Capitolo 4
LE CONCESSIONI CIMITERIALI.
1. Il procedimento di assegnazione.
I piani regolatori cimiteriali, disciplinati
dall’art. 54, D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285, devono prevedere le aree
destinate alla costruzione di sepolture private.
Il Comune deve predisporre un progetto di lottizzazione delle aree da assegnare in concessione secondo i principi dell’evidenza pubblica.
Il Comune deve predisporre un progetto di lottizzazione delle aree da assegnare in concessione secondo i principi dell’evidenza pubblica.
L’assegnazione è il provvedimento amministrativo con
il quale si identifica l’idoneità del richiedente ad essere successivamente
concessionario (P. VIRGA, Diritto amministrativo. Atti e ricorsi, 1987,
22).
Il provvedimento non deve necessariamente indicare
l’area oggetto di concessione, potendosi rinviare la scelta ad un successivo
atto che mantiene una sua autonomia.
Abbiamo quindi due atti distinti: l’assegnazione,
come affermazione della posizione utile di chi è collocato in graduatoria ad
ottenere la concessione, e la scelta, come identificazione dell’oggetto della
concessione; essi possono anche essere compresi in un unico atto di concessione
qualora questo individui anche l’area da assegnare.
Momento generativo, iniziale del provvedimento è un
fatto materiale ossia la disponibilità dell’area che comporta l’esplicarsi di
una attività amministrativa.
La carenza di concorrenti in graduatoria determina
l’impossibilità di emanare il provvedimento e l’obbligo per l’amministrazione
di indire un bando.
L’atto di assegnazione presuppone necessariamente
che il richiedente abbia partecipato al bando di concorso e che sia
riconosciuta la sua idoneità ad essere soggetto di un atto di assegnazione.
Questa idoneità si ottiene con l’accertamento dei
requisiti necessari per essere ammesso a fruire della concessione ossia che il
richiedente sia residente nel Comune.
Le concessioni di aree cimiteriali, destinate alla
costruzione di tombe, edicole e cappelle private, sono rilasciate, di norma,
osservando come criterio di priorità la data di presentazione della domanda di
assegnazione.
Le domande possono essere presentate da tutti i
cittadini residenti nel Comune ed dai loro congiunti e discendenti di ambo i
sessi.
La giurisprudenza ha affermato che è illegittimo,
per violazione dei canoni di trasparenza dell'azione amministrativa, il
provvedimento municipale di approvazione di una variante all'ordinario progetto
di lottizzazione di aree interne al cimitero comunale e di riassegnazione in
concessione delle aree cimiteriali, sulla base delle stesse domande già
presentate, ma in assenza della certezza sull'ordine logico della
presentazione, in sede di riesame del procedimento per dubbi
dell'amministrazione sulla legittimità della prima procedura.
Nel caso di specie l'amministrazione deve procedere
all'eventuale annullamento dei primi deliberati ed all'approvazione, secondo un
criterio di priorità logica, di un nuovo progetto di lottizzazione cimiteriale
e, quindi, di una nuova procedura concorsuale, sulla base di criteri nuovamente
resi pubblici con un apposito bando (T.A.R. Campania
Napoli, sez. I, 11 aprile 2000, n. 987).
2. La concessione cimiteriale.
Il diritto d’uso di una sepoltura consiste in una
concessione amministrativa su bene comunale, soggetta al regime dei beni
demaniali e lascia integro il diritto
del Comune sulla nuda proprietà.
L’art. 823, c.c., afferma che i beni che fanno parte
del demanio pubblico sono inalienabili. Essi possono formare oggetto di diritti
a favore di terzi solo nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li
riguardano.
Sono frequenti le concessioni amministrative che
hanno per oggetto i beni demaniali e che vi prevedono la costruzione di
manufatti (G. PUGLIESE, Superficie, in Commentario al codice civile a
cura di A. Scialoja e G. Branca, 1976, 584).
La proprietà del suolo rimane al comune che diventa
anche proprietario delle opere alla scadenza della concessione.
Il concessionario diventa proprietario delle opere
come espressamente afferma l’art. 63, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Il concessionario ha l’obbligo di mantenere, per tutto il tempo della concessione, in buono stato di conservazione i manufatti di loro proprietà.
Il concessionario ha l’obbligo di mantenere, per tutto il tempo della concessione, in buono stato di conservazione i manufatti di loro proprietà.
Il comune può provvedere alla rimozione dei
manufatti pericolanti, previa diffida ai componenti della famiglia del
concessionario.
Proprio in quanto appartengono al demanio del Comune, è possibile che determinate aree siano date in concessione a privati o enti al fine di costruirvi sepolture a sistema di tumulazione individuale, per famiglie e collettività, come del resto espressamente dispone l'art. 90 del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, regolamento di polizia mortuaria (F. NARDUCCI, Guida normativa per l’amministrazione locale, 2014, 1987).
Proprio in quanto appartengono al demanio del Comune, è possibile che determinate aree siano date in concessione a privati o enti al fine di costruirvi sepolture a sistema di tumulazione individuale, per famiglie e collettività, come del resto espressamente dispone l'art. 90 del D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, regolamento di polizia mortuaria (F. NARDUCCI, Guida normativa per l’amministrazione locale, 2014, 1987).
La dottrina fa rientrare la concessione di aree
cimiteriali fra le concessioni traslative in quanto con esse la pubblica
amministrazione non fa che trasferire al privato una parte delle facoltà e dei
poteri relativi al bene che istituzionalmente le spettano.
La giurisprudenza ritiene che la concessione di aree
cimiteriali consti di un atto amministrativo unilaterale con cui la pubblica
amministrazione delibera di concedere l’area al privato e di un contratto con
cui si stabiliscono le condizioni della concessione e dal quale scaturiscono i
diritti soggettivi e gli obblighi del concessionario.
Deve, pertanto, essere distinto il momento
pubblicistico, caratterizzato dal provvedimento unilaterale di individuazione
del concessionario, da quello privatistico, caratterizzato dalla stipulazione
di un negozio giuridico bilaterale.
Ne deriva che la controversia avente ad oggetto
l'inadempimento delle obbligazioni assunte da una parte, nell’ambito di tale
rapporto, esula dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo,
coinvolgendo il diritto soggettivo alla corretta esecuzione del contratto (T.A.R. Lombardia
Brescia, 27 giugno 2005, n. 673).
La dottrina rileva che il contratto che si
accompagna alla concessione è il presupposto di questa; i diritti e gli
obblighi del privato derivano direttamente dalla concessione.
Da qui la conseguenza del potere
dell’amministrazione di incidere sull’atto di concessione cui il contratto che
è mero presupposto deve cedere (S. ROSA, Cimitero, in Enc. dir.,
1960, 996).
2.1. Il contenuto.
Ogni concessione del diritto d’uso di aree o
manufatti deve risultare da apposito atto contenente l’individuazione della
concessione, le clausole e
condizioni della medesima e le norme che regolano
l’esercizio del diritto d’uso. In particolare, l’atto di concessione deve
indicare:
1) la natura della concessione e la sua
identificazione;
il numero di posti salma realizzati o realizzabili;
2) la durata;
3) la persona titolare della concessione o, nel caso
di Enti e collettività, il legale rappresentante;
4) le salme destinate ad esservi accolte o i criteri
per la loro precisa individuazione;
5) gli obblighi ed oneri cui è soggetta la
concessione,
ivi comprese le condizioni di decadenza.
Il concessionario e gli aventi diritto hanno l’obbligo
di rispettare rigorosamente le modalità di utilizzo della concessione, secondo
le norme del presente regolamento e le modalità indicate nel provvedimento di
concessione.
Il Comune può concedere a privati e ad enti l'uso di
aree per la costruzione di sepolture a sistema di tumulazione individuale, per
famiglie e collettività.
Nelle aree avute in concessione, i privati e gli enti possono impiantare, in luogo di sepolture a sistema di tumulazione, campi di inumazione per famiglie e collettività, purché tali campi siano dotati ciascuno di adeguato ossario, ex art. 90, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Nelle aree avute in concessione, i privati e gli enti possono impiantare, in luogo di sepolture a sistema di tumulazione, campi di inumazione per famiglie e collettività, purché tali campi siano dotati ciascuno di adeguato ossario, ex art. 90, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
L'art. 91, D.P.R. 285/1990, stabilisce che tali
aree, nelle quali possono essere costruiti i sepolcri anche in forma di
cappelle, devono essere previste nei piani regolatori cimiteriali.
Da queste ed altre disposizioni del regolamento si evince chiaramente la volontà del legislatore di assicurare al Comune il controllo e l'organizzazione del cimitero, così da garantire la tutela della salute pubblica e il rispetto della destinazione del luogo al culto dei defunti e all'unione familiare.
La concessione da parte del Comune di aree o porzioni di un cimitero pubblico è soggetta al regime demaniale dei beni, indipendentemente dalla eventuale perpetuità del diritto di sepolcro (Cass. Civ., Sez. II, 16 gennaio 1991, n. 375).
Da queste ed altre disposizioni del regolamento si evince chiaramente la volontà del legislatore di assicurare al Comune il controllo e l'organizzazione del cimitero, così da garantire la tutela della salute pubblica e il rispetto della destinazione del luogo al culto dei defunti e all'unione familiare.
La concessione da parte del Comune di aree o porzioni di un cimitero pubblico è soggetta al regime demaniale dei beni, indipendentemente dalla eventuale perpetuità del diritto di sepolcro (Cass. Civ., Sez. II, 16 gennaio 1991, n. 375).
Dalla concessione amministrativa del terreno
demaniale destinato ad area cimiteriale al fine di edificazione di una tomba
deriva, in capo al concessionario, un diritto di natura reale sul bene - il cosiddetto
diritto di sepolcro - la cui manifestazione è costituita prima dalla
edificazione, poi dalla sepoltura.
Tale diritto, che afferisce alla sfera strettamente
personale del titolare, è, dal punto di vista privatistico, disponibile da
parte di quest'ultimo che può, pertanto, legittimamente trasferirlo a terzi
ovvero associarli nella fondazione della tomba, senza che ciò rilevi nei
rapporti con l'ente concedente il quale può revocare la concessione soltanto
per interesse pubblico, ma non anche contestare le modalità di esercizio del
diritto de quo che restano libere e riservate all'autonomia privata (Cass. Civ., sez.
II, 24 gennaio 2003, n. 1134, in Giust. civ. Mass., 2003,
180).
Una volta costituita legittimamente la concessione
di uso dello ius sepulchri la relativa facoltà gode di una protezione
piena ed assoluta nei confronti dei privati, ma, nel rapporto con
l'amministrazione, l'acquisto della relativa facoltà resta sempre subordinato
all'adozione di un apposito provvedimento di trasferimento (Cons. Stato,
sez. V, 7 ottobre 2002, n. 5294, in Foro amm. CDS, 2002, 2427).
Il diritto sul sepolcro già costituito è un diritto
soggettivo perfetto, assimilabile al diritto di superficie, suscettibile di
possesso nonché di trasmissione inter vivos o di successione mortis
causa e come tale opponibile agli altri privati, atteso che lo stesso nasce
da una concessione amministrativa avente natura traslativa - di un'area di
terreno o di una porzione di edificio in un cimitero pubblico di carattere
demaniale - che, in presenza di esigenze di ordine pubblico o del buon governo
del cimitero, può essere revocata dalla p.a. nell'esercizio di un potere
discrezionale che determina l'affievolimento del diritto soggettivo ad interesse
legittimo. In difetto di una diversa espressa volontà del fondatore, il
sepolcro deve presumersi destinato sibi familiaeque suae (Cass. Civ., sez.
II, 30 maggio 2003, n. 8804, in Giust. civ., 2004, I, 397).
Le tombe non possono in alcun caso formare oggetto
di lucro, di speculazione o di cessione fra i privati né possono essere
utilizzate per la sepoltura di
persone che non ne abbiano diritto.
I concessionari hanno l’obbligo di mantenere le
tombe in condizioni di decoro e di curare costantemente la manutenzione delle
lapidi e degli ornamenti che vi sono collocati.
3. Il diritto al sepolcro.
Il privato, ottenuta la concessione, ha un diritto
soggettivo al sepolcro.
La giurisprudenza riconosce sia un diritto primario
sia un diritto secondario di sepolcro.
Lo ius sepulchri si compone di un complesso
differenziato di situazioni giuridiche. Il diritto cd. primario, consistente
nella duplice facoltà di essere sepolti (ius sepulchri) e di seppellire
altri (ius inferendi in sepulchrum) in un dato sepolcro, e un diritto
cd. secondario, che spetta a chiunque sia congiunto di una persona che riposa
nel sepolcro e che ha come contenuto la facoltà di accedere al sepolcro nelle ricorrenze
e di opporsi alle trasformazioni che arrechino pregiudizio al rispetto dovuto a
quella data spoglia e ad ogni atto che costituisca violazione ed oltraggio a
quella tomba(V. ZANOBINI, Corso di diritto amministrativo, IV, Milano,
1958, 33 ss.).
Il primo consiste nel diritto di essere seppellito o di seppellire altri in un dato sepolcro, che può essere attribuito dal proprietario del sepolcro a titolo gratuito oppure oneroso, per atto tra vivi o a causa di morte.
Il primo consiste nel diritto di essere seppellito o di seppellire altri in un dato sepolcro, che può essere attribuito dal proprietario del sepolcro a titolo gratuito oppure oneroso, per atto tra vivi o a causa di morte.
Il diritto secondario di sepolcro - che spetta per
legge a chiunque sia congiunto di una persona che riposa in un sepolcro -
consiste nella facoltà di accedervi (M. LEO, Sepolcro familiare o parentale?,
in Dir. fam., 1997, 2, 494. Nota a Cass. Civ., sez. II, 19 maggio 1995,
n. 5547).
La giurisprudenza consente a chi è titolare di detto
diritto opporsi ad ogni sua trasformazione che arrechi pregiudizio al rispetto
dovuto a quella data spoglia e ad ogni atto che costituisca violazione od
oltraggio a quella tomba (Corte appello L'Aquila, 6 giugno 1984, in Giust.
civ., 1985, I, 210).
Il diritto sul sepolcro già costruito è un diritto
soggettivo perfetto, assimilabile al diritto di superficie, suscettibile di
trasmissione inter vivos o di successione per causa di morte e come tale
opponibile agli altri privati. (Cass. Civ., sez.
II, 30 maggio 2003, n. 8804, GCM, 2003, 5).
E’ pacifico che atti dispositivi, in via
amministrativa, non possono configurarsi senza limiti di tempo a carico di
elementi del demanio pubblico.
La dottrina afferma l'impignorabilità assoluta dell'area cimiteriale sottostante al sepolcro privato, riconosciuta bene demaniale, ex art. 824, comma 2, c.c. (R. TERRANOVA, Impignorabilità delle sepolture private: un problema di qualificazione giuridica della relazione tra il privato e il sepolcro, in Dir. Eccl., 2000, 64).
La dottrina afferma l'impignorabilità assoluta dell'area cimiteriale sottostante al sepolcro privato, riconosciuta bene demaniale, ex art. 824, comma 2, c.c. (R. TERRANOVA, Impignorabilità delle sepolture private: un problema di qualificazione giuridica della relazione tra il privato e il sepolcro, in Dir. Eccl., 2000, 64).
Il diritto di sepolcro, attribuito al fondatore
prima della morte, nasce dalla concessione da parte della pubblica
Amministrazione di un'area di terreno o di una porzione di edificio in un
cimitero pubblico; tale concessione attribuisce, a sua volta, al privato
concessionario un diritto soggettivo perfetto di natura reale, assimilabile al
diritto di superficie o di servitù, nei confronti degli altri privati.
La giurisprudenza riconosce che nel nostro
ordinamento il diritto sul sepolcro già costruito nasce da una concessione, da
parte dell'autorità amministrativa, di un'area di terreno o di una porzione di
edificio, in un cimitero pubblico di carattere demaniale (Cass. Civ., sez. un.,
7 ottobre 1994 n. 8197, in Gius, 1994, 91).
La giurisprudenza è concorde nel sostenere che si
tratti di un diritto soggettivo perfetto e di natura reale, o almeno
assimilabile al diritto reale di superficie (Cass. Civ., sez. un., 28 dicembre
1961, n. 2835, in Giur. it., 1962, I, 1, 245).
Si tratta di una teoria consolidata da tempo che si
è posta in contrasto con l'asserita natura personale di tale diritto, sostenuta
dalla dottrina e dalla giurisprudenza francese.
Iure pubblico, questo diritto si affievolisce nei confronti della pubblica amministrazione e degrada a diritto condizionato o ad interesse legittimo qualora, di fronte ad esigenze di pubblico interesse per la tutela dell'ordine e del buon governo del cimitero, essa eserciti il potere di revoca della concessione.
Lo ius sepulchri non ha, quindi, un contenuto unitario, ma si compone, come si è visto, di un complesso differenziato di situazioni giuridiche.
Iure pubblico, questo diritto si affievolisce nei confronti della pubblica amministrazione e degrada a diritto condizionato o ad interesse legittimo qualora, di fronte ad esigenze di pubblico interesse per la tutela dell'ordine e del buon governo del cimitero, essa eserciti il potere di revoca della concessione.
Lo ius sepulchri non ha, quindi, un contenuto unitario, ma si compone, come si è visto, di un complesso differenziato di situazioni giuridiche.
In considerazione della natura reale patrimoniale
del diritto di sepolcro, la giurisprudenza sostiene che deve tenere conto del
valore dello stesso in sede di formazione dell'asse ereditario relitto del
fondatore, ai fini della determinazione della quota di cui questi poteva
disporre (Cass. Civ., sez. II, 23 luglio 1964, n. 1971, in Giust. civ.,
1965, I, 137).
Il diritto al sepolcro si affievolisce, degradando
ad interesse legittimo, nei confronti della p.a. nei casi in cui esigenze di
pubblico interesse per la tutela dell'ordine e del buon governo del cimitero
impongono o consigliano alla p.a. di esercitare il potere di revoca della
concessione (Cass. Civ., sez. II, 7 ottobre 1994, n. 8197).
Il Comune può revocare la concessione che è connotata da poteri autoritativi incompatibili con la perpetuità della stessa.
Il regolamento comunale può prevedere la revoca delle concessioni a tempo indeterminato.
Il Comune può revocare la concessione che è connotata da poteri autoritativi incompatibili con la perpetuità della stessa.
Il regolamento comunale può prevedere la revoca delle concessioni a tempo indeterminato.
La previsione è del tutto coerente con l'art. 92 del
D.P.R. 285/1990, che regolamenta la materia.
Le concessioni a tempo determinato di durata eventualmente eccedente i 99 anni, rilasciate anteriormente all'entrata in vigore del D.P.R. 803 del 1975, possono essere revocate quando siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell'ultima salma, ove si verifichi una grave insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno del comune e non sia possibile provvedere tempestivamente all'ampliamento o alla costruzione del nuovo cimitero, ex art. 92, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Le concessioni a tempo determinato di durata eventualmente eccedente i 99 anni, rilasciate anteriormente all'entrata in vigore del D.P.R. 803 del 1975, possono essere revocate quando siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell'ultima salma, ove si verifichi una grave insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno del comune e non sia possibile provvedere tempestivamente all'ampliamento o alla costruzione del nuovo cimitero, ex art. 92, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
La giurisprudenza riconosce la legittimità della
revoca che è conforme alla cornice legislativa e regolamentare, di fonte
statale, che è improntata al criterio del divieto generale delle concessioni
cimiteriali sine die.
Poiché l'art. 824, comma 2, c.c., include
espressamente i cimiteri nel demanio comunale - i cui atti dispositivi, quindi,
non sono legittimamente configurabili senza limiti di tempo - la concessione da
parte di un Comune di aree o porzioni di un cimitero pubblico è soggetta a tali
regole demaniali, ribadite inoltre dall'art. 92, comma 2, D.P.R. 10 settembre
1990, n. 285, indipendentemente dall'eventuale perpetuità del diritto di
sepolcro, onde legittima è la revoca dell'atto concessorio rilasciato sine
die (Cons. St., sez.
V, 28.5.2001, n. 2884,
in Foro Amm., 2001, 1222).
3.1. Il diritto di essere inumato nel sepolcro
familiare.
La giurisprudenza riconosce che ai sepolcreti, anche
se sono beni in commercio, è dovuto il rispetto della destinazione che è stata
loro originariamente impressa e, inoltre, che devono acclararsi i diritti dei
fondatori e loro discendenti, ove i sepolcri siano stati destinati sibi
suisque.
Ai fondatori ed ai loro discendenti, facenti parte
della famiglia, compete, oltre al diritto di esservi seppelliti, quello di
veder rispettato il pari diritto degli altri contitolari e dei loro discendenti
(ius inferendi mortuum in sepulchrum).
Nel sepolcro non possono essere introdotte salme di
persone estranee alla famiglia, appartenendo il diritto di sepoltura, pro
indiviso, solo a tutti i membri della famiglia stessa
La giurisprudenza comunemente afferma che la famiglia,
del fondatore o dei fondatori, è costituita da un nucleo sociale formato da
persone del medesimo sangue o legato tra loro da vincoli di matrimonio,
ancorché non aventi lo stesso cognome, salva l'eventuale contraria volontà dei
fondatori stessi, ai quali è riconosciuta la facoltà di ampliare o restringere
la sfera di beneficiari del diritto.
Nel caso in cui nessuna diversa volontà sia stata
manifestata, in forma espressa o tacita, dai fondatori, deve necessariamente
ritenersi che tutti i componenti della famiglia, aventi vincoli di sangue con i
fondatori - anche se con diverso cognome - abbiano diritto di essere ospitati
nel sepolcro familiare: della famiglia fanno parte, quindi, anche le figlie
femmine coniugate, in quanto aventi lo stesso sangue del fondatore.
Nel caso di specie è stato ritenuto che fosse carente la prova che i fondatori avessero inteso limitare il diritto al sepolcro ai soli discendenti maschi ed escludere quelli delle figlie femmine coniugate e tanto bastava - vigendo il principio della titolarità del sepolcro in capo a tutti i discendenti aventi vincoli di sangue con i fondatori, sebbene non anche lo stesso cognome - per la reiezione della domanda (Cass. Civ., sez. II, 19 maggio 1995, n. 5547, in Dir. fam., 1997, 494).
Nel caso di specie è stato ritenuto che fosse carente la prova che i fondatori avessero inteso limitare il diritto al sepolcro ai soli discendenti maschi ed escludere quelli delle figlie femmine coniugate e tanto bastava - vigendo il principio della titolarità del sepolcro in capo a tutti i discendenti aventi vincoli di sangue con i fondatori, sebbene non anche lo stesso cognome - per la reiezione della domanda (Cass. Civ., sez. II, 19 maggio 1995, n. 5547, in Dir. fam., 1997, 494).
Il fatto della tumulazione nel sepolcro di famiglia
della salma di un discendente ex filia di uno dei fondatori conferma che
i fondatori hanno inteso assicurare il diritto di sepoltura a tutti i
discendenti legati da vincoli di sangue senza escludere quelli delle figlie
femmine coniugate e portanti un cognome diverso da quello dei fondatori
medesimi.
Il sepolcro familiare ha sempre posto maggiori problemi interpretativi, rispetto alle altre forme riconosciute, e cioè al sepolcro individuale ed a quello collettivo, proprio per l'individuazione dei componenti la famiglia cui compete il diritto di uso del sepolcro.
Il sepolcro familiare ha sempre posto maggiori problemi interpretativi, rispetto alle altre forme riconosciute, e cioè al sepolcro individuale ed a quello collettivo, proprio per l'individuazione dei componenti la famiglia cui compete il diritto di uso del sepolcro.
In assenza di specifiche indicazioni normative,
l'individuazione dei familiari titolari del diritto d'uso del sepolcro, non può
che essere effettuata, secondo il modello tradizionale e civilistico di
famiglia, con riferimento agli artt. 1021 e 1023 c.c., i quali disciplinano una
fattispecie assimilabile (diritto d'uso proprio e della sua famiglia, e ambito
della famiglia).
Il diritto all’inumazione nel sepolcro familiare
spetta solo al coniuge, ai discendenti e agli ascendenti in linea retta del
concessionario-fondatore, con esclusione di qualsiasi altro soggetto, seppure
parente o erede di quest'ultimo. La destinazione di un fondo a sepolcro
familiare dà origine a una comunione che comprende tutti, e soltanto, i
congiunti del fondatore viventi che vi hanno titolo e che va distinta dalla
comunione che eventualmente ha per oggetto il fondo destinato a sepolcro,
giacché quest'ultima è regolata dalle norme sulla comproprietà, mentre la
comunione del sepolcro è soggetta ad un peculiare regime, caratterizzato dalla
indisponibilità dello stesso da parte di uno o di alcuni soltanto dei suoi titolari
(S. GIULIANO, Famiglia, parentela, ius sepulcri. Nota a Pretura
Genova, 30 Dicembre 1995, in Dir. fam., 1997, 1, 223).
La Cassazione ha ribadito più volte il principio per
cui, determinandosi tra i vari titolari una comunione indivisibile, resta escluso
ogni potere di disposizione del diritto da parte di taluni soltanto di essi ed
anche dello stesso fondatore, così come il potere di alcuno dei titolari di
vietare, consentire o condizionare l'esercizio dello ius inferendi in
sepulchrum spettante agli altri contitolari (Cass. Civ., 29 maggio 1990 n.
5015).
Nella fattispecie lo
ius sepulchri discendente
dall'originario provvedimento di concessione cimiteriale è stato riferito ad un sepolcro di natura gentilizia
o familiare riservato, in assenza di diverse disposizioni rilasciate
dall'originario concessionario, a sé stesso e ai suoi familiari fra i quali
vanno compresi anche i discendenti in linea collaterale del concessionario,
purché non risulti una volontà contraria, anche presunta, da parte di quest'ultimo.
I soggetti titolati
a subentrare nel rapporto da esso derivante vanno circoscritti alla cerchia dei
familiari. Quanto ora affermato risponde infatti ad una incontrastata
giurisprudenza di legittimità (tra le numerose pronunce espressive di questo
indirizzo si ricordano Cass., sez. II, 27 settembre 2012, n. 16430, 8 maggio
2012, n. 7000, 29 gennaio 2007 n. 1789, 29 settembre 2000 n. 12957, 22 maggio
1999 n. 5020, 8 settembre 1998 n. 8851, 30 maggio 1997 n. 4830, 19 maggio 1995
n. 5547, 29 maggio 1990 n. 5015).
Deve nondimeno
precisarsi che, contrariamente a quanto prospettato dalla difesa
dell'appellante all'udienza di discussione, tra questi familiari la Cassazione
ha ammesso anche i discendenti in linea collaterale del concessionario, purché
non risulti una volontà contraria, anche presunta, da parte di quest'ultimo.
Deve poi
sottolinearsi che l’appellante non ha fornito ragguagli specifici riguardo ad
una supposta volontà contraria del fondatore del sepolcro.
Al contrario, in
base alle deduzioni del medesimo risulta provata la volontà positiva, volta
cioè ad includere nella cappella anche le spoglie dei collaterali.
L'assunto alla base
del presente appello si fonda, per contro, sul rilievo che il diritto sulla
cappella gentilizia sarebbe circoscritto ai soli discendenti in linea retta
dell'originario fondatore.
Si tratta tuttavia
di una tesi che contrasta con l'orientamento giurisprudenziale in esame, nel
quale la Cassazione ha tra l'altro avuto modo di precisare che tra i vari
titolari del sepolcro si instaura "una comunione indivisibile con la
conseguenza che resta escluso ogni potere di disposizione del diritto da parte
di taluni soltanto di essi" Consiglio di Stato, sez. V, 23/12/2013, n.
6198
3.2. Quando un sepolcro è da considerarsi familiare? Chi ha diritto di sepoltura? Gli eredi perdono il diritto se contribuiscono in ritardo alle spese relative ai lavori di ristrutturazione?
1) La successione nel sepolcro familiare.
Un sepolcro è considerato familiare quando il
fondatore-capostipite non manifesta la volontà di limitare la cerchia dei
contitolari del diritto di proprietà e di utilizzo del sepolcro ai suoi soli
eredi.
La volontà del fondatore di limitare l’uso del sepolcro
solo a determinati eredi deve esser resa pubblica o con atto inter vivos,
quale una donazione, che precisi la volontà del fondatore o con un atto morits
causa, quale una disposizione testamentaria.
Qualora non sussistano tali disposizioni da parte del
fondatore, la giurisprudenza considera ricorrente l’ipotesi di sepolcro
familiare intendendo il sepolcro destinato dal fondatore alla sua sepoltura familiaeque
suae; il diritto alla sepoltura spetta, dunque a tutti i discendenti del
fondatore nonché ai rispettivi coniugi (Cass. Civ., 20 settembre 2000, n.
12957).
2) Il diritto di sepoltura nel sepolcro familiare.
Il soggetto che non è legato da vincoli di sangue
con il capostipite o da rapporti di coniugio con uno dei suoi
discendenti non può vantare il diritto di essere sepolto nel sepolcro
familiare.
La giurisprudenza riconosce lo ius sepulchri
al coniuge passato a nuove nozze dopo la vedovanza. Essa afferma che quel
diritto non viene meno in quanto il nuovo matrimonio non estingue il vincolo di
affinità con la famiglia stessa (Cons. St., sez. V, 13 maggio 1991 n. 806, in Giust.
civ., 1992, I, 1113. Nota N. Izzo, Il diritto di sepolcro del vedovo che
contrae nuovo matrimonio).
L’esercizio del diritto di sepoltura da parte di
soggetti che non ne hanno titolo comporta la condanna a rimuovere
immediatamente la salma dalla cappella sepolcrale a cura e spese di coloro che
hanno richiesto la sepoltura.
3) Le spese di ristrutturazione del sepolcro
familiare.
Nel caso in cui solo alcuni eredi abbiano
partecipato alle spese relative per la ristrutturazione del sepolcro è
applicabile l'art. 1121 c.c., che riconosce ai condomini dissenzienti e ai loro
eredi e aventi causa, in caso di innovazioni gravose o voluttuarie, il diritto
potestativo di partecipare successivamente ai vantaggi delle innovazioni
stesse, contribuendo pro quota alle spese di esecuzione e di manutenzione
dell'opera ragguagliate al valore attuale della moneta, onde evitare
arricchimenti in danno dei condomini che hanno assunto l'iniziativa dell'opera
(Cass. Civ., sez. II, 18 agosto 1993, n. 8746).
Gli eredi che hanno manifestato la volontà di
contribuire alle spese sostenute per la ristrutturazione della tomba hanno il
diritto di usufruire ed utilizzare il sepolcro nella sua interezza.
Spetta senz'altro sia il diritto ad essere
seppelliti nel sepolcro, sia il diritto di seppellire nella cappella gli
ascendenti e i discendenti (Trib. Brindisi,
12 aprile 2006).
L'utilizzo del sepolcro è, comunque, subordinato
all'effettivo versamento del contributo per i lavori di ristrutturazione ed
ampliamento della struttura, secondo i principi di cui all'art. 1121, 3° co.,
c.c. secondo la perizia del
C.T.U. per la quota di successione.
Su tale somma decorrono la rivalutazione monetaria
secondo gli indici ISTAT nonché gli interessi legali sulla somma rivalutata
anno per anno dalla data di esecuzione dei lavori.
3.3. Il progetto.
I singoli progetti di costruzione di sepolture
private devono essere approvati dal dirigente del servizio su conforme parere
della commissione edilizia, osservate le disposizioni in materia di inumazione,
ex artt. 68 e segg., D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, e tumulazione, ex
artt. 76 e segg., D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, e quelle specifiche
contenute nel regolamento comunale.
Qualsiasi variante essenziale al progetto, anche in
corso d'opera, deve essere approvata prima di essere realizzata.
Nell'atto di approvazione del progetto deve essere
definito il numero di salme che possono essere accolte nel sepolcro.
Il numero dei loculi è fissato in ragione di un
loculo per ogni metro quadrato di area concessa.
Possono essere autorizzati altri loculi
subordinatamente a particolari esigenze ed al pagamento, per ogni loculo in
più, del canone di tariffa.
Nei progetti relativi ad aree per sepolture a
sistema di inumazione, la capienza è determinata in base al rapporto tra la
superficie dell'area ed il coefficiente fissato dal Comune.
Le sepolture private non devono avere comunicazione
con l'esterno del cimitero poiché in tal caso è più difficile fornire la dovuta
vigilanza.
La costruzione delle opere deve essere contenuta nei
limiti dell'area concessa e non deve essere di pregiudizio a quelle confinanti
o ai servizi del cimitero.
Le variazioni di carattere puramente ornamentale,
che non comportano modificazione della sagoma delle opere, sono preventivamente
autorizzate dal responsabile dei servizi cimiteriali.
La costruzione abusiva di sepolture private è
sanzionata dal dirigente del servizio.
4. La durata delle concessioni.
L'art. 92, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, afferma
che le concessioni di aree cimiteriali per le sepolture sono a tempo
determinato e di durata non superiore a 99 anni, salvo rinnovo.
La dottrina rileva che la concessione amministrativa
non può essere di durata indefinita, ma che deve essere rapportata ad un lasso
di tempo predeterminato (E. SILVESTRI, Concessione amministrativa, in Enc.
Dir., VII, 1961, 373).
Sulla scorta degli indirizzi dottrinali il legislatore ha affermato che le concessioni a tempo determinato di durata eventualmente eccedente i 99 anni, rilasciate anteriormente alla data di entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, possono essere revocate, quando siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell'ultima salma, ove si verifichi una grave situazione di insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno del Comune e non sia possibile provvedere tempestivamente all'ampliamento o alla costruzione di nuovo cimitero. Tutte le concessioni si estinguono con la soppressione del cimitero.
Sulla scorta degli indirizzi dottrinali il legislatore ha affermato che le concessioni a tempo determinato di durata eventualmente eccedente i 99 anni, rilasciate anteriormente alla data di entrata in vigore del D.P.R. 21 ottobre 1975, n. 803, possono essere revocate, quando siano trascorsi 50 anni dalla tumulazione dell'ultima salma, ove si verifichi una grave situazione di insufficienza del cimitero rispetto al fabbisogno del Comune e non sia possibile provvedere tempestivamente all'ampliamento o alla costruzione di nuovo cimitero. Tutte le concessioni si estinguono con la soppressione del cimitero.
La giurisprudenza ha affermato che la normativa
comunale che impone, a pena di decadenza, il rinnovo della concessione
cimiteriale perpetua al trascorrere di ogni trentennio è venuta a trovarsi in
contrasto con la disposizione di cui all'art. 92, D.P.R. 10 settembre 1990, n.
285 - il cui contenuto è stato ripreso dall'art. 93 del regolamento governativo
approvato con D.P.R. n. 803 del 1975 – legittimando l’esercizio del potere di
revoca della concessione da parte del comune.
La
perpetuità delle concessioni cimiteriali.
La
natura demaniale dei cimiteri contrasta con la perpetuità delle concessioni
cimiteriali che finirebbe per occultare un vero e proprio diritto di proprietà
sul bene demaniale (cimitero) che, per sua natura, è un bene pubblico,
destinato a vantaggio dell'intera collettività; ne consegue che l'utilizzo di
tale bene in favore di alcuni soggetti, che è quanto si verifica con una
concessione, deve necessariamente essere temporalmente limitato, anche
stabilendo una durata prolungata nel tempo e rinnovabile alla scadenza, venendo
altrimenti contraddetta la sua ontologica finalità pubblica, al quale il bene
verrebbe definitivamente sottratto.
A fronte di una
concessione cimiteriale perpetua, l’Amministrazione ha il potere di disporne
unilateralmente la sua modifica, mediante la previsione di un termine di
durata, oltre il quale la concessione deve essere rinnovata.
Ad ogni modo, anche
a voler ammettere la perpetuità dell'originaria concessione cimiteriale, ciò
che appare dirimente nella presente controversia è stabilire se, a fronte di
una concessione cimiteriale perpetua, l'Amministrazione abbia o meno il potere
di disporne unilateralmente la sua modifica, mediante la previsione di un
termine di durata, oltre il quale la concessione deve essere rinnovata.
A tal fine occorre
evidenziare che la gestione dei siti cimiteriali è permeata dalla disciplina
pubblicistica demaniale; ciò implica che, se nei confronti dei terzi lo ius
sepulchri garantisce al concessionario ampi poteri di godimento del bene, con
la conseguenza che, nei rapporti interprivati, la protezione della situazione giuridica
è piena, assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali assoluti di
godimento, tuttavia, nei confronti della pubblica amministrazione concedente
esso costituisce un "diritto affievolito" in senso stretto,
soggiacendo ai poteri regolativi e conformativi di stampo pubblicistico (TAR
Campania, Napoli, sez. VII, 9 dicembre 2013, n. 5635 e 5 novembre 2013, n.
4901).
Ciò posto, il
Collegio, pur consapevole delle oscillazioni giurisprudenziali in materia (fra
cui i precedenti indicati nell'atto introduttivo del giudizio), reputa che la
natura demaniale dei cimiteri contrasti con la perpetuità delle concessioni
cimiteriali; essa, infatti, finirebbe per occultare un vero e proprio diritto
di proprietà sul bene demaniale (cimitero), che per sua natura è un bene
pubblico, destinato a vantaggio dell'intera collettività. Ne consegue che
l'utilizzo di tale bene in favore di alcuni soggetti - che è ciò che si
verifica attraverso una concessione - deve necessariamente essere temporalmente
limitato (anche stabilendo una durata prolungata nel tempo e rinnovabile alla
scadenza), venendo altrimenti contraddetta la sua ontologica finalità pubblica,
al quale il bene verrebbe definitivamente sottratto (in termini, TAR Sicilia
Palermo, sez. III, 2 dicembre 2013, n. 2341).
Alla luce di tali
considerazioni risulta corretto il regolamento del Comune di Gallipoli che ha
disposto la trasformazione delle concessioni c.d. "perpetue" in
concessioni temporanee di lunga durata soggette a rinnovo, così come corretta
si rivela la contestata disposizione regolamentare nella parte in cui ha
imposto al concessionario il pagamento di un canone concessorio per il loro
rinnovo. T.A.R. Puglia Lecce, sez. II, 31/01/2014, n. 289
La
teoria contraria.
Per altra teoria dalle
concessioni cimiteriali perpetue rilasciate anteriormente al d.P.R. 10
settembre 1990 n. 285 (recante l'approvazione del regolamento di polizia
mortuaria e che, all'art. 92, riconduce le concessioni cimiteriali successive
al 1990 a due tipologie, esclusivamente a tempo determinato, escludendo quindi
la possibilità di rilasciare concessioni per l'uso perpetuo di aree
cimiteriali) scaturiscono diritti acquisiti non incisi dal medesimo d.P.R.
(che, all'art. 98, comma 1, prevede, solamente in caso di soppressione del
cimitero, la trasformazione delle concessioni perpetue in concessioni a tempo
determinato della durata di 99 anni), con la conseguenza che le stesse, in
assenza di apposita previsione di legge, non possono essere trasformate in
concessioni a tempo determinato, né possono essere revocate, se non nei singoli
casi di decadenza per inadempimento degli originari obblighi inerenti alla
concessione. T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. II, 28/10/2013, n. 679
4.1. Il diritto al subentro. La voltura.
Il coniuge ed i congiunti del fondatore del sepolcro
sono titolari del diritto di sepolcro.
In caso di decesso del concessionario i discendenti
legittimi e le altre persone che hanno titolo sulla concessione anche
attraverso una disposizione testamentaria devono dare comunicazione al Comune e
richiedere la variazione dell'intestazione della concessione.
In difetto di designazione del destinatario delle
comunicazioni, il Comune provvede d'ufficio.
Il diritto al sepolcro - alla morte del
concessionario ed in assenza di altri eredi legittimi del fondatore - si
trasforma da familiare in ereditario e conseguentemente il diritto primario di
sepolcro si trasferisce mortis causa agli eredi (Corte appello L'Aquila,
6 giugno 1984, in Giust. civ., 1985, I, 210).
Gli aventi diritto possono chiedere la voltura di
intestazione cimiteriale.
Gli istanti possono domandare, a seguito della
produzione dell’atto di acquisto inter vivos o mortis causa, che
siano compiute le relative variazioni delle intestazioni.
Esse accertano il diritto ad essere sepolti nelle tombe
date in concessione.
La richiesta di voltura assume la configurazione di
diritto soggettivo.
Il Comune deve apportare tutte le modificazioni,
comunque effettuate, di intestazioni delle assegnazioni e/o delle concessioni
intervenute.
In caso di silenzio o diniego sulla richiesta gli
istanti possono proporre azione di accertamento al giudice amministrativo (T.A.R. Puglia
Lecce, sez. II, 26 marzo 2004, n. 2168, in Foro amm. TAR, 2004, 823).
La voltura risulta essere un atto dovuto per il solo
fatto di possedere gli atti di trasferimento.
Pur essendo una concessione relativa a un bene
rientrante nel demanio comunale, il nuovo titolare non deve possedere gli
stessi requisiti del cedente né deve essere accertata la sussistenza della
identità di posizione tra i due soggetti.
L'amministrazione è chiamata solamente a effettuare
la valutazione della legittimità degli atti (T.A.R. Puglia
Lecce, sez. I, 24 agosto 2005, n. 4124, in Foro amm. TAR, 2005, 7/8,
2566).
La cessione di un
diritto al sepolcro, tanto nel suo contenuto di diritto primario di sepolcro
quanto nel suo contenuto di diritto sul manufatto, va in astratto configurata
come voltura di concessione demaniale, sottoposta al requisito di efficacia
della autorizzazione del concedente, ovvero del Comune.
E’ legittimo il
provvedimento dell’autorità comunale che abbia rifiutato la sub concessione dl suolo
al privato che abbia acquistato da altro privato la proprietà superficiaria del
piano edicola di un manufatto ubicato nel cimitero. Infatti il diniego è
conforme all’art. 53 del regolamento cimiteriale del Comune di Napoli che vieta
la cessione diretta tra privati del diritto di superficie.
Lo "ius
sepulchri" garantisce al concessionario ampi poteri di godimento del bene
e si atteggia come un diritto reale nei confronti dei terzi. Ciò significa che,
nei rapporti interprivati, la protezione della situazione giuridica è piena,
assumendo la fisionomia tipica dei diritti reali assoluti di godimento.
Tuttavia, laddove tale facoltà concerna un manufatto costruito su terreno
demaniale, lo ius sepulchri costituisce, nei confronti della pubblica
amministrazione concedente, un "diritto affievolito" in senso
stretto, soggiacendo ai poteri regolativi e conformativi di stampo
pubblicistico. A ciò si deve aggiungere che, proprio la valenza pubblicistica
del rapporto “interno” fra amministrazione e concessionario, vieta, per
principio generale, che i cespiti cimiteriali circolino senza la legittima
conoscenza di tale traslazione da parte della amministrazione concedente.
T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 05/11/2013, n. 4901.
La scelta del
concessionario di un bene demaniale da parte dell'Amministrazione concedente è
essenzialmente fondata sull'intuitus personae, nel senso della necessaria
sussistenza di un rapporto fiduciario tra l'ente concedente e il
concessionario, del quale è positivamente apprezzata, oltre che l'integrità
morale, anche l'idoneità a svolgere adeguatamente tutti i compiti e le funzioni
oggetto della concessione. Dunque, non sarebbe ammissibile una cessione della
concessione a terzi senza il preventivo assenso dell'Amministrazione
concedente. T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 14/10/2013, n. 4590
4.2. Le divisioni.
I concessionari di tomba di famiglia o di cappella
privata possono richiedere al Comune la divisione dei posti o l'individuazione
di separate quote della concessione stessa.
La richiesta deve essere prodotta individuando la
consistenza della quota medesima ovvero l'attribuzione dei posti.
La richiesta deve essere sottoscritta da tutti i
concessionari aventi titolo oppure essere formulata separatamente da tutti
loro.
Nel caso di mancata sottoscrizione anche da parte di
un solo concessionario la richiesta non può essere accolta.
In carenza di un piano di riparto delle quote gli
assegnatari titolari di un diritto soggettivo devono iniziare una causa di
divisione presso il giudice ordinario nei confronti degli altri assegnatari.
Gli atti divisionali compiuti dal Comune sono invece
soggetti alla giurisdizione amministrativa in quanto espressione di un potere
pubblico.
5. La revoca della concessione.
Gli atti di tutela sono di competenza dei funzionari
comunali poiché rientrano nella ordinaria amministrazione di funzioni e servizi
di competenza della giunta, del segretario o di altri funzionari, ai sensi
dell’art. 42, comma 2, lett. l), D.L.vo. n. 267 del 2000.
Rientrano invece nelle competenze del Consiglio
comunale l'assunzione di atti di amministrazione del demanio comunale come gli
atti relativi ai suoli cimiteriali (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 07 aprile
2006, n. 985, in Foro amm. TAR, 2006, 4, 1206).
Il regolamento statale, D.P.R. 21 ottobre 1975, n.
803, all’art. 93, comma 2, ora mod. art. 92, D.P.R. 285/1990, prevede, con
riguardo alle concessioni cimiteriali, la possibilità di pronunciarne la
revoca. L'ipotesi è limitata ai casi di insufficienza del cimitero rispetto al
fabbisogno e di impossibilità di ampliamento o di nuova costruzione (G.
PUGLIESE, Superficie, in Commentario al codice civile a cura di A.
Scialoja e G. Branca, 1976, 584).
La revoca è, però, ammessa per le concessioni a
tempo determinato.
Inoltre, tutte le concessioni, comprese quelle
perpetue, possono estinguersi per effetto della soppressione del cimitero (Cons. St., sez.
V, 08 ottobre 2002, n. 5316, in Foro amm. CDS, 2002, 2432).
Di conseguenza una concessione perpetua non può
essere revocata e la sua cessazione poteva darsi, all'epoca, unicamente
nell'eventualità sopra indicata.
Non sono previste dal regolamento statale altre
forme di estinzione né quindi sono ammissibili pronunzie di decadenza (Cons.
St., V Sez. n. 279 del 12 maggio 1987).
6. La decadenza dalla concessione.
La decadenza può essere pronunciata sia nel caso di
mancato rispetto degli obblighi previsti in convenzione nell’eventualità di
mancato inizio dei lavori di costruzione sia nel caso di cessazione del diritto
per estinzione della famiglia del concessionario.
Con l'atto della concessione il Comune può imporre
ai concessionari determinati obblighi, tra cui quello di costruire la sepoltura
entro un tempo determinato pena la decadenza della concessione, ex art. 92,
D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Il privato concessionario che non rispetti l’obbligo
di costruzione della sepoltura è soggetto alla decadenza dal provvedimento di
concessione.
La circostanza che il regolamento comunale di
polizia mortuaria disponga che la decadenza della concessione cimiteriale può
essere dichiarata nel caso in cui non si provveda alla costruzione delle opere
nei termini fissati comporta che il relativo provvedimento non ha carattere assolutamente
vincolato, né tantomeno meramente dichiarativo di un evento verificatosi
automaticamente, costituendo invece espressione di un potere discrezionale di
apprezzamento dei presupposti della decadenza medesima. La configurabilità di
un potere discrezionale in materia impone che il provvedimento che di tale
potere costituisce esercizio rechi una motivazione circa le ragioni di
interesse pubblico concretamente perseguite.
L'assenza di qualsiasi argomentazione al riguardo
giustifica l'annullamento del provvedimento (T.A.R. Piemonte,
sez. I, 4 settembre 2003, n. 1145, in Com. It., 2003, f. 11, 98).
La ratio della norma è chiaramente espressa
dal comma 4, art. 92, D.P.R. 10 settembre 1990 n. 285.
Non può essere data concessione di aree per
sepolture private a persone o ad enti che mirino a farne oggetto di lucro e di
speculazione.
La decadenza deve essere pronunciata anche quando la famiglia viene ad estinguersi ossia quando non vi sono persone che abbiano titolo per assumere la qualità di concessionari o non siano state lasciate disposizioni a persone, enti o istituzioni per curare la manutenzione della sepoltura, per il residuo periodo di durata della concessione.
La decadenza deve essere pronunciata anche quando la famiglia viene ad estinguersi ossia quando non vi sono persone che abbiano titolo per assumere la qualità di concessionari o non siano state lasciate disposizioni a persone, enti o istituzioni per curare la manutenzione della sepoltura, per il residuo periodo di durata della concessione.
Il Comune deve notificare al concessionario i
procedimenti di decadenza.
La mancata notifica non è causa di illegittimità del
provvedimento, ma sposta il termine per l’impugnativa del provvedimento
medesimo.
La decadenza
dall'autorizzazione amministrativa è atto dovuto, vincolato ed espressione di
un potere di autotutela ad avvio doveroso, che non richiede specifiche
valutazioni in ordine all'interesse pubblico alla sua adozione.
In caso di cessione
tra privati di un manufatto funebre non autorizzato, non si può parlare di
revoca per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, quanto piuttosto di
decadenza per inadempimento del concessionario. Inadempimento legato, in
particolare, agli obblighi sul medesimo gravanti e derivanti sia dal
provvedimento concessorio, sia dall'art. 44 del regolamento comunale di polizia
mortuaria, sia infine del codice civile nella parte in cui (art. 823) si
afferma l'inalienabilità del bene demaniale. Di qui, l'insussistenza
dell'invocata violazione dell'art. 48 del regolamento comunale (ove si parla di
revoca) sia dell'art. 21 quinquies, l. n. 241 del 1990, atteso che la pronuncia
di decadenza che consiste nel ritiro di un provvedimento o per l'inadempimento
da parte del destinatario di obblighi imposti (decadenza sanzionatoria) e che
senz'altro va ricompresa fra gli atti di ritiro, si differenzia dagli altri
provvedimenti rientranti in siffatta categoria (quali l'annullamento o la
revoca) perché non comporta un riesame dell'atto, alla stregua della sua
legittimità od opportunità, bensì una valutazione del comportamento tenuto dal
destinatario durante lo svolgimento del rapporto o nuovo accertamento dei
requisiti di idoneità per la titolarità dell'atto ampliativo. Quindi, l'oggetto
dell'indagine compiuta dall'Autorità, che pronuncia la decadenza, si sposta
dall'atto, in sé e per sé considerato, al comportamento o alla personalità del
destinatario. T.A.R. Campania Napoli, sez. VII, 04/09/2013, n. 4157.
7. L’usucapione del diritto di custodire in un
sepolcro familiare i resti mortali di congiunti.
Il diritto al sepolcro, inteso come diritto alla
tumulazione, ha natura reale e patrimoniale; conseguentemente, l'esercizio del
potere di fatto corrispondente al contenuto di tale diritto concreta un
possesso, ex art. 1140, c.c., utile per l'usucapione (Cass. Civ., sez.
II, 5 ottobre 1993, n. 9838, in Giust. civ. Mass., 1993, 1444).
La giurisprudenza conferma che può essere usucapito
il diritto di custodire in un sepolcro familiare, sito all'interno di un
cimitero, i resti mortali di congiunti se è stato esercitato per il periodo
prescritto il potere di fatto corrispondente al contenuto di tale diritto.
Per l’usucapione il possesso deve essere pacifico e
pubblico ossia l’acquisito non deve essere stato violento o clandestino;
inoltre è richiesta la continuità del possesso che non deve avere subito
interruzioni.
Non è richiesto invece che il possesso sia di buona
fede.
La giurisprudenza ha precisato che, ai fini
dell'usucapione, l'animus rem sibi habendi non deve necessariamente
consistere nella convinzione di esercitare un potere di fatto in quanto
titolare del relativo diritto, essendo sufficiente che tale potere sia
esercitato come titolari del corrispondente diritto, indipendentemente dalla
consapevolezza che invece esso appartiene ad altri (Cass. Civ., sez.
II, 9 febbraio 2006, n. 2857, in Dir. e giust., 2006, 1437).
La proprietà dei diritti reali di godimento sui beni
medesimi si acquista in virtù del possesso continuato per venti anni, ex art.
1158, c.c.
Tale situazione va tenuta distinta dall'usucapione
della proprietà della cappella o del loculo (Corte appello Potenza, 14 marzo
2003, in Giur. Mer., 2004, 926).
8. Il diritto alla sepoltura fuori dai
cimiteri.
L’art. 101, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, consente
la costruzione delle cappelle private fuori dal cimitero destinate ad
accogliere salme o resti mortali.
Per tali costruzioni occorre l'autorizzazione del
Sindaco, previa deliberazione del Consiglio comunale, sentito il coordinatore
sanitario dell'unità sanitaria locale.
Il richiedente deve fare eseguire a proprie spese
apposita ispezione tecnica. Il legislatore dispone dei requisiti tassativi per
la costruzione di cappelle private realizzate fuori dal cimitero.
La loro costruzione ed il loro uso sono consentiti
soltanto quando siano attorniate per un raggio di metri 200 da fondi di
proprietà delle famiglie che ne chiedano la concessione e sui quali gli stessi
assumano il vincolo di inalienabilità e di inedificabilità.
Nel caso di espansione edilizia e di interventi costruttivi che fanno venire meno le condizioni di isolamento previste dalla norma i titolari delle concessioni decadono dal diritto di uso delle cappelle.
Le cappelle private costruite fuori dal cimitero sono soggette, come i cimiteri comunali, alla vigilanza dell'autorità comunale, ex art. 104, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Nel caso di espansione edilizia e di interventi costruttivi che fanno venire meno le condizioni di isolamento previste dalla norma i titolari delle concessioni decadono dal diritto di uso delle cappelle.
Le cappelle private costruite fuori dal cimitero sono soggette, come i cimiteri comunali, alla vigilanza dell'autorità comunale, ex art. 104, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
La disciplina regolamentare non riguarda solo la
costruzione di cappelle avvenuta in epoca successiva all'emanazione di ogni
singolo regolamento.
La chiarezza testuale sul punto dell'art. 105, 4
comma del regolamento del 1975 e dell'art. 104, 4 comma del regolamento del
1990 è evidente.
Le norme fanno espresso riferimento anche alle
cappelle private, fuori del cimitero, preesistenti alla data di entrata in
vigore del Testo Unico fondamentale richiamato.
L'eccezione al divieto generale è espressamente
subordinata alle stesse condizioni locali ed obiettive previste per i cimiteri
.
La norma trova applicazione anche nel caso di
tumulazioni successive al T.U.; dette condizioni obiettive previste in entrambi
i regolamenti non possono che essere applicabili a tutte le tumulazioni
successive al T.U. suddetto di cui costituiscono disciplina attuativa, ancorché
concernenti cappelle preesistenti.
Entrambi i regolamenti dettano le norme per la
costruzione delle nuove cappelle; ma l'uso di cappelle private sottoposte alla
vigilanza dell'autorità comunale, in attuazione dell'art. 354 del T.U., non può
che riferirsi all'uso per tumulazione primaria di tutte le cappelle private,
preesistenti o non, sottoposte alla vigilanza dell'autorità comunale.
L'oggetto della vigilanza dell'autorità comunale,
infatti, non può che essere individuato nelle situazioni previste dagli stessi
commi degli artt. 105 e 104 dei due regolamenti rispettivamente del 1975 e del
1990.
La vigilanza, in virtù dei quarti commi di entrambi
i predetti articoli, coinvolge espressamente anche le cappelle preesistenti
all'entrata in vigore del T.U. delle Leggi sanitarie.
L'uso delle cappelle esterne ai cimiteri comunque
esistenti (e quindi anche preesistenti) è consentito solo quando le norme
igieniche, riflesse nella distanza dai centri abitati, siano rispettate.
La giurisprudenza precisa che la domanda diretta ad accertare nei confronti di un Comune il diritto dei comproprietari di una cappella gentilizia di proseguire l'uso della stessa per le tumulazioni dei defunti, ancorché la cappella sia preesistente all'entrata in vigore del T.U. delle leggi sanitarie, introduce una controversia appartenente alla giurisdizione del giudice amministrativo, avendo la situazione giuridica del privato, che pretende di eseguire la tumulazione di un defunto nella cappella, la natura di interesse legittimo e non di diritto soggettivo (Cass. Civ., sez. un., 16 aprile 1997, n. 3287, in Dir. eccl., 1998, II, 317).
La giurisprudenza precisa che la domanda diretta ad accertare nei confronti di un Comune il diritto dei comproprietari di una cappella gentilizia di proseguire l'uso della stessa per le tumulazioni dei defunti, ancorché la cappella sia preesistente all'entrata in vigore del T.U. delle leggi sanitarie, introduce una controversia appartenente alla giurisdizione del giudice amministrativo, avendo la situazione giuridica del privato, che pretende di eseguire la tumulazione di un defunto nella cappella, la natura di interesse legittimo e non di diritto soggettivo (Cass. Civ., sez. un., 16 aprile 1997, n. 3287, in Dir. eccl., 1998, II, 317).
Per motivi di carattere eccezionale il Ministro
della sanità, di concerto con il Ministro dell'interno, udito il parere del
Consiglio di Stato, previo parere del Consiglio superiore di sanità, può
autorizzare, con apposito decreto, la tumulazione dei cadaveri e dei resti
mortali in località differenti dal cimitero, sempre che la tumulazione avvenga
con l'osservanza delle norme stabilite nel vigente regolamento.
Detta tumulazione può essere autorizzata quando concorrano
giustificati motivi di speciali onoranze e, comunque, per onorare la memoria di
chi abbia acquisito in vita eccezionali benemerenze, ex art. 105, D.P.R.
10 settembre 1990, n. 285.
9. La soppressione dei cimiteri.
L’art. 96, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285, vede
con estremo sfavore la soppressione dei cimiteri.
Nessun cimitero, che si trovi nelle condizioni
prescritte dal testo unico delle leggi sanitarie e dal presente regolamento,
può essere soppresso se non sono evidenziate le ragioni di dimostrata
necessità.
La soppressione è deliberata dal Consiglio comunale, sentito il coordinatore sanitario della unità sanitaria locale competente per territorio il cui parere è obbligatorio.
Il cambio di destinazione d’uso è in ogni modo soggetto a talune limitazioni.
La soppressione è deliberata dal Consiglio comunale, sentito il coordinatore sanitario della unità sanitaria locale competente per territorio il cui parere è obbligatorio.
Il cambio di destinazione d’uso è in ogni modo soggetto a talune limitazioni.
Il terreno di cimitero di cui sia stata deliberata
la soppressione non può essere destinato ad altro uso se non siano trascorsi
almeno 15 anni dall'ultima inumazione. Per la durata di tale periodo esso
rimane sotto la vigilanza dell'autorità comunale e deve essere tenuto in stato
di decorosa manutenzione.
Trascorso detto periodo di tempo, prima di essere destinato ad altro uso, il terreno del cimitero soppresso deve essere diligentemente dissodato per la profondità di metri due e le ossa che si rinvengono devono essere depositate nell'ossario comune del nuovo cimitero, ex art. 97, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Trascorso detto periodo di tempo, prima di essere destinato ad altro uso, il terreno del cimitero soppresso deve essere diligentemente dissodato per la profondità di metri due e le ossa che si rinvengono devono essere depositate nell'ossario comune del nuovo cimitero, ex art. 97, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
I diritti di sepoltura per i soggetti sepolti nel
cimitero in via di soppressione sono stabiliti dal regolamento che fissa degli
obblighi al Comune in relazione alla salme inumate nel cimitero che si intende
sopprimere.
In caso di soppressione del cimitero gli enti o le
persone fisiche concessionari di posti per sepolture private, con quali i
Comuni siano legati da regolare atto di concessione, hanno soltanto diritto ad
ottenere a titolo gratuito, nel nuovo cimitero, per il tempo residuo spettante
secondo l'originaria concessione, o per la durata di 99 anni nel caso di
maggiore durata o di perpetuità della concessione estinta, un posto corrispondente
in superficie a quello precedentemente loro concesso nel cimitero soppresso ed
al gratuito trasporto delle spoglie mortali dal cimitero soppresso al nuovo, da
effettuare a cura del Comune.
Le spese per la costruzione o per il riadattamento dei monumenti sepolcrali e quelle per le pompe funebri che siano richieste nel trasferimento dei resti esistenti nelle sepolture private sono tutte a carico dei concessionari, salvo i patti speciali stabiliti prima della data di entrata in vigore del presente regolamento, ex art. 98, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Le spese per la costruzione o per il riadattamento dei monumenti sepolcrali e quelle per le pompe funebri che siano richieste nel trasferimento dei resti esistenti nelle sepolture private sono tutte a carico dei concessionari, salvo i patti speciali stabiliti prima della data di entrata in vigore del presente regolamento, ex art. 98, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Il materiale dei monumenti ed i segni funebri posti
sulle sepolture private esistenti nei cimiteri soppressi restano di proprietà
dei concessionari che possono trasferirli nel nuovo cimitero.
Qualora i concessionari rifiutino di farlo, tali materiali passano in proprietà del Comune, ex art. 99, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Qualora i concessionari rifiutino di farlo, tali materiali passano in proprietà del Comune, ex art. 99, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
PARTE
TERZA
LA POLIZIA MORTUARIA.
Capitolo 5
LA DENUNCIA DI MORTE.
1. I soggetti obbligati.
La denuncia di morte è fatta non oltre le
ventiquattro ore dal decesso all’ufficiale dello Stato Civile del luogo dove
questa è avvenuta o, nel caso in cui tale luogo si ignori, del luogo dove il
cadavere è stato deposto.
La denuncia deve essere redatta: da uno dei
congiunti o da persona convivente col defunto o da un loro delegato o, in
mancanza, da persona informata del decesso, se la morte avviene nell'abitazione
del defunto; da persona informata, se la morte avviene fuori dell'abitazione
del defunto; dal direttore o dal delegato dell'amministrazione, se la morte
avviene in ospedale, collegio, istituto o stabilimento qualsiasi.
L'obbligo della denuncia sussiste anche per i nati
morti.
All'atto della denuncia dovranno essere fornite
all'Ufficiale dello Stato Civile tutte le indicazioni stabilite dall'art. 73
del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
Il denunziante la morte di una persona deve
enunciare il luogo, il giorno e l'ora della morte, il nome e il cognome, il
luogo e la data di nascita, la residenza e la cittadinanza del defunto, il nome
e il cognome del coniuge, se il defunto era coniugato, vedovo o divorziato; il
nome e il cognome, il luogo e la data di nascita e la residenza del
dichiarante.
Se taluna delle anzidette indicazioni non è nota, ma
il cadavere è stato tuttavia riconosciuto, l'ufficiale dello stato civile fa di
ciò espressa menzione nell'atto.
In qualunque caso di morte violenta o avvenuta in un istituto di prevenzione o di pena non si fa menzione nell'atto di tali circostanze, ex art. 73 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
In qualunque caso di morte violenta o avvenuta in un istituto di prevenzione o di pena non si fa menzione nell'atto di tali circostanze, ex art. 73 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
I medici, a norma dell'art. 103, sub a ), del testo
unico delle leggi sanitarie, approvato con R.D. 27 luglio 1934, n. 1265, devono
per ogni caso di morte di persona da loro assistita denunciare al Sindaco la
malattia che, a loro giudizio, ne sarebbe stata la causa.
Spetta al Comune fare le opportune denunce
all’autorità sanitaria nel caso in cui la morte sia avvenuta per malattia.
Nel caso di morte per malattia infettiva compresa nell'apposito elenco pubblicato dal Ministero della sanità, il Comune deve darne informazione immediatamente alla Azienda sanitaria locale dove è avvenuto il decesso.
Nel caso di morte di persona cui siano somministrati nuclidi radioattivi la denuncia della causa di morte deve contenere le indicazioni previste dall'art. 100 del D.P.R. 13 febbraio 1964, n. 185.
Nel caso di decesso senza assistenza medica la denuncia della presunta causa di morte è fatta dal medico necroscopo.
Nel caso di morte per malattia infettiva compresa nell'apposito elenco pubblicato dal Ministero della sanità, il Comune deve darne informazione immediatamente alla Azienda sanitaria locale dove è avvenuto il decesso.
Nel caso di morte di persona cui siano somministrati nuclidi radioattivi la denuncia della causa di morte deve contenere le indicazioni previste dall'art. 100 del D.P.R. 13 febbraio 1964, n. 185.
Nel caso di decesso senza assistenza medica la denuncia della presunta causa di morte è fatta dal medico necroscopo.
Il medico necroscopo ha il compito di accertare la
morte, redigendo l'apposito certificato.
L'obbligo della denuncia della causa di morte è
fatto anche ai medici incaricati di eseguire autopsie disposte dall'autorità
giudiziaria o per riscontro diagnostico.
La denuncia della causa di morte deve essere fatta entro 24 ore dall'accertamento del decesso, su apposita scheda di morte stabilita dal Ministero della sanità, d'intesa con l'Istituto nazionale di statistica.
La denuncia della causa di morte deve essere fatta entro 24 ore dall'accertamento del decesso, su apposita scheda di morte stabilita dal Ministero della sanità, d'intesa con l'Istituto nazionale di statistica.
Le schede di morte hanno esclusivamente finalità
sanitarie, epidemiologiche e statistiche.
Copia della scheda di morte deve essere inviata, entro trenta giorni, dal comune ove è avvenuto il decesso alla Azienda sanitaria locale nel cui territorio detto comune è compreso.
Copia della scheda di morte deve essere inviata, entro trenta giorni, dal comune ove è avvenuto il decesso alla Azienda sanitaria locale nel cui territorio detto comune è compreso.
Qualora il deceduto fosse residente nel territorio
di una unità sanitaria locale diversa da quella ove è avvenuto il decesso,
quest'ultima deve inviare copia della scheda di morte alla Azienda sanitaria
locale di residenza.
Ogni Azienda sanitaria locale deve istituire e
tenere aggiornato un registro per ogni comune incluso nel suo territorio
contenente l'elenco dei deceduti nell'anno e la relativa causa di morte, ex
art. 1, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Sono sottoposti al riscontro diagnostico, secondo le
norme della L. 15 febbraio 1961, n. 83, i cadaveri delle persone decedute senza
assistenza medica, trasportati ad un ospedale o ad un deposito di osservazione
o ad un obitorio, nonché i cadaveri delle persone decedute negli ospedali,
nelle cliniche universitarie e negli istituti di cura privati quando i
rispettivi direttori, primari o medici curanti lo dispongano per il controllo
della diagnosi o per il chiarimento di quesiti clinico-scientifici.
Il coordinatore sanitario può disporre il riscontro diagnostico anche sui cadaveri delle persone decedute al proprio domicilio quando la morte sia dovuta a malattia infettiva e diffusiva o sospetta di esserlo, o a richiesta del medico curante quando sussista il dubbio sulle cause di morte.
Il riscontro diagnostico è eseguito, alla presenza del primario o medico curante, ove questi lo ritenga necessario, nelle cliniche universitarie o negli ospedali dall'anatomopatologo universitario od ospedaliero ovvero da altro sanitario competente incaricato del servizio i quali devono evitare mutilazioni e dissezioni non necessarie a raggiungere l'accertamento della causa di morte.
Eseguito il riscontro diagnostico, il cadavere deve essere ricomposto colla migliore cura.
Le spese per il riscontro diagnostico sono a carico dell'ente che lo ha richiesto, ex art. 37, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Il coordinatore sanitario può disporre il riscontro diagnostico anche sui cadaveri delle persone decedute al proprio domicilio quando la morte sia dovuta a malattia infettiva e diffusiva o sospetta di esserlo, o a richiesta del medico curante quando sussista il dubbio sulle cause di morte.
Il riscontro diagnostico è eseguito, alla presenza del primario o medico curante, ove questi lo ritenga necessario, nelle cliniche universitarie o negli ospedali dall'anatomopatologo universitario od ospedaliero ovvero da altro sanitario competente incaricato del servizio i quali devono evitare mutilazioni e dissezioni non necessarie a raggiungere l'accertamento della causa di morte.
Eseguito il riscontro diagnostico, il cadavere deve essere ricomposto colla migliore cura.
Le spese per il riscontro diagnostico sono a carico dell'ente che lo ha richiesto, ex art. 37, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
La giurisprudenza ha ritenuto legittimo il riscontro
diagnostico a mezzo di autopsia disposto autonomamente dall'autorità sanitaria,
con salvezza dei poteri dell'autorità giudiziaria, tutte le volte in cui la
morte sopraggiunga in soggetti che, ancorché non si trovino ancora
materialmente inseriti nella struttura ospedaliera, risultino, comunque, ad
essa già affidati, perché ne ricevono di fatto l'assistenza che è loro prestata
dai presidi sanitari agenti all'esterno sul territorio.
Nel caso in cui il decesso avvenga durante il
trasferimento dell’ammalato in ospedale è del tutto coerente e legittima la
interpretazione dell'art. 37, primo comma, del D.P.R. 10 settembre 1990, n.
285, nel senso che, agli effetti previsti dalla norma circa l'ammissibilità del
riscontro diagnostico disposto dall'autorità sanitaria, il decesso debba essere
considerato come avvenuto in ospedale.
Se lo scopo della norma, infatti, è quello, espressamente previsto, di consentire con l'autopsia il "controllo della diagnosi o il chiarimento di quesiti clinico-scientifici" nel caso di persone decedute negli ospedali, nelle cliniche universitarie e negli istituti di cura privati, corrisponde indubbiamente alla ratio della disposizione in oggetto ritenere che il riscontro diagnostico è ammesso tutte le volte che la morte riguardi soggetti che, ancorché ancora non si trovino già inseriti nella struttura ospedaliera in senso stretto, risultino, comunque, ad essa già affidati perché ne ricevono, di fatto, l'assistenza, che è loro prestata dai presidi sanitari agenti all'esterno sul territorio, secondo le modalità di quello che è definito intervento extra moenia della guardia medica ospedaliera.
Nel caso di specie, la Corte suprema ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittima l'autopsia disposta dai medici ospedalieri per una donna deceduta mentre si era già affidata alle cure della guardia medica esterna all'ospedale, non rilevando se la morte fosse sopraggiunta mentre la donna si trovava ancora presso la sua abitazione o quando era già stata collocata in ambulanza per il ricovero in ospedale (Cass. Civ. , sez. III, 26 marzo 2004, n. 6051, in Ragiusan, 2004, 6, 449).
Se lo scopo della norma, infatti, è quello, espressamente previsto, di consentire con l'autopsia il "controllo della diagnosi o il chiarimento di quesiti clinico-scientifici" nel caso di persone decedute negli ospedali, nelle cliniche universitarie e negli istituti di cura privati, corrisponde indubbiamente alla ratio della disposizione in oggetto ritenere che il riscontro diagnostico è ammesso tutte le volte che la morte riguardi soggetti che, ancorché ancora non si trovino già inseriti nella struttura ospedaliera in senso stretto, risultino, comunque, ad essa già affidati perché ne ricevono, di fatto, l'assistenza, che è loro prestata dai presidi sanitari agenti all'esterno sul territorio, secondo le modalità di quello che è definito intervento extra moenia della guardia medica ospedaliera.
Nel caso di specie, la Corte suprema ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto legittima l'autopsia disposta dai medici ospedalieri per una donna deceduta mentre si era già affidata alle cure della guardia medica esterna all'ospedale, non rilevando se la morte fosse sopraggiunta mentre la donna si trovava ancora presso la sua abitazione o quando era già stata collocata in ambulanza per il ricovero in ospedale (Cass. Civ. , sez. III, 26 marzo 2004, n. 6051, in Ragiusan, 2004, 6, 449).
2. Le iscrizioni e trascrizioni negli
archivi di stato civile.
In ciascun ufficio dello stato civile sono
registrati e conservati in un unico archivio informatico tutti gli atti
eseguiti nel Comune riguardanti la morte dei soggetti residenti nello stesso
Comune.
In particolare devono iscriversi:
a) le dichiarazioni di morte che sono fatte direttamente all'ufficiale dello stato civile.
b) gli atti di morte che l'ufficiale dello stato civile forma in seguito ad avviso, notizia e denuncia avuti da ospedali, da case di cura o di riposo, da collegi, da istituti o da qualsiasi altro stabilimento, da magistrati o da ufficiali di polizia giudiziaria.
c) gli atti di morte ai quali, per la particolarità del caso, non si adattano le formule predisposte.
d) gli atti formati ai sensi degli artt. 75 e 78, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
Nei medesimi archivi si trascrivono:
a) gli atti di morte ricevuti dall'estero.
b) gli atti e i processi verbali relativi a morti avvenute durante un viaggio marittimo, aereo o ferroviario.
c) gli atti di morte, compilati dagli ufficiali designati nelle zone di operazioni eseguite come forze di pace o di guerra, ex art. 71, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
Qualora l'ufficiale dello stato civile, nell'accertare la morte di una persona ai fini dell'autorizzazione alla inumazione o alla tumulazione, o il Sindaco, ai fini dell'autorizzazione alla cremazione, rilevi qualche indizio di morte dipendente da reato, o ne abbia comunque conoscenza, deve farne immediata denuncia al Procuratore della Repubblica dando, intanto, se occorre, le disposizioni necessarie affinché il cadavere non sia rimosso dal luogo in cui si trova, ex art. 76, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
a) le dichiarazioni di morte che sono fatte direttamente all'ufficiale dello stato civile.
b) gli atti di morte che l'ufficiale dello stato civile forma in seguito ad avviso, notizia e denuncia avuti da ospedali, da case di cura o di riposo, da collegi, da istituti o da qualsiasi altro stabilimento, da magistrati o da ufficiali di polizia giudiziaria.
c) gli atti di morte ai quali, per la particolarità del caso, non si adattano le formule predisposte.
d) gli atti formati ai sensi degli artt. 75 e 78, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
Nei medesimi archivi si trascrivono:
a) gli atti di morte ricevuti dall'estero.
b) gli atti e i processi verbali relativi a morti avvenute durante un viaggio marittimo, aereo o ferroviario.
c) gli atti di morte, compilati dagli ufficiali designati nelle zone di operazioni eseguite come forze di pace o di guerra, ex art. 71, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
Qualora l'ufficiale dello stato civile, nell'accertare la morte di una persona ai fini dell'autorizzazione alla inumazione o alla tumulazione, o il Sindaco, ai fini dell'autorizzazione alla cremazione, rilevi qualche indizio di morte dipendente da reato, o ne abbia comunque conoscenza, deve farne immediata denuncia al Procuratore della Repubblica dando, intanto, se occorre, le disposizioni necessarie affinché il cadavere non sia rimosso dal luogo in cui si trova, ex art. 76, D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
3. Gli obitori.
I Comuni sono obbligati a predisporre un obitorio
per l'assolvimento delle seguenti funzioni obitoriali:
a) mantenimento in osservazione e riscontro diagnostico dei cadaveri di persone decedute senza assistenza medica;
b) deposito per un periodo indefinito dei cadaveri a disposizione dell'autorità giudiziaria per autopsie giudiziarie e per accertamenti medico-legali, riconoscimento e trattamento igienico-conservativo;
c) deposito, riscontro diagnostico o autopsia giudiziaria o trattamento igienico conservativo di cadaveri portatori di radioattività, ex art. 13, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
a) mantenimento in osservazione e riscontro diagnostico dei cadaveri di persone decedute senza assistenza medica;
b) deposito per un periodo indefinito dei cadaveri a disposizione dell'autorità giudiziaria per autopsie giudiziarie e per accertamenti medico-legali, riconoscimento e trattamento igienico-conservativo;
c) deposito, riscontro diagnostico o autopsia giudiziaria o trattamento igienico conservativo di cadaveri portatori di radioattività, ex art. 13, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
I depositi di osservazione e gli obitori possono
essere istituiti dal Comune nell'ambito del cimitero o presso ospedali od altri
istituti sanitari ovvero in qualche particolare edificio rispondente allo scopo
per ubicazione e requisiti igienici.
Nei Comuni con popolazione superiore ai cinquemila abitanti il locale destinato a deposito di osservazione deve essere distinto dall'obitorio.
I Comuni costituitisi in consorzio per l'esercizio di un unico cimitero possono consorziarsi anche per quanto concerne il deposito di osservazione e l'obitorio, ex art. 14, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Nei Comuni con popolazione superiore ai cinquemila abitanti il locale destinato a deposito di osservazione deve essere distinto dall'obitorio.
I Comuni costituitisi in consorzio per l'esercizio di un unico cimitero possono consorziarsi anche per quanto concerne il deposito di osservazione e l'obitorio, ex art. 14, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
L'Azienda sanitaria locale comprendente più Comuni
individua gli obitori e i depositi di osservazione che devono essere dotati di
celle frigorifere per la conservazione dei cadaveri; al loro allestimento ed
all'esercizio provvede il Comune cui obitorio e deposito di osservazione
appartengono. Nel territorio di ciascuna Azienda sanitaria locale le celle
frigorifere devono essere non meno di una ogni ventimila abitanti e, comunque,
non meno di cinque. Nel caso di un Comune il cui territorio coincide con quello
di una Azienda sanitaria locale, oppure comprende più Aziende sanitarie locali,
le determinazioni in proposito sono assunte dal Comune e il rapporto
quantitativo di cui sopra è riferito alla popolazione complessiva del Comune.
Con le stesse modalità si provvede a dotare gli obitori di celle frigorifere isolate per i cadaveri portatori di radioattività o di malattie infettive-diffusive, in ragione di una ogni centomila abitanti, ex art. 15, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
Con le stesse modalità si provvede a dotare gli obitori di celle frigorifere isolate per i cadaveri portatori di radioattività o di malattie infettive-diffusive, in ragione di una ogni centomila abitanti, ex art. 15, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
4. L’autorizzazione alla sepoltura.
L’art. 6, D.P.R. 285/1990, prevede che
l'autorizzazione per la sepoltura nel cimitero è rilasciata, a norma dell'art.
141 del R.D. 9 luglio 1939, n. 1238, sull'ordinamento dello stato civile,
dall'Ufficiale dello stato civile.
La norma è stata sostituita D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
La norma è stata sostituita D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
Il principo è stato ribadito dall’art. 74, di detta
provvedimento legislativo che prevede la preventiva autorizzazione
dell'Ufficiale dello stato civile, da rilasciare al richiedente in carta
semplice e senza spesa per procedere a inumazione o tumulazione di un cadavere.
Nel rilascio dell’autorizzazione l'Ufficiale dello stato civile deve verificare che siano trascorse ventiquattro ore dalla morte, salvi i casi espressi nei regolamenti speciali, e dopo che egli si è accertato della morte medesima per mezzo di un medico necroscopo o di un altro delegato sanitario.
Nel rilascio dell’autorizzazione l'Ufficiale dello stato civile deve verificare che siano trascorse ventiquattro ore dalla morte, salvi i casi espressi nei regolamenti speciali, e dopo che egli si è accertato della morte medesima per mezzo di un medico necroscopo o di un altro delegato sanitario.
Il medico necroscopo deve rilasciare un certificato
scritto della visita fatta nel quale, se del caso, deve indicare la esistenza
di indizi di morte dipendente da reato o di morte violenta.
L’inumazione o la tumulazione avvenuta senza
l'autorizzazione dell'Ufficiale dello stato civile deve essere riferita
immediatamente al Procuratore della Repubblica.
Allo stesso modo l'Ufficiale dello stato civile che,
nell'accertare la morte di una persona ai fini dell'autorizzazione alla
inumazione o alla tumulazione, rilevi qualche indizio di morte dipendente da
reato, o ne abbia comunque conoscenza, deve farne immediata denuncia al
Procuratore della Repubblica dando, intanto, se occorre, le disposizioni
necessarie affinché il cadavere non sia rimosso dal luogo in cui si trova, ex
art. 74 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396.
5. L’autorizzazione alla cremazione.
La cremazione di ciascun cadavere deve essere
autorizzata dal Sindaco.
Il richiedente deve esibire un documento
testamentario che esprima la volontà del defunto.
In mancanza di disposizione testamentaria, la
volontà deve essere manifestata dal coniuge e, in difetto, dal parente più
prossimo.
La volontà del coniuge o quella dei parenti deve risultare da atto scritto con sottoscrizione autenticata da notaio o dai pubblici ufficiali abilitati ai sensi dell'art. 20 della L. 4 gennaio 1968, n. 15.
Per coloro i quali al momento della morte risultino iscritti ad associazioni riconosciute che abbiano tra i propri fini quello della cremazione dei cadaveri dei propri associati è sufficiente la presentazione di una dichiarazione in carta libera scritta e datata, sottoscritta dall'associato di proprio pugno o, se questi non sia in grado di scrivere, confermata da due testimoni, dalla quale chiaramente risulti la volontà di essere cremato.
La volontà del coniuge o quella dei parenti deve risultare da atto scritto con sottoscrizione autenticata da notaio o dai pubblici ufficiali abilitati ai sensi dell'art. 20 della L. 4 gennaio 1968, n. 15.
Per coloro i quali al momento della morte risultino iscritti ad associazioni riconosciute che abbiano tra i propri fini quello della cremazione dei cadaveri dei propri associati è sufficiente la presentazione di una dichiarazione in carta libera scritta e datata, sottoscritta dall'associato di proprio pugno o, se questi non sia in grado di scrivere, confermata da due testimoni, dalla quale chiaramente risulti la volontà di essere cremato.
La dichiarazione deve essere convalidata dal
presidente dell'associazione.
L'autorizzazione non può essere concessa se la richiesta non è corredata da certificato in carta libera redatto dal medico curante o dal medico necroscopo, con firma autenticata dal coordinatore sanitario, dal quale risulti escluso il sospetto di morte dovuta a reato.
In caso di morte improvvisa o sospetta occorre la presentazione del nulla osta dell'autorità giudiziaria, ex art. 79, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
L'autorizzazione non può essere concessa se la richiesta non è corredata da certificato in carta libera redatto dal medico curante o dal medico necroscopo, con firma autenticata dal coordinatore sanitario, dal quale risulti escluso il sospetto di morte dovuta a reato.
In caso di morte improvvisa o sospetta occorre la presentazione del nulla osta dell'autorità giudiziaria, ex art. 79, D.P.R. 10 settembre 1990, n. 285.
L’ufficiale di stato civile, qualora rilevi che la
cremazione sia avvenuta senza l'autorizzazione del Sindaco ovvero qualora
rilevi da qualche indizio che la morte dipenda da reato, deve riferire
immediatamente al Procuratore della Repubblica, ex art. 76 del D.P.R. 3
novembre 2000, n. 396.
6. L’espianto degli organi dal cadavere.
L'art. 1, L. 29 dicembre 1993 n. 578, identifica la
morte con la cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo.
Nel nostro ordinamento si assume il criterio della
morte cerebrale totale, introdotto dalla L. 29 dicembre 1993, n. 578, che reca
norme per l'accertamento e la certificazione di morte, in armonia con gli esiti
di un vivace dibattito internazionale.
Sulla base di tale normativa la morte deve essere identificata con la cessazione definitiva ed irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo, della corteccia cerebrale − che presiede all'attività cosciente − e del tronco cerebrale sede del sistema nervoso centrale. Questa presa di posizione del legislatore italiano recepisce le conclusioni del Comitato Nazionale di Bioetica e ha ricevuto l'autorevole avallo della Corte Cost. n. 414/1995 (S. CANESTRARI, Le diverse tipologie di eutanasia: una legislazione possibile, in Riv. it. Med. Leg., 2003, 5, 751).
La giurisprudenza ha precisato che il soggetto in stato vegetativo persistente, che presenti attività respiratorie e cardiovascolari spontanee, necessitando unicamente di nutrizione artificiale, non è morto (Corte app. Milano, 31 dicembre 1999, in Giur. Milanese, 2000, 279).
Sulla base di tale normativa la morte deve essere identificata con la cessazione definitiva ed irreversibile di tutte le funzioni dell'encefalo, della corteccia cerebrale − che presiede all'attività cosciente − e del tronco cerebrale sede del sistema nervoso centrale. Questa presa di posizione del legislatore italiano recepisce le conclusioni del Comitato Nazionale di Bioetica e ha ricevuto l'autorevole avallo della Corte Cost. n. 414/1995 (S. CANESTRARI, Le diverse tipologie di eutanasia: una legislazione possibile, in Riv. it. Med. Leg., 2003, 5, 751).
La giurisprudenza ha precisato che il soggetto in stato vegetativo persistente, che presenti attività respiratorie e cardiovascolari spontanee, necessitando unicamente di nutrizione artificiale, non è morto (Corte app. Milano, 31 dicembre 1999, in Giur. Milanese, 2000, 279).
Il medico deve cessare ogni attività terapeutica
qualora abbia accertato la morte alla stregua della disciplina vigente,
La L. 1 aprile 1999, n. 91, consente il prelievo di
organi e di tessuti previo accertamento della morte ai sensi della L. 29
dicembre 1993, n. 578.
A tal fine i medici forniscono informazioni sulle
opportunità terapeutiche per le persone in attesa di trapianto nonché sulla
natura e sulle circostanze del prelievo al coniuge non separato o al convivente
more uxorio o, in mancanza, ai figli maggiori di età o, in mancanza di questi
ultimi, ai genitori ovvero al rappresentante legale.
La dottrina rileva che le condizioni di liceità del prelievo sono essenzialmente due. La prima, prevista all'art. 3, comma 1, l. 29 dicembre 1993, n. 578, consiste nell’accertamento della morte cerebrale, da accertarsi secondo il disposto della legge citata.
La dottrina rileva che le condizioni di liceità del prelievo sono essenzialmente due. La prima, prevista all'art. 3, comma 1, l. 29 dicembre 1993, n. 578, consiste nell’accertamento della morte cerebrale, da accertarsi secondo il disposto della legge citata.
La seconda condizione, invece, consiste nel consenso
reale o presumibile del soggetto che subisce il prelievo. È questo un punto
centrale della nuova disciplina che attiene al potere di disporre del cadavere
e alla sua titolarità. La soluzione del problema va ricercata all'interno di
due modelli di disciplina opposti, che costituiscono le coordinate logiche
dell'intera tematica.
Il primo modello è quello
materialistico-collettivistico, che, considerando res il cadavere, lo
nazionalizza, destinandolo, se del caso, agli impieghi che possono risultare
socialmente utili - siano essi trapianti, sperimentazioni o studi -
indipendentemente dalla volontà della persona cui un tempo sono appartenute le
spoglie mortali.
Il secondo modello è quello personalistico che,
vedendo nel cadavere una proiezione ultraesistenziale dell'uomo ovvero una res
che porta l'impronta di una personalità, subordina il suo impiego a un'espressa
autorizzazione in tal senso del donatore.
Per tradizione culturale e legislativa, il nostro sistema si ispira a questo secondo modello
Per tradizione culturale e legislativa, il nostro sistema si ispira a questo secondo modello
La L. 91 del 1999 riafferma la tradizionale
concezione personalistica del cadavere.
L'art. 4 di detta legge afferma che il prelievo è
possibile solo quando il soggetto abbia espresso in vita una dichiarazione
favorevole alla donazione che risulti da un apposito archivio, ovvero allorché,
informato dagli organi competenti della possibilità di esprimersi liberamente
in ordine alla destinazione del proprio cadavere, non abbia espresso alcuna
volontà.
Entro i termini, nelle forme e nei modi stabiliti
dalla legge i cittadini sono tenuti a dichiarare la propria libera volontà in
ordine alla donazione di organi e di tessuti del proprio corpo successivamente
alla morte, e sono informati che la mancata dichiarazione di volontà è
considerata quale assenso alla donazione.
Il silenzio-assenso presunto dal legislatore non può
essere considerato di per sé in contrasto con il principio personalistico.
Si tratta di una soluzione di compromesso tra
l'istanza solidaristica, intesa a favorire i trapianti, e quella personalistica
che riafferma il valore del consenso.
La clausola della "non opposizione" sarà
compatibile con il primato dei diritti della persona nella misura in cui
l'ordinamento renderà effettivo e agevole il diritto del cittadino di opporsi
al futuro prelievo dei propri organi.
La norma impone poi una serie di obblighi in capo
alle amministrazioni competenti, allo scopo di sollecitare attivamente e in
modo ripetutoil possibile pronunciamento dei cittadini contro il prelievo dei
propri organi, art. 5, lett. d), L. 91 del 1999 (F. GIUNTA, La nuova
disciplina dei trapianti d'organo: principi generali e profili penali, in Riv.
it. Med. Leg., 2001, 1, 68).
7. La sepoltura dei feti.
L'art. 7, D.P.R. 285/90, per gli aborti di 20
settimane o superiori prevede l’assimilazione a resti mortali e quindi
l’applicazione della conseguente normativa che impone la sepoltura nel cimitero
(G. BALDINI, Il nascituro e la soggettività giuridica, in Dir.
fam., 2000, 1, 334).
La stessa norma per gli aborti di età inferiore
lasciava la facoltà e non l'obbligo per i genitori di richiedere la sepoltura
come resti mortali, secondo le indicazioni della organizzazione mondiale della
sanità (OMS).
Il D.P.R. 285/1990 recita a richiesta dei genitori, nel cimitero possono essere accolti con la stessa procedura sepoltura anche prodotti del concepimento inferiori alle 20 settimane.
Il D.P.R. 285/1990 recita a richiesta dei genitori, nel cimitero possono essere accolti con la stessa procedura sepoltura anche prodotti del concepimento inferiori alle 20 settimane.
Il D.P.R. 285 del 1990, all'art. 7, prevede,
infatti, la sepoltura dei prodotti del concepimento di presunta età inferiore
alle 20 settimane solo su esplicita richiesta dei genitori all'ASL.
I parenti o chi per essi sono tenuti a presentare,
entro 24 ore dall'espulsione od estrazione del feto, domanda di seppellimento
all'unità sanitaria locale accompagnata da certificato medico che indichi la
presunta età di gestazione ed il peso del feto.
Le norme di attuazione del cosiddetto Decreto Ronchi prescrivono che le parti anatomiche non riconoscibili (residui operatori, placente, feti non richiesti o per i quali non sia obbligatoria la sepoltura) sono da considerare rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo e come tali non sono da accettare in cimitero o in crematorio, ma sono da avviare a termodistruzione, ai sensi dell'art. 10, D. M. Ambiente n. 219 del 2000.
E’ possibile in Italia per la donna che ha un aborto provvedere a proprie spese alla sepoltura dell'embrione.
Le norme di attuazione del cosiddetto Decreto Ronchi prescrivono che le parti anatomiche non riconoscibili (residui operatori, placente, feti non richiesti o per i quali non sia obbligatoria la sepoltura) sono da considerare rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo e come tali non sono da accettare in cimitero o in crematorio, ma sono da avviare a termodistruzione, ai sensi dell'art. 10, D. M. Ambiente n. 219 del 2000.
E’ possibile in Italia per la donna che ha un aborto provvedere a proprie spese alla sepoltura dell'embrione.
Questa opportunità in caso di aborto dei primi mesi di
gravidanza è stata scarsamente utilizzata probabilmente perché non se ne è
sentita la necessità o non si è ritenuto giustificata la spesa o forse perché
alla norma non è stata data una sufficiente informazione.
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