4. La disciplina delle mansioni superiori.
L’art. 52 del D.L.vo 165/2001 disciplina le mansioni
del dipendente pubblico, ribadendo che egli deve svolgere i compiti per i quali
è stato assunto o quelli corrispondenti alla qualifica superiore che egli abbia
conseguito in seguito a promozione per sviluppo di carriera o in seguito ad
apposite procedure elettive e concorsuali.
La
disciplina della materia dello svolgimento delle mansioni superiori nell'ambito
della c.d. contrattualizzazione o privatizzazione dei rapporti di lavoro alle
dipendenze delle pubbliche amministrazioni, quale risultante dall'art.. 52 del
d.lg. n. 165 del 2001, ha riconfermato il principio secondo cui l'esercizio di
fatto di mansioni diverse da quelle della qualifica di appartenenza non ha
effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore. Cass. Civ., sez. lav., 25
ottobre 2004, n. 20692.
Non vi può essere un inquadramento del dipendente
nella qualifica superiore prodotto dal solo fatto che egli svolga
effettivamente mansioni superiori a quelle della propria qualifica.
E’ molto dibattuto il problema di come disciplinare
lo svolgimento di mansioni superiori e di quanto esso sia rilevante, ferma
restando sempre la sua irrilevanza ai fini di un superiore inquadramento.
Una diffusa interpretazione giurisprudenziale
giudica irrilevante l’esercizio di compiti superiori a quelle della qualifica
sia per quanto riguarda l’inquadramento sia per la retribuzione.
Essa ritiene che ciò non sia di pregiudizio per i
dipendenti interessati, in quanto essi non sono tenuti né legittimati a
svolgere mansioni diverse da quelle che devono eseguire in base alla loro qualifica.
Cons. Stato, sez. V, 8 luglio 1998, n.1036; Cons. Stato, sez. VI, 18 maggio
1998, n. 746. S. MEZZACAPO, Giudizio
disciplinare: debutta anche l’arbitro unico, in Guida Dir. Dossier, 2001, n. 5, 110.
Il principio che l’esercizio di mansioni superiori,
nell’ambito del pubblico impiego, è irrilevante sia da un punto di vista
giuridico sia sotto l’aspetto economico – a meno che ciò si verifichi in
seguito a una precisa disposizione normativa – è stato affermato anche
dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato. Cons. Stato, Ad. Pl., 18
novembre 1999, n. 22, in Foro Amm.,
1999, 2376.
Nessuna norma, infatti, prevede, in via di
principio, che lo svolgimento di mansioni superiori sia retribuibile. Esistono
invece, e danno sostegno alla suddetta tesi, specifiche e precise disposizioni
che consentono la rilevanza, come espressa eccezione, come ad esempio, in campo
sanitario, l’art. 29, D.P.R. 61 del 1979.
L’art. 36 della Costituzione, che afferma il
principio in base al quale la retribuzione deve corrispondere alla qualità e
quantità del lavoro prestato, non è ritenuto applicabile dalla giurisprudenza,
in quanto nel pubblico impiego concorrono altri principi di pari rilevanza
costituzionale, vale a dire quelli del buon andamento e dell’imparzialità
dell’amministrazione.
In definitiva, il dipendente, nel pubblico impiego,
viene retribuito in base alla formale qualifica che gli viene assegnata.
L’art. 52 del D.L.vo 165 del 2001 consente di
adibire eccezionalmente il pubblico dipendente a mansioni proprie della qualifica
immediatamente superiore per obiettive esigenze di servizio o nel caso il posto
in organico sia vacante – per non più di sei mesi, prorogabili a dodici se sono
state iniziate le procedure di copertura del posto vacante – o nel caso si
debba sostituire un altro dipendente con diritto alla conservazione del posto –
per la durata della relativa assenza.
Nelle precedenti ipotesi è previsto, ai sensi
dell’art. 52, comma 4, del D.L.vo 165 del 2001, il diritto del dipendente al
trattamento economico spettante alla qualifica superiore.
Ai sensi dell’art. 52, comma 5, del
D.L.vo 165 del 2001, la differenza di retribuzione con la qualifica superiore
spetta comunque al lavoratore anche se sia stato incaricato a svolgere mansioni
superiori per motivi che non rientrano nelle ipotesi tassativamente previste
dalla normativa e, quindi, vi sia un’espressa declaratoria di nullità di tale
assegnazione.
E’ il dirigente che ha deciso tale illegittima
assegnazione, con dolo o colpa grave, che deve rispondere del maggior onere
economico fatto sopportare all’amministrazione.
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