CE. Multinazionali tasse
Dopo Apple è toccato a Google,
le autorità fiscali di svariati paesi europei si sono scagliate
contro un altro colosso americano accusandolo di aver evaso centinaia
di milioni di euro. "Google rispetta le normative fiscali in tutti i Paesi
in cui opera", continuano a ripetere i portavoce della compagnia in
Italia, Francia e Inghilterra. Eppure, dopo anni di inchieste, le multe stanno
per essere quantificate, e Larry Page e Sergey Brin dovranno prima o poi
trovare un accordo sul pagamento delle stesse. L'Italia ha
chiesto 300 milioni di euro, la Francia 500, l'Inghilterra "solo"
170.
Mentre i governi cantano vittoria per
aver finalmente messo le mani su un evasore d'oro, resta da capire come
effettivamente verranno chiusi i contenziosi fiscali con il motore di
ricerca più famoso del mondo e, ancora più importante, come sarà possibile
evitare che problemi come questi si ripresentino in futuro.
Il punto è questo: le multinazionali sempre
più spesso approfittano del fatto di poter contare su più filiali localizzate
in paesi diversi per spostare liberamente fondi, investimenti e profitti
laddove trovano conveniente farlo.
In un contesto come quello
europeo, quindi, una parte dei profitti viene regolarmente tassata nella
nazione in cui la filiale è effettivamente registrata, una parte viene spostata
(da chi può permettersi di farlo) nei paradisi fiscali di volta in
volta più accessibili o compiacenti, e una parte può essere registrata come
profitto maturato da un'altra succursale e, di conseguenza, tassato nel paese
in cui si trova quest'ultima (che, guarda caso, di solito ha anche il livello
di tassazione sui redditi d'impresa più basso).
Non è quindi così strano che tra
gli imputati principali in questo processo contro l'evasione delle
multinazionali ci sia l'Irlanda. Dublino impone infatti un livello di
tassazione sui redditi d'impresa pari al 12,5 per cento. Molto meno dell'Inghilterra
(20), dell'Italia (27,5), della Germania (30/33) e della Francia (33,33).
Quindi mentre Londra, Roma, Berlino e Parigi gridano allo scandalo per gli introiti
perduti, l'Irlanda resta in silenzio perché si è ritrovata ad incassare
molto di più.
Come spiega bene The Economist, non basta l'accanimento di
un paio di governi per risolvere il problema delle evasioni fiscali delle
multinazionali. Italia, Francia e Inghilterra hanno fatto benissimo a sollevare
il problema ed ad aprire le loro inchieste, perché in questo modo hanno portato
in superficie un problema che esiste da anni. Ora, però, per non perdere il
vantaggio accumulato, dovrebbero trovare un modo per collaborare.
Smettendo di concentrarsi sulle singole multe da incassare e mettendo a punto
nuove regole sulla tassazione dei redditi d'impresa che possano funzionare in
tutta l'Europa.
Le normative cui continuiamo a
fare riferimento oggi risalgono a svariati decenni fa e sono state pensate per
un'epoca in cui la crescita globale era trainata dall'industria, non dalle aziende
tecnologiche. L'espansione di queste ultime attraverso l'e-commerce ha
finito col rendere la normativa vigente facilmente aggirabile, quindi inutile,
e nessuno fino ad oggi ha mai considerato urgente provvedere a un aggiornamento della
stessa.
Le multinazionali incriminate
operano al limite dell'illegalità, è vero, ma è proprio questa mancanza di chiarezza a
rendere possibili i vari trasferimenti di risorse e profitti. Italia, Francia e
Inghilterra sembrano oggi propendere per un'interpretazione restrittiva del
concetto di multinazionale.
Ovvero sembrano essere d'accordo
sul fatto di considerarne le singole filiali come entità autonome, i cui
introiti vanno dunque tassati nel paese in cui si trovano. Questo approccio,
però, rischia di creare vantaggi immediati in termini fiscali, ma nel
medio periodo può finire col creare una nuvola di regole eterogenee che
prima o poi verranno di nuovo aggirate.
In più, non è facile negare che
le multinazionali siano una entità unica. Ecco perché l'Europa farebbe
bene a sfruttare questo momento per decidere in maniera collegiale come agire.
Un'ipotesi potrebbe essere quella di pensare a una tassa complessiva che i
vari paesi in cui l'azienda è presente potranno poi spartirsi in base al peso
della compagnia in questione nel loro paese (calcolabile, ad esempio, con una
media ponderata del valore degli asset, dell’ammontare delle vendite, del
numero di lavoratori assunti e via dicendo).
Le eventuali perdite nel breve
periodo verrebbero rapidamente ricompensate dai vantaggi di medio e lungo
periodo creati da una normativa più chiara, equa e trasparente. Resta però da
vedere se i singoli paesi europei avranno voglia lavorare per raggiungere un compromesso che,
al momento, pare (tanto per cambiare) impossibile. panorama.it.2.2.2016.
A che serve l’Europa se non trova
una mediazione su problemi essenziali come il fisco. labu.fala.it
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