Le controversie relative all’utilizzazione
di beni acquisiti in assenza di un valido titolo, ex art. 34, D. L. 6 luglio 2011, n. 98.
La
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo va riconosciuta non solo
quando si impugni un atto del procedimento espropriativo, ma anche quando il
ricorso miri a ottenere la tutela del diritto di proprietà, in presenza di un
comportamento dell'amministrazione connesso all'esercizio della funzione
pubblica, sussistendo tale connessione anche per ciò che attiene alle
controversie relative alle espropriazioni cd. "sananti" previste
dall'art. 43, t.u. 8 giugno 2001 n. 327 ed in presenza di domande che volte ad
ottenere la condanna dell'Amministrazione al risarcimento dei danni.
L'art.
43 prevede una normativa speciale sugli effetti dell'illegittimità dell'atto,
che appare prevalente rispetto a quella generale, pur successiva,
rintracciabile nella legge sul procedimento.
Detta
norma stabilisce, infatti, che qualora sia impugnato un provvedimento di
acquisizione ovvero sia esercitata una azione volta alla restituzione di un
bene utilizzato per scopi di interesse pubblico, l'amministrazione che ne ha
interesse o chi utilizza il bene può chiedere che il giudice amministrativo,
nel caso di fondatezza del ricorso o della domanda, disponga la condanna al
risarcimento del danno, con esclusione della restituzione del bene senza limiti
di tempo".
Il
legislatore ha così ipotizzato non solo che l'acquisizione possa essere
comunque disposta senza che venga seguita la via maestra del procedimento, con
tutte le garanzie per esso previste, ma ha anche previsto che nel caso di
fondatezza del ricorso, proposto anche avverso un atto di acquisizione, sia
esclusa comunque la restituzione del bene. T.A.R. Toscana Firenze, sez.
I, 12 maggio 2009, n. 817. La
giurisprudenza ha sancito che le questioni relative al quantum del risarcimento del danno non incidono sulla legittimità
del provvedimento di acquisizione, potendo al più derivarne l'obbligo per il
Comune di rideterminarne l'ammontare.
Si è
infatti rilevato che, mentre la previsione del risarcimento costituisce
condizione di legittimità della delibera ex art. 43 d.p.r. 327 del 2001, ad
analoghe conclusioni non può pervenirsi per quanto riguarda la congruità del
risarcimento e l'adeguatezza dei criteri di valutazione adottati nella
liquidazione del danno. T.A.R. Abruzzo Pescara 15 giugno 2006 n. 345.
La Corte
Costituzionale ha successivamente
dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 43 del D.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, per violazione
dell’art. 76 della Costituzione. La norma censurata è contenuta nel testo
unico, in materia di espropriazioni, redatto in attuazione della L. 50 del
1999, che aveva previsto un generale strumento permanente di semplificazione e
di delegificazione. La legge-delega aveva conferito, sul punto, al legislatore
delegato il potere di provvedere ad un coordinamento formale relativo a
disposizioni vigenti; l’istituto previsto e disciplinato dalla norma impugnata,
viceversa, è connotato da numerosi aspetti di novità. Il citato art. 43,
infatti, ha anzitutto introdotto la possibilità per l’amministrazione e per chi
utilizza il bene di chiedere al giudice amministrativo, in ogni caso e senza
limiti di tempo, la condanna al risarcimento in luogo della restituzione.
Peraltro, esso estende tale disciplina anche alle servitù, rispetto alle quali
la giurisprudenza aveva escluso l’applicabilità della c.d. occupazione
appropriativa, trattandosi di fattispecie non applicabile all’acquisto di un
diritto reale in re aliena, in quanto difetta la non emendabile trasformazione
del suolo in una componente essenziale dell’opera pubblica. Infine, la norma
censurata differisce il prodursi dell’effetto traslativo al momento dell’atto
di acquisizione. Corte cost., 8 ottobre 2010, n. 293. S. MIRATE, L’acquisizione
sanante è incostituzionale:la Consulta l’eccesso di delega, in Urb. App., 2011,3,60.
Il legislatore è
intervenuto con una nuova norma l’art. 34, D. L. 6 luglio 2011, n. 98, che
introduce l’art. 42 bis al posto dell’abrogato art 43 , D.P.R.327/2001, a
regolare l’istituto per adeguarsi ai dettati della Corte .
Il provvedimento di
acquisizione deve essere motivato in riferimento alle attuali ed eccezionali
ragioni di interesse pubblico che ne giustificano l’emanazione valutate
comparativamente con i contrapposti interessi privati ed evidenziando l’assenza
di ragionevoli alternative alla sua adozione.
Il corrispettivo
complessivo risulta formato da tre addendi: il valore venale del bene,
l’indennità per il pregiudizio non patrimoniale e l’indennità per il periodo di
occupazione senza titolo.
Per il pregiudizio
non patrimoniale deve essere corrisposto forfettariamente il 10% del valore
venale del bene.
L’indennità per il
periodo di occupazione, se il ricorrente non prova il maggior danno, è
determinata nel 5% del valore venale. La dottrina nota che tale indennità è
inferiore a quella prevista per la indennità di occupazione che è calcolata in
1/12 del valore venale ossia in percentuale pari al 8,33%, ex art. 50, D.P.R. 327/2001, con conseguente illegittimità
costituzionale della stessa disposizione per violazione al principio di
uguaglianza. L. MACCARI, La nuova
disciplina dell’acquisizione sanante, in Urb. App., 2011, 10, 1146.
L’autorità che
emana il provvedimento deve darne comunicazione alla Corte dei Conti perché si
attivi qualora riscontri nei comportamenti tenuti dall’amministrazione un danno
erariale
Una prima applicazione
dell’istituto si è avuta da T.A.R. Umbria 229/2011 che ha disposto affinché
l’amministrazione convenuta proponga al ricorrente il pagamento di somme a
titolo di risarcimento del danno da determinarsi secondo i criteri indicati
dall’art. 34, D. L. 6 luglio 2011, n. 98.
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