Esteri. Patto Libia Italia
A poche ore da quel summit di
Malta che si propone di chiudere la rotta Libia-Italia, Roma porta a casa un
risultato storico firmando con il premier libico Sarraj il Memorandum d’intesa
per fermare l’immigrazione illegale, il traffico di esseri umani e il contrabbando
tra le sponde sud e nord del Mediterraneo.
Otto articoli per mettere nero su
bianco l’impegno di Tripoli a controllare le sue coste e quello italiano ad
aiutare il partner nel monitoraggio delle frontiere sud, quelle da cui entrano
i migranti africani che sognano di raggiungere l’Europa.
Tanto per cominciare c’è il
lavoro di squadra nel Mediterraneo, da dove proviene il 90% dei migranti e dove
finora si è vista in campo solo l’operazione Sophia. L’Italia, si legge nel
testo, garantisce sostegno alle istituzioni di sicurezza e alle regioni colpite
dal fenomeno dell’immigrazione illegale. Vale a dire training, equipaggiamento,
assistenza alla guardia costiera libica, droni per il controllo dei confini e
la restituzione delle 12 motovedette che hanno già effettuato la manutenzione
ma anche supporto per energie rinnovabili, infrastrutture, sanità, trasporti,
sviluppo delle risorse umane.
Poi c’è il sud della Libia, tema
cruciale per Tripoli. Al momento, dice Mattia Toaldo dell’European Council on
Foreign Relations, «ci sono in Libia 20 campi profughi ufficiali gestiti dal
ministero dell’interno più molti in mano alle milizie». Un paese nel paese.
Ecco dunque che l’accordo di Roma parla di «completamento del sistema di
controllo dei confini terrestri del sud della Libia» ma anche di «adeguamento e
finanziamento dei centri di accoglienza usufruendo di finanziamenti disponibili
da parte italiana e di finanziamenti dell’Unione europea». Bruxelles, vinte le
resistenze di alcuni Paesi scettici sul peso del governo Sarraj, metterà i
soldi (che dopo le proteste dell’insoddisfatto Sarraj saranno probabilmente di
più dei 200 milioni previsti).
Si parte subito, oggi stesso, con
l’occhio a domani. Il Memorandum cita infatti a chiusura «il sostegno alle
organizzazioni internazionali che operano in Libia per proseguire gli sforzi
mirati anche al rientro dei migranti nei propri paesi d’origine» e «l’avvio di
programmi di sviluppo, attraverso iniziative di job creation». lastampa.it/2017/02/03/
“Chiudere la rotta migratoria
dalla Libia all’Italia si può, si deve, ed è alla nostra portata”. Sembra
non avere dubbi il presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.
La proposta di Tusk non piace a Giusi
Nicolini, sindaca dell’isola di Lampedusa, avamposto della rotta libica e
approdo per decine di migliaia di profughi. Piero Bosio l’ha intervistata.
“Tusk dovrebbe sapere – spiega la
sindaca Nicolini – che se chiudi una rotta se ne apre un’altra. La rotta della
Libia si è aperta dopo la conclusione dell’accordo con la Tunisia. Se si
chiudesse la rotta libica, se ne aprirebbe una dall’Egitto, come già molti
segnali lasciano intendere. Non è sicuramente questo il modo per risolvere i
problemi”.
E quindi secondo lei quale
potrebbe essere l’alternativa?
“La soluzione è governare i
flussi migratori. Quella urgente, urgentissima, è garantire l’esercizio d’asilo
prima che le persone che ne hanno diritto si mettano nelle mani della
criminalità organizzata”.
“Attivare le agenzie europee dell’asilo lungo
i Paesi di transito, lungo la rotta migratoria”.
La storia di questi ultimi
vent’anni dimostra che, anche quando si facevano gli accordi con Gheddafi, il
flusso non si è mai arrestato. Anzi, mettevamo nelle mani di Gheddafi un’arma
di ricatto e di destabilizzazione geopolitica pericolosissima per la nostra
Europa”.
Lei dice questo, però Tusk dice
che con la chiusura della rotta libica si salverebbero tantissime vite. Lei
cosa risponde?
“Queste persone che rischiano la
vita per averne una, cosa farebbero non potendo più partire? Resterebbero nelle
prigioni libiche, nei campi di concentramento della Libia?” radiopopolare.it/2017/02/3.
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