validità
del c.d. “preliminare di preliminare”, quale incontro tra una proposta
irrevocabile d’acquisto – sottoscritta, su sollecitazione del mediatore, dal
soggetto interessato all’acquisto, con versamento contestuale di una somma di
denaro al mediatore stesso per “bloccare l’affare” – e l’accettazione da parte
del venditore, accordo che precede la stipulazione del vero e proprio
preliminare “formale” o “chiuso” (quello contenente cioè l’obbligo formale di
addivenire al rogito notarile, con definizione puntuale dell’affare in tutti i
suoi aspetti, essenziali ed accessori).
La
decisione in commento appare rilevante perché segue l’orientamento più
possibilista circa la validità di queste intese precontrattuali, quanto per la
reazione all’atteggiamento di totale (e direi “dogmatica”) chiusura verso la
validità della fattispecie
La
questione è nota. Per la dottrina e la giurisprudenza di merito prevalenti il preliminare di preliminare, ovvero il
contratto con cui ci si obbliga a concludere un secondo preliminare di vendita
immobiliare, sarebbe nullo per mancanza
di causa, un’ “inutile superfetazione”, vista la carenza di interesse che le
parti avrebbero ad “obbligarsi ad obbligarsi”: seguendo l’impostazione moderna
della causa quale funzione economico-individuale
escludendosi l’ammissibilità di contrattazioni
atipiche futili o capricciose
Le
predette intese sarebbero pertanto nulle come pattuizioni atte a creare vincoli
a contrarre, e andrebbero interpretate piuttosto (ma forse è meglio parlare di
conversione negoziale) come mere “puntuazioni”: atterrebbero ad una fase ancora
precontrattuale, e servirebbero a sancire l’inizio della trattativa e a
concretizzare il dovere di buona fede di cui all’art. 1337 c.c., ma certo non vincolerebbero
l’autore della proposta irrevocabile né a concludere un secondo preliminare, né
tantomeno il contratto definitivo di vendita.
nei formulari contenenti i modelli di proposta irrevocabile
usati dai mediatori immobiliari, non si fa più riferimento ad un obbligo di
stipulare successivamente una “promessa di vendita”, ma si evidenzia come, con
l’accettazione della proposta, si vada a concludere direttamente un contratto
preliminare che obbliga a concludere il definitivo, eliminando così il percorso
“trifasico” sopra richiamato (si vedano i modelli predisposti dalle varie
Camere di Commercio);
la
somma versata al mediatore viene qualificata “deposito fiduciario” o
“cauzionale”, che diverrà caparra confirmatoria solo con l’accettazione della
proposta da parte dell’alienante Secondo invece un’impostazione più liberale,
seguita anche dalla sentenza delle S.U. in commento, l’autonomia privata potrebbe decidere di articolare in più fasi la
progressione verso il contratto definitivo, “procedimentalizzandone” la
conclusione attraverso accordi che precedono il contratto preliminare
propriamente detto. Si tratterebbe di contratti atipici, retti da un interesse
meritevole: realizzare un procedimento a formazione progressiva che conduca
all’acquisto finale per gradi, attraverso fasi successive di sempre maggiore
definizione dei contenuti del contratto finale e, soprattutto, di adempimento
frazionato e progressivo dell’obbligazione di pagare il prezzo.
la seconda impostazione, favorevole al c.d. preliminare di
preliminare, racchiude in realtà due diverse linee di pensiero ben distinte.
La prima è costituita dalla concezione iperliberale del giudizio
di meritevolezza dell’interesse, ai sensi dell’art. 1322, 2° comma, c.c., che
giunge di fatto ad espungere quest’ultima norma dall’ordinamento, assimilandola
al giudizio di non illiceità: posizione conforme ai principi del diritto
europeo dei contratti, che però di fatto impedisce di usare l’argomento
dell’assenza di causa per sindacare della validità o meno di un contratto atipico,
ponendosi solo il problema di verificare se questa (per definizione esistente
nel momento in cui ci sia un accordo), incorra o meno nella riprovazione
ordinamentale della illiceità.
Le
parti debbono perseguire un assetto di interessi che l’ordinamento reputi
idoneo ad essere giuridicizzato in astratto, non futile o capriccioso: il
contratto atipico deve “servire a qualcosa”, deve avere una causa, da rilevarsi
attraverso un giudizio circolare che passi in continuazione dal programma
negoziale alla funzione che il negozio mira a perseguire altrimenti non si
giustifica la tutela fornita al negozio dall’ordinamento giuridico.
Da
questo punto di vista, la “causa” della
contrattazione preliminare consiste proprio nel bloccare l’affare senza
addivenire subito al contratto definitivo, soprattutto per verificare le
condizioni patrimoniali della controparte e lo stato, materiale e giuridico,
del bene oggetto di contratto, oltre che per un’esigenza di “controllo
delle sopravvenienze”: tale interesse viene perseguito obbligando i
contraenti a concludere in un secondo momento il contratto definitivo.
Resta invece del tutto inutile l’obbligarsi a concludere in un
secondo tempo un nuovo contratto preliminare identico al precedente
La seconda linea di pensiero che giustifica la fattispecie del “preliminare di preliminare”, si fonda
invece sull’assunto che esso sia “altro” rispetto a ciò che la definizione
lascerebbe intendere.
In effetti, le fattispecie prese in considerazione, per esempio,
dalla giurisprudenza, non hanno nulla a che vedere col preliminare di
preliminare in senso stretto: ora si prendono in considerazione accordi volti a creare un “obbligo a
trattare” più che un “obbligo a contrarre”, volti cioè a contrattualizzare il
dovere di buona fede nelle trattative, senza vincolare alla conclusione di
alcun contratto successivo, ma soltanto a proseguire le trattative per una
più completa definizione del contenuto del negozio
Ed
in questo è, a mio avviso, il cuore dell’equivoco: l’errore è quello di
partire dalla nozione tradizionale di contratto preliminare, fonte di
obbligazioni che hanno ad oggetto un faceregiuridico
(l’attività negoziale consistente nella conclusione del definitivo), per
leggere una prassi immobiliaristica che con l’obbligo di contrarre in senso
formale non ha nulla a che vedere, ma attiene invece alla tendenza, come detto, a segmentare la fattispecie traslativa in diverse
fasi di un procedimento a formazione progressiva in modo da “bloccare l’affare” immediatamente,
con riserva di effettuare in seguito accertamenti sulle condizioni della
controparte, o sullo stato fattuale o giuridico-urbanistico del bene oggetto
della compravendita, e soprattutto con la possibilità di fissare in un secondo
momento la disciplina di dettaglio e frazionare in più tranche l’esecuzione (anticipata) del
contratto finale, specie quanto all’obbligo di pagare il prezzo.
Già
nel semplice preliminare di vendita immobiliare la fattispecie traslativa,
invece che essere ispirata, come normalmente accade, al principio
consensualistico (con immediato trasferimento della proprietà, e tutele per il
venditore ridotte all’ipoteca legale, all’eventuale riserva di proprietà o
all’apposizione di una condizione sospensiva di adempimento), viene frazionata
in più segmenti di una sequenza, che grazie all’operare dell’autonomia privata
riproduce nel nostro ordinamento la scissione tra titulus e modus
adquirendi:
Certo
è che questo negozio, che, come si dirà, può assumere i contenuti più svariati,
non ha nulla a che vedere con il “preliminare di preliminare” in senso stretto
di cui sopra, fonte dell’obbligo di concludere un preliminare identico al
precedente.
occorrerà vedere che tipo di vincolo le parti hanno inteso
stringere nella prima fase, analizzando e interpretando correttamente i moduli
sottoscritti e le clausole aggiunte a penna, per analizzare l’assetto di
interessi che con quelle scritture le parti intendevano perseguire.
Questa
è, a mio avviso, la parte meritoria della recente sentenza delle S.U., che
giustamente pone l’accento sull’esigenza di analizzare la causa concreta di
tutte queste “intese precontrattuali”, che precedono cioè la stipulazione del
contratto traslativo finale
La
Corte di Cassazione invita invece ad esaminare l’effettiva volontà della parti,
quale si traduce nella “causa concreta” di tali intese.
Può darsi che le parti intendano porre in essere una puntuazione
che non vincola a concludere il contratto, ma, fissando gli elementi essenziali
(identificazione del bene, prezzo e modalità di pagamento), intendono chiarire
che la trattativa non può essere abbandonata senza perdere la somma corrisposta
al mediatore, e che comunque qualsiasi deviazione da quanto fissato nell’intesa
ingenererà responsabilità contrattuale, ancorché commisurata all’interesse
negativo. Occorrerà una indagine puntuale del documento sottoscritto, per
scorgere una volontà in questo senso:
Se si vuole “bloccare l’affare” in
questo modo “debole”, è bene chiarire con apposita clausola che la scrittura
produrrà gli effetti di una semplice minuta o puntuazione, e che la somma di
denaro eventualmente corrisposta al mediatore funge da deposito fiduciario, e
diverrà caparra o acconto solo se verrà concluso il successivo contratto
preliminare.
Quanto alla natura giuridica di queste intese, la Corte non si
sbilancia, rinviando genericamente agli “altri atti o fatti” di cui all’art.
1173: effettivamente, solo un esame caso per caso potrà condurre ad
identificarvi delle semplici dichiarazioni di scienza, con efficacia probatoria
dello stato delle trattative (atte al più ad agevolare la prova di possibili
violazioni dell’art. 1337 c.c.: in questo caso l’obbligazione di buona
fede nasce ex lege dalla trattativa, non dalla
puntuazione), ovvero dei negozi ad effetti obbligatori (produttivi non
dell’obbligazione di concludere il contratto definitivo, ma, per esempio, di
proseguire nella trattativa con certe modalità, o di inserire certi contenuti
se e quando si deciderà di addivenire al contratto finale), negozi nei quali è
difficile non ravvisare dei contratti strumentali e preparatori rispetto al
contratto definitivo (o anche solo al “preliminare formale”, da stipularsi in
un secondo momento).
Anche qui quello che conta è individuare la reale volontà dei
contraenti.
Può
aiutare, nello spingere verso questa seconda interpretazione, una
maggiore completezza nella definizione dei contenuti del contratto (non solo la
definizione dell’oggetto, ma magari l’indicazione delle garanzie prestate dal
promittente venditore circa la provenienza o la libertà da pesi e vincoli,
l’analitica definizione delle modalità di corresponsione del prezzo, le
menzioni urbanistiche già presenti, e via dicendo), tenendo presente, tuttavia,
che anche un regolamento contrattuale limitato ai soli elementi essenziali
(identificazione del bene venduto e del prezzo) non esclude una
qualificazione come contratto preliminare, se emerga una chiara volontà in
questo senso
Oppure
potrebbe indurre a ravvisare un preliminare già concluso l’espressa
qualificazione delle somme versate come acconti o caparre, che non possono che
accedere ad un contratto perfezionato.
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