Corte di Cassazione sezione III Civile
sentenza 5 maggio – 29 settembre 2015, n. 19212
sentenza 5 maggio – 29 settembre 2015, n. 19212
Con sentenza del 13/11/2012 la Corte d’Appello di Roma
ha respinto il gravame interposto dalla sig. E.C.J. in relazione alla pronunzia
Trib. Roma n. 39600/03, di rigetto della domanda proposta di risarcimento dei
danni lamentati in conseguenza di intervento chirurgico effettuato presso la
clinica (OMISSIS), oltre che come convenuto al ginocchio destro lesionato in
conseguenza di caduta su pista da sci, anche a quello sinistro, non lesionato e
per il quale non aveva prestato consenso.
Motivi della decisione
Con il 1 motivo la ricorrente denunzia “violazione e
falsa applicazione” degli artt. 1324, 2722 c.c., 12 disp. prel. c.c., in
relazione all’art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c..
Si duole che la corte di merito abbia posto a fondamento dell’impugnata decisione prove testimoniali erroneamente assunte, in quanto volte a provare patti aggiunti o contrari a quelli in precedenza concordati in ordine all’intervento chirurgico da effettuarsi.
I motivi sono fondati e vanno accolti p.q.r. nei termini e limiti di seguito indicati.
Va anzitutto osservato che come questa Corte ha già avuto modo di affermare l’obbligo del consenso informato costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario senza il quale l’intervento del medico è – al di fuori dei casi di trattamento per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità – sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente (v. Cass., 16/10/2007, n. 21748).
Si duole che la corte di merito abbia posto a fondamento dell’impugnata decisione prove testimoniali erroneamente assunte, in quanto volte a provare patti aggiunti o contrari a quelli in precedenza concordati in ordine all’intervento chirurgico da effettuarsi.
I motivi sono fondati e vanno accolti p.q.r. nei termini e limiti di seguito indicati.
Va anzitutto osservato che come questa Corte ha già avuto modo di affermare l’obbligo del consenso informato costituisce legittimazione e fondamento del trattamento sanitario senza il quale l’intervento del medico è – al di fuori dei casi di trattamento per legge obbligatorio o in cui ricorra uno stato di necessità – sicuramente illecito, anche quando è nell’interesse del paziente (v. Cass., 16/10/2007, n. 21748).
Ai sensi dell’art. 32, 2 co., Cost. (in base al quale
nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per
disposizione di legge), dell’art. 13 Cost. (che garantisce l’inviolabilità
della libertà personale con riferimento anche alla libertà di salvaguardia
della propria salute e della propria integrità fisica) e dell’art. 33 L. n. 833
del 1978 (che esclude la possibilità di accertamenti e di trattamenti sanitari
contro la volontà del paziente, se questo è in grado di prestarlo e non
ricorrono i presupposti dello stato di necessità ex art. 54 c.p.) esso è a
carico del sanitario, il quale, una volta richiesto dal paziente
dell’esecuzione di un determinato trattamento, decide in piena autonomia
secondo la lex artis di accogliere la richiesta e di darvi corso.
Trattasi di obbligo che attiene all’informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto, e in particolare in ordine alla possibilità che ne consegua (cfr. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 30/7/2004, n. 14638) un aggravamento delle condizioni di salute del medesimo, al fine di porlo in condizione di consapevolmente consentirvi (v. Cass., 14/3/2006, n. 5444).
Il medico ha pertanto il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell’intervento, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili (v. Cass., 13/2/2015, n. 2854).
Trattasi di obbligo che attiene all’informazione circa le prevedibili conseguenze del trattamento cui il paziente viene sottoposto, e in particolare in ordine alla possibilità che ne consegua (cfr. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 30/7/2004, n. 14638) un aggravamento delle condizioni di salute del medesimo, al fine di porlo in condizione di consapevolmente consentirvi (v. Cass., 14/3/2006, n. 5444).
Il medico ha pertanto il dovere di informare il paziente in ordine alla natura dell’intervento, alla portata dei possibili e probabili risultati conseguibili e delle implicazioni verificabili (v. Cass., 13/2/2015, n. 2854).
Si è al riguardo ulteriormente precisato che
l’acquisizione da parte del medico del consenso informato costituisce prestazione altra e diversa da
quella dell’intervento medico richiestogli, assumendo autonoma rilevanza ai
fini dell’eventuale responsabilità risarcitoria in caso di relativa mancata
prestazione da parte del paziente (v. Cass., 13/2/2015, n. 2854. Cfr. altresì
Cass., 16/05/2013, n. 11950, che ha ritenuto preclusa ex art. 345 c.p.c. la
proposizione nel giudizio di appello, per la prima volta, della domanda
risarcitoria diretta a far valere la colpa professionale del medico
nell’esecuzione di un intervento, in quanto costituente domanda nuova rispetto
a quella – proposta in primo grado – basata sulla mancata prestazione del
consenso informato, differente essendo il rispettivo fondamento).
Trattasi di due distinti diritti.
Trattasi di due distinti diritti.
Il consenso informato attiene al diritto fondamentale
della persona all’espressione della consapevole adesione al trattamento
sanitario proposto dal medico (cfr. Corte Cost., 23/12/2008, n. 438), e quindi
alla libera e consapevole autodeterminazione del paziente (v. Cass., 6/6/2014,
n. 12830), atteso che nessuno può essere obbligato ad un determinato
trattamento sanitario se non per disposizione di legge (anche quest’ultima non
potendo peraltro in ogni caso violare i limiti imposti dal rispetto della
persona umana: art. 32, 2 co., Cost.).
Il trattamento medico terapeutico ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute (art. 32, 1 co., Cost.) (v. Cass., 6/6/2014, n. 12830).
L’autonoma rilevanza della condotta di adempimento della dovuta prestazione medica ne impone pertanto l’autonoma valutazione rispetto alla vicenda dell’acquisizione del consenso informato (cfr., da ultimo, Cass., 26/7/2012, n. 13214; Cass., 27/4/2010, n. 10060, e da ultimo Cass., 6/6/2014, n. 12830).
Il trattamento medico terapeutico ha viceversa riguardo alla tutela del (diverso) diritto fondamentale alla salute (art. 32, 1 co., Cost.) (v. Cass., 6/6/2014, n. 12830).
L’autonoma rilevanza della condotta di adempimento della dovuta prestazione medica ne impone pertanto l’autonoma valutazione rispetto alla vicenda dell’acquisizione del consenso informato (cfr., da ultimo, Cass., 26/7/2012, n. 13214; Cass., 27/4/2010, n. 10060, e da ultimo Cass., 6/6/2014, n. 12830).
Si è al riguardo precisato che, a fronte
dell’allegazione di inadempimento da parte del paziente, è onere del medico
provare l’adempimento dell’obbligazione di fornirgli un’informazione completa
ed effettiva sul trattamento sanitario e sulle sue conseguenze (v. Cass.,
9/2/2010, n. 2847), senza che sia dato presumere il rilascio del consenso
informato sulla base delle qualità personali del paziente, potendo esse
incidere unicamente sulle modalità dell’informazione, la quale deve
sostanziarsi in spiegazioni dettagliate ed adeguate al livello culturale del
paziente, con l’adozione di un linguaggio che tenga conto del suo particolare
stato soggettivo e del grado delle conoscenze specifiche di cui dispone (v.
Cass., 20/8/2013, n. 19920).
In mancanza di consenso informato l’intervento del
medico – al di fuori dei casi di trattamento sanitario per legge obbligatorio o
in cui ricorra uno stato di necessità – è pertanto sicuramente illecito, anche
quando sia nell’interesse del paziente (v. Cass., 8/10/2008, n. 24791).
Presuntiva può essere invece la prova che un consenso
informato sia stato effettivamente ed in modo esplicito prestato, ed il
relativo onere ricade sul medico (cfr. Cass., 27/11/2012, n. 20984).
Si è da questa Corte ad esempio ritenuto non
validamente prestato un consenso ottenuto mediante la sottoposizione al
paziente, ai fini della relativa sottoscrizione, di un modulo del tutto
generico, non essendo in tal caso possibile desumere con certezza che il
paziente abbia ricevuto le informazioni del caso in modo esaustivo (v. Cass.,
8/10/2008, n. 24791).
A tale stregua deve allora ritenersi a fortiori inidoneo un consenso come nella specie dalla paziente asseritamente prestato oralmente.
A tale stregua deve allora ritenersi a fortiori inidoneo un consenso come nella specie dalla paziente asseritamente prestato oralmente.
Sotto altro
profilo, quanto alla domanda risarcitoria diretta a far valere la
responsabilità professionale del medico nell’esecuzione di un intervento, in
accordo con quanto osservato anche in dottrina va ribadito che il debitore è di
regola tenuto ad una normale perizia, commisurata alla natura dell’attività
esercitata (secondo una misura obiettiva che prescinde dalle concrete capacità
del soggetto, sicché deve escludersi che ove privo delle necessarie cognizioni
tecniche il debitore rimanga esentato dall’adempiere l’obbligazione con la
perizia adeguata alla natura dell’attività esercitata); mentre una diversa
misura di perizia è dovuta in relazione alla qualifica professionale del
debitore, in relazione ai diversi gradi di specializzazione propri dello
specifico settore di attività (cfr. Cass., 20/10/2014, n. 22222).
Al professionista (e a fortiori allo specialista) è richiesta una diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall’impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di attività da espletare (cfr. Cass., 31/5/2006, n. 12995) e allo standard professionale della sua categoria.
L’impegno dal medesimo dovuto, se si profila superiore a quello del comune debitore, va considerato viceversa corrispondente alla diligenza normale in relazione alla specifica attività professionale o lavorativa esercitata, giacché il professionista deve impiegare la perizia ed i mezzi tecnici adeguati allo standard professionale o lavorativo della sua categoria, tale standard valendo a determinare, in conformità alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonché del relativo grado di responsabilità (cfr. Cass., 20/10/2014, n. 22222; Cass., 9/10/2012, n. 17143).
La condotta di adempimento della dovuta prestazione medica va allora valutata sotto i segnalati profili della diligenza qualificata e della buona fede o correttezza, dovendo al riguardo altresì accertarsi se le conseguenze dannose verificatesi all’esito dell’evento lesivo siano, sotto il profilo del più probabile che non (cfr., da ultimo, Cass., 26/7/2012, n. 13214; Cass., 27/4/2010, n. 10060), da considerarsi alla detta condotta causalmente astrette (cfr. Cass., 6/6/2014, n. 12830).
Orbene, i suindicati principi risultano essere stati dalla corte di merito invero disattesi nell’impugnata sentenza.
Al professionista (e a fortiori allo specialista) è richiesta una diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall’impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di attività da espletare (cfr. Cass., 31/5/2006, n. 12995) e allo standard professionale della sua categoria.
L’impegno dal medesimo dovuto, se si profila superiore a quello del comune debitore, va considerato viceversa corrispondente alla diligenza normale in relazione alla specifica attività professionale o lavorativa esercitata, giacché il professionista deve impiegare la perizia ed i mezzi tecnici adeguati allo standard professionale o lavorativo della sua categoria, tale standard valendo a determinare, in conformità alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonché del relativo grado di responsabilità (cfr. Cass., 20/10/2014, n. 22222; Cass., 9/10/2012, n. 17143).
La condotta di adempimento della dovuta prestazione medica va allora valutata sotto i segnalati profili della diligenza qualificata e della buona fede o correttezza, dovendo al riguardo altresì accertarsi se le conseguenze dannose verificatesi all’esito dell’evento lesivo siano, sotto il profilo del più probabile che non (cfr., da ultimo, Cass., 26/7/2012, n. 13214; Cass., 27/4/2010, n. 10060), da considerarsi alla detta condotta causalmente astrette (cfr. Cass., 6/6/2014, n. 12830).
Orbene, i suindicati principi risultano essere stati dalla corte di merito invero disattesi nell’impugnata sentenza.
In particolare là dove ha affermato che “un primo
elemento – di carattere presuntivo, avuto riguardo alla evidente
riconoscibilità dell’atto operatorio contrastante con la tesi dell’appellante,
va individuato nella mancata contestazione della prestazione asseritamente
infedele nella immediatezza dell’intervento o in occasione della consegna del
foglio di dimissione o, ancora, dell’acquisizione della cartella clinica,
nonché nella successiva, almeno temporanea, acquiescenza all’intervento, che
inducono a ritenere l’esistenza della consapevolezza, da parte della paziente,
circa l’eventualità di intervenire anche sull’altro ginocchio”; e che “ai fini
informativi e di acquisizione del consenso” non è “richiesta indispensabilmente
la forma scritta”.
Affermazioni invero erronee alla stregua di quanto più
sopra rilevato ed esposto, nonché contraddittorie e illogiche, non risultando
al riguardo dalla corte di merito spiegato come mai, avendo ricevuto dalla
paziente il consenso scritto per l’operazione al ginocchio destro, il chirurgo
si sia indotto ad operare (anche) quello sinistro, sulla base di un consenso
asseritamente acquisito verbalmente dalla paziente, che non conosceva nemmeno
l’italiano.
Dell’impugnata sentenza, assorbiti ogni altro profilo e diversa questione, s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.
Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
Dell’impugnata sentenza, assorbiti ogni altro profilo e diversa questione, s’impone pertanto la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Roma, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suindicati disattesi principi applicazione.
Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie p.q.r. il ricorso. Cassa in
relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di
cassazione, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.
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