Comune . Consiglieri
comunali. Ricorso contro gli atti del comune.
I consiglieri comunali sono legittimati a
ricorrere avverso gli atti adottati dagli organi di appartenenza nei ristretti
limiti tracciati dalla lesione dello "ius ad officium", limiti che
non appaiono violati nel caso in cui emergono motivi di ricorso afferenti a
meri profili di legittimità dell'azione amministrativa non incidenti sulla
posizione giuridica del ricorrente consigliere. Solo la lesione diretta ed
immediata del diritto all'ufficio del consigliere comunale può fare sorgere,
quindi, la "legitimatio ad agendum", ovvero l'interesse personale al
ricorso al fine del ripristino della situazione sostanziale lesa, attraverso la
rimozione della situazione antigiuridica affidata all'organo giurisdizionale
(in applicazione a questo principio è stata esclusa la legittimazione nel
ricorso proposto da un consigliere, che faceva valere la difformità delle
sedute della commissione consiliare permanente rispetto al modello legale:
afferma il Tribunale che "quand'anche si ammetta che possa riverberarsi
sulla successiva deliberazione consiliare, può essere fatta valere soltanto dai
soggetti diretti destinatari o direttamente lesi dalla difformità medesima, ma
di certo essa non attiva la legittimazione del consigliere comunale rimasto
estraneo alla commissione medesima. Ragionando diversamente, si dovrebbe
riconoscere al consigliere comunale la titolarità di una azione popolare di
diritto oggettivo, a tutela della conformità a legge delle delibere consiliari,
che prescinde del tutto dall'interesse del ricorrente e che è, in quanto tale,
inammissibile perché contraria ai principi del sistema di giustizia
amministrativa").T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 24/04/2013, n. 1067
i consiglieri comunali siano legittimati a
ricorrere avverso gli atti adottati dagli organi di appartenenza nei ristretti
limiti tracciati dalla lesione dello ius ad officium, limiti che non appaiono
violati nel caso in esame, in cui emergono motivi di ricorso afferenti a meri
profili di legittimità dell'azione amministrativa non incidenti sulla posizione
giuridica del ricorrente consigliere (cfr., ex pluribus, Cons. di Stato, sez.
IV, 02-10-2012, n. 5184; Cons. Stato, Sez. V, 15-12-2005, n. 7122, Cons. St.,
sez. I, 30-07-2003 n. 2695).
Come rilevato da consolidata giurisprudenza,
la giurisdizione amministrativa non è strutturata come giurisdizione di diritto
oggettivo: essa non concerne un astratto sindacato sulla legalità dell'azione
dei pubblici poteri, ma è giurisdizione di diritto soggettivo, richiedendosi
per la sua attivazione la sussistenza di un interesse personale e diretto,
oltre ché attuale (cfr. Cons. di Stato, sez. V, n. 826 del 19.2.2007).
Il giudizio amministrativo è volto alla
risoluzione di controversie intersoggettive e non di contrasti tra organi o
componenti di organi di una stessa amministrazione o ente (cfr. Consiglio di
Stato, sez. V, 31 gennaio 2001, n. 358), sicché solo quando si concretizza un
contrasto interno qualificato in ragione della lesione di un interesse
personale rilevante per l'ordinamento, può dirsi sorta una posizione
qualificata ed idonea a stimolare la funzione giurisdizionale, in quanto capace
di rilevare all'esterno (così, da ultimo, T.A.R. Campania, Salerno, Sez. II,
Sent. 22-02-2013, n. 490; cfr. sullo stesso tema T.A.R. Milano, IV, 28-03-2012
n. 956; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 20 luglio 2006, n. 7613, nonché, id.
14 gennaio 2005, n. 127, per cui, deve escludersi una dilatazione della
legittimazione dei consiglieri comunali per l'impugnazione in sede
giurisdizionale delle delibere dell'organo di appartenenza, al di là della
specifica area della denunzia dei vizi propri del subprocedimento di
deliberazione, che si concretino in violazioni procedurali direttamente lesive
del munus rivestito dal consigliere comunale, come ad es., quelle di
irritualità della convocazione dell'organo, di violazione dell'ordine del
giorno, di difetto di costituzione del collegio etc., interferenti sul corretto
esercizio del mandato).
Solo la lesione diretta ed immediata del
diritto all'ufficio del consigliere comunale può fare sorgere, quindi, la
legitimatio ad agendum, ovvero l'interesse personale al ricorso al fine del
ripristino della situazione sostanziale lesa, attraverso la rimozione della
situazione antigiuridica affidata all'organo giurisdizionale (cfr. T.A.R.
Lombarda, Brescia, 14-05-2002 n. 857; T.A.R. Napoli, 07-12-2001 n. 5301).
Ebbene, nel caso in esame, come correttamente
rilevato da parte resistente, la difformità delle sedute della commissione
consiliare permanente rispetto al modello legale, quand'anche si ammetta che
possa riverberarsi sulla successiva deliberazione consiliare, può essere fatta
valere soltanto dai soggetti diretti destinatari o direttamente lesi dalla
difformità medesima, ma di certo essa non attiva la legittimazione del
consigliere comunale rimasto estraneo alla commissione medesima.
Ragionando diversamente, si dovrebbe
riconoscere al consigliere comunale la titolarità di una azione popolare di
diritto oggettivo, a tutela della conformità a legge delle delibere consiliari,
che prescinde del tutto dall'interesse del ricorrente e che è, in quanto tale,
inammissibile perché contraria ai principi del sistema di giustizia
amministrativa come sopra delineati (cfr. Cons. di Stato, V, n. 2457/2010).
Di contro, va ribadito che non ogni
violazione di forma o di sostanza nell'adozione di una deliberazione si traduce
in una automatica lesione dello ius ad officium, ma solo quella che si
sostanzia nella lesione del diritto-dovere della persona investita della carica
di consigliere comunale di esercitare la propria funzione, tramite il proprio
voto. Solo così, infatti, si crea un contrasto che non è suscettibile di risoluzione
nella dialettica interna all'organo, atteso che proprio la lesione del munus
impedisce l'attivazione dei meccanismi di responsabilità politica e rende
necessario il ricorso
all'autorità giurisdizionale per ripristinare il libero esercizio dello jus ad
officium.
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