1
Il
procedimento disciplinare.
Il
potere disciplinare incide sul rapporto di appartenenza del soggetto, in questo
caso il pubblico dipendente, a un’istituzione e, di conseguenza, determina il
sorgere di una varietà di principi giuridici che ne regolano l’esercizio. (Cavallo Perin R. e Gagliardi B., Status
dell'impiegato pubblico, responsabilità disciplinare e interesse degli
amministrati, in Dir. amm.,
2009, 1, 53).
La
tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni è definita dai contratti
collettivi.
La contrattazione collettiva non può istituire
procedure di impugnazione dei provvedimenti disciplinari.
Resta
salva la facoltà di disciplinare mediante i contratti collettivi procedure di
conciliazione non obbligatoria, fuori dei casi per i quali e' prevista la
sanzione disciplinare del licenziamento, da instaurarsi e concludersi entro
un termine non superiore a trenta giorni dalla contestazione dell'addebito e
comunque prima dell'irrogazione della sanzione. La sanzione concordemente
determinata all'esito di tali procedure non può essere di specie diversa da
quella prevista, dalla legge o dal contratto collettivo, per l'infrazione per
la quale si procede e non e' soggetta ad impugnazione. I termini del
procedimento disciplinare restano sospesi dalla data di apertura della
procedura conciliativa e riprendono a decorrere nel caso di conclusione con
esito negativo. Il contratto collettivo definisce gli atti della procedura
conciliativa che ne determinano l'inizio e la conclusione, ai sensi dell’art. 55, 3° co.,
d.lgs. 165/2001, mod. dall'art. 68, 1° co.,, d.lgs. 27 .10.2009, n. 150.
Il procedimento
disciplinare deve seguire la procedura della preventiva contestazione.
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L’art.
55, sexies, d.lgs. 165/2001, ins. art. 69, 1° co.,, d.lgs. 27 .10.2009, n. 150, disciplina la responsabilità+
disciplinare per condotte pregiudizievoli per l'amministrazione
La norma dispone che la condanna della pubblica
amministrazione al risarcimento del danno derivante dalla violazione, da parte
del lavoratore dipendente, degli obblighi concernenti la prestazione
lavorativa, stabiliti da norme legislative o regolamentari, dal contratto
collettivo o individuale, da atti e provvedimenti dell'amministrazione di
appartenenza o dai codici di comportamento, comporta l'applicazione nei suoi
confronti, ove gia' non ricorrano i presupposti per l'applicazione di un'altra
sanzione disciplinare, della sospensione dal servizio con privazione della
retribuzione da un minimo di tre giorni fino ad un massimo di tre mesi, in
proporzione all'entità del risarcimento.
Si
tratta di ipotesi di infrazioni disciplinari che trovano il proprio fondamento
nella valutazione del rendimento lavorativo il quale diventa metro
dell'inadempimento e della relativa responsabilità. (Ursi R., Alcune
considerazioni sul nuovo regime delle sanzioni disciplinari dopo il decreto
brunetta, in Lav. nelle p.a., 2009, 5, 0759).
Come è noto, sulla
scorta della nota sentenza della cassazione n. 500/1999, per la condanna
dell'amministrazione la giurisprudenza amministrativa, continua ad utilizzare
largamente come criterio di imputazione la c.d. colpa di apparato.
Se il giudice
amministrativo non riscontra un errore scusabile del responsabile del
procedimento o del dirigente e condanna l'amministrazione al risarcimento del
danno, dal punto di vista disciplinare la colpa del funzionari coinvolti nella
serie procedimentale sarebbe in re ipsa.
In questa
prospettiva, o la sanzione disciplinare di cui all'art. 55-sexies , d.lgs.
165/2001, viene irrogata in via automatica, oppure occorrerà procedere ad una
valutazione della condotta del dipendente senza tenere conto di quanto accertato
dal giudice amministrativo in relazione alla condanna dell'amministrazione e
procedere ad un'indagine sull'elemento soggettivo.
In questo caso, si
deve ritenere in coerenza con quanto disposto dall'art. 13 e 18 del d.p.r. n.
3/1957 e dall'art. 1 della l. 20/1994 per la responsabilità erariale che per
l'irrogazione della sanzione disciplinare in esame occorra il requisito del
dolo o della colpa grave.
In caso contrario,
si verificherebbe un medesimo fatto da luogo a forme di responsabilità tendenti
alla tutela del medesimo bene della vita, ma basate su criteri di imputazione
differenti.
2
. Le
sanzioni amministrative rapportate al silenzio.
I
comportamenti inadempienti dei pubblici funzionari possono costituire oggetto
di autotutela da parte della stessa pubblica amministrazione, da cui il
funzionario dipende, tramite l’applicazione di sanzioni disciplinari.
La
assoluta genericità nel sistema della applicazione delle sanzioni ne fa uno
strumento ad uso discrezionale dell’autorità che deve provvedere, senza che sia
possibile alcuna partecipazione, neppure di segnalazione, dei soggetti estranei
all’amministrazione.
La
giurisprudenza considera il silenzio della amministrazione come una semplice
irregolarità non viziante che costituisce elemento valutabile ai fini della
responsabilità dirigenziale, in sede di verifica dei risultati della gestione (Cons. St., sez. VI, 19.2.2003, n. 939).
La
privatizzazione del pubblico impiego, pur non prevedendo espressamente uno
specifico provvedimento disciplinare per i mancati adempimenti, impone una
verifica sul risultato dell’attività dei dirigenti.
L’art.
21, d.lgs. 165/2001, mod.dall'articolo 41, 1° co., lett. a), d.lgs. 27 .10.2009, n.
150, afferma che il mancato raggiungimento degli obiettivi
accertato attraverso le risultanze del sistema di valutazione di cui al Titolo
II del decreto legislativo di attuazione della l. 4 .3. 2009, n. 15, in materia
di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e
trasparenza delle pubbliche amministrazioni ovvero l'inosservanza delle
direttive imputabili al dirigente comportano, previa contestazione e ferma
restando l'eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina
contenuta nel contratto collettivo, l'impossibilita' di rinnovo dello stesso
incarico dirigenziale.
In relazione alla gravità dei casi, l'amministrazione può
inoltre, previa contestazione e nel rispetto del principio del contraddittorio,
revocare l'incarico collocando il dirigente a disposizione dei ruoli di cui
all'art. 23, d.lgs.
165/2001, ovvero recedere dal
rapporto di lavoro secondo le disposizioni del contratto collettivo .
Al dirigente nei confronti del quale sia stata
accertata, previa contestazione e nel rispetto del principio del
contraddittorio secondo le procedure previste dalla legge e dai contratti
collettivi nazionali, la colpevole violazione del dovere di vigilanza sul
rispetto, da parte del personale assegnato ai propri uffici, degli standard
quantitativi e qualitativi fissati dall'amministrazione, in materia di
ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e
trasparenza delle pubbliche amministrazioni, la retribuzione di risultato è
decurtata, sentito il Comitato dei garanti, in relazione alla gravità della
violazione di una quota fino all'ottanta per cento .
Si
tratta di una norma di carattere generale tesa soprattutto a verificare il
risultato in rapporto alle relazioni interne all’amministrazione.
La
giurisprudenza ha precisato che i dirigenti, oltre ad una responsabilità
disciplinare, sono soggetti ad un tipo di responsabilità specifica ed
aggiuntiva, la quale sorge per l'inidoneità del dirigente a conseguire gli
obiettivi indicati dagli organi di governo nell'esercizio delle loro funzioni
di indirizzo politico-amministrativo. L'una e l'altra forma di responsabilità
vanno accertate, secondo quanto disposto dalla indicata disposizione, secondo
la disciplina contenuta nel contratto collettivo, valutata, la responsabilità
dirigenziale, sia sotto il profilo del mancato raggiungimento degli obiettivi
che sotto quello dell'inosservanza delle direttive (Trib. Trapani, 26.11.2003).
La
disposizione valuta i comportamenti in ordine al rispetto delle direttive
impartite: essa tralascia ogni valutazione in ordine ai rapporti esterni con i
soggetti passivi dei provvedimenti amministrativi.
L’operato
dei dirigenti deve essere stimato in rapporto agli obiettivi da perseguire e
alle risorse umane, finanziarie e strumentali effettivamente rese disponibili.
E’ la
stessa autorità che ha assunto con contratto a termine il dirigente basandosi
su un rapporto fiduciario che deve procedere ad una sua valutazione.
Per
evidenti ragioni di compatibilità con la scelta effettuata l’amministrazione
non può divergere sulle linee di operatività del dirigente, c’è anzi da
supporre che l’inadempimento rispecchi le linee stesse dell’amministrazione.
La giurisprudenza conferma che la
revoca dell'incarico dirigenziale può avvenire solo in relazione alla gravità
dei casi.
Occorre che sussistano i presupposti
di fatto della responsabilità dirigenziale (mancato raggiungimento degli
obiettivi, inosservanze di direttive, illeciti disciplinari) e che questi
raggiungano una soglia di apprezzabile gravità tale da essere proporzionale
alla più radicale misura della revoca dell'incarico. In ogni caso, a garanzia
del dirigente, gli incarichi dirigenziali possono essere revocati
esclusivamente nei casi e con le modalità dell'art. 21, comma 1, secondo
periodo, cit. Quanto poi alle conseguenze della revoca illegittima
dell'incarico dirigenziale la disciplina del recesso dal rapporto di lavoro dei
dirigenti pubblici non è quella dell'art. 2118 c.c., propria dei dirigenti
privati, ma segue i canoni del rapporto di lavoro dei dipendenti con qualifica
impiegatizia. Pertanto, in caso di revoca illegittima dell'incarico
dirigenziale ne consegue che l'Amministrazione è tenuta a ripristinare
l'incarico dirigenziale illegittimamente revocato ed a corrispondere le
differenze retributive. (Cass. Civ., sez. un., 1.12.2009, n. 25254, in Lav. nelle p.a.
, 2009, 6,
1085).
3
Il
potere di sostituzione dei dirigenti.
La
dottrina ritiene che la suddivisione operata dalla l. 29/1993 e dal d.lgs.
165/2001 in ordine alla distinzione dei poteri di indirizzo riservato agli
amministratori e di esecuzione degli atti riservato ai dirigenti comporti una
modificazione dell’originario potere di avocazione del Ministro in rapporto
agli atti dei dirigenti.
Si preferisce affermare che ora si tratta di un
potere di sostituzione (Ciro S. ,Il rapporto
di lavoro alle dipendenze della p.a. dopo la privatizzazione, in Caringella
F. (a cura di) Corso di diritto amministrativo, 2004, 1091).
In
caso di inerzia o ritardo da parte del dirigente statale riguardo ad atti su richiesta di parte o
dovuti ex officio il Ministro può individuazione un commissario ad acta.
Il
Ministro non può revocare, riformare, riservare o avocare a sé o altrimenti
adottare provvedimenti o atti di competenza dei dirigenti. In caso di inerzia o
ritardo il Ministro può fissare un termine perentorio entro il quale il
dirigente deve adottare gli atti o i provvedimenti. Qualora l'inerzia permanga,
o in caso di grave inosservanza delle direttive generali da parte del dirigente
competente, che determinino pregiudizio per l'interesse pubblico, il Ministro
può nominare un commissario ad acta, dando comunicazione al Presidente
del Consiglio dei ministri del relativo provvedimento.
Resta
salvo il potere di annullamento ministeriale per motivi di legittimità, ex art. 14, 3° co., d.lg. 165/2001.
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