1 Ambiente Attività di gestione rifiuti. L'inosservanza delle prescrizioni. Reato.
Integra il reato previsto dall'art. 256, comma quarto,
del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 l'inosservanza delle prescrizioni previste per
l'esercizio della attività di recupero dei rifiuti, che traggano origine da
specifiche disposizioni normative o che siano direttamente imposte dalla P.A.
nell'esercizio del suo potere discrezionale. Cassazione penale, sez. III,
09/04/2013, n. 19955.
L'attività di recupero dei rifiuti è definita dal D.Lgs.
n. 152 del 2006, art. 183, lett. t) come "qualsiasi operazione il cui
principale risultato sia di permettere ai rifiuti di svolgere un ruolo utile,
sostituendo altri materiali che sarebbero stati altrimenti utilizzati per
assolvere una particolare funzione o di prepararli ad assolvere tale funzione,
all'interno dell'impianto o nell'economia in generale (...)".
La medesima disposizione precisa, nell'ultimo periodo,
che l'Allegato C alla parte 4^ del D.Lgs. 152 del 2006 riporta un elenco non
esaustivo di operazioni di recupero, tra le quali possono individuarsi, con
riferimento agli pneumatici fuori uso e per quello che qui interessa, le seguenti
operazioni: R1 "Utilizzazione principale come combustibile o come altro
mezzo per produrre energia"; R3 "Riciclo/recupero delle sostanze
organiche non utilizzate come solventi (comprese le operazioni di compostaggio
e altre trasformazioni biologiche)"; R13 "Messa in riserva di rifiuti
per sottoporli a una delle operazioni indicate nei punti da R1 a R12 .
Il D.M. 5 febbraio 1998, che riguarda la
"individuazione dei rifiuti non pericolosi sottoposti alle procedure
semplificate di recupero ai sensi del D.Lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, artt. 31 e
33" è espressamente richiamato, con riferimento alle attività di recupero,
dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 214, comma 4, il quale ne prevede
l'applicabilità sino all'adozione dei decreti previsti dal comma 2 del medesimo
articolo.
Il decreto, dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 152
del 2006, ha subito ulteriori modifiche - rispetto a quelle già apportate nel
2003 e nel 2004 - a seguito di quanto rilevato dalla Corte di Giustizia con la
sentenza del 7 aprile 2004, ad opera del D.M. 5 aprile 2006, n. 186 e dal
D.Lgs. n. 4 del 2008 (art. 2, comma 47 relativamente ai rifiuti di carta,
cartone, e prodotti di carta).
Va peraltro ricordato che, con specifico riferimento agli
pneumatici, la L. 31 luglio 2002, n. 179, art. 23, comma 2 dando riscontro alla
Decisione 2000/532/CE del 3 maggio 2000, che aveva riformulato il codice CER 16
01 03, stabiliva, tra l'altro, che il Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio era autorizzato ad apportare le conseguenti modifiche ed
integrazioni al D.M. Ambiente 5 febbraio 1998, come in effetti poi avveniva ad
opera del D.M. 9 gennaio 2003, recante "Esclusione dei pneumatici
ricostruibili dall'elenco di rifiuti non pericolosi" ove, considerata
"la necessità di escludere i pneumatici ricostruibili dall'elenco dei
rifiuti non pericolosi individuato dall'allegato 1 al citato D.M. 5 febbraio
1998" il quale sopprimeva la voce 10, punto 3, del suballegato 1
all'allegato 1 del D.M. 5 febbraio 1998 che tale tipologia di pneumatici contemplava,
lasciando invece inalterata la voce 10, punto 2 concernente gli pneumatici non
ricostruibili, le camere d'aria non riparabili e gli altri scarti di gomma.
Il D.M. 5 febbraio 1998 attualmente considera,
nell'Allegato 1, Suballegato 1, al punto 10.2, gli pneumatici non
ricostruibili, camere d'aria non riparabili e altri scarti di gomma con codice
CER 16.01.03 provenienti dall'industria della ricostruzione pneumatici, da
attività di sostituzione e riparazione pneumatici e attività di servizio, da
attività di autodemolizione autorizzata, autoriparazione e industria
automobilistica.
Le attività considerate al punto 10.2.3 sono la messa in
riserva di rifiuti di gomma (R13) con lavaggio, triturazione e/o
vulcanizzazione per sottoporli alle seguenti operazioni di recupero: a)
recupero nell'industria della gomma per mescole compatibili (R3); b) recupero
nella produzione bitumi (R3); c) realizzazione di parabordi previo lavaggio
chimico fisico se contaminato, eventuale macinazione, compattazione e
devulcanizzazione (R3).
Il punto 10.2.2. individua così le caratteristiche del
rifiuto: "pneumatici usurati e camere d'aria con eventuale presenza di
inquinanti superficiali (IPA minore 10 ppm); scarti di gomma di varie
dimensioni e forme", mentre le caratteristiche delle materie prime e/o dei
prodotti ottenuti sono individuate dal successivo punto 10.2.4: a) manufatti in
gomma nelle forme usualmente commercializzate; b) e c) bitumi e parabordi nelle
forme usualmente commercializzate.
I rifiuti classificabili con codice CER 16.01.03 sono
contemplati anche nel medesimo sub-allegato, al punto 14, tra i rifiuti
speciali non pericolosi per la produzione di CDR (combustibile da rifiuti,
categoria peraltro non più compresa nel D.Lgs. n. 152 del 2006 dopo le
modifiche apportatevi dal D.Lgs. 205 del 2010) e nel punto 17 tra i rifiuti
recuperabili con processi di pirolisi o gassificazione.
Le quantità massime di rifiuti recuperabili sono poi
indicate nell'allegato 4, suballegato 1 del medesimo decreto.
Il D.M. del 1998 è riferibile esclusivamente alle
attività di recupero soggette a procedura semplificata, come è indicato nel
titolo e come si rileva dall'esame del preambolo, dall'articolato e dal
richiamo ad esso effettuato dal già menzionato D.Lgs. n. 152 del 2006, art.
214.
Tali attività riguardano esclusivamente, come si è visto,
il recupero di materia (riciclaggio) e non anche il recupero di energia.
L'attività di recupero energetico effettuata dal
ricorrente è soggetta, come si è visto, all'autorizzazione unica prevista dal
D.Lgs. n. 153 del 2006, art. 208.
Seppure in termini estremamente generici, va ricordato
che il rilascio del provvedimento autorizzatorio presuppone, come è noto,
l'espletamento di un complesso procedimento amministrativo, ove
l'amministrazione opera un preventivo controllo di compatibilità dell'impianto
con la normativa di settore attraverso un'istruttoria tecnica, all'esito del
quale viene emesso il titolo abilitativo.
L'autorizzazione unica, in particolare, prevede la convocazione
di apposita conferenza di servizi, che rappresenta luogo procedimentale di
complessiva valutazione del progetto presentato, tanto che l'art. 208, comma 6
assegna al provvedimento conclusivo del procedimento una funzione sostitutiva
di tutti gli atti e provvedimenti ordinariamente di competenza di altre
autorità territoriali, che assumono così il ruolo di interlocutori
procedimentali.
Il provvedimento, di così ampia portata, risulta anche
connotato da evidente discrezionalità, atteso che l'amministrazione può
incidere anche in modo rilevante sull'attività autorizzata attraverso
l'imposizione di prescrizioni che possono integrare o, addirittura, limitare
l'efficacia del provvedimento.
L'art. 208, comma 11 è inequivocabile in tal senso,
disponendo che l'autorizzazione individui, in generale, le condizioni e le
prescrizioni necessarie per garantire l'attuazione dei principi di cui all'art.
178 ed "almeno" alcuni elementi specificamente indicati, quali, tra
gli altri, i tipi ed i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati; i
requisiti tecnici con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle
attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti e alla
modalità di verifica, monitoraggio e controllo della conformità dell'impianto
al progetto approvato per ciascun tipo di operazione autorizzata; le misure
precauzionali e di sicurezza da adottare.
L'uso dell'avverbio "almeno" evidenzia come
l'elencazione sia indicativa e non tassativa, cosicchè l'amministrazione può
apporre ulteriori clausole che delimitino ulteriormente l'attività lecitamente
espletabile.
Alla luce di quanto appena osservato deve, pertanto,
concludersi che, nella fattispecie, la previsione, da parte
dell'amministrazione che ha rilasciato il titolo, di uno specifico requisito
del rifiuto da recuperare (presenza di IPA minore 10 ppm), risulta pienamente
legittimo perchè rientrante nell'ambito dell'ampia discrezionalità riconosciuta
dal legislatore.
Le prescrizioni apposte all'autorizzazione devono
ritenersi vincolanti per il soggetto autorizzato non soltanto quando traggano
origine da specifiche disposizioni normative che l'atto autorizzatorio
semplicemente recepisce, ma anche quando siano apposte direttamente
dall'amministrazione che le rilascia nell'esercizio del suo potere
discrezionale.
L'attribuzione di tale potere, inoltre, trova una
giustificazione evidente, come pure osservato in dottrina, nella necessità di
adeguare l'esercizio dell'attività autorizzata a specifiche esigenze relative
al singolo insediamento attraverso l'imposizione di prescrizioni limitative o
modali.
E' pertanto evidente che, per quanto detto in precedenza,
il destinatario del provvedimento non potrà certo ignorare le prescrizioni
imposte con l'atto abilitativo e che ne delineano l'ambito di efficacia ed
esercitare comunque l'attività autorizzata, pur potendo far ricorso agli
ordinari strumenti di tutela qualora intenda porre in discussione la
legittimità del titolo abilitante.
Il reato previsto dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 256,
comma 4, come si è già avuto modo di rilevare, è reato proprio, in quanto
l'agente è necessariamente il soggetto destinatario del titolo abilitativo,
permanente (Sez. 3, n. 16890, 5 maggio 2005) e formale, poichè richiede, per la
sua configurabilità, la mera inosservanza delle prescrizioni contenute o
richiamate nelle autorizzazioni, ovvero la carenza dei requisiti e delle
condizioni richiesti per le iscrizioni o comunicazioni avendo come finalità
quella di assicurare il controllo amministrativo da parte della pubblica
amministrazione (Sez. 3, n. 6256 del 21 febbraio 2011).
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