1
Il
ricorso gerarchico, il ricorso in opposizione il ricorso improprio.
E'
possibile ricorrere all'autorità amministrativa contro gli atti non definitivi,
ossia quegli atti avverso i quali sono previsti rimedi amministrativi.
Dai
ricorsi amministrativi, che presuppongono un interesse legittimo alla
decisione, si distinguono le mere denunce, volte a sollecitare un riesame della
decisione medesima.
Il
ricorso amministrativo può essere presentato esclusivamente avverso un atto non
definitivo.
Gli
atti definitivi possono essere impugnati solo con un ricorso giurisdizionale o
con un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
I ricorsi amministrativi si distinguono in ricorsi
gerarchici, che si presentano all'autorità gerarchicamente superiore e ricorsi
in opposizione, che si presentano alla stessa autorità che ha emanato l'atto.
(Centofanti N. e Centofanti P., Il formulario del diritto amministrativo,
2010, 409).
Ad
esempio, contro il provvedimento disciplinare della censura è ammesso ricorso
presentato al capo ufficio che l'ha emanato.
Il
ricorso gerarchico improprio è ammesso là dove non esiste un vero e proprio
rapporto di gerarchia fra l'autorità che ha emanato l'atto e quella preposta
alla decisione del ricorso.
Il
ricorso amministrativo ha la funzione di definire la materia del contendere in
quanto nei successivi rimedi giurisdizionali non è possibile impugnare il
provvedimento sotto profili diversi rispetto a quelli già fatti valere. (Cons. St., sez. IV, 2.3.2004, n. 962).
Qualora
una autorità amministrativa non risponda all’istanza del ricorrente ed il
provvedimento si possa considerare non definitivo, il silenzio può essere
oggetto di ricorso amministrativo.
1.1
Il
silenzio sul ricorso gerarchico.
La decisione
su ricorso gerarchico può essere
impugnata presso la giustizia amministrativa .
La giurisprudenza
ha precisato che il ricorso
giurisdizionale proposto avverso il provvedimento di decisione di un ricorso
gerarchico,
può contenere censure sul cattivo esercizio della funzione giustiziale, come,
ad esempio, il difetto di motivazione, onde far emergere, in tale modo,
l'illegittimità del provvedimento originariamente impugnato in sede
amministrativa. (T.A.R. Sardegna Cagliari, sez. I, 23.4.2010, n. 925 , in Foro amm. TAR, 2010, 4, 1505 ) .
E’ evidente che nel
ricorso
giurisdizionale proposto avverso il provvedimento di decisione di un ricorso
gerarchico,
non è possibile dedurre motivi non prospettati nella sede contenziosa
amministrativa, in quanto, altrimenti, si eluderebbe il termine decadenziale di
cui all'art. 21, comma 1, l. 1034 del 6 .12. 1971. (T.A.R. Sardegna Cagliari,
sez. I, 23.4.2010, n. 925 ).
L'amministrazione
decidente ha novanta giorni di tempo dalla data di presentazione del ricorso
per comunicare la propria decisione.
Il silenzio
equivale ad una decisione negativa.
Per la giurisprudenza
l'amministrazione non ha l'obbligo di pronunciarsi in modo espresso sul ricorso
gerarchico,
dal momento che il comportamento omissivo dell'Amministrazione non è
qualificabile in termini di inadempimento avendo per legge valenza
provvedimentale di atto di diniego
(T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 1512.2009, n. 8768 ).
Il ricorso si
intende respinto a tutti gli effetti, ai sensi dell'art. 6, d.p.r. 1199/1971.
Il silenzio
parificato a decisione negativa consente di passare alla fase successiva del gravame
che consiste o nel ricorso all'autorità giurisdizionale competente o nel
ricorso straordinario al Presidente della Repubblica.
E' quindi
necessario attivarsi tempestivamente in occasione della scadenza dei termini
per non lasciare che il silenzio sul ricorso renda non più impugnabile il
provvedimento amministrativo che in ogni caso è immediatamente eseguibile salvo
sospensiva (diversamente dalle ipotesi del silenzio rigetto e del silenzio
rifiuto).
La
giurisprudenza amministrativa ha attribuito all’inerzia in materia di silenzio
serbato dalla pubblica amministrazione su ricorso gerarchico, ai sensi
dell'art.6, d.p.r. 1199/1971, un contenuto meramente processuale.
Al silenzio non
corrisponde alcun procedimento decisorio, avendo il silenzio il ruolo di
abilitare l'interessato ricorrente in via gerarchica all’immediata proposizione
del ricorso nella sede giurisdizionale.
La giurisprudenza
ha precisato che il silenzio sul ricorso gerarchico non è configurabile come
provvedimento tacito concludente il procedimento contenzioso, ma come
presupposto processuale per la proposizione del ricorso giurisdizionale
o straordinario avverso l'unico atto effettivamente emanato dalla p.a., per cui
il ricorrente in via gerarchica può reagire in due forme diverse dinanzi al
silenzio dell'amministrazione: con il ricorso giurisdizionale avverso il
provvedimento originario, ex art. 31,
d. lgs. 104/2010, onde ottenerne l'annullamento per motivi di legittimità,
oppure con la procedura del silenzio-rifiuto e la conseguente impugnativa
giurisdizionale, per costringere la p.a. a pronunciarsi sul ricorso
amministrativo e, dunque, anche sulle censure di merito ivi dedotte. (T.A.R.
Emilia Romagna Parma, sez. I, 13.3.2010, n. 94 ).
Il
decorso del termine di novanta giorni previsto dall'art. 6, d.p.r. 24 .11.
1971, n. 1199 - entro il quale il ricorso gerarchico deve essere deciso
dall'Autorità amministrativa adita - non ha effetti sostanziali, ma processuali
giacché abilita il ricorrente gerarchico a scegliere fra:
1) l'immediata
proposizione del ricorso giurisdizionale contro il provvedimento di base nei
termini di decadenza, una volta che si sia formato il silenzio rigetto;
2) la
proposizione dello stesso ricorso avverso la successiva decisione
amministrativa esplicita, con la duplice conseguenza che, anche se si è formato
il silenzio rigetto, l'amministrazione non è, solo per tale fatto, privata
della potestà di decidere espressamente il ricorso gerarchico e,
simmetricamente, il privato non è spogliato della legittimazione ad opporsi
avverso il provvedimento esplicito di rigetto dello stesso. (T.A.R. Puglia
Bari, sez. I, 19.5.2003, n. 1948, in Foro amm. T.A.R., 2003, 1755).
La scadenza del
termine dei 90 giorni previsto dall'art. 6, d.p.r. n. 1199/1971, non estingue
il potere dell'amministrazione di decidere il ricorso amministrativo, avendo il
soggetto interessato tuttavia la facoltà di proporre ricorso giurisdizionale
avverso il silenzio-rigetto, ovvero di attendere, ai fini della eventuale
impugnativa, la decisione tardiva dell'amministrazione. (T.A.R. Sardegna
Cagliari, sez. I, 6.4.2010, n. 663)
Qualora il
soggetto interessato abbia lasciato
decorrere i termini di impugnazione non è esposto al rischio della perdurante
inerzia dell'autorità decidente , ma può ricorrere utilizzando i rimedi normali
del silenzio rifiuto diffidando preventivamente l'amministrazione a provvedere,
ai sensi dell'art. 25, d.p.r. 3/1957.
Il silenzio
concretizza un mero atto di inadempimento cui è correlato l'obbligo per
l'amministrazione di pronunciarsi.
L'effetto
precipuo di tale impostazione è che l'obbligo a provvedere non può farsi valere
solo nel breve arco decadenziale dei sessanta giorni, ma finché dura per il
privato l'interesse alla decisione.
Nessun commento:
Posta un commento