Bando di gara per l’affidamento del servizio
giuridico-legale.
L’Ordine degli Avvocati di Palermo ha censurato gli atti
della procedura di affidamento del servizio giuridico-legale per il Comune di
Monreale, deducendo i seguenti profili di illegittimità:
1 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3 e
23, l. n. 247 del 2012, violazione delle norme a tutela dell’indipendenza e
dell’autonomia degli avvocati, eccesso di potere per traviamento, erroneità dei
presupposti e sviamento, in quanto dalla lettura dell’oggetto del servizio si evincerebbe
che lo stesso comporti lo svolgimento di tutte e attività e le funzioni proprie
di un ufficio legale, trasformando dunque l’attività dell’avvocato in quella di
un lavoratore dipendente, tuttavia senza le garanzie previste: in tal senso
deporrebbero una serie di doveri e prescrizioni sulle modalità di espletamento
del servizio, l’attività di supporto giuridico-legale ai vari uffici dell’ente,
rimanendo invece la durata dell’incarico indeterminata (il rapporto si intende
concluso al completamento di tutti i procedimenti giudiziali avvenuti nel corso
dei 24 mesi) senza previsione di alcun compenso ulteriore con riferimento al
prosieguo oltre i 24 mesi ed essendo prevista la possibilità di revoca
insindacabile dell’incarico da parte dell’Amministrazione nonché da parte della
medesima di affidare , per particolari controversie, l’incarico ad altro
avvocato di fiducia;
2 – i medesimi vizi, la violazione dell’art. 36 Cost.
dell’art. 2233 c.c. , degli artt. 6, 9, 29 del codice deontologico, dei
principi di autonomia e decoro degli avvocati; l’eccesso di potere per
travisamento, erroneità nei presupposti e sviamento, la violazione dell’art. 97
Cost. nonché dei principi in materia di fissazione della base d’asta e delle
regole della massima partecipazione e della leale concorrenza, poiché del tutto
inadeguato sarebbe il compenso di euro 48.000,00 previsto a base d’asta, da
ribassare in sede di partecipazione all’incanto; in particolare
l’irragionevolezza del compenso potrebbe desumersi dai parametri di cui al d.m.
n. 55 del 2014;
3 – la violazione dei su richiamati principi sotto altro
profilo e l’ingiustizia manifesta, poiché la procedura sarebbe un modo per
‘aggirare’ la previsione di cui all’art. 23 della legge professionale e le
prescrizioni ivi previste anche in termini di trattamento economico;
4 – violazione del principio di determinazione dell’oggetto
di gara di cui all’allegato II B, n. 21 al cod. contratti pubblici, poiché
l’avvocato sarebbe chiamato a svolgere sia l’attività giudiziale e
stragiudiziale, senza specificazione, sia quella di formazione ed aggiornamento
del personale, che non rientra nel novero dei servizi legali;
5 – violazione delle norme e principi menzionati anche con
riferimento all’art. 12, l. n. 247 del 2012, in quanto il compenso dovrebbe
ritenersi ulteriormente inciso dalla necessità di stipulare un’adeguata polizza
professionale.
DIRITTO
I – Osserva il Collegio, in via preliminare, che il ricorso
introduce censure in ordine alla correttezza della legge di gara ed ai
successivi atti della procedura, sicché esula dal presente giudizio ogni
profilo attinente ai rapporti tra professionista e l’ordine di appartenenza dovendo
essere delimitato l’ambito della cognizione di questo giudice e la sua
giurisdizione, con riferimento al petitum.
II – In primo luogo appare necessario procedere ad una
sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
La gara, su cui si verte, è stata indetta in esecuzione
della determinazione dirigenziale n. 63 del 30 marzo 2016, ai sensi dell’All. B
al cod. dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 163 del 2006, con bando del
15 aprile 2016, in data dunque antecedente all’entrata in vigore della nuova
disciplina di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50.
Il nuovo Codice ha chiarito, all’art. 17, l’esclusione della
propria applicazione, sotto il profilo oggettivo, degli appalti e delle
concessioni di servizi concernenti i servizi legali, pur essendo precisata la
necessità del rispetto – tra gli altri – dei principi di economicità,
efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e
pubblicità.
Nella vigenza del previgente Codice dei contratti (di cui al
d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) i servizi legali rientravano nell’All. II B tra
gli appalti di servizi parzialmente esclusi.
La giurisprudenza amministrativa affermava, a riguardo, che
anche sotto la soglia comunitaria la scelta del contraente avrebbe dovuto
seguire le regole comunitarie della trasparenza, non discriminazione e
pubblicità della procedura (TAR Calabria n. 330/2007 e n. 15430/2006; Cons. di
Stato n. 3206/2002), differenziandosi tra incarico occasionalmente svolto dal
professionista e servizio legale esternalizzato (Autorità di Vigilanza,
determinazione n. 4/2011; Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2730 dell’11 maggio
2012).
Osserva il Collegio che, nel senso dedotto da parte
ricorrente, depone particolarmente il secondo punto dell’art. 5 co. 1 del
disciplinare.
Con esso, a fronte della definizione di ciò che è compreso
nel servizio (art. 2 , co. 2 del disciplinare), si prevede l’obbligo del
professionista di portare a termine, oltre la scadenza del contratto, tutte le
cause instaurate “sino all’esecutività delle sentenze”, senza previsione di
ulteriore compenso. Ne discende che lo svolgimento del servizio legale – dopo
il decorso del biennio – è destinato a rimanere senza una definizione temporale
e sostanzialmente gratuito per un tempo indeterminato.
Rileva, altresì, che l’art. 2 del disciplinare prevede
nell’ambito dell’incarico anche il supporto giuridico –legale ai vari Uffici e
l’emissione di pareri ai singoli dirigenti.
Siffatte disposizioni del disciplinare/schema di contratto
allegato al bando assumono una connotazione specificamente rilevante,
nell’esame congiunto con l’art. 9 del bando, che a fronte di una iniziale
previsione della possibilità del professionista di svolgere il servizio presso
il proprio studio, dispone che il medesimo dovrà garantire la propria presenza
presso gli uffici comunali “ogni volta che l’amministrazione comunale o ritenga
necessario”.
Ne discende palesemente contraddetta l’affermazione
difensiva dell’Amministrazione in ordine alla libertà del professionista di
svolgere la propria attività presso il suo studio.
Per un verso, è senza dubbio vero quanto affermato dalla
difesa comunale in ordine al venir meno del sistema tariffario con il c.d.
decreto Bersani (d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in L. 4 agosto 2006, n.
248), che ha eliminato i minimi tariffari inderogabili spingendo in direzione
della determinazione consensuale e omnicomprensiva del prezzo della
prestazione, ed altresì, deve darsi, atto dell’orientamento espresso dal
Consiglio di Stato con sentenza 22 gennaio 2015, n. 238 con la quale si è menzionata
criticamente la circostanza, accertata dall’AGCM (nell’ambito del procedimento
all’esame) che la prospettiva ordinistica è tesa a ritenere che un prezzo
inferiore alla tariffa minima non risulterebbe decoroso per la professione,
comportando di fatto una reintroduzione dei minimi tariffari, eludendo così
l’abolizione degli stessi disposta dal legislatore (art. 2 decreto legge 4
luglio 2006, n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248; art. 9 del
decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27).
Tuttavia, proprio nella richiamata pronunzia il Consiglio di
Stato ha evidenziato i principi posti dalla Corte di giustizia nella sentenza
18 luglio 2013, C-136/12, tra i quali quello secondo cui la nozione
eurounitaria di impresa include anche l’esercente di una professione
intellettuale, rimettendo alla valutazione del giudice nazionale l’esame di
comportamenti anticoncorrenziali (nel caso che veniva all’esame si verteva
nella diversa ed opposta fattispecie in cui un ordine professionale aveva
ancorato il decoro ad un livello tariffario).
Tuttavia, nella specie si verte nella particolare ipotesi in
cui l’indeterminatezza dei servizi richiesti al professionista, come emerge
dalla lettura combinata del bando e del disciplinare (come sopra evidenziato),
per un verso è suscettibile di generare un’accentuazione dell’esiguità del
compenso, per altro incide gravemente sulla stessa correttezza della
attivazione, da parte del Comune, di una procedura di tipo comparativo idonea a
consentire, a tutti gli aventi diritto, di partecipare, in condizioni di parità
e uguaglianza, alla selezione per la scelta del miglior contraente.
Deve condividersi, pertanto, la censura con cui la parte
ricorrente deduce (unitamente e in modo connesso e conseguente, non solo la
violazione dei principi in tema di equo compenso) anche la violazione delle
regole delle procedure selettive pubbliche, della massima partecipazione della
leale concorrenza, di cui – per ciò che rileva sotto il profilo dell’interesse
– l’Ordine ed il suo Presidente in proprio assumono la lesione ai fini del più
ampio concorrere di professionisti alla procedura medesima, nell’interesse
della collettività unitariamente considerata coincidente con i principi di
buona amministrazione e di garanzia della trasparenza e della par condicio,
come elencati tra i principi comunque applicabili anche in ipotesi di procedure
selettive nei settori esclusi dall’ambito di applicazione del codice dei
contratti pubblici.
Tali considerazioni sono sufficienti a comportare
l’accoglimento del ricorso e, per l’effetto, l’annullamento degli atti gravati
con conseguente condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese di lite
determinate in euro 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre IVA e CPA.
TAR Palermo 7 febbraio 2017, n. 334.
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