuti non pericolosi...
I liquami, ai sensi del
D.Lgs. 152 del 2006 non potevano rientrare nella nozione di sottoprodotto
proprio perché indicati nella citata tabella dei rifiuti e, poi, perché non
ricompresi nella nozione generale di sottoprodotto di cui all'art. 183 dello
stesso D.Lgs.
Il loro utilizzo per produrre
energia richiedeva la trasformazione in biogas e, quindi, una trasformazione tramite
un successivo processo produttivo, dovendosi ritenere cumulativi i requisiti
indicati dallo stesso art. 183.
Possibili profili di
problematicità della esclusione dall'ambito di applicazione della normativa sui
rifiuti delle suddette sostanze organiche sussistono anche alla luce della
novella legislativa.
Rimane da verificare
l'esistenza dell'ulteriore requisito imposto dalla normativa comunitaria
"ossia se per il riutilizzo occorrono operazioni di deposito che possono
avere una certa durata, e quindi rappresentare un onere per il detentore nonché
essere potenzialmente fonte di quei danni per l'ambiente che la normativa mira
specificamente a limitare, esso non può essere considerato certo e né
prevedibile solo a più o meno lungo termine, cosicché la sostanza di cui
trattasi deve essere considerata, in linea di principio, come rifiuto (Corte di
Giustizia CE, Sez. III, 18 dicembre 2007, causa C-263/05)". E. Tanzarella,
Nota a Tar Bologna, Sez. II, 9 luglio 2008 n.3296, Riv. giur. ambiente 2009, 1,
203
La giurisprudenza ha precisato
che ai fini della applicazione della v.i.a. gli impianti di recupero dei
rifiuti vanno ad ogni effetto equiparati a quelli di smaltimento.
È altresì fondata la censura
con la quale i ricorrenti rilevano il mancato rispetto della normativa che
disciplina la V.I.A. ed in particolare la direttiva CEE 85/337 e la legge
regionale Emilia - Romagna n. 9 del 1999 in tema di procedura di verifica
"screening" ed eventualmente, all'esito della stessa, al successivo
assoggettamento del progetto alla ulteriore procedura di V.I.A., prevista dagli
artt. da 11 a 18, in quanto il biogas ed il digestato sarebbero prodotti
chimici.
Infatti, appare decisiva a
tal fine la qualificazione normativa di cui all'allegato I, paragrafo 4.3 del
D. lgs 59/05 che espressamente ricomprende tra gli impianti chimici quelli
"per la fabbricazione di fertilizzanti a base di fosforo, azoto o potassio
(fertilizzanti semplici o composti)", senza distinguere tra i vari
processi di produzione, di sintesi o meno.
L'allegato II alla direttiva
85/337 ricomprende tra l'industria chimica (progetti non ricompresi
nell'allegato I per i quali la V.I.A. è obbligatoria perché imposta dalla
direttiva stessa) gli impianti di "trattamento di prodotti intermedi e
fabbricazione di prodotti chimici".
L'articolo 4 della legge
regionale n. 9 del 1999 dispone che i progetti di cui agli allegato B1, B2, B.
3, che non ricadono all'interno di aree naturali protette, sono assoggettati
alla procedura di verifica, il cosiddetto screening, ai sensi degli articoli 9
e 10 della stessa legge.
Il punto B. 1.10 del citato
allegato prevede gli impianti "trattamento di prodotti intermedi e
fabbricazione di prodotti chimici, per una capacità superiore alle 10.000
t/annuo di materie prime lavorate"
Conseguentemente, l'impianto
in contestazione doveva essere sottoposto alla procedura di
"screening" anche per questa ragione.
Inoltre anche il digestato,
risultante dalla trasformazione del biogas in energia costituisce rifiuto.
Esso è così qualificato
dall'allegato D alla parte quarta del codice dell'ambiente. Infatti, al punto
19.06.06 è indicato il "digestato prodotto dal trattamento anaerobico di
rifiuti di origine animale o vegetale" né esso può essere considerato un
sottoprodotto stante la necessità di un post trattamento. Infatti, il
digestato, in uscita dalla linea di fermentazione, viene inviato al separatore
liquido - solido posizionato al centro delle due vasche di stoccaggio. "la
parte solida cade direttamente dal separatore in un container che servirà per
il trasporto della sostanza all'interno del capannone. Esso sarà dimensionato
per contenere ca. 2.000 metri cubi di solido, vale a dire la parte solida
prodotta dall'impianto in un arco di tempo di circa 7-8 mesi. La parte liquida
separata potrà essere stoccata in una delle due vasche di stoccaggio delle
linee di fermentazione a seconda delle esigenze".
In definitiva ricorrono le
condizioni di cui al D. M. 5/2/10998 per considerare questo biogas come rifiuto
essendo il risultato del recupero di rifiuti e per considerare l'impianto in
parola come un impianto di recupero di rifiuti ad ogni effetto.
Sulla non classificabilità del biogas quale rifiuto si registra il seguente precedente del T.A.R. Sicilia,
Palermo, Sez. I, 24 maggio 2007, n. 1430, in Ragiusan, 2008, 157.
Il biogas residuale dal ciclo
di depurazione dei reflui aziendali, utilizzato come combustibile gassoso costituisce
un prodotto intermedio del complessivo ciclo di produzione aziendale
strettamente funzionale al suo reimpiego per la produzione di energia termica,
e finalizzato ad un tempo al risparmio energetico e al rispetto dell'ambiente,
non qualificabile come rifiuto, poiché esso viene riutilizzato, senza alcuna
operazione di "disfarsi", vale a dire senza trasformazioni
assimilabili ad operazioni di rifiuto-smaltimento di rifiuti a trasformazioni
tecnologiche". Quanto alla necessità di via per gli impianti destinati
alla produzione di energia da fonti rinnovabili T.A.R. Puglia, Bari, Sez. III,
11 settembre 2007, n. 2107, in Amb. Svil., 2008, 2, p. 168. In generale sull'energia
da fonti rinnovabili, con particolare attenzione alla proposta Commissione
europea 23 gennaio 2008 di direttiva per raggiungere l'obiettivo comunitario
consistente nel soddisfare, entro il 2020, mediante fonti rinnovabili, il 20%
del consumo interno di energia, M. D'Auria, La proposta di direttiva sulle
energie rinnovabili: la strategia europea", Rivista GA, 2008, 927.
Inoltre anche il digestato,
risultante dalla trasformazione del biogas in energia costituisce rifiuto.
Esso è così qualificato dall'allegato
D alla parte quarta del codice dell'ambiente. Infatti, al punto 19.06.06 è
indicato il "digestato prodotto dal trattamento anaerobico di rifiuti di
origine animale o vegetale" né esso può essere considerato un
sottoprodotto stante la necessità di un post trattamento. Infatti, il
digestato, in uscita dalla linea di fermentazione, viene inviato al separatore
liquido - solido posizionato al centro delle due vasche di stoccaggio. "la
parte solida cade direttamente dal separatore in un container che servirà per
il trasporto della sostanza all'interno del capannone. Esso sarà dimensionato
per contenere ca. 2.000 metri cubi di solido, vale a dire la parte solida
prodotta dall'impianto in un arco di tempo di circa 7-8 mesi. La parte liquida
separata potrà essere stoccata in una delle due vasche di stoccaggio delle
linee di fermentazione a seconda delle esigenze".
In definitiva ricorrono le
condizioni di cui al D. M. 5/2/10998 per considerare questo biogas come rifiuto
essendo il risultato del recupero di rifiuti e per considerare l'impianto in
parola come un impianto di recupero di rifiuti ad ogni effetto.
La Corte costituzionale ha verificato la
costituzionalità delle legislazione
regionale che hanno regolamentato la procedura semplificata per la realizzazione
e la gestione di impianti di generazione dell'energia elettrica da biometano e
biogas
E’ stata dichiarata
l'illegittimità costituzionale dell'art. 17, comma 9, della legge della Regione
autonoma Sardegna 30 giugno 2011, n. 12 , che limita a soggetti individuati
(imprenditori agricoli professionali iscritti da almeno tre anni alla Camera di
commercio; giovani imprenditori agricoli; società agricole), la possibilità di
esperire una procedura semplificata per la realizzazione e la gestione di impianti
di generazione dell'energia elettrica da biometano e biogas , atteso che tale
normativa censurata non può dirsi rientrare nei margini di scelta consentiti
alle Regioni, poiché nella legislazione statale nulla permette di giustificare
una restrizione all'accesso alla procedura semplificata su base soggettiva, sia
per ragioni testuali, sia considerando lo spirito dell'intera normativa, volto
a promuovere la diffusione delle energie rinnovabili. Corte Costituzionale,
20/04/2012, n. 99
Il legislatore statale,
infatti, attraverso la disciplina delle procedure per l'autorizzazione degli
impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili, ha introdotto principi
che, per costante giurisprudenza di questa Corte, non tollerano eccezioni
sull'intero territorio nazionale, in quanto espressione della competenza
legislativa concorrente in materia di energia, di cui all'art. 117, terzo
comma, della Costituzione, e, con specifico riferimento alla Regione autonoma
Sardegna, di cui all'art. 4, primo comma, lettera e), dello statuto.
La Corte ha ripetutamente
affrontato tale problematica con riferimento al decreto legislativo 29 dicembre
del 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla
promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel
mercato interno dell'elettricità) (ex multis, sentenze nn. 310, 308 e 107 del
2011; nn. 194, 168, 124, 120 e 119 del 2010; n. 282 del 2009 e n. 364 del
2006), e al decreto del Ministero dello sviluppo economico 10 settembre 2010
(Linee guida per l'autorizzazione degli impianti alimentati da fonti
rinnovabili) (sentenze n. 308 del 2011 e n. 344 del 2010).
Nel caso oggi in esame, va
riaffermato il medesimo principio con riferimento al decreto legislativo n. 28
del 2011, rispetto al quale la normativa regionale è in questa sede censurata.
Il decreto legislativo n. 28 del 2011 reca norme di attuazione della direttiva
2009/28/CE del 23 aprile 2009, che in materia di procedure di autorizzazione di
impianti per la produzione di energie rinnovabili invita gli Stati membri a
preferire procedure semplificate e accelerate, prevedendo tra l'altro forme
procedurali meno gravose per i progetti di piccole dimensioni (art. 13).
L'art. 6 del d.lgs. n. 28 del
2011, in attuazione della direttiva europea sopra menzionata, disciplina una procedura
abilitativa semplificata per la costruzione e l'esercizio di impianti
alimentati da fonti energetiche rinnovabili, riconoscendo inoltre alle Regioni
e alle Province autonome la facoltà di estendere «la soglia di applicazione
della procedura semplificata agli impianti di potenza nominale fino a 1 MW
elettrico.
Essa definisce, altresì, i casi in cui essendo
previste autorizzazioni ambientali o paesaggistiche di competenza di
amministrazioni diverse dal Comune, la realizzazione e l'esercizio
dell'impianto e delle opere connesse sono soggette altresì all'autorizzazione
unica», disciplinata al successivo art. 5 del medesimo d.lgs. n. 28 del 2011.
La disposizione statale,
dunque, - recependo tanto il generale orientamento di favore della direttiva
europea verso la produzione di energia da fonti rinnovabili (sentenza n. 124
del 2010), quanto, più specificamente, per gli aspetti procedimentali rilevanti
ai fini della presente decisione, l'obiettivo di estendere al massimo il ricorso
a procedure leggere, che incentivino l'insorgere di impianti anche di piccole
dimensioni - ha introdotto una procedura semplificata, dando altresì facoltà
alle Regioni di estenderne l'ambito di applicazione fino ad una soglia massima
di potenza di energia elettrica pari a 1 MW. A fronte di tale disciplina,
europea e nazionale, la legge regionale interviene con una disposizione
restrittiva, che limita sul piano soggettivo il ricorso alla procedura
semplificata, individuando nominativamente i tipi di operatori economici
ammessi al beneficio procedurale. In tal modo la legge regionale si pone in
contrasto con la disposizione statale contenuta nell'art. 6 del d.lgs. n. 28
del 2011, considerata tanto nel suo tenore testuale, quanto nel principio
fondamentale che essa esprime, di favore per la semplificazione delle procedure
necessarie all'installazione di impianti di produzione di energia da fonti
rinnovabili.
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