Corte di
Cassazione, sezione VI Penale
Sentenza 22 gennaio – 26 febbraio 2105, n. 8625
fatto
1. È impugnata la sentenza del 7/05/2014 con la quale
il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Messina ha disposto non
luogo a procedere nei confronti di D. P. riguardo al delitto di cui agli artt.
56 e 319-quater cod. pen.
La contestazione si riferisce ad un episodio avvenuto
presso una struttura alberghiera nella quale si teneva una serata danzante ad
inviti. P. si era presentato all’ingresso e, di fronte alla guardia giurata che
selezionava gli accessi, aveva esibito il tesserino di agente della Polizia
penitenziaria, sostenendo di avere diritto all’ingresso sebbene fosse privo di
invito, ed usando anche la forza nei confronti dell’interlocutore, tentando di
spostarlo per varcare l’ingresso.
In esito all’udienza preliminare, il Giudice
territoriale ha pronunciato sentenza ex art. 425 cod. pen., rilevando che dopo
i fatti lo stesso P. aveva chiesto l’intervento della polizia, il quale però –
se ben si comprende – risulterebbe privo di rilievo, essendo già maturata una
volontaria desistenza dell’interessato.
Testualmente, le righe finali del provvedimento (due
di dodici): «il comportamento, al di là degli aspetti di inopportunità e di
risìbilità non appare volto a raggiungere una utilità giuridicamente
significativa né insistito sotto il profilo della induzione».
2. Ricorre il Pubblico ministero, denunciando vizi di
motivazione e violazioni della legge penale processuale e sostanziale.
Il Giudice territoriale avrebbe derogato, senza per
altro alcuna motivazione al proposito, la regola di giudizio tipica
dell’udienza preliminare, ad esempio ipotizzando una desistenza senza alcun
atto di indagine al proposito e, comunque, mediante una mera asserzione.
L’irrilevanza della condotta ex art. 56, comma 3, cod. pen. sarebbe del resto esclusa dal fatto che la pretesa di entrare nel locale di intrattenimento senza averne il diritto era fallita solo per la resistenza opposta dalla guardia giurata, e che l’azione si era già esaurita quando P., per ragioni da accertare, aveva chiesto l’intervento della Polizia.
L’irrilevanza della condotta ex art. 56, comma 3, cod. pen. sarebbe del resto esclusa dal fatto che la pretesa di entrare nel locale di intrattenimento senza averne il diritto era fallita solo per la resistenza opposta dalla guardia giurata, e che l’azione si era già esaurita quando P., per ragioni da accertare, aveva chiesto l’intervento della Polizia.
La sentenza sarebbe fondata su osservazioni prive di
pertinenza, non essendo ad esempio necessario che l’induzione del privato interlocutore
sia perseguita con insistenza, o per conseguire un vantaggio che il giudice
consideri meno risibile della partecipazione ad una festa, in assenza per altro
di pur minimi riferimenti al criterio della offensività.
Il provvedimento impugnato, in sostanza, sarebbe privo
di effettiva motivazione.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato, e deve essere accolto, con
conseguente annullamento del provvedimento impugnato. Il Giudice del rinvio –
posto dall’annullamento nella posizione in cui si trovava in esito alla
discussione – dovrà deliberare sulla richiesta di rinvio a giudizio prestando
il necessario ossequio alla regola di giudizio indicata nell’art. 425 cod.
proc. pen., e nel contempo conformando la motivazione del proprio provvedimento
al modello normativo, che esige completezza, linearità dell’argomentazione,
coerenza e, in ultima analisi, comprensibilità. Lo stesso Giudice inoltre, con
l’occasione, avrà modo di verificare la congruenza della qualificazione
giuridica conferita al fatto, ciò che non risulta essere avvenuto
nell’assunzione del provvedimento di cui si tratta.
2. Va notato in effetti, a tale ultimo proposito, che
non si comprende il senso dell’attuale imputazione.
La guardia giurata coinvolta nel fatto ha riferito
agii agenti di polizia che, a quanto pare non per la prima volta, P. aveva
preteso di entrare nella discoteca, senza averne il diritto, sol perché
appartenente alla Polizia penitenziaria. Nell’occasione, P. avrebbe finanche
cercato di usare la forza, e cioè di spostare fisicamente il suo interlocutore,
senza per altro riuscirvi, ed aveva poi richiesto egli stesso l’intervento di
una pattuglia di polizia.
Ora, a parte il fatto – messo in luce dal ricorrente –
che non si vede come nel caso di specie possa tecnicamente parlarsi di
desistenza (infra), andrebbe verificata l’esattezza del riferimento alla figura
di reato delineata all’art. 319quater cod. pen. Se è vero che P., secondo la
ricostruzione accusatoria, mirava a conseguire una utilità indebita (l’accesso
alla discoteca), restava e resta da stabilire la rìconducibilità della sua
pretesa ad un abuso della qualità o della funzione. Ma prima ancora, e
radicalmente, va notato come la norma evocata si caratterizzi per uno
«scambio», sia pure non paritario, tra promesse o prestazioni, che coinvolge
anche la vittima delle pressioni induttive, e che discrimina il fatto tipico
rispetto alla concussione.
Se allora è concepibile in astratto un tentativo di
indebita induzione (ad esempio, attraverso messaggi di valenza intimidatoria
non recapitati al destinatario), resta chiara l’estraneità alla fattispecie dei
casi nei quali la promessa o la prestazione non intervengono proprio perché
l’extraneus resiste alla sollecitazione, e non avrebbe d’altronde alcun proprio
interesse da soddisfare attraverso il rapporto instaurato con l’agente
pubblico.
Il Giudice del rinvio dovrà valutare, quindi,
l’attuale qualificazione del fatto, ad esempio attraverso l’effettuazione di un
semplice test: se sarebbe stata configurabile a carico della guardia giurata
una responsabilità ex art. 319-quater, comma 2, cod. pen. qualora la stessa,
anziché opporsi alla pretesa di P., l’avesse lasciato entrare.
Nel caso in cui dovesse concludersi per l’assenza
dell’abuso funzionale e/o dell’oggetto tipico della relazione instaurata dalla
pressione induttiva, per il fatto residuerebbero nella specie altre possibili
qualificazioni, ad esempio ex artt. 56 e 610 cod. pen.
3. Si accennava all’istituto della desistenza, ed è
probabilmente su tale istituto che, in effetti, il Giudice procedente ha
fondato la propria decisione.
Si allude ad una probabilità perché la motivazione è
talmente criptica e contratta che non è dato trarne alcuna conseguenza sicura
(il che, naturalmente, segna ex se la sorte del provvedimento impugnato). Se è
vero che nel dispositivo della sentenza si allude ad un fatto insussistente, e
non ad un fatto non punibile (così come si sarebbe dovuto fare in caso di
provvedimento ricognitivo della fattispecie di cui al comma 3 dell’art. 56 cod.
pen.), è vero anche che il Giudicante allude alla richiesta dell’intervento
della polizia come ad una condotta di desistenza (sia pure col prudenziale
ricorso al termine “sostanziale”). Inutile il tentativo di approfondire il
senso della subordinata logica («la chiamata della polizia rileverebbe sotto un
profilo soggettivo» se non vi fosse stata «sostanziale desistenza» per effetto
della medesima chiamata)
Basterà ricordare la desistenza non ricorre tutte le
volte che l’agente rinuncia ad ogni umana possibilità di perfezionare l’offesa
al bene giuridico, ma solo quando la stessa azione tipica viene interrotta, in
assenza di fattori impeditivi e dunque per effetto di una scelta volontaria
(anche se non necessariamente spontanea) dello stesso agente.
Nella sentenza impugnata, che manca addirittura
dell’enunciato della norma applicata, manca a maggior ragione una seria analisi
della fattispecie e della relativa qualificazione giuridica.
5. Per essere conforme a diritto, la sentenza di non
luogo a procedere deve essere sorretta da una valutazione conforme alla regola
indicata, senza indebite anticipazioni del giudizio di merito, e dunque deve
maturare per l’argomentata convinzione che la ritenuta carenza di elementi per
la condanna resterebbe tale anche in esito ad un dibattimento e ad
un’istruttoria condotta secondo linee ragionevolmente concepibili. La relativa
motivazione deve dunque, e sia pure in termini eventualmente sintetici,
enunciare il giudizio di inutilità del dibattimento.
Nel caso di specie, come ampiamente si è visto, non
v’è stata osservanza né della regola di giudizio, né del pertinente modello di
motivazione.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di
Messina per l’ulteriore corso
Nessun commento:
Posta un commento