Ogni giorno c’è un problema nuovo! Imperversa anche la malavita che vuole rubarti il
raccolto e le vacche.
Bisogna stare in guardia.
Col primo buio i quattro portoni di accesso della
cascina a corte chiusa vengono sprangati .
La cascina a corte chiusa è costruita come una
fortezza sprangate le porte si è completamente isolati e l’accesso è precluso.
Nessuno esce più fino all’apertura che consente ai
contadini di riprendere il lavoro nei campi.
La chiusura garantisce dai furti sia esterni che interni
perché è impossibile uscire fino al mattino seguente e le chiavi le tiene
saldamente Cesare nascoste nel suo panciotto di giorno e di notte si barrica in
camera da letto tenendo sempre di vista la sua pistola.
Cesare è impegnato nella difesa della sua impresa come
ripete alla moglie donna Aurelia Balesteri che lo invita a stare attento perché
i tempi sono pericolosi.
Ad Antezzate i ladri sono arrivati mentre la Martina
legge un libro di storie rosa. L’interesse dalla lettura non la distoglie dal
restare in guardia come le ripete l’Aurelia.
Le luci sono scomparse d’un tratto e poi si sono
sentiti dei rumori.
Lei sospettosa ha pensato subito ai ladri.
In quei gironi si è proceduto alla raccolta delle
foglie di tabacco.
Cesare ha saputo che si possono realizzare
interessanti proventi e si è cimentato anche in questa produzione.
La foglie di tabacco sono un bottino molto invitante .
Le foglie sono state raccolte la settimana prima e
sono riposte in grossi sacchi in attesa del compratore.
Vigile ed attenta non ha perso tempo ed ha chiamato
subito Giovanni e Martino, suo cugino che per caso è ospite in quei giorni.
Martino è un ragazzone alto, robusto e coraggioso con
i capelli tirati alla mascagna, come si usa, che non ha paura di affrontare
quei delinquenti.
I nostri sono armati di fucili e cartucce e appena
usciti hanno cominciato a sparare un colpo in aria per intimidire i malcapitati.
I ladri con i sacchi del tabacco sulle spalle vista la
mal parata sono scappati dal portone che erano riusciti non si sa come ad
aprire.
Sono riusciti a
raggiungere un fosso poco distante dove hanno lasciato le biciclette.
Marta nel frattempo è corsa a suonare la campanella
della chiesa e tutti i contadini sono accorsi a dare man forte.
“Ci sono i ladri accorrete” grida la Martina.
“ Arriviamo .. Accoriamo” urlano i contadini.
Chi deve avere avuto paura in quel frangente devono
essere stati i ladri perché se si fanno prendere da tutta quella gente sarebbe
andata a finire veramente male per loro.
Aurelia è un a bella donna energica e determinata .
E’ la donna che ci vuole per Cesare.
Il Nino le vuole un gran bene per trattarla come una
regina ha pensato di acquistare la più bella carrozza che ci sia in circolazione
per sostituire il calesse che li ha finora accompagnati in paese.
Si è fatto arrivare dal Tirolo una carrozza Brum che
lei usa per andare a fare il suo ingresso in pompa magna a Roncadelle come una
gran signora.
La carrozza è trainata da quattro cavali bianchi
strigliati a dovere fino ad un secondo prima della partenza.
Lo stalliere a cassetta da un giusto tocco di classe.
L’Aurelia fa il suo ingresso trionfale quasi sempre in
paese.
Qualche volta si spinge per compere anche a Brescia.
L’Aurelia è ammirata ed invidiata da tutti per la sua
grazia e perché pensano possa avere grandi proprietà terriere che, invece, non
ha.
Giovanni allora ha solo 7 anni è il più coccolato
nella casa di Antezzate.
Martina è la donnina di casa. Si sente molto vice
madre ha quasi quattordici anni più di Giovanni ed è lì a fargli da balia.
“Giovanni non far questo, Giovanni sta attento.” tenta
di sgridarlo, ma gli vuole troppo bene per punirlo e lui se ne approfitta e fa
quello che gli pare.
Giovanni va a fare il bagno nei fossi di irrigazione a
cacciare le rane e a pescare i boss nelle lanche.
E’ il capo indiscusso di un manipolo di scavezzacollo
che non disdegnano di menare le mani per fare capire ch comanda alle elementari
a Roncadelle.
Qui Giovanni si fa notare per la sua volontà di non
piegarsi alle imposizioni che non condivide.
Durante una manifestazione di ginnastica, allora molto
in voga, dove il regime fa sfoggio dei suoi muscoli nei confronti di grandi e
piccini, l’insegnate fascista Pezzana prova a metterlo ai suoi comandi.
Quel giorno i fasci di combattimento hanno radunato
gli alunni di tutte le scuole.
L’insegnante ha deciso che la manifestazione deve
concludersi con un canto patriottico, ma Giovanni figlio di un capo dei fasci
di combattimento non vuole cantare gli inni fascisti.
“Io non canto e me ne vado.” dice fiero il piccolo
alunno uscendo di fila.
L’insegnate per tutta risposta lo fa inseguire dai
capi manipolo che presenziano alla adunata.
“Portatelo qui che gli insegno io la disciplina e lo
faccio cantare a forza” urla inferocito da quel comportamento irriguardoso nei
suoi confronti.
Giovanni allora memore della tecnica usata dall’ultimo
degli Orazi si mette a correre verso la campagna alla ricerca della sua libertà
perduta. In tal modo lo scavezzacollo fa sgranare il manipolo degli inseguitori
tutti più grandi di lui.
Quando vede che il primo degli inseguitori è a tiro,
Giovanni si ferma e lo aspetta fermo sulle gambe e gli molla un diretto in
pieno torace mentre quello ansimante pregusta la sua cattura.
Il primo inseguitore che non si aspetta una simile razione, ma pensa, piuttosto, ad
una resa senza condizioni viene colpito e si accascia senza reagire.
La stessa sorte subiscono altri sei capi manipolo che
non hanno imparato nulla dalla lezione precedente poiché la tempestività con
cui Giovanni agisce non dà il tempo di elaborare un piano altrenativo.
La tecnica della fuga consente all’inseguito Giovanni
di colpire ad uno ad uno i suoi inseguitori impedendo loro di attaccarlo tutti
assieme.
I capi manipolo sono figli dei fascisti più in vista,
ma le prendono di santa ragione secondo
il motto che lo stesso Giovanni recita
spesso:
“ Giovanni è Giovanni e basta, Giovanni è al disopra
dei partiti e chi si mette contro di lui le prende perché Giovanni non fa
sconti a nessuno.”
Don Contessa, parroco della parrocchia e non tanto
tenero con il regime, lo applaude.
“Bravo Giovanni daghe a tuti la so part man man che i
riva.” dice sogghignando.
Cesare naturalmente è d’accordo col suo figliolo e salomonicamente sentenzia.
“ Te ghe fat ben perché i è tuch rossi.”
In ogni caso per il Nino bisogna farsi sempre
rispettare.
Giovanni è ancora piccolo ha appena otto anni non ha
ancora visto il mare.
Questo è stato un desiderio fin da quando frequenta le
elementari.
Dopo tanto pregare quell’estate sono andati al mare.
Il viaggio per arrivare al mare è piuttosto
impegnativo.
Non ci sono autostrade, ma strade che attraversano
paesi e città arrivarci.
Il viaggio in macchina è veramente difficoltoso per
questo Nino accompagna tutta la famigliola
a Brescia e mette l’Aurelia, la Marta e il Giovanni sul treno.
Paolo no perché deve studiare e non può perdere giorni
in vacanze.
C’è anche la Giuseppina di Pontepossero che, saputo della
gita, ha convinto lo zia a mandarla col simpatico gruppo di cuginetti.
Nino non va in vacanza perché il suo lavoro è lì in
azienda. Senza di lui chi controlla il contadini chi fa ingrassare le mucche
nelle stalle?
Giovanni per tutto il viaggio se ne sta incollato al
finestrino del treno.
Non gli capita spesso di andare in treno anzi quella è
la prima volta.
La stazione con tutto quel via va di gente lo
entusiasma.
Il piccolo si sente uno strano fremito addosso
diversamente degli altri fratelli che trovano il viaggio del tutto normale.
“E proprio bello viaggiare, bisognerebbe farlo più
spesso.” dice all’Aurelia.
Guarda divertito i facchini che tirano i loro carretti
trasbordanti di valigie dalla stazione ai binari e aiutano l’Aurelia a portare
le valigie e le borse.
Lui al massimo ne può portare solo due.
Il treno a vapore è uno spettacolo inedito.
Il fumo grigiastro prodotto dalla combustione del
carbone e gli stantuffi che sbuffano faticosamente prima di portare il treno in
velocità creano una atmosfera magica
Arranca, arranca, ma poi alla fine la locomotiva si
mette in movimento ed il lungo convoglio ce la fa a prendere velocità.
Giovanni ottiene il permesso di affacciarsi al
finestrino a vedere gli alberi che fuggono veloci a fare le gare immaginarie
con le poche auto che corrono sulla statale parallela alla linea ferroviaria.
“Sta attento a non riempirti di fuliggine.” gli
raccomanda sorridendo l’Aurelia.
Tenere il finestrino abbassato è fastidioso per la
cenere che il vento porta dal comignolo della locomotiva ai vagoni che le corrono
dietro in una affannosa quanto inutile rincorsa.
Giunti a destinazione fatto il breve tragitto dalla
stazione all’Albergo i cuginetti insistono per andare a vedere subito il mare.
Quella è la prima volta che Giovani fa una vacanza in
una località balneare.
La vista di tutta quell’acqua e per giunta salata lo
entusiasma.
E’ proprio bello vedere le onde che si adagiano sulla
spiaggia con una leggera carezza e con un breve fruscio per non disturbare la
tranquillità dei lidi quasi deserti frequentati da pochi turisti impaludati in
costumi da bagno che coprono gran parte del corpo.
Le signorine come la Marta non usano abbronzarsi; se
ne stanno riparate sotto l’ombrellone o se passeggiano si copre il viso con un
grazioso ombrellino da sole tutto trapuntato di merletti.
E’ felice di correre avanti e indietro fra le onde che
ritmicamente giungono fino al bagnasciuga.
“E’ bello sentire il rumore della risacca.
E’ un suono che si ripete sempre uguale ma che non di
stanca.
“Starei qui ad ascoltarlo fino sera.” Giovanni
confessa alla mamma Aurelia che dalla spiaggia lo osserva vigile sotto il suo
ombrellino sempre aperto.
Lei indossa un morigerato costume che le arriva ai
polpacci e con le mezze maniche; la scollatura a barchetta è appena accennata.
Si sa che le signore devono proteggere la loro pelle
bianca e non esporla ai raggi del sole
che la potrebbero abbronzare.
“Non è di moda diventare bronzo oro?” chiede la
Martina che sotto l’ombrellone legge un romanzo rosa.
“Lo fa solo chi è costretto a lavorare sotto il sole e
per cercare di rinfrescarsi si mette a torso nudo.” precisa Giovanni che ha
sentito questa affermazione dal Nino.
“Mettiti la maglietta se no ti ustioni, altro che
moda.” ripete sorridendo l’Aurelia al figliuolo che continua a correre avanti e
indietro tra le onde.
Sulla strada del rientro all’albergo un piccolo
gruppetto di curiosi li induce a controllare cosa c’è di tanto importante da
fermarsi a guardare.
Alcune persone sono ferme davanti al campo di tennis
dove un ragazzotto di media statura ben piantato sulle gambe scambia dei colpi con una ragazza rossa di
capelli, gracile, ma ben salda sulle gambe che rinvia la palla senza troppi
complimenti.
L’incontro non è comunque molto interessante se non
per l’autorevolezza del giovane.
“E’ il giovane figlio di Mussolini si chiama Romano.”
conferma uno dei presenti che ha l’aria di essere bene informato.
“Lo diciamo al papà. Chissà come sarà contento se gli raccontiamo
che abbiamo visto il figlio di Benito e magari se riusciamo a vedere anche il
Duce e salutalo.” conclude subito Giovanni.
“Ma che incontri, dobbiamo andare all’Albergo se no si
fa tardi per la cena.” risponde pragmaticamente l’Aurelia.
Al rientro all’Albergo una brutta sorpresa accoglie il
gruppetto felice di una giornata serena fra le onde.
Le cose belle finiscono in fretta perché dopo tre
giorni dall’arrivo è giunto l’Antonio che abita proprio a Roncadelle in una
casa giusto di fronte alla Chiesa nella Piazza principale del paese.
Porta, purtroppo delle cattive notizie.
“E’ scoppiato un incendio per autocombustione
nell’azienda del Cesare sono è bruciato un magazzino pieno di fieno” racconta
all’Aurelia che desolata decide che i giorni di vacanza sono finiti.
“Non resta che
fare la prima e l’ultima cena.” conclude la Aurelia rassegnata a questa
imprevista partenza anticipata.
“Sì , sì ho una
fame da lupo. Il bagno mi ha stuzzicato l’appetito.” conferma la Giuseppina che
è una buona forchetta.
L’annuncio si è manifestato profetico.
La Giuseppina ha approfittato dell’ultima cena per
rimpinzarsi.
Ha bissato i tortellini, si è fatta portare la piadina
romagnola, si è mangiata la porzione di porchetta della Marta che, invece, ci
tiene a mantenere la linea.
Giunta al dolce ha, però, rifiutato l’offerta del
cameriere che voleva portale il bis dello strudel perché non le piace tanto.
Si riparte per dare una mano al Cesare a ricostruire.
Da Antezzate a Roncadelle ci sono quattro chilometri
da percorrere a piedi anche con la pioggia o con il vento.
A Giovanni non piace molto studiare però a scuola ci
va volentieri perché l’insegnate, il maestro Alberti, è gentile e buono.
E’ particolarmente disponibile e non sgrida mai gli
allievi soprattutto se sono figli di agricoltori perché aspetta sempre di
essere omaggiato con burro, uova, latte e altri prodotti della terra.
Non è di quelli che picchiano gli allievi facendo
allungare le mani sul banco per fartele arrossare con una bacchetta di sambuco
sbattuta ripetutamente sulle nocche.
Con quel maestro Giovanni si trova bene.
Qualche volta gli capita di non fare i compiti o di
litigare col figlio del contadino che gli rimprovera di essere un figlio di
padroni, ma nel complesso non ci sono problemi.
“Sfruttate il lavoro dei contadini e li pagate poco.”
gli dice il Bruno robusto figlio di un mezzadro della Cascina Nuova.
“Sono figlio di affittuari che lavorano la terra e che
si danno da fare tutto il giorno.”
precisa Giovanni che sente di appartenere alla società più produttiva
che fa andare avanti il paese.
Finalmente i due trovano un accordo sul fatto che sia
gli affittuari ed i mezzadri devono essere pagati di più.
Si sta bene in quella scuola e per questo gli è
dispiaciuto trasferirsi a Ospedaletti.
Come tutti i figli degli agricoltori viene mandato in
Collegio a Lodi per frequentare con più facilità le lezioni.
Giovanni se la cava bene al S. Francesco di Lodi.
La guerra ed i frequenti bombardamenti inducono, però,
il Nino a pensare che Lodi è troppo
pericolosa e così Giovanni viene ritirato dal Collegio.
Gli anni delle medie Giovanni li ha dovuti frequentare
a Brescia perché a Ospedaletto ci sono solo le elementari che, come dice il
Nino, sono più che sufficienti se uno vuol fare l’agricoltore.
“A studiare ti vengono strane idee e non vuoi più
seguire la vita dura, ma appagante del lavoro dei campi”
Così Giovanni si fa ventidue chilometri al giorno: undici
all’andata e undici al ritorno per farsi una cultura.
Il papà lo manda a scuola, ma sotto sotto non vuole
che lui sia un uomo di lettere; lo vorrebbe al suo fianco come imprenditore
agricolo, ma non può esimersi di rispettare l’obbligo scolastico.
Lui è uno che conta e se in paese si venisse a sapere
che Giovanni ha abbandonato le scuole medie sarebbe uno smacco per la sua
famiglia.
“A studiare
tanto ci pensa Paolo, tu potresti dedicarti ai campi anche se un po’ di cultura
ci vuole.” gli ricorda spesso con il suo tono burbero-affettuoso.
Frequentare a Brescia, oltre che per la fatica della
gita obbligatoria in bici, non è così semplice.
Giovanni non è un tipo conciliante, oramai ha fatto a
cazzotti con una buona percentuale dei suoi coetanei.
Quel giorno sono lì in quattro ad aspettarlo per sbarrargli la strada.
“Gliela facciamo vedere noi al figlio del padrun!”
urla Brodini il più sfegatato figlio del capo lega.
E’ un ragazzone robusto dalla faccia larga capelli
tirati indietro verso la nuca alla mascagna come si usa .
Lui porta sempre a tracolla un tascapane di colore grigio topo
dove dicono nasconda un tirapugni.
“Lo fermiamo sulla strada della Mandolossa all’altezza
del ponte del Mella” suggerisce al suo manipolo di seguaci.
Giovanni che può agevolmente passare anche da Roncadelle
evitando il preannunciato attacco non disdegna mai di fare a cazzotti e non è
certo il tipo da tirarsi indietro davanti alla prima difficoltà.
Tanto sa che anche in quattro sono troppo pochi per i
suoi pugni e poi lui non ha paura di niente
e di nessuno.
E’ lui il più forte.
E’ invincibile a cazzotti e a lotta libera.
Sceso dalla bicicletta va incontro ai suoi avversari
come se non avesse paura di essere solo contro un manipolo di sfegatati..
Colla sua tecnica collaudata si mette a correre e si
fa inseguire per poi separare gli inseguitori.
Quando cominciano ad essere sufficientemente sgranati
nell’inseguirlo li colpisce ad uno ad uno riempiendoli di pugni finché sconfitti
se ne tornano alle loro bici.
Così finalmente Giovanni può passare dal ponte proibito che scavalca il
placido Mella.
Fare a cazzotti è però poca cosa perché di guai e di
pericoli in quel periodo di guerra ce ne sono ad ogni passo.
Quel giorno Giovanni ha deciso di andare a caccia.
Si è preso su un fucile senza preoccuparsi troppo per
il fatto di non avere il porto d’armi né si cura del divieto che vieta la
caccia in quel periodo.
Lui agisce di istinto e se ha voglia di andare a
caccia non si preoccupa di avere i permessi necessari.
Fascisti e tedeschi, però, non sono gli unici ostacoli
che può trovare.
Mentre lui è lì acquattato lungo una ripa di gelsi ad
attendere qualche uccellino cui sparare per farsi un delizioso spiedo la sera a
casa con i suoi, viene attaccato da un Mustang inglese che sta seminando il panico
nella zona.
L’aereo scende in picchiata lungo il filare dove
Giovanni sta nascosto
Gli uccelli non lo hanno visto ma il pilota ha notato
il brillare dell’arma e non se lo vuol fare scappare.
Il Mustang continua a scendere e ad avvicinarsi
pericolosamente agli alberi.
Giovanni accetta anche questa sfida e si mette al
riparo dietro il gelso dal tronco più grosso.
Con calma senza il minimo timore imbraccia il fucile e
spara gli unici due colpi che la sua doppietta ha in canna.
La sfida è impari una mitragliatrice contro una
doppietta.
La buona stella di Giovanni, quella che lo assiste in
tutte le sue imprese anche le più strampalate, non lo ha , però, abbandonato.
Dopo quella picchiata l’aereo ha ripreso quota e non è
più ripassato.
Forse ha finito le cartucce della mitragliatrice o
forse ha una missione più importante da compere che stare lì a giocare a
rimpiattino col Giovanni nascosto dietro i gelsi.
Il giorno dopo si è saputo che ad Onsato, dove adesso
sorge il capannone della IKEA, è caduto un aereo .
Giovanni oltre che gli uccelli da spiedo forse ha
colpito anche un ben più grosso uccello d’acciaio.
Giovanni deve frequentare le medie superiori facendo
il percorso tutti i giorni dalla casa di campagna fino a scuola
La scuola superiore è più impegnativa, bisogna
studiare di più e i professori sono più esigenti e non chiudono un occhio se
lui si dimentica di fare i compiti.
Sono tanti i professori alle superiori ed è più difficile accontentare le
loro richieste di derrate agricole .
Con la guerra le cose di sono complicate perché deve
raggiungere il Liceo Arnaldo in bici
tutti i santi giorni e la strada è lunga soprattutto d’inverno.
Nella bassa nella brutta stagione la pioggia e la
nebbia ti entrano nelle ossa.
In primavera è più piacevole anche se la fatica
aumenta.
Il suo aiuto nella direzione della azienda zootecnica
e nella gestione del caseificio è più necessario.
C’è sempre bisogno di qualcuno che coordini i numerosi
dipendenti agli ordini del Nino.
Dopo i compiti si incomincia un altro lavoro.
Giovanni, però, non è uno che batte la fiacca e si
diverte ad essere utile a suo padre e alla sua famiglia.
Il suo non è solo un lavoro di controllo delle fatiche
degli altri.
I sacchi di granturco seccato nell’aia volano da terra
sulle spalle di Giovanni.
Lui li solleva come se fossero piume e li porta nei
granai.
E’ un via vai continuo a passo di carica.
Lui non si stanca mai anzi incita i contadini a seguirlo
di buona lena.
Gli incitamenti continui dell’Aurelia lo spingono a
controllare e a farsi obbedire dai contadini.
“ Dai Giovanni va fora te… daghe…daghe dentro.”
La guerra fra affittuari e contadini tempra gli animi
di tutti mentre i latifondisti stanno a guardare.
Bisogna essere determinati per farsi rispettare e
sopravvivere.
La sera spesso Giovanni fa a gara col Nino e Paolo a
mangiare cotolette fritte con amore dall’Aurelia per i suoi uomini.
La pace non dura mai troppo a lungo.
“Ci sono quelli di Roncadelle in sciopero e vogliono
venire qui ad impedire ai crumiri di mungere.”
L’Antonio che lavora nella cascina accanto ci porta
trafelato la notizia in breve anticipo sperando di esserci di aiuto.
L’Aurelia sa che anche questa volta può rivolgersi con
fiducia a Giovanni.
“ Va Giovanni daghe.. daghe..mandali via.” Gli urla dandogli
anche la sua energia.
Non si fida di affidare questo incarico di fare ordine
al Nino perché lui è troppo impulsivo e rischia sempre grosso ogni volta che
c’è da menare le mani.
Si ricorda ancora con terrore quando il Nino è stato
ferito durante gli scioperi del 1922.
Per Paolo Iscriversi alla Facoltà di Medicina di
Milano nell’ottobre del 1937 è stato il coronamento di un sogno.
Lui vuole fare il medico.
L’Italia di quegli anni è serena.
Gli Italiani cantano “se potessi avere mille lire al
mese”.
E’ un canto di speranza e di fiducia nel futuro.
La conquista dell’impero ed il fervore nella
realizzazione di imponenti opere pubbliche comporta un grande sviluppo.
Tutti credono in un domani migliore che trasformi il
paese essenzialmente agricolo in un grande paese con più infrastrutture, più
servizi e più benessere per tutti.
Non si può sempre studiare e anche Paolo qualche
spazio al tempo libero lo dedica volentieri.
La sua passione è il canottaggio.
Il suo fisico vigoroso gli consente di conseguire in
questo sport ottimi risultati.
Paolo è andato a Pallanza per le qualificazioni ai
campionati nazionali di canottaggio.
Paolo da quando frequenta l’Università si allena con costanza
all’Idroscalo. Il giovane ha un fisico muscoloso e agile adatto per quello
sport duro che richiede costanza e fatica.
A Pallanza il suo equipaggio ha superato le
qualificazioni e deve partire per Roma.
Tutti a casa, nonostante le preoccupazione per
l’incendio e l’impegno profuso per ricostruire tutto, fanno il tifo per lui
finché giunge la notizia tanto attesa: il suo equipaggio un due con ha vinto la
medaglia d’oro.
La guerra incalza la gente sfolla in campagna.
Paolo all’Università di Milano ha conosciuto una
ragazza di nome Titti.
Lei ha gli occhi verdi, è rossa di capelli, volitiva e
sempre in movimento: un vero uragano.
I due si sono frequentati. Poi la guerra li ha divisi.
La Titti a Milano e Paolo ad Antezzate.
I due si scrivono.
“Perché non vieni ad Antezzate a trovarmi io lavoro
all’Ospedale ci sono un sacco di feriti non mi posso muovere.” le scrive Paolo.
Detto fatto . Ma come arrivare ad Antezzate da Milano
con le comunicazioni in tilt e con Pippo?
E’ detto confidenzialmente Pippo un piccolo aereo che mitraglia i convogli tedeschi e fascisti
e tutto quello che si muove lungo le strade.
Se la Titti si mette qualcosa in zucca, è difficile
farle cambiare idea.
Così inforcata la bicicletta si è messa in pista da
Milano. Lei ha scelto un percorso che segue le strade di campagna proprio per
evitare Pippo.
“E se arriva lo stesso?” la interroga preoccupata la
mamma Paulette.
“C’è sempre il tempo di ripararsi lungo i bordi delle
strade.” risponde la Titti sorridendo.
“L’è rivada una siora con la bicicletta e coi cavei
rosi che la cerca il dott. Paolo” dice all’Aurelia uno stupefatto contadino.
“Cosa viene a fare qua?” si domanda tra sé la mamma Aurelia
squadrandola da capo a piedi e scuotendo la testa mentre abbozza un sorrisetto
di circostanza.
“Non mi piace mica sta qua. E’ una cittadina non è una
di noialtri “ ripete tra sé scuotendo la testa.
Per fortuna Paolo esce di casa a dare manforte alla
Titti, allora assistente volontario chirurgo all’Ospedale di Brescia sfollato a
Manerbio.
Lui prende la Titti sotto la sua ala protettrice.
“Questa è la mia fidanzata che si ferma qui per
rifocillarsi poi viene con me a Manerbio dove alloggerà in Albergo
“E’ una ragazza audace. Non ha paura di nessuno.” dice
Paolo orgoglioso.
Neanche di andarsene da sola in un Albergo lontana da
casa sotto i bombardamenti ad attendere pazientemente Paolo che torni dal suo
lavoro.
Il giorno seguente la Titti come se nulla fosse
riprende la via del ritorno a Milano per non impensierire troppo la mamma
Paulette.
La guerra sta per finire, ma gli animi sono sempre più
esasperati è difficile vivere c’è miseria e i fascisti e tedeschi spadroneggiano nelle campagne requisendo
tutto.
Cesare è un idealista e non tollera che i fascisti o
pseudo tali con l’aiuto dei tedeschi vadano in giro per le aziende a sequestrare
i prodotti che bastano solo per sopravvivere
La sua autorità derivante dall’essere stato ferito
fascista, dall’avere partecipato alla costituzione dei Fasci da Combattimento, di
essere stato uno squadrista della prima e amico di Farinacci, dall’avere
partecipato alla marcia su Roma gli consente di opporsi alle angherie a tutela
della sua famiglia e dei suoi contadini.
“Fermi qui non si porta via niente” dice Nino
affrontando un gruppo di squadristi ben piantato sulle gambe agitando il suo
bastone da passeggio.
“ Via fuori dai coglioni, Centoni!”
Il gerarca si inchina alla autorità riconosciuta del Nino
che forte della sua onestà e del suo coraggio gli tiene testa.
Così Cesare riesce a mantenere alla piccola comunità
che gravita intorno alla cascina i prodotti essenziali: burro, frumento, paglia
per gli animali e legna per scaldarsi e anche qualche gallina.
Nel gran bailamme del fine guerra alcuni bresciani che
partecipano le Brigate rosse della Val Camonica trovano rifugio ad Antezzate
che diventa una loro base operativa.
L’Aurelia non ha mai rifiutato un piatto di polenta a
nessuno.
In tal modo lei riesce a mantenere la calma fra gruppi
opposti che si sono combattuti fino a poco
prima.
Il Cesare e la sua famiglia non li tocca nessuno.
Quelli di Gabioneta lo vogliono prendere , ma le
Brigate rosse della Val Camonica intervengono.
“E’ un brav’uomo “ dice Inselvini che nella confusione
del momento ha questo criterio per distinguere le persone.
Anche i cugini Mondini tornati dalla Val Trompia dopo
una feroce guerra fratricida trovano rifugio nella cascina dove Nino li
accoglie e li protegge.
Un miracolo fatto di relazioni umane che superano i
rancori politici e le ideologie.
Dopo una intera vita di lavoro Cesare pensa che è
giunta l’ora di godersi un po’ di benessere .
Gli anni gli cominciano a pesare e non sa resistere alle lusinghe di
acquistare finalmente una casa grande spaziosa
con tante stanze dove ospitare figli e nipoti.
E’ stufo di vivere in una casa di campagna che non è
sua.
Su questo punto l’Aurelia ha insistito non poco,
stanca anche lei della prospettiva di dovere cambiare ancora una volta azienda
e di fare l’ennesimo trasloco.
La coppia in realtà si è innamorata di una grande
villa a ridosso del centro di Ospedaletti, cittadina a due passi da Brescia.
La casa non è proprio nel centro del paese ma, visto
che sono abituati a vivere in campagna lontano da tutti, la considerano sita proprio nel pieno traffico cittadino.
La villa è al centro di un grande parco.
E’ una costruzione grande, ma nello stesso tempo dalle
linee architettoniche snelle.
È stata realizzata da un industriale che non ha fatto
a tempo i godersela perché dopo poco è deceduto.
Così gli eredi per pagare le tasse di successione
hanno venduta la villa a Toni ad un prezzo decisamente interessante.
Ogni figlio prende possesso di una stanza.
Ce ne sono così tante che c’è solo l’imbarazzo della
scelta.
Paolo risiede saltuariamente in villa visto che continua
il suo lavoro all’università.
La grande villa è la dimora ideale per tutta la
famiglia e per i figli se per caso vorranno vivere a Ospedaletti.
Cesare continua a fare l’affittuario.
Lui non si è
ancora stufato di realizzare caseifici e stalle che puntualmente sono lasciati
a i proprietari dei fondi alla fine del contratto, quando decide di condurre
una azienda più grande.
Non è destino che Cesare possa vivere in una casa
tutta sua perché poco prima che l’acquisto si perfezioni muore.
Il progetto va avanti.
La casa è acquistata e va avanti anche il progetto di
Nino di fare l’imprenditore e con l’aiuto di Stagnoli si mette insieme un
piccolo calzificio con macchine automatiche affidate alla vigilanza di operarie
della zona.
Stagnoli è un caro amico di famiglia che si è sempre
dedicato ad attività imprenditoriali ed ha consigliato al Cesare di realizzare
un piccolo capannone in un angolo del giardino della villa per iniziare la
produzione di calzature.
Il mercato è particolarmente favorevole e si
preannunciano degli ottimi affari.
Fare l’imprenditore non è facile perché occorre essere
una vera squadra e accettare il proprio ruolo nel rispetto degli altri avendo
fiducia nei soci e collaboratori.
Gli agricoltori hanno però un avocazione
personalistica nella gestione della loro azienda che deve esser loro.
Loro difficilmente condividono la gestione di una
proprietà con qualcuno così trovando nello Stagnoli un socio preparato ma
considerato troppo invadente ne favoriscono l’uscita di scena.
Senza l’apporto del referente Stagnoli il progetto,
però, non va importo e l’iniziativa si ferma ancora prima di essere collaudata.
Dopo la morte di Cesare nel 1947 l’Aurelia e i tre fratelli realizzano, qualche
anno dopo, quello che è stato il loro sogno
che il capofamiglia si è sempre rifiutato di realizzare.
La famiglia compera una azienda agricola tutta sua.
Cesare ha sempre preferito condurre una grande azienda
di altri che acquistare con i suoi risparmi una piccola azienda di proprietà.
Nino è un imprenditore che vuole dirigere gli uomini e
coordinare la loro attività; non può accontentarsi di gestire una piccola
azienda di proprietà.
Le dimensioni aziendali che consentono di conseguire
un reddito adeguato sono ben maggiori dell’azienda che lui con i suoi risparmi
può permettersi di acquistare e quindi si è rposeguito con l’affitto per tutta
la vita di Cesare.
Solo dopo la sua morte gli eredi possono realizzare il
loro sogno.
La Chitina è acquistata nel 1947 con lo smobilizzo
delle attrezzatura della cascina di Antezzate dai tre figlioli e dalla Aurelia
che diventano proprietari di 800 pertiche.
Realizzano il sogno che tutti hanno sempre avuto ma
che si avvera solo dopo la morte del Nino che preoccupato com’è ad avere
l’azienda più bella da gestire non si è mai curato di averne la proprietà .
Tutti sono impegnati al lavoro dei campi per gestire
al meglio e produrre il maggior reddito.
Tutti meno Paolo. Lui è lo studioso della famiglia
quello che al Ghisleri di Pavia prende sempre il primo premio come il migliore
studente dell’Istituto.
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