Corte di Cassazione, sezione II Civile
Sentenza 3 giugno – 2 settembre 2015, n. 17459
Sentenza 3 giugno – 2 settembre 2015, n. 17459
Svolgimento del processo
Con citazione del 6 e 10.6 1996 R. C., premesso che
dal 2.5.1967 aveva posseduto ininterrottamente uti dominus la casa di
abitazione in Foggia via Caldara IV piano intestata a G.L. e di aver appreso
che, quest’ultima l’ l 1,.2.1987 aveva donato la nuda proprietà a D.C.F.; che
in precedenza la G. aveva promesso in donazione il bene a lui ed alla moglie in
cambio dell’assistenza ricevuta, conveniva la G. ed il D.C. per sentir
dichiarare l’acquisto per usucapione, domanda contestata dai convenuti e
coltivata in riassunzione dagli eredi del R. dopo la interruzione del processo
per la sua morte.
Il Tribunale di Foggia, con sentenza 9.10.2002,
accoglieva la domanda mentre la Corte di appello di Bari, con sentenza 9.6.2009
la rigettava in accoglimento del gravame dei convenuti escludendo il possesso
ad usucapionem e statuendo l’irrilevanza della prospettata promessa di
donazione (in virtù di servizi da rendere) che darebbe luogo -in astratto- ad
una detenzione nomine alieno ed era inverosimile posto che nel 1967 la G. aveva
43 anni, lavorava ed era economicamente indipendente.
Ricorrono D.C.M.F., R.E. e M. con quattro motivi,
variamente articolati, resiste D.C. che ha anche presentato memoria.
Motivi della decisione
Col primo motivo si denunziano violazione degli arti.
1167, 2943, 1141, 1158 cc, 115, 116 epe e vizi di motivazione col quesito se il
soggetto che intenda resistere ad una domanda di usucapione debba dare prova di
comportamenti incompatibili col possesso dell’usucapente con sub motivo B su
vizi di motivazione sulla ritenuta insussistenza del possesso ad usucapionem,
con richiami a testimonianze.
Col secondo motivo si denunziano vizi di motivazione
sulla ritenuta sussistenza di un contratto di locazione desunto da
testimonianza su cui vi era il dubbio di attendibilità.
Col terzo motivo si lamenta violazione degli artt.
2697, 1141, 1158, 1163 cc, 115 e 116 cpc e 360 n. 5 cpc circa l’insussistenza
di un possesso valido ad usucapionem.
Col quarto motivo si deduce violazione degli artt.
1362, 1872, 793 cc’,115 e 116 cpc sulla ritenuta insussistenza di una donazione
modale piuttosto che di un vitalizio oneroso con richiami giurisprudenziali e
testimoniali con sub motivo B su vizi di motivazione sotto lo stesso profilo.
Le censure, non risolutive, non meritano accoglimento
limitandosi a contrapporre una propria tesi alle affermazioni contenute nella
sentenza.
Per la configurabilità dei possesso “ad usucapionem”,
è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto,
inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo
previsto dalla legge, un potere corrispondente a quello del proprietario o del
titolare di uno “ius in re aliena” ( “ex plurimis” Cass. 9 agosto 2001 n.
11000), un potere di fatto, corrispondente al diritto reale posseduto,
manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla
qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente,
una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del
titolare del diritto (Cass, 11 maggio 1996 n. 4436, Cass. 13 dicembre 1994 n.
10652).
Nè è denunciabile, in sede di legittimità,
l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi
dedotti dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta fattispecie,
ricorrano o meno gli estremi di un possesso legittimo, idoneo a condurre
all’usucapione (Cass. 1 agosto 1980 n. 4903, Cass. 5 ottobre 1978 n. ‘4454),
ove, come nel caso, sia congruamente logica e giuridicamente corretta.
Alla cassazione della sentenza si può giungere solo
quando la motivazione sia incompleta, incoerente ed illogica e non quando il
giudice del merito abbia valutato i fatti in modo difforme dalle aspettative e
dalle deduzione di parte (Cass. 14 febbraio 2003, 2222).
La domanda di usucapione è stata correttamente
respinta in riferimento alla esclusione di un possesso ad usucapionem rispetto
ad una prospettabile detenzione nomine alieno.
In definitiva, il ricorso va interamente rigettato,
con la conseguente condanna alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti
alle spese liquidate in euro 3.200 di cui 3.000 per compensi, oltre accessori.
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