Commissario ad acta. Poteri di tutela dell’amministrazione sostituita.
Il Consiglio di Stato evidenzia che "se per il
commissario ad acta nominato in sede di ottemperanza per l'esecuzione del
giudicato, prevale la tesi secondo cui si tratta di un organo ausiliario del
giudice (tesi che ha ricevuto anche l'importante avallo dell'Adunanza plenaria
n. 23 del 1978), il dibattito è, invece, tutt'ora aperto per quella speciale
figura di commissario ad acta nominato per porre rimedio alla persistente
inerzia dell'Amministrazione".
In questo caso, infatti, secondo la tesi preferibile, non si
ha un vero e proprio giudizio di ottemperanza, tant'è che l'art. 21 bis della
l. n. 1034 del 1971 - attualmente sostituito dagli artt. 31 e 117 c.p.a. - non
rinviava alle norme sul giudizio di ottemperanza, ma si limitava a prevedere la
nomina di un commissario ad acta.
Si ha, più propriamente, una ottemperanza
"anomala" o "speciale", dove la specialità risiede nella
circostanza che si prescinde dal passaggio in giudicato della sentenza, e,
soprattutto si ammette l'intervento del commissario nell'ambito del medesimo
processo, senza più bisogno di un ricorso ad hoc, essendo sufficiente una
semplice istanza al giudice che ha dichiarato l'illegittimità del silenzio (Cons.
St., sez. VI, 25 giugno 2007, n. 3602).
Anzi, proprio prendendo atto della unitarietà che ormai lega
la fase di cognizione sull'inadempimento dell'amministrazione e la successiva
fase esecutiva, la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto la possibilità,
se l'interessato ne fa richiesta, di disporre in via contestuale l'ordine di
provvedere e la nomina del commissario ad acta, il quale, opererà non subito,
ma solo nell'ipotesi in cui si protragga l'inerzia dell'Amministrazione
(ibidem).
La specialità di questa forma di ottemperanza deriva anche
dal fatto che il commissario ad acta nominato nell'ambito del rito sul
silenzio, può assumere un ruolo del tutto inedito, in quanto la sua attività
può non essere volta al completamento ed all'attuazione del dictum giudiziale
recante direttive conformative dell'attività amministrativa, ma può atteggiarsi
come attività di pura sostituzione, in un ambito di piena discrezionalità, non
collegata alla decisione se non per quanto attiene al presupposto
dell'accertamento della prolungata inerzia dell'amministrazione".
L'art. 31 c.p.a. - con ulteriori specificazioni rispetto
alla previsione contenuta nell'art. 2 legge n. 241/1990 nella sua formulazione
precedente alle modifiche introdotte ed alle abrogazioni disposte dal decreto
legislativo n. 104 del 2010 - prevede che il giudice "può pronunciare
sulla fondatezza della pretesa dedotta in giudizio solo quando si tratta di
attività vincolata o quando risulta che non residuano ulteriori margini di
esercizio della discrezionalità e non sono necessari adempimenti istruttori che
debbano essere compiuti dall'amministrazione"; il sindacato sul rapporto
è, dunque, una eventualità, e non una componente necessaria della sentenza sul
silenzio.
In tutti i casi in cui il giudice amministrativo si sia
limitato soltanto a dichiarare l'obbligo di provvedere, senza vincolare in
alcun modo la successiva attività amministrativa, il commissario ad acta,
nominato in caso di persistente inerzia della p.a., viene a disporre di uno
spazio di libertà sicuramente sconosciuto all'analoga figura nominata in sede
di esecuzione al giudicato. Non vi è, infatti, una vera e propria sentenza di
ottemperanza, ma un semplice atto di nomina, con cui il giudice non dice
all'amministrazione come deve provvedere, ma demanda tutto all'organo
amministrativo straordinario che è il commissario.
Si ha qui, allora, un commissario che assomiglia più ad un
organo dell'Amministrazione che ad un ausiliario del giudice.
E’ proprio dall'art. 117 c.p.a. che si trae un argomento
risolutivo per sostenere tale qualificazione, secondo la disciplina attualmente
in vigore.
Il IV comma del citato art. 117 stabilisce che il
"giudice conosce di tutte le questioni relative all'esatta adozione del
provvedimento richiesto, ivi comprese quelle inerenti agli atti del
commissario".
La norma non circoscrive a soggetti specifici la legittimazione
ad adire il giudice per la soluzione di tali questioni, così riconoscendola
implicitamente anche all'Amministrazione interessata dall'azione sostitutiva
del commissario.
Peraltro, una volta acquisito che l'incidente di esecuzione
costituisce lo strumento comune per far valere gli ipotetici vizi dei
provvedimenti commissariali, ciò esclude, all'evidenza, la possibilità per
l'amministrazione di esercitare poteri di annullamento in autotutela avverso il
provvedimento adottato dal commissario ad acta.
La stessa razionalità del sistema finirebbero con l'essere
frustrati da una opzione interpretativa difforme da quella prospettata che
consentisse all'amministrazione - com'è accaduto nella fattispecie in esame
nella quale l'annullamento d'ufficio del provvedimento adottato dal commissario
ad acta è intervenuto dopo mesi di inerzia ed a distanza di soli tredici giorni
dall'adozione dell'atto annullato - di sostanzialmente vanificare la tutela
riconosciuta con la pronuncia giurisdizionale sul silenzio, onerando
l'interessato, del tutto ingiustificatamente, della proposizione di un nuovo
ricorso avverso il provvedimento di annullamento d'ufficio.
L'amministrazione, peraltro, non è sfornita di mezzi di
tutela; la p.a., infatti, potrà agire proponendo ricorso avverso la
determinazione assunta dal commissario ovvero attraverso l'incidente di
esecuzione, a seconda che, rispettivamente, si aderisca alla tesi della natura
del commissario ad acta quale organo straordinario dell'amministrazione oppure
a quella dell'organo ausiliario del giudice. T.A.R. Veneto Venezia, sez. II,
01/02/2011, n. 188.
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