Corte di Cassazione, sezione I Penale
sentenza 12 – 26 febbraio 2015, n. 8566
fatto
1. Con sentenza emessa il 05/06/2012 il Giudice
dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Venezia, procedendo con rito
abbreviato, condannava L.B. alla pena di anni cinque e mesi quattro di
reclusione, ritenendolo colpevole di concorso nel tentato omicidio mediante
accoltellamento, contestato al capo A) della rubrica, di M.M. ed S.E. , al capo B), si contestava anche il porto e la
detenzione del coltello utilizzato per accoltellare le vittime.
Nella sentenza si accertava che l’imputato si rendeva
responsabile dei delitti contestati, nell’ambito di una progressione criminosa
sfociata nell’accoltellamento del M. e del S. . In conseguenza del ferimento,
Secondo il giudice di primo grado, , improvvisamente,
il M. si scagliava contro la B. , spintonandola e dando origine a una
colluttazione, che coinvolgeva il V. , il quale interveniva in difesa della
donna e, dopo essere stato colpito con pugno al volto dall’aggressore, lo
gettava a terra, dapprima colpendolo con calci e pugni e successivamente
sferrandogli una coltellata alle spalle.
Nel corso delle indagini, venivano esaminate sia la B.
che le persone offese dal reato, che consentivano di accertare che l’incontro
di (…) non era casuale, ma funzionale a un chiarimento tra la B. , il S. e il
L. , con il quale la B. aveva da poco intrapreso una relazione sentimentale, in
concomitanza con la fase conclusiva del suo preesistente rapporto con il S. .
Tale incontro, dunque, doveva servire a chiarire i rapporti tra i tre soggetti,
ma si sviluppava in modo inaspettato, per effetto della reazione del L. e del
V. , che si scagliavano contro i contendenti, dopo che il M. aveva dato inizio
allo scontro fisico.
Per ricostruire tali frangenti, la B. veniva esaminata
in diverse occasioni – (omissis) , il (omissis) e il (omissis) – fornendo una
ricostruzione dell’accaduto ritenuta dal giudice di primo grado lineare nei
suoi tratti essenziali e compatibile con le emergenze processuali.
Venivano, inoltre, esaminati il M. e il S. , i quali
fornivano una ricostruzione del loro ferimento compatibile con la versione
fornita dalla B. .
Sulla scorta di tali elementi probatori, il Giudice
dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Venezia perveniva al
riconoscimento della responsabilità del L. nei termini richiamati.
2. Avverso tale sentenza L.B. , a mezzo del suo
difensore, proponeva appello, deducendo quattro motivi.
Si censurava, innanzitutto, l’inquadramento
dell’ipotesi delittuosa contestata al L. al capo A) della rubrica,
riconducibile alla rissa o alle lesione personali aggravate e non già al
tentato omicidio.
Si censurava, inoltre, l’inutilizzabilità delle
dichiarazioni rese da M.M. ed S.E. nel corso delle indagini preliminari, atteso
che costoro dovevano considerarsi compartecipi della rissa e non già vittime
del tentato omicidio contestato al L. al capo A), con la conseguenza che il
loro esame doveva avere luogo con le forme dell’art. 63 cod. proc. pen..
Si censurava ulteriormente la ricostruzione
dell’elemento soggettivo del tentato omicidio ascritto al L. , atteso che le
evidenze processuali non consentivano di ipotizzare alcuna premeditazione nella
condotta aggressiva dell’imputato.
Si censurava, infine, il mancato riconoscimento della
scriminante della legittima difesa di cui all’art. 52 cod. pen., che doveva
ritenersi sussistente quantomeno nella forma putativa.
3. Con sentenza emessa il 18/10/2013 la Corte di
appello di Venezia, in riforma parziale della sentenza impugnata, esclusa
l’aggravante dell’art. 577, n. 4, cod. pen. e concesse le attenuanti generiche,
rideterminava la pena irrogata a L.B. in anni tre, mesi nove e giorni dieci di
reclusione.
4. Avverso questa sentenza, a mezzo dell’avv. Claudio
Galletti, L.B. ricorreva per cassazione, proponendo quattro motivi di ricorso.
Quale primo
motivo si eccepiva l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione
dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 63,
comma 2, cod. proc. pen., cui si collegava l’illogicità e la contraddittorietà
della motivazione.
Si deduceva, in particolare, l’inutilizzabilità delle
dichiarazioni rese dal M. e dal S. , ai sensi dell’art. 63, comma 2, cod. proc.
pen., in conseguenza del fatto che dovevano considerarsi compartecipi della
rissa e non già vittime del tentato omicidio contestato, già dal momento in cui
si procedeva al loro esame nel corso delle indagini preliminari.
Quale secondo motivo, enucleato nel punto B1) del
ricorso, si eccepiva la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc.
pen., in relazione all’obliterazione dei motivi di appello nella parte in cui
si censurava la ricostruzione dell’episodio delittuoso in contestazione, con
particolare riferimento all’incontro avvenuto l'(omissis) e all’atteggiamento
psicologico dei partecipanti all’incontro.
Quale terzo motivo si eccepiva la violazione dell’art.
606, comma 1, lett. b), e), cod. proc. pen., per errata applicazione della
legge penale, in relazione all’ipotesi della desistenza volontaria, cui si
collegava l’insufficienza della motivazione nella parte dedicata a tale profilo
valutativo.
Quale quarto motivo, infine, si eccepiva la violazione
dell’art. 606, comma 1, lett. b, e), cod. proc. pen., in relazione all’erronea
applicazione della legge penale, nella parte in cui la corte territoriale
escludeva la scriminante della legittima difesa ex art. 52 cod. pen., anche
nella forma putativa, cui si collegava l’insufficienza della motivazione della
sentenza impugnata, limitatamente a tale profilo.
I motivi di ricorso proposti nell’interesse di L.B.
imponevano l’annullamento della sentenza impugnata.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
Quale primo motivo si eccepiva l’illegittimità della
sentenza impugnata per violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc.
pen., in relazione all’art. 63 cod. proc. pen., cui si collegava l’illogicità e
la contraddittorietà della motivazione.
Si deduceva, in particolare, l’inutilizzabilità delle
dichiarazioni rese dal M. e dal S. , ai sensi dell’art. 63, comma 2, cod. proc.
pen., in ragione del fatto che i due soggetti dovevano considerarsi
compartecipi della rissa e non vittime del tentato omicidio contestato al capo
A), già dal momento in cui si procedeva alla verbalizzazione del loro esame nel
corso delle indagini preliminari.
Questo motivo di ricorso, già proposto in sede di
appello, veniva correttamente affrontato dalla corte territoriale, che
escludeva la sussistenza del reato di rissa, rilevando che tale ricostruzione
alternativa dei fatti, si fondava unicamente su un’annotazione di polizia
giudiziaria redatta dai carabinieri della Compagnia di Mestre il 01/05/2011, in
cui si rappresentava che erano intervenuti sul luogo del delitto sulla base
della segnalazione di alcuni passanti, nemmeno individuati, che avevano
riferito ai componenti di una pattuglia che si trovava nei pressi di piazza
(omissis) , che era in corso di svolgimento una rissa nelle vicinanze del
centro commerciale (omissis) .
A fronte di tale originario spunto investigativo, le dichiarazioni rese dalla B. – nelle date
del (omissis) , del (omissis) e del (omissis) – non consentono di ricondurre i
fatti delittuosi contestati al ricorrente al capo A) al reato di cui all’art.
588, comma 2, cod. pen..
Ricostruita, in questi termini, la vicenda delittuosa,
non è possibile censurare le modalità di escussione delle vittime
dell’aggressione del L. , le cui dichiarazioni, non potendo costoro essere
ritenuti parti attive della rissa in cui risultavano coinvolti l’imputato e il
V. , non potevano essere sanzionate ex art. 63, comma 2, cod. proc. pen.,
conformemente alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui: “In tema di
prova dichiarativa, allorché venga in rilievo la veste che può assumere il
dichiarante, spetta al giudice il potere di verificare in termini sostanziali,
e quindi al di là del riscontro di indici formali, come l’eventuale già
intervenuta iscrizione nominativa nel registro delle notizie di reato,
l’attribuibilità allo stesso della qualità di indagato nel momento in cui le
dichiarazioni stesse vengano rese, e il relativo accertamento si sottrae, se congruamente
motivato, al sindacato di legittimità” (cfr. Sez. un., n. 15208 del 25/02/2010,
dep. 21/04/2010, Mills, Rv. 246584).
Queste considerazioni processuali impongono di
ritenere infondato il primo motivo di ricorso.
2. Parimenti infondato deve ritenersi il secondo
motivo di ricorso, di cui devono essere valutate separatamente le doglianze
difensive indicate nei punti B1) e B2).
2.1. Quanto alla doglianza di cui al punto B1) del
ricorso, deve rilevarsi che, in tale ambito, si eccepiva la violazione
dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., in relazione
all’obliterazione dei motivi di gravame nella parte in cui si censurava la
ricostruzione dell’episodio delittuoso in esame con particolare riferimento
all’incontro avvenuto l'(OMISSIS) e all’atteggiamento psicologico dei presenti.
Deve, in proposito, rilevarsi che l’assunto
processuale da cui muove la difesa del ricorrente risulta destituito di
fondamento, atteso che la corte territoriale esaminava correttamente i profili
afferenti alle condizioni psicologiche della B. rispetto alla vicenda
delittuosa in esame sotto il profilo dei suoi rapporti sentimentali con il S. e
con il L. , questi ultimi esaminati, a loro volta, in relazione agli SMS
inviati dalla teste all’imputato
La completezza del percorso valutativo compiuto dalla
corte territoriale sul punto viene ulteriormente attestata dalla sentenza, che,
nella prospettiva processuale recepita dalla corte territoriale, chiariva le
modalità con cui l’aggressione veniva portata avanti nei confronti delle
vittime e la determinazione che caratterizzava, sotto il profilo dell’elemento
soggettivo, il loro atteggiamento aggressivo.
Queste considerazioni processuali impongono di ritenere infondata tale doglianza.
Queste considerazioni processuali impongono di ritenere infondata tale doglianza.
2.2. Parimenti infondata deve ritenersi la doglianza
di cui al punto B2), strettamente collegata, secondo la ricostruzione
difensiva, a quella di cui al punto che precede, in relazione all’inquadramento
del tentato omicidio contestato al L. , con specifico riferimento all’omessa
valutazione delle conclusioni medico-legali rassegnate dal Dott. C. .
la valutazione compiuta nella sentenza impugnata con
riferimento agli esiti della consulenza medico legale eseguita nel corso delle
indagini preliminari dal Dott. C. – pur dovendo evidenziare una maggiore
puntualità nella sua disamina da parte del giudice di prime cure – deve
ritenersi immune da censure (cfr. Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, dep. 04/11/2013,
Argentieri, Rv. 257595).
Quanto, infine, all’oggetto dell’accertamento
medico-legale condotto dal Dott. C. , si tratta di questione riguardante un
giudizio di fatto, sul quale, in presenza di un’adeguata motivazione,
certamente riscontrabile nel caso di specie, è precluso ogni sindacato di
legittimità, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 6, n.
456 del 21/09/2012, dep. 08/01/2013, Cena e altri, Rv. 254226).
Queste considerazioni processuali impongono di
ritenere infondata anche tale doglianza del secondo motivo di ricorso.
3. Parimenti infondato deve ritenersi il terzo motivo
di ricorso, con cui si censurava la motivazione del provvedimento impugnato,
che avrebbe trascurato che l’evento mortale non si concretizzava a causa della
decisione del L. che, dopo il ferimento delle vittime, non portava a termine la
sua azione criminosa, sulla base di una sua autonoma determinazione, che
prescindeva dall’intervento dei carabinieri accorsi sul posto.
Le emergenze processuali, infatti, orientano il
materiale probatorio in una direzione contrapposta a quella posta a fondamento
di tale doglianza, evidenziando che l’intervento dei carabinieri risultava
decisivo per l’interruzione, quando peraltro il tentativo era ormai compiuto,
dell’aggressione armata del L. e del V. , i quali si allontanavano da piazza
Barche non appena si rendevano conto del sopraggiungere delle forze
dell’ordine. Tale condotta vale certamente a escludere la ricorrenza dei
presupposti della desistenza volontaria invocati dalla difesa del ricorrente ai
sensi dell’art. 56, comma 3, cod. pen., non sussistendo nel caso di specie
un’interruzione volontaria dell’aggressione, ma unicamente l’allontanamento
degli aggressori imposto dalla necessità di evitare l’arresto da parte dei carabinieri
intervenuti sul posto (cfr. Cass., Sez. 1, n. 43036 del 23/10/2012, dep.
07/11/2012, Ortu, Rv. 253616).
Queste considerazioni impongono di ritenere infondata
anche tale ulteriore doglianza difensiva.
4. Anche il quarto motivo del ricorso proposto
nell’interesse del L. deve ritenersi infondato.
Deve, in proposito, rilevarsi che, tenuto conto delle
modalità incontroverse con cui si sviluppava l’aggressione armata oggetto di
contestazione nei confronti del M. e del S. – i quali risultavano entrambi
disarmati al contrario dei loro contendenti – non è possibile ritenere la
condotta delittuosa posta in essere dal L. giustificabile ai sensi dell’art. 52
cod. pen., nemmeno sotto il profilo dell’eventuale eccesso colposo, alla
stregua dei parametri canonizzati dalla giurisprudenza di legittimità
consolidata, secondo la quale: “I presupposti essenziali della legittima difesa
sono costituiti da un’aggressione ingiusta e da una reazione legittima: mentre
la prima deve concretarsi nel pericolo attuale di un’offesa che, se non
neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione di un diritto (personale o
patrimoniale) tutelato dalla legge, la seconda deve inerire alla necessità di
difendersi, alla inevitabilità del pericolo e alla proporzione tra difesa e
offesa.
L’eccesso colposo sottintende i presupposti della scriminante
con il superamento dei limiti a quest’ultima collegati, sicché, per stabilire
se nel fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della difesa legittima,
bisogna prima accertare la inadeguatezza della reazione difensiva, per
l’eccesso nell’uso dei mezzi a disposizione dell’aggredito in un preciso
contesto spazio temporale e con valutazione ex ante, e occorre poi procedere ad
un’ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed
eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema
dell’eccesso colposo delineato dall’art. 55 cod. pen., mentre il secondo
consiste in una scelta volontaria, la quale comporta il superamento doloso
degli schemi della scriminante” (cfr. Sez. 1, n. 45425 del 25/10/2005, dep. 15/12/2005,
P.G. in proc. Bollardi, Rv. 233352).
Nemmeno è possibile, proprio in conseguenza della
mancanza di armi riscontrata in capo alle vittime, ritenere sussistenti i
presupposti della legittima difesa
putativa – espressamente invocata dalla difesa del ricorrente – alla luce
dei parametri ermeneutici elaborati da questa Corte, secondo la quale: “La
legittima difesa putativa postula i medesimi presupposti di quella reale, con
la sola differenza che nella prima la situazione di pericolo non sussiste obiettivamente
ma è supposta dall’agente sulla base di un errore scusabile nell’apprezzamento
dei fatti, determinato da una situazione obiettiva atta a far sorgere nel
soggetto la convinzione di trovarsi in presenza del pericolo attuale di
un’offesa ingiusta; sicché, in mancanza di dati di fatto concreti, l’esimente
putativa non può ricondursi ad un criterio di carattere meramente soggettivo
identificato dal solo timore o dal solo stato d’animo dell’agente” (cfr. Sez.
1, n. 3898 del 18/02/1997, dep. 28/04/1997, Micheli, Rv. 207736).
Queste considerazioni processuali impongono di
ritenere infondato anche tale motivo di ricorso.
5. Le ragioni che si sono esposte inducono a ritenere
infondato il ricorso proposto nell’interesse di L.B. , con la conseguente
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali.
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