Genocidio Ruanda
I Tutsi erano stati estromessi dal potere dagli Hutu che costituivano l'80% della popolazione e che, dalla rivoluzione del 1959, detenevano completamente il potere. Il 6 aprile del 1994 l'aereo presidenziale dell'allora presidente Juvénal Habyarimana, al potere con un governo dittatoriale dal 1973, fu abbattuto da un missile terra-aria, mentre il presidente era di ritorno da un colloquio di pace.
Ancora oggi è ignoto chi fece partire quel missile:
Subito dopo lo schianto dell'aereo, ma anche nella stessa mattinata del giorno 6 di aprile, con il pretesto di una vendetta trasversale, cominciarono i massacri, che si intensificarono dal 7 aprile a Kigali e nelle zone controllate dalle forze governative (FAR, Forze Armate Ruandesi), della popolazione Tutsi e di quella parte Hutu imparentata con questi o schierata su posizioni più moderate, ad opera della Guardia Presidenziale e dei gruppi paramilitari Interahamwe e Impuzamugambi, con il supporto dell'esercito governativo.
Il segnale dell'inizio delle ostilità fu dato dall'unica radio non sabotata, l'estremista "RTLM" che invitava, per mezzo dello speaker Kantano, a seviziare e ad uccidere gli "scarafaggi" tutsi. Per 100 giorni si susseguirono massacri e barbarie di ogni tipo; vennero massacrate più di un milione di persone in maniera pianificata e capillare.
Uno dei massacri più efferati fu compiuto a Gikongoro, l'allora sede dell'istituto tecnico di Murambi: oltre 27.000 persone vennero massacrate senza pietà e la notte dalle fosse comuni il sangue uscì andando ad inumidire il terreno.
Il massacro non avvenne per mezzo di bombe o mitragliatrici, ma principalmente con il più rudimentale ma altrettanto efficace machete.
Il genocidio ruandese ebbe termine nel luglio 1994 con la vittoria dell'RPF nel suo scontro con le forze governative. Giunto a controllare l'intero paese l'RPF attuò una risposta al genocidio che aggravò ulteriormente la situazione umanitaria in quanto comportò la fuga di circa un milione di profughi Hutu verso i paesi confinanti Burundi, Zaire, Tanzania e Uganda.
La storia del genocidio ruandese è anche la storia dell'indifferenza dell'Occidente di fronte ad eventi percepiti come distanti dai propri interessi. Emblematico fu l'atteggiamento dell'ONU che si disinteressò del tutto delle tempestive richieste di intervento inviategli dal maggiore generale canadese Roméo Dallaire, comandante delle forze armate (2.500 uomini, ridotti a 500 un mese dopo l'inizio del genocidio) dell'ONU.
Un passo tratto dal fax inviato all'ONU da Dallaire denuncia il rischio dell'imminente genocidio: Dal momento dell'arrivo dell'UNAMIR, (l'informatore) ha ricevuto l'ordine di compilare l'elenco di tutti i tutsi di Kigali. Egli sospetta che sia in vista della loro eliminazione.
Il Dipartimento per le Missioni di Pace con sede a New York non inviò la richiesta d'intervento alla Segreteria Generale né al Consiglio di Sicurezza.
Il 20 aprile 1994 il Segretario Generale delle Nazioni Unite presentò al Consiglio di Sicurezza il rapporto speciale S/1994/470 nel quale, descrivendo la situazione degli scontri etnici sottolineava l'impossibilità per la forza dell'UNAMIR, composta da 1705 uomini dopo il ritiro del contingente belga e del personale non essenziale, di perseguire gli obiettivi del suo mandato (di pace).
Il 21 aprile 1994 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite votò all'unanimità la risoluzione 912 (1994) che adotta la riduzione del contingente UNAMIR ad un piccolo gruppo guidato dal comandante militare e dal suo staff, con il compito di intermediazione tra le forze combattenti per raggiungere il cessate il fuoco. Per garantire la sicurezza del team era prevista la presenza di circa 270 uomini;
Nonostante i diversi rapporti presentati alla Commissione per i Diritti Umani dell'ONU, il Consiglio di Sicurezza, a causa del veto degli Stati Uniti d'America, non riconosce il genocidio in Ruanda. Wikipedia.
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