Italiani Illustri. Ambrosoli Giorgio
Nel settembre 1974 fu nominato dall'allora governatore
della Banca d'Italia Guido Carli commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, guidata sull'orlo
del crack finanziario dal banchiere siciliano Michele
Sindona, al fine di esaminarne la situazione economica prodotta
dall'intricato intreccio tra la politica, alta finanza, massoneria e
criminalità organizzata siciliana.
I sospetti sulle attività del banchiere siciliano nascono già
nel 1971,
quando la Banca
d'Italia, attraverso il Banco di Roma,
inizia a investigare sulle attività di Sindona nel tentativo di evitare il
fallimento degli istituti di credito da lui gestiti: la Banca Unione e la Banca Privata Finanziaria.
L'allora governatore Guido Carli,
chiaramente motivato dalla volontà di non provocare il panico nei correntisti,
decide quindi di accordare un prestito a Sindona, anche in virtù della
benevolenza dell'amministratore delegato dell'istituto romano Mario Barone.
Quest'ultimo fu cooptato come
terzo amministratore, modificando appositamente lo statuto della banca stessa,
che ne prevedeva solo due: nel caso specifico, Ventriglia e Guidi.
Tale prestito fu accordato con
tutte le modalità e transazioni necessarie e fu incaricato il direttore
centrale del Banco di Roma, Giovanbattista Fignon, di occuparsi della vicenda.
Le banche di Sindona vennero fuse
e prese vita la Banca Privata Italiana di cui Fignon divenne vicepresidente
ed amministratore delegato.
Contro tutte le aspettative,
Fignon andò a Milano a rivestire la carica e comprese immediatamente la gravità
della situazione.
Stese numerose relazioni,
ricostruì le operazioni gravose e il sistema societario messi in piedi da
Sindona e dai suoi collaboratori e ne ordinò l'immediata sospensione.
In effetti Sindona, falsificando
le scritture contabili e usando la Fasco AG come uno schermo per le sue
avventure finanziarie, aveva usato indebitamente la liquidità depositata presso
le due Banche milanesi (Banca unione e Banca privata finanziaria) che all'epoca
in cui venne nominato Ambrosoli erano state da poco fuse nella Banca privata
italiana.
Nel settembre del 1974, Fignon consegnò a
Giorgio Ambrosoli la relazione sullo stato della Banca.
Ciò che emerse dalle investigazioni
indusse, nel 1974, a nominare un
commissario liquidatore che venne individuato nella figura di Giorgio
Ambrosoli.
Ambrosoli
aveva ricevuto dal governatore della Banca d’Italia Guido Carli l’incarico di
commissario liquidatore.
Telefonando
alla moglie Annalori per comunicarle la notizia, dirà: «Sono solo». Un solo
commissario liquidatore per un fallimento da centinaia di miliardi.
Ambrosoli
all’epoca aveva 41 anni e un’unica esperienza nel settore fallimentare. corriere.it/2016/07/09.
In questo ruolo, Ambrosoli assunse la direzione
della banca e si trovò ad esaminare tutta la trama delle articolatissime
operazioni che il finanziere siciliano aveva intessuto,
principiando dalla controllante società "Fasco", l'interfaccia fra le attività
palesi e quelle occulte del gruppo.
Nel corso dell'analisi svolta
dall'avvocato emersero le gravi irregolarità di cui la banca si era macchiata e
le numerose falsità nelle scritturazioni contabili,
oltre alle rivelazioni dei tradimenti e delle connivenze di ufficiali pubblici
con il mondo opaco della finanza di Sindona.
Contemporaneamente a questa opera di controllo Ambrosoli
cominciò ad essere oggetto di pressioni e di tentativi di corruzione.
Queste miravano sostanzialmente a
ottenere che avallasse documenti comprovanti la buona fede di Sindona. Se si
fosse ottenuto ciò lo Stato Italiano, per mezzo della Banca d'Italia, avrebbe
dovuto sanare gli ingenti scoperti dell'istituto di credito. Sindona, inoltre,
avrebbe evitato ogni coinvolgimento penale e civile.
Ambrosoli non cedette, sapendo di correre notevoli rischi.
Nel corso dell'indagine emerse,
inoltre, la responsabilità di Sindona anche nei confronti di un'altra banca, la
statunitense Franklin National Bank, le cui condizioni
economiche erano ancora più precarie.
L'indagine, dunque, vide coinvolta
non solo la magistratura italiana, ma anche l'FBI. Ai tentativi di
corruzione fecero presto seguito minacce esplicite. Malgrado ciò, Ambrosoli
confermò la necessità di liquidare la banca e di riconoscere la responsabilità
penale del banchiere.
Nella sua indagine sulla banca di
Sindona, Ambrosoli poté contare solo su Ugo La Malfa come referente politico, mentre il
maresciallo della Guardia di Finanza Silvio
Novembre gli fece da
guardia del corpo.
Nonostante le minacce di morte, infatti, ad Ambrosoli non fu
accordata alcuna protezione da parte dello Stato.
In Bankitalia,
poté contare sul sostegno di Paolo Baffi,
il governatore, e di Mario
Sarcinelli, capo dell'Ufficio Vigilanza, ma solo fino al marzo del 1979, quando entrambi
furono incriminati per favoreggiamento personale e interesse privato in atti d'ufficio
nel corso di un'inchiesta sul mancato esercizio della vigilanza sugli istituti
di credito legata al caso Roberto Calvi-Banco
Ambrosiano.
Entrambi furono però integralmente
prosciolti in istruttoria nel 1981.
Baffi si dimise il 16 agosto 1979, lasciando l'incarico
di Governatore a Carlo Azeglio Ciampi, mentre per
Sarcinelli fu eseguito il mandato di arresto in carcere.
In questo periodo Ambrosoli ricevette una serie di telefonate
intimidatorie anonime nelle quali il suo interlocutore, gli intima di
ritrattare la sua testimonianza resa ai giudici statunitensi che indagavano sul
crack del Banco
Ambrosiano, fino a minacciarlo di morte.
La sera
dell'11 luglio 1979, rincasando dopo una serata trascorsa con amici, Ambrosoli
fu avvicinato sotto il suo portone da uno sconosciuto. Questi si scusò e gli
esplose contro quattro colpi 357 Magnum.
Nessuna autorità pubblica
presenziò ai funerali di Ambrosoli, ad eccezione di alcuni
esponenti della Banca
d'Italia.
Nel 1981, con la scoperta
delle carte di Licio Gelli
a Castiglion Fibocchi, si ebbe la conferma del
ruolo della loggia massonica P2 nelle manovre per salvare Sindona.
Il 18 marzo 1986, a Milano, Michele
Sindona e
l'italo-americano Robert Venetucci furono condannati all'ergastolo
per l'uccisione dell'avvocato. Wikipedia. Michele Sindona due giorni
dopo viene trovato morto in cella per avvelenamento da cianuro di potassio.
http://www.rainews.it.
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