Piano casa . Quesiti.
La normativa premiale ed
eccezionale di cui alla l. rg. Campania n. 19 del 2009 può porsi come
derogatoria rispetto alla speciale disciplina di cui alla l. rg. n. 35 del
1987, adottata peraltro in esecuzione della l. n. 431 del 1985 a tutela del
paesaggio?
La l. n. 431 del 1985 a tutela del paesaggio, anche per espressa
dizione normativa, si impone alle Regioni, ai sensi dell'art. 2 della legge
medesima, in quanto contenente norme fondamentali di riforma economico —
sociale della Repubblica (secondo la dizione normativa atta a vincolare anche
le Regioni a statuto speciale). Da ciò l'ulteriore necessità di una
interpretazione costituzionalmente orientata. T.A.R. Campania Napoli, sez. VII,
09/12/2013, n. 5632
Una norma eccezionale e premiale, quale quella sul piano casa,
destinata ad applicarsi solo in relazione alle fattispecie e nei limiti
temporali espressamente previsti, non può giammai derogare, in mancanza di
espresso riferimento — fatta peraltro salva la questione della legittimità
costituzionale della deroga medesima — ad una normativa speciale quale quella
recata dalla l. rg. n. 35 del 1987, riferita alla tutela di un bene specifico,
quale il paesaggio, e relativa ad un territorio circoscritto dalla Regione
Campania con particolare rilevanza paesaggistica.
Il riferimento per le zone vincolate al parere obbligatorio
dell'Amministrazione preposta alla tutela del vincolo, secondo le prescrizioni
di cui all'art. 32, l. n. 47 del 1985, deve intendersi operato a soli fini
procedimentali, potendo l'intervento ammettersi in conformità al vincolo
paesaggistico, laddove lo stesso consenta la nuova costruzione a determinate
condizioni o al ricorrere di determinati presupposti, ovvero, pur non
consentendo la nuova costruzione, ammetta interventi di ristrutturazione con
aumento volumetrico, previo parere dell'autorità preposta alla tutela del
vincolo.
L'art. 3, l. rg. Campania n. 19 del 2009 prevede gli interventi in
astratto inammissibili al godimento dei benefici di cui alla predetta legge; in
concreto va peraltro di volta in volta verificato se l'intervento sia
compatibile con i vincoli paesaggistici di inedificabilità relativa, potendo
pertanto ammettersi, laddove il vincolo paesaggistico vieti la sola nuova
costruzione e non anche la ristrutturazione con aumento di volumetria —
categoria edilizia alla quale vanno rapportati senza dubbio gli interventi
previsti dall'art. 4, l. n. 19 del 2009 — ovvero consenta la nuova costruzione
a certe condizioni o al ricorrere di certi presupposti od entro certi limiti,
come nell'ipotesi di specie.
La l. rg. Campania n. 19 del 2009 che disciplina il Piano casa della
Regione Campania prevede che gli interventi oggetto dell'eccezionale e premiale
disciplina possano porsi come derogatori dei soli strumenti urbanistici e non
anche dei vincoli paesaggistici prescritti da piani paesaggistici od
assimilabili ai piani paesaggistici. La disciplina dettata dalla legge de qua
regolamenta gli interventi edilizi assentiti in via eccezionale, in rapporto
alla connessa disciplina urbanistica, consentendo la deroga alla medesima,
senza nulla prevedere in merito alla deroga ai piani paesaggistici o ai piani
territoriali di coordinamento con specifica considerazione dei valori
paesistici e ambientali.
La disciplina unitaria di tutela del bene ambiente, rimessa in via
esclusiva allo Stato, viene a prevalere su quella dettata dalle Regioni e dalle
Province autonome, in materia di competenza propria, che riguardano
l'utilizzazione dell'ambiente e, quindi, altri interessi.
In tale contesto, è indubbio che le disposizioni del Codice del
paesaggio, approvato con il d.lg. n. 42 del 2004, prevedano l'assoluta
prevalenza del piano paesaggistico sugli altri strumenti di regolazione del
territorio, avendo il medesimo piano la funzione conservativa degli ambiti
reputati meritevoli di tutela, che non può essere subordinata a scelte di tipo
urbanistico, anche di tipo premiale, per loro natura orientate allo sviluppo
edilizio e infrastrutturale.
La normativa premiale ed eccezionale di cui alla l. rg. Campania n. 19
de 2009 giammai può porsi come derogatoria rispetto alla speciale disciplina di
cui alla l. rg. n. 35 del 1987, adottata peraltro in esecuzione della l. n. 431
del 1985 a tutela del paesaggio, la quale anche per espressa dizione normativa
si impone alle Regioni, ai sensi dell'art. 2, medesima legge, in quanto
contenente norme fondamentali di riforma economico — sociale della Repubblica
(secondo la dizione normativa atta a vincolare anche le Regioni a statuto
speciale). T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 14/10/2013, n. 4617
La generalizzata previsione di cui all'art. 12 comma 2 bis, l. rg.
Campania n. 19 del 2009 non può in alcun modo leggersi come deroga al P.U.T. —
sia pure in relazione a quelle zone sottoposte a vincoli di inedificabilità
relativa — anche in considerazione del rilievo che una norma eccezionale e
premiale, quale quella sul piano casa, destinata pertanto ad applicarsi solo in
relazione alle fattispecie e nei limiti temporali espressamente previsti, non
potrebbe giammai derogare, in forza del disposto dell'art. 14 sulle
disposizioni della legge in generale, in mancanza di espresso riferimento —
fatta peraltro salva la questione di legittimità costituzionale della deroga
medesima — ad una normativa speciale quale quella recata dalla l. rg. n. 35 del
1987, riferita alla tutela di un bene specifico, quale il paesaggio e relativa
ad un territorio circoscritto della Regione Campania con particolare rilevanza
paesaggistica.
La disciplina introdotta dalla l. rg. Campania n. 19 del 2009
regolamenta gli interventi edilizi assentiti in via eccezionale, in rapporto
alla connessa disciplina urbanistica, consentendo la deroga alla medesima,
senza nulla prevedere in merito alla deroga ai piani paesaggistici o ai piani
territoriali di coordinamento con specifica considerazione dei valori
paesistici o ambientali.
Né la capacità derogatoria rispetto a vincoli paesaggistici di
inedificabilità — sia pure di carattere relativo — può radicarsi dalle
disposizioni di cui all'art. 3 disciplinante i casi di esclusione e dall'art.
12 bis comma 2, medesima legge. Infatti, la previsione dell'art. 3,
nell'annoverare fra le ipotesi di esclusione alla lett. d) gli interventi
edilizi « collocati nelle aree di inedificabilità assoluta ai sensi del d.lg.
n. 42 del 2004 e nelle aree sottoposte a vincoli imposti a difesa delle coste
marine, lacuali, fluviali secondo le disposizioni dell'art. 142, medesimo
decreto legislativo, a tutela ed interesse della difesa militare e della
sicurezza interna » non comporta a contrario che, nei casi in cui il vincolo di
inedificabilità sia solo relativo, l'intervento comportante il richiesto
aumento volumetrico sia ammissibile.
In tale ottica va del pari letta la prescrizione di cui al comma 2
dell'art. 12 bis, legge de qua, secondo cui « le norme della presente legge
prevalgono su ogni altra normativa regionale, anche speciale, vigente in
materia, fermo restando, per le zone vincolate, il parere obbligatorio delle
amministrazioni preposte alla tutela del vincolo stesso, così come individuate
dall'art. 32, l. n. 47/85 e successive modifiche », dovendosi la prevalenza
della legge medesima, a prescindere dall'ammissibilità di una simile
generalizzata ed indifferenziata deroga, correlarsi alla sola materia
urbanistica e non anche alla materia paesaggistica.
Il P.U.T., sebbene approvato con legge regionale, da un punto di vista
sostanziale si configura come Piano Territoriale di Coordinamento con specifica
considerazione dei valori paesistici e ambientali, assimilabile secondo la
previsione di cui all'art. 135, d.lg. n. 42 del 2004 ad un piano paesaggistico
latu sensu inteso. Le previsioni contenute nel medesimo piano, pertanto, hanno
specifica valenza paesaggistica.
Il Piano Urbanistico Territoriale prevede norme generali d'uso del
territorio dell'area sorrentino amalfitana e formula direttive a carattere
vincolante alle quali i Comuni devono uniformarsi nella predisposizione dei
loro strumenti urbanistici o nell'adeguamento di quelli vigenti. Il P.U.T.,
inoltre, formula indicazioni per la successiva elaborazione, da parte della
Regione, di programmi di interventi per lo sviluppo economico dell'area. In
considerazione del suo carattere vincolante per i Comuni e della sua specifica
valenza di Piano di coordinamento con specifica considerazione dei valori
paesaggistici ed ambientali, si spiegano anche le misure di salvaguardia di cui
all'art. 5 comma 1, l. n. 35 del 1987, per cui, fatta eccezione per le deroghe
previste dai commi successivi, « dalla data di entrata in vigore del Piano
Urbanistico Territoriale e sino all'approvazione dei Piani regolatori Generali
comunali (ivi incluse le obbligatorie varianti generali di adeguamento ai Piani
Regolatori Generali eventualmente vigenti) per tutti i Comuni dell'area è
vietato il rilascio di concessioni ai sensi della l. 28 gennaio 1977 n. 10 ».
Il diritto positivo conosce, con la sola eccezione della previsione di
cui all'art. 133 comma 2 Cost., in forza di espressa copertura costituzionale,
solo leggi statali, costituzionali e ordinarie, rafforzate, ovvero dotate di
« forza formale » passiva superiore a quella delle altre leggi di pari rango,
in quanto richiedenti particolari ed aggravati procedimenti per la loro
modifica. In tale ottica, la l. rg. Campania n. 35 del 1987 appare suscettibile
di deroga da parte di leggi regionali successive, fatta salva la possibilità di
sollevare eventuali questioni di costituzionalità della normativa derogatoria.
La disciplina unitaria di tutela del bene ambiente, rimessa in via
esclusiva allo Stato, prevale su quella dettata dalle Regioni e dalle Province
autonome, in materia di competenza propria, che riguardano l'utilizzazione
dell'ambiente e, quindi, altri interessi. In tale contesto, è indubbio che le
disposizioni del Codice del paesaggio, approvato con il d.lg. n. 42 del 2004,
prevedano l'assoluta prevalenza del Piano paesaggistico sugli altri strumenti
di regolazione del territorio, avendo il medesimo Piano la funzione
conservativa degli ambiti reputati meritevoli di tutela, che non può essere
subordinata a scelte di tipo urbanistico, anche di tipo premiale, per loro
natura orientate allo sviluppo edilizio e infrastrutturale.
Sono esclusi dal c.d.
piano casa degli edifici collocati in Z.T.O. ad eccezione degli edifici
realizzati o ristrutturati negli ultimi cinquanta anni.
Ai sensi dell'art. 1 comma 1 lett. o), l. rg. Campania 5
gennaio 2011 n. 1 (che ha modificato l'art. 3 comma 1 lett. b, l. rg. n. 19 del
2009), sono esclusi dal c.d. piano casa degli edifici collocati in Z.T.O. « A »
od assimilabili a favore « degli edifici realizzati o ristrutturati negli
ultimi cinquanta anni » (se non rientranti negli altri casi di esclusione).
Art. 3
1. Gli interventi edilizi di cui agli articoli 4, 5, 6-bis e 7 non
possono essere realizzati su edifici che al momento delle presentazione della
Denuncia di inizio di attività di edilizia (DIA) o della richiesta del permesso
a costruire risultano:[12]
b) collocati all’interno di zone territoriali omogenee di
cui alla lettera A) dell’articolo 2 del decreto ministeriale n.1444/1968 o ad
esse assimilabili così come individuate dagli strumenti urbanistici comunali ad
eccezione degli edifici realizzati o ristrutturati negli ultimi cinquanta anni
L’eccezione riguarda soltanto gli edifici di relativamente
recente costruzione (« edifici realizzati ») e gli edifici che siano stati
oggetto di ristrutturazione in senso stretto e non semplicemente di lavori di
restauro e di risanamento conservativo oppure di manutenzione straordinaria
(vale a dire, di interventi edilizi aventi uno scopo non conservativo, ma di
sostanziale alterazione innovativa). T.A.R. Campania Napoli, sez. II,
13/09/2013, n. 4265
Le norme richiamate consentono l'aumento della volumetria
esistente (in deroga agli strumenti urbanistici ed entro il limite del
trentacinque per cento) degli edifici residenziali per interventi di
demolizione e ricostruzione, da realizzarsi all'interno dell'area nella quale
l'edificio è ubicato, permettendo di mantenere le distanze già esistenti da
edifici fronteggianti se inferiori a quelle prescritte per le nuove
edificazioni dalla normativa vigente (cfr. art. 5), ma escludono da tale
beneficio, tra gli altri, gli edifici "collocati all'interno di zone
territoriali omogenee di cui alla lettera A) dell'articolo 2 del decreto
ministeriale n. 1444/1968 o ad esse assimilabili così come individuate dagli
strumenti urbanistici comunali, ad eccezione degli edifici realizzati o
ristrutturati negli ultimi cinquanta anni qualora non rientrino in altri casi
di esclusione ai sensi del presente articolo" (cfr. art. 3, lett. b).
Poiché l'edificio per cui è causa è collocato in zona
"A" sottozona A3/R4 (Centro storico), del Comune di Grumo Nevano, il
permesso di costruire richiama nel preambolo, a giustificazione
dell'assentibilità dell'intervento, il certificato attestante che il fabbricato
di che trattasi è stato ristrutturato
Detto certificato, rilasciato dal responsabile della Sezione
Urbanistica del Comune e versato in copia agli atti del giudizio, attesta
infatti che è stato emesso Buono
Contributo per la ristrutturazione del fabbricato
Gli odierni ricorrenti, tuttavia, sostengono che quei lavori
non sarebbero stati di ristrutturazione ma di mera "riattazione" ,
nel senso di lavori di manutenzione, ordinaria e straordinaria, di non
rilevante entità, e che, per questa ragione, non potrebbe trovare applicazione
la deroga all'esclusione dal c.d. piano casa degli interventi edilizi sui
fabbricati in zona "A", la quale, come si è visto, riguarda solo
quelli realizzati o ristrutturati negli ultimi cinquanta anni.
Tanto premesso, occorre anzitutto sgombrare il campo dalle
possibili suggestioni legate all'uso del termine "riattazione",
anziché ristrutturazione, con riferimento agli interventi sugli edifici colpiti
dal sisma del 1980/81 finanziati con contributo pubblico.
Il d.l. 26 novembre 1980, n. 776, conv. in l. 22 dicembre
1980, n. 874, aveva inizialmente prevista la concessione, da parte del
commissario straordinario nominato per fronteggiare l'emergenza, di
"contributi per piccoli interventi di riparazione in abitazioni sinistrate,
ivi comprese le parti condominiali, laddove gli interventi consentano la rapida
utilizzazione degli immobili ovvero la salvaguardia degli edifici
pericolanti" (cfr. art. 3, lett. d) ed il commissario straordinario di
Governo, con ordinanza n. 80 del 6 gennaio 1981, aveva approvato i criteri e le
norme tecniche e procedurali "per la riattazione di fabbricati lievemente
danneggiati a causa del sisma del 23 novembre 1980", specificando, tra
l'altro, quali fossero i lavori ammessi negli edifici in muratura. Con
successiva ordinanza il commissario aveva poi chiarito che gli interventi erano
soltanto quelli "di limitata entità e di sollecita realizzazione che
consentono "la rapida utilizzazione degli immobili"", che perciò
non consentivano la ricostruzione dei solai in travi di legno e la
ricostruzione di coperture a tetto di vecchi fabbricati, trattandosi di opere
di ricostruzione esulanti dall'ambito di applicazione dell'ordinanza.
È in questo contesto che matura, dunque, l'uso del termine
"riattazione" per designare il complesso degli interventi consentiti
dalle norme tecniche approvate con la citata ordinanza n. 80 (cfr. i modelli
allegati all'ordinanza medesima).
In un secondo momento, a seguito del terremoto del febbraio
1981, il legislatore ha previsto ulteriori interventi in favore delle
popolazioni colpite dagli eventi sismici, intervenendo col d.l. 19 marzo 1981,
n. 75, convertito in legge 14 maggio 1981, n. 219.
Per quanto in questa sede interessa, la nuova legge ha
distintamente previsto l'assegnazione di provvidenze per la ricostruzione di
unità immobiliari ad uso abitativo distrutte o da demolire per effetto del
terremoto del novembre 1980 e del febbraio 1981 (contributi e finanziamenti per
la ricostruzione: art. 9) e l'assegnazione di provvidenze per la riparazione di
unità immobiliari a uso abitativo non irrimediabilmente danneggiati dal sisma
(contributi e finanziamenti per la riparazione: art. 10).
I lavori eseguiti sul fabbricato di cui ci si occupa in
questa sede sono stati finanziati e realizzati nella vigenza di questo secondo
intervento legislativo e, perciò, il ricorso al termine "riattazione"
nel buono contributo non può aversi come risolutivo, stando semplicemente a
indicare, allora, un contributo erogato per un'unità abitativa non irrimediabilmente
danneggiata e, perciò, non soggetta a demolizione e successiva ricostruzione,
bensì a riparazione, concetto che nella nuova legge abbracciava ogni altra
forma di intervento su immobili suscettibili di recupero.
Occorre, perciò, fare riferimento direttamente alla
consistenza degli interventi eseguiti sull'edificio per dirimere il punto
focale della presente controversia, che riguarda la questione se l'edificio
oggetto del p.d.c. n. 72/2012 del 22 ottobre 2012 possa dirsi o meno
ristrutturato ai sensi e per gli effetti dell'art. 3, lett. b, della l.r.c. n.
19/2009.
Prima, però, bisogna osservare che la legge regionale n. 19
del 2009 non contiene, a differenza che per altri termini, un'apposita
definizione stipulativa di "ristrutturazione" (cfr. art. 2), la cui
nozione va perciò ricavata da quella generale contenuta nell'art. 3, comma 1,
lett. d, del d.p.r. n. 380/01.
Quest'ultima disposizione, come è noto, definisce
""interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi
rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di
opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso
dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di
alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e
l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di
ristrutturazione edilizia sono ricompresi anche quelli consistenti nella
demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma di quello preesistente,
fatte salve le sole innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa
antisismica".
Rispetto agli interventi in confronto minori (interventi di
manutenzione ordinaria, di manutenzione straordinaria, di restauro e di
risanamento conservativo) quelli di ristrutturazione edilizia si
caratterizzano, dunque, perché rivolti a trasformare gli organismi edilizi
mediante un insieme sistematico di opere con finalità di innovazione.
In particolare, essi si distinguono dai lavori di
manutenzione straordinaria, perché questi ultimi, pur comprendendo interventi
di rinnovo e sostituzione di parti anche strutturali degli edifici, sono
comunque diretti a conservare l'edificio e non a trasformarlo, tanto è vero che
la giurisprudenza ha osservato che la manutenzione straordinaria è
caratterizzata da un duplice limite: uno di ordine funzionale, costituito dalla
necessità che i lavori siano diretti alla mera sostituzione o al puro rinnovo
di parti dell'edificio, e l'altro di ordine strutturale, consistente nella proibizione
di alterare i volumi e le superfici delle singole unità immobiliari o di mutare
la loro destinazione (cfr. C.d.S., sez. IV, 22 marzo 2007, n. 1388; C.d.S.,
sez. V, 6 febbraio 2003, n. 617, con riferimento all'identica definizione
contenuta nell'art. 31 della legge 5 agosto 1978, n. 457).
Inoltre si distinguono dagli interventi di restauro e di
risanamento conservativo, che per legge comprendono il consolidamento, il
ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento
degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso,
perché comunque gli interventi di restauro e di risanamento conservativo sono
soggetti al rispetto della regola fondamentale che li presiede (cfr. C.d.S.,
sez. V, 28 giugno 2004, n. 4794) costituita dal "rispetto degli elementi
tipologici, formali e strutturali dell'organismo da ristrutturare" (cfr.
art. 3, co. 1, lett. c, d.p.r. 380/01), laddove la ristrutturazione edilizia in
senso stretto possiede uno scopo non conservativo.
Ciò significa che, nel momento in cui l'art. 1, comma 1,
lett. o), della l.r. 5 gennaio 2011, n. 1, modificando l'art. 3, comma 1, lett.
b, della l.r.c. n. 19 del 2009, è intervenuto ad introdurre un'eccezione
all'esclusione dal c.d. piano casa degli edifici collocati in z.t.o.
"A" od assimilabili a favore "degli edifici realizzati o
ristrutturati negli ultimi cinquanta anni" (se non rientranti negli altri
casi di esclusione), questa eccezione riguarda soltanto gli edifici di
relativamente recente costruzione ("edifici realizzati") e gli
edifici che, in base a quanto si è detto, siano stati oggetto di
ristrutturazione in senso stretto e non semplicemente di lavori di restauro e
di risanamento conservativo oppure di manutenzione straordinaria (si badi anche
che la norma parla di edifici, e non di semplici unità immobiliari): vale a
dire, di interventi edilizi aventi uno scopo non conservativo, ma di
sostanziale alterazione innovativa.
In coerenza con la ratio della novella legislativa, tutto
ciò si giustifica perché in quest'ultimo caso (come anche in quello delle
costruzioni realizzate non più di cinquanta anni addietro), in cui l'edificio
ha perduto le caratteristiche originali (gli elementi tipologici, formali e
strutturali dell'organismo storico) per effetto della ristrutturazione, il
legislatore ha ritenuto non sussistere quella esigenza di tutela di valori
estetici e, più in generale, culturali che presiede altrimenti all'esclusione
dal c.d. piano casa degli edifici situati in zona territoriale omogenea "A"
(cioè in parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono
carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale), anche quando
non vincolati.
È alla luce di queste considerazioni che va, dunque, risolto
il caso in esame.
I lavori che hanno interessato l'edificio, danneggiato dal
sisma del 23 novembre 1980, sono descritti nella variante tecnica .
Nella variante si legge che le opere che formavano oggetto
dell'originario progetto di riattazione del fabbricato "comprendevano tra
l'altro la demolizione e ricostruzione di alcuni solai di interpiano e di
copertura, formazione di piattabande con travi in ferro e opere di cuci e scuci
per il consolidamento delle murature, la ricostruzione dei solai era prevista
con travette prefabbricate e laterizi", ma che "durante l'esecuzione
dei lavori, meglio ispezionati i luoghi si è ravvisata la indispensabile
necessità di rifare i tetti di copertura in quanto le murature perimetrali
presentavano un completo distacco dal solaio e lo scollamento degli stessi tra
le pareti ortogonali, con fuoriuscita dalla sede naturale"; vi si legge
ancora che, una volta demoliti i solai, era stata constatata l'impossibilità di
rifacimento del solaio con travette prefabbricate, per la mancanza di adeguato
appoggio all'incastro, dovendosi perciò procedere a rifarli con putrelle in
ferro e tavelloni; che anche il consolidamento delle murature non era stato
possibile nelle forme previste, determinando la necessità della variante
tecnica che, tuttavia, avrebbe previsto opere da eseguire o eseguite rientranti
nelle categorie di lavoro di cui all'ordinanza commissariale n. 80 e successive
modificazioni ed integrazioni.
Secondo l'amministrazione comunale gli interventi descritti nel complesso della
relativa documentazione tecnico-contabile avrebbero profondamente rinnovato il
fabbricato originario, già parzialmente ricostruito alla metà degli anni
Cinquanta del secolo appena trascorso, tanto da poterlo fare agevolmente
definire "ristrutturato": sostituzione degli originari solai intermedi
in legno con altri in ferro e tavelloni e sovrastante getto di calcestruzzo;
sostituzione della vecchia copertura a tetto con altra in lamiere di eternit;
inserimento di elementi strutturali nelle murature quali piattabande in ferro e
cemento armato; rifacimento di tramezzature interne, degli impianti idrici,
elettrici e dell'intonaco; rifacimento parziale delle muratore; e così via, ivi
compresa la modifica di vani esterni mediante chiusura con muratura in tufo di
finestrini bagni al piano terra e di un vano al secondo piano.
In senso contrario, tuttavia, si deve anzitutto escludere
che questi ultimi interventi siano stati di entità tale da innovare realmente
l'edificio nel suo complesso: testimonia ciò il computo metrico, alla voce
"muratura di tufo per chiusura di alcuni vani finestrino p.t., p.t., vano
2° piano", dove se ne riportano le limitate dimensioni (ed un incidenza di
costo sul totale delle opere di circa il 2,5 per mille).
Per il resto, si tratta di interventi di riparazione ai
sensi della legge n. 219 del 1981, a ben vedere in larghissima parte inclusi
già nell'elenco di lavori originariamente ammessi dalla precedente ordinanza
commissariale n. 80.
Il semplice catalogo dei lavori effettuati sull'edificio,
registrati nel computo metrico e negli altri documenti agli atti del presente
giudizio, appare invero compatibile con un intervento di risanamento
conservativo, che, come detto, può comprendere anche il consolidamento, il
ripristino ed il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio,
l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle
esigenze dell'uso, senza che per questo solo trasmodi in ristrutturazione
edilizia in senso proprio.
La documentazione tecnico-contabile dell'epoca, prodotta in
giudizio dalle parti, non dimostra un'alterazione sostanziale degli elementi
tipologici, formali e strutturali dell'organismo originario (rammentandosi
nuovamente che persino il rinnovo di elementi costituitivi dell'edificio può
rientrare nel perimetro del risanamento conservativo, così come la manutenzione
straordinaria può comprendere la sostituzione di parti anche strutturali degli
edifici) e, in particolare, non dimostra affatto - come sarebbe stato
necessario per resistere al gravame (non potendosi accollare al ricorrente la
prova diabolica del fatto negativo) - che l'intervento posto in opera
all'indomani dei due sismi del 1980 e del 1981 avesse una finalità non
semplicemente conservativa dell'edificio danneggiato, ma di sua sostanziale
trasformazione.
Nessun rilievo assume, inoltre, la circostanza che
l'edificio fosse stato parzialmente ricostruito cinquantotto anni fa, in quanto
la legge regionale, come si è visto, assegna rilevanza soltanto a vicende più
recenti (cfr. art. 3, lett. b, l.r.c. n. 19 del 2009).
Tanto basta per accogliere il ricorso, assorbita ogni altra
censura, ed annullare, per l'effetto, il permesso di costruire.
La individuazione
delle aree da destinate all'edilizia residenziale sociale richiede la variante
degli strumenti urbanistici?.
L'art. 7 comma 4, l. rg. n. 19 del 28 dicembre 2009, c.d.
« Piano Casa » ha previsto la
possibilità per le amministrazioni comunali di individuare aree da destinate
all'edilizia residenziale sociale, alle condizioni ivi individuate.
La norma consente che l'individuazione delle relative aree
avvenga, a differenza della fattispecie prevista dai precedenti commi 2 e 3, in
variante ma non anche in deroga agli strumenti urbanistici vigenti. In tal
senso depone non solo l'interpretazione letterale della disposizione ma anche, sul
piano teleologico e sistematico, la specifica finalità perseguita (agevolazione
di giovani coppie e nuclei familiari con disagio abitativo), che il legislatore
ha opportunamente contemperato con l'esigenza di preservare un ordinato assetto
e sviluppo del territorio, che viene assicurato, nell'ipotesi di insussistenza
della conformità urbanistica delle aree da destinare a tale scopo, proprio
attraverso la procedura di variante. T.A.R. Campania Napoli, sez. II,
03/05/2013, n. 2281
La realizzazione di
interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con incremento
volumetrico del 35% degli edifici può trovare applicazione in relazione agli
edifici residenziali nella loro unità ed interezza?
L'art. 5 l.rg. Campania n. 19 del 28 dicembre 2009, cd.
"Piano Casa" consente, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti,
la realizzazione di interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con
incremento volumetrico del 35% degli edifici residenziali esistenti.
La norma ha di mira
il miglioramento della qualità urbana attraverso il recupero del patrimonio
edilizio esistente, per cui non può trovare applicazione in relazione a singole
porzioni dei fabbricati, ma agli edifici residenziali nella loro unità ed
interezza. T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 22/03/2013, n. 1581
L'art. 5, l. rg.
Campania n. 19 del 2009 contrasta con
l'art. 117 della Costituzione?
L'art. 5, l. rg. Campania n. 19 del 2009 (che consente, per
gli interventi di demolizione e ricostruzione, l'aumento entro il limite del
35% della volumetria esistente) non contrasta con l'art. 117 della Costituzione
(in riferimento alla diversa previsione della norma statale di cui all'art. 3
comma 1 lett. d ), d.P.R. n. 380 del 2001, che non prevede alcun aumento di
volumetria per tale tipologia di interventi edilizi), dal momento che, in
ordine a tale aspetto, è pienamente conforme all'Intesa sancita tra Stato,
Regioni ed autonomie locali in sede di Conferenza Unificata in data 1 aprile
2009. T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 18/03/2013, n. 1502.
La l. rg. Campania n. 19 del 28 dicembre 2009, cd.
"Piano Casa", nella dichiarata finalità di contrastare la crisi grave
economica in atto e di tutelare i livelli occupazionali attraverso il rilancio
delle attività edilizie, ha disciplinato interventi di incremento volumetrico e
di superfici da attuare sui singoli edifici, in deroga agli strumenti
urbanistici vigenti, in relazione ad un arco di tempo limitato, con casi di
esclusione ben determinati, realizzabili sull'intero territorio regionale,
prescindendo dall'esistenza o meno di previsioni urbanistiche vigenti (nonché
dalla classificazione in zone omogenee eventualmente operata in sede di
pianificazione urbanistica dai singoli Comuni), ma avendo di mira
esclusivamente, in attuazione della dichiarata finalità legislativa, il
recupero del patrimonio edilizio esistente.
Il Piano Casa
consente il cambio di destinazione d’uso?
L'ubicazione in zona D non può costituire impedimento al
cambio di destinazione d'uso, trattandosi proprio dell'effetto riconosciuto
dalla norma derogatoria di cui all'art. 7 commi 6 e 6 bis, l. rg. Campania n.
19 del 2009. T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 07/03/2013, n. 1292.
Ai fini del mutamento di destinazione d'uso di alcune
categorie di edifici in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, il rinvio
operato dal comma 6 bis dell'art. 7, l. rg. Campania n. 19 del 2009, al
precedente sesto comma non comporta che la destinazione d'uso originaria debba
essere necessariamente prevalentemente - e non anche esclusivamente - una di
quelle contemplate nel combinato disposto delle due disposizioni regionali,
cioè « uffici e residenze o alloggi di servizio (comma 6) e residenze
turistico-alberghiere (comma 6 bis ). Invero, un'interpretazione letterale del
sesto comma può legittimare un'accezione della nozione di destinazione
urbanistica prevalente intesa sia in senso qualitativo, cioè come sussistenza
di una commistione di categorie tout court , sia in senso quantitativo,
assegnando a tale concetto il significato di parametro minimale, ove a rilevare
sarebbe l'esistenza almeno in parte di una delle destinazioni urbanistiche tra
quelle indicate dalla legge; in tale ultima ipotesi, la destinazione esclusiva
costituirebbe, capovolgendo il ragionamento, la migliore condizione per
ottenere il mutamento di destinazione d'uso in deroga. Pertanto, tra le due
opzioni, l'indagine deve completarsi attraverso lo strumento
dell'interpretazione logico-funzionale della normativa in esame. A tal fine, la
soluzione ermeneutica della nozione di prevalenza, intesa come dato
qualitativo, condurrebbe ad una non persuasiva lettura teleologica del dato
legislativo, dal momento che non si comprenderebbe la ragione di limitare il
mutamento della destinazione d'uso di specifici edifici per il solo fatto che
la relativa destinazione urbanistica originaria non sia plurima; in realtà,
appare più aderente al dato legislativo limitare il regime derogatorio alle
sole ipotesi in cui, per un medesimo edificio, sussista una commistione di
destinazioni d'uso diffusa, senza che prevalga nessuna tra quelle
specificamente individuate dalla norma. In altri termini, la disciplina
derogatoria prevedrebbe, non già un doppio limite di natura qualitativa,
tipologico e di commistione tout court tra tipi, ma rispettivamente un limite
qualitativo, riferito alle categorie individuate dal legislatore regionale, ed
uno quantitativo, tale cioè che la categoria o le categorie per cui è ammessa
la deroga siano presenti in una misura minima sufficiente, con la conseguenza
di ritenere la destinazione esclusiva come possesso assoluto del requisito.
Il piano casa
consente l’intervento sui ruderi?
Ai sensi dell'art. 7 comma 8 bis , l. rg. Campania n. 19 del
2009, in deroga agli strumenti urbanistici vigenti, è consentito il recupero
edilizio di edifici diruti e ruderi mediante intervento di ricostruzione in
sito, purché ne sia comprovata la preesistenza alla stessa data di entrata in
vigore della citata legge, nonché la consistenza e l'autonomia funzionale, con
obbligo di destinazione del manufatto ad edilizia residenziale e secondo le
disposizioni di cui all'art. 5 della medesima legge regionale. T.A.R. Campania
Napoli, sez. V, 28/12/2012, n. 5367.
Il piano casa
consente sanatoria di immobili abusivi?
Con la l.reg. n. 19 del 28 dicembre 2009, cd. Piano Casa, il
legislatore campano ha intesto promuovere gli investimenti privati per il
recupero e la riqualificazione del patrimonio edilizio esistente nel territorio
regionale, con la funzione primaria, sebbene non esclusiva, di contrastare la
grave crisi economica che ha investito anche il settore edilizio, senza
tuttavia operare alcuna sanatoria delle opere edilizie; la l. reg. n. 19 del
2009 reca, infatti, non già una normativa di condono o di sanatoria ma,
rispondendo all'esigenza di promuovere gli investimenti privati nel settore
dell'edilizia, ha introdotto una disciplina di natura eccezionale in relazione
a specifici interventi, destinata ad operare per un arco temporalmente
limitato, sempre dietro presentazione di un'istanza che deve precedere la loro
esecuzione e dalla quale deve, peraltro, emergere la rispondenza
dell'intervento alle specifiche finalità perseguite dal legislatore regionale.
T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 14/12/2012, n. 5203.
Il piano casa, approvato con
l.reg. Campania n. 19 del 2009, è invocabile per una richiesta di sanatoria di
abusi edilizi?
L'art. 4 l.reg. Campania n. 19 del 2009 (cd. Piano Casa) non consente
di sanare opere già realizzate in assenza di idoneo titolo abilitativo.
Al riguardo, infatti, l'art. 3, citata l. reg. n. 19 del 2009
stabilisce, tra l'altro, che gli interventi edilizi di cui all'art. 4 non
possono essere eseguiti su edifici "a) realizzati in assenza o in
difformità al titolo abilitativo". In altri termini, la legislazione
regionale non consente di ampliare l'oggetto della disciplina del condono
edilizio attraverso un improprio cumulo dei benefici concessi dalle rispettive
norme di favore, le quali operano su piani distinti, risultando ancorate a
presupposti diversi.
In altri termini, la legislazione regionale non consente di ampliare
l'oggetto della disciplina del condono edilizio attraverso un improprio cumulo
dei benefici concessi dalle rispettive norme di favore, le quali operano su
piani distinti, risultando ancorate a presupposti diversi. T.A.R. Campania
Napoli, sez. II, 26/06/2012, n. 3013.
I comuni possono
limitare sul proprio territorio l'applicazione della l. reg. Campania n. 19 del
2009?
Il potere dei comuni di limitare sul proprio territorio
l'applicazione della l. reg. Campania n. 19 del 2009 è connotato da un'estesa
sfera di discrezionalità, considerato che l'autonomia dei comuni nel governo
del proprio territorio è garantita, nella fattispecie, al massimo grado, come
si desume dalla norma di riferimento, costituita dall'art. 5 comma 7 (secondo
periodo) l. reg. cit., che richiede unicamente che il provvedimento del
Consiglio comunale sia "motivato da esigenze di carattere urbanistico ed
edilizio". Tale previsione è del resto coerente con i principi generali in
materia urbanistica, secondo cui le scelte compiute nell'esercizio della
potestà pianificatoria - alla quale quella in esame è strettamente connessa -
sono espressione di ampia discrezionalità nel definire la tipologia delle
utilizzazioni delle singole parti del territorio e non sono sindacabili (impingendo
nel merito dell'azione amministrativa), salvo che risultino incoerenti con
l'impostazione di fondo dell'intervento pianificatorio o manifestamente
incompatibili con le caratteristiche oggettive del territorio, ovvero ancora
affette da vizi macroscopici di logicità e razionalità riconducibili all'alveo
dell'eccesso di potere. T.A.R. Campania Napoli, sez. II, 28/05/2012, n. 2501.
L'art. 5 comma 7 (secondo periodo), l.reg. Campania 19
dicembre 2009 n. 19 sul cd. Piano casa statuisce che l'ampliamento fino al 35%
della volumetria esistente non può essere realizzato "in aree individuate,
dai comuni provvisti di strumenti urbanistici generali vigenti, con
provvedimento di consiglio comunale motivato da esigenze di carattere
urbanistico ed edilizio, nel termine perentorio di sessanta giorni decorrenti
dalla data di entrata in vigore della presente legge". La successiva
l.reg. n. 1 del 2011 non ha riaperto il suddetto termine perentorio di 60
giorni (decorrente dalla data di entrata in vigore della l. reg. n. 19 del
2009) concesso ai Comuni per stabilire limitazioni all'applicazione delle
disposizioni previste dal legislatore regionale, con conseguente consumazione
del relativo potere non esercitato entro il suddetto termine. T.A.R. Campania
Napoli, sez. II, 02/05/2012, n. 1980.
E’ incostituzionale
la norma che istituisce il fascicolo di
fabbricato?
È inammissibile la q.l.c., sollevata in riferimento agli
art. 3, 23, 41, 42, 97, 117, commi 2, lett. l) e 3, cost., dell'art. 9 commi 2
e 3 l.reg. Campania 28 dicembre 2009 n. 19, i quali prescrivono l'obbligo del
fascicolo di fabbricato per ogni incremento volumetrico o mutamento d'uso, da
redigere con le modalità e i contenuti definiti da apposito regolamento. Le
doglianze vengono basate esclusivamente sull'assunto (non altrimenti
dimostrato) della non conformità delle previsioni oggetto di impugnazione ai
parametri di volta in volta evocati: esse, dunque, non rispondono ai requisiti
di chiarezza e completezza richiesti per la valida proposizione di una q.l.c.,
a maggior regione nei giudizi proposti in via principale (sent. n. 139 del
2006, 45, 119 del 2010). Corte Costituzionale, 05/11/2010, n. 312.
2 commenti:
da parte del mio comune si ritiene che l'applicazione dell'art. 7 comma 6 il cambio di destinazione d'uso può essere applicato solo alle aree degradate e non a tutti i fabbricati in zona D questa considerazione nasce dal fatto che il comma 6 e inserito dell'art, 7 Riqualificazione Aree urbane degradate.
In regione Campania un mezzadro o affittuario, in zona agricola, può richiedere un titolo edilizio in luogo del proprietario?
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