mercoledì 8 febbraio 2017

Bando di gara per l’affidamento del servizio giuridico-legale.

Bando di gara per l’affidamento del servizio giuridico-legale.

L’Ordine degli Avvocati di Palermo ha censurato gli atti della procedura di affidamento del servizio giuridico-legale per il Comune di Monreale, deducendo i seguenti profili di illegittimità:
1 – violazione e falsa applicazione degli artt. 1, 2, 3 e 23, l. n. 247 del 2012, violazione delle norme a tutela dell’indipendenza e dell’autonomia degli avvocati, eccesso di potere per traviamento, erroneità dei presupposti e sviamento, in quanto dalla lettura dell’oggetto del servizio si evincerebbe che lo stesso comporti lo svolgimento di tutte e attività e le funzioni proprie di un ufficio legale, trasformando dunque l’attività dell’avvocato in quella di un lavoratore dipendente, tuttavia senza le garanzie previste: in tal senso deporrebbero una serie di doveri e prescrizioni sulle modalità di espletamento del servizio, l’attività di supporto giuridico-legale ai vari uffici dell’ente, rimanendo invece la durata dell’incarico indeterminata (il rapporto si intende concluso al completamento di tutti i procedimenti giudiziali avvenuti nel corso dei 24 mesi) senza previsione di alcun compenso ulteriore con riferimento al prosieguo oltre i 24 mesi ed essendo prevista la possibilità di revoca insindacabile dell’incarico da parte dell’Amministrazione nonché da parte della medesima di affidare , per particolari controversie, l’incarico ad altro avvocato di fiducia;
2 – i medesimi vizi, la violazione dell’art. 36 Cost. dell’art. 2233 c.c. , degli artt. 6, 9, 29 del codice deontologico, dei principi di autonomia e decoro degli avvocati; l’eccesso di potere per travisamento, erroneità nei presupposti e sviamento, la violazione dell’art. 97 Cost. nonché dei principi in materia di fissazione della base d’asta e delle regole della massima partecipazione e della leale concorrenza, poiché del tutto inadeguato sarebbe il compenso di euro 48.000,00 previsto a base d’asta, da ribassare in sede di partecipazione all’incanto; in particolare l’irragionevolezza del compenso potrebbe desumersi dai parametri di cui al d.m. n. 55 del 2014;
3 – la violazione dei su richiamati principi sotto altro profilo e l’ingiustizia manifesta, poiché la procedura sarebbe un modo per ‘aggirare’ la previsione di cui all’art. 23 della legge professionale e le prescrizioni ivi previste anche in termini di trattamento economico;
4 – violazione del principio di determinazione dell’oggetto di gara di cui all’allegato II B, n. 21 al cod. contratti pubblici, poiché l’avvocato sarebbe chiamato a svolgere sia l’attività giudiziale e stragiudiziale, senza specificazione, sia quella di formazione ed aggiornamento del personale, che non rientra nel novero dei servizi legali;
5 – violazione delle norme e principi menzionati anche con riferimento all’art. 12, l. n. 247 del 2012, in quanto il compenso dovrebbe ritenersi ulteriormente inciso dalla necessità di stipulare un’adeguata polizza professionale.
DIRITTO
I – Osserva il Collegio, in via preliminare, che il ricorso introduce censure in ordine alla correttezza della legge di gara ed ai successivi atti della procedura, sicché esula dal presente giudizio ogni profilo attinente ai rapporti tra professionista e l’ordine di appartenenza dovendo essere delimitato l’ambito della cognizione di questo giudice e la sua giurisdizione, con riferimento al petitum.
II – In primo luogo appare necessario procedere ad una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento.
La gara, su cui si verte, è stata indetta in esecuzione della determinazione dirigenziale n. 63 del 30 marzo 2016, ai sensi dell’All. B al cod. dei contratti pubblici, di cui al d.lgs. n. 163 del 2006, con bando del 15 aprile 2016, in data dunque antecedente all’entrata in vigore della nuova disciplina di cui al d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50.
Il nuovo Codice ha chiarito, all’art. 17, l’esclusione della propria applicazione, sotto il profilo oggettivo, degli appalti e delle concessioni di servizi concernenti i servizi legali, pur essendo precisata la necessità del rispetto – tra gli altri – dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza, proporzionalità e pubblicità.
Nella vigenza del previgente Codice dei contratti (di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) i servizi legali rientravano nell’All. II B tra gli appalti di servizi parzialmente esclusi.
La giurisprudenza amministrativa affermava, a riguardo, che anche sotto la soglia comunitaria la scelta del contraente avrebbe dovuto seguire le regole comunitarie della trasparenza, non discriminazione e pubblicità della procedura (TAR Calabria n. 330/2007 e n. 15430/2006; Cons. di Stato n. 3206/2002), differenziandosi tra incarico occasionalmente svolto dal professionista e servizio legale esternalizzato (Autorità di Vigilanza, determinazione n. 4/2011; Consiglio di Stato, Sez. V, n. 2730 dell’11 maggio 2012).
Osserva il Collegio che, nel senso dedotto da parte ricorrente, depone particolarmente il secondo punto dell’art. 5 co. 1 del disciplinare.
Con esso, a fronte della definizione di ciò che è compreso nel servizio (art. 2 , co. 2 del disciplinare), si prevede l’obbligo del professionista di portare a termine, oltre la scadenza del contratto, tutte le cause instaurate “sino all’esecutività delle sentenze”, senza previsione di ulteriore compenso. Ne discende che lo svolgimento del servizio legale – dopo il decorso del biennio – è destinato a rimanere senza una definizione temporale e sostanzialmente gratuito per un tempo indeterminato.
Rileva, altresì, che l’art. 2 del disciplinare prevede nell’ambito dell’incarico anche il supporto giuridico –legale ai vari Uffici e l’emissione di pareri ai singoli dirigenti.
Siffatte disposizioni del disciplinare/schema di contratto allegato al bando assumono una connotazione specificamente rilevante, nell’esame congiunto con l’art. 9 del bando, che a fronte di una iniziale previsione della possibilità del professionista di svolgere il servizio presso il proprio studio, dispone che il medesimo dovrà garantire la propria presenza presso gli uffici comunali “ogni volta che l’amministrazione comunale o ritenga necessario”.
Ne discende palesemente contraddetta l’affermazione difensiva dell’Amministrazione in ordine alla libertà del professionista di svolgere la propria attività presso il suo studio.
Per un verso, è senza dubbio vero quanto affermato dalla difesa comunale in ordine al venir meno del sistema tariffario con il c.d. decreto Bersani (d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in L. 4 agosto 2006, n. 248), che ha eliminato i minimi tariffari inderogabili spingendo in direzione della determinazione consensuale e omnicomprensiva del prezzo della prestazione, ed altresì, deve darsi, atto dell’orientamento espresso dal Consiglio di Stato con sentenza 22 gennaio 2015, n. 238 con la quale si è menzionata criticamente la circostanza, accertata dall’AGCM (nell’ambito del procedimento all’esame) che la prospettiva ordinistica è tesa a ritenere che un prezzo inferiore alla tariffa minima non risulterebbe decoroso per la professione, comportando di fatto una reintroduzione dei minimi tariffari, eludendo così l’abolizione degli stessi disposta dal legislatore (art. 2 decreto legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248; art. 9 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito in legge 24 marzo 2012, n. 27).
Tuttavia, proprio nella richiamata pronunzia il Consiglio di Stato ha evidenziato i principi posti dalla Corte di giustizia nella sentenza 18 luglio 2013, C-136/12, tra i quali quello secondo cui la nozione eurounitaria di impresa include anche l’esercente di una professione intellettuale, rimettendo alla valutazione del giudice nazionale l’esame di comportamenti anticoncorrenziali (nel caso che veniva all’esame si verteva nella diversa ed opposta fattispecie in cui un ordine professionale aveva ancorato il decoro ad un livello tariffario).
Tuttavia, nella specie si verte nella particolare ipotesi in cui l’indeterminatezza dei servizi richiesti al professionista, come emerge dalla lettura combinata del bando e del disciplinare (come sopra evidenziato), per un verso è suscettibile di generare un’accentuazione dell’esiguità del compenso, per altro incide gravemente sulla stessa correttezza della attivazione, da parte del Comune, di una procedura di tipo comparativo idonea a consentire, a tutti gli aventi diritto, di partecipare, in condizioni di parità e uguaglianza, alla selezione per la scelta del miglior contraente.
Deve condividersi, pertanto, la censura con cui la parte ricorrente deduce (unitamente e in modo connesso e conseguente, non solo la violazione dei principi in tema di equo compenso) anche la violazione delle regole delle procedure selettive pubbliche, della massima partecipazione della leale concorrenza, di cui – per ciò che rileva sotto il profilo dell’interesse – l’Ordine ed il suo Presidente in proprio assumono la lesione ai fini del più ampio concorrere di professionisti alla procedura medesima, nell’interesse della collettività unitariamente considerata coincidente con i principi di buona amministrazione e di garanzia della trasparenza e della par condicio, come elencati tra i principi comunque applicabili anche in ipotesi di procedure selettive nei settori esclusi dall’ambito di applicazione del codice dei contratti pubblici.
Tali considerazioni sono sufficienti a comportare l’accoglimento del ricorso e, per l’effetto, l’annullamento degli atti gravati con conseguente condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese di lite determinate in euro 1.500,00 (millecinquecento/00) oltre IVA e CPA.
TAR Palermo 7 febbraio 2017, n. 334.



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