Banca. Popolari Venete:
Il Tribunale di Verona condanna la banca a risarcire
l’azionista non adeguatamente informato.Tribunale di Verona, 25 marzo 2017, n.
687.
L’attore agisce contro una nota
banca popolare assumendo di aver acquistato 660 azioni della banca stessa nel
corso del 2009 dietro insistente suggerimento dell’impiegato che le
rappresentava detto strumento finanziario come sicuro e facilmente liquidabile.
Al momento dell’acquisto non era stato consegnato alcun documento.
Nel 2014 l’attore aveva chiesto
di poter vendere le azioni ma la banca gli comunicava di essere impossibilitata
al riacquisto, asserendo che per l’utilizzo del “fondo acquisto azioni proprie”
nel corso del 2014 fosse diventata obbligatoria l’autorizzazione dell’autorità
di vigilanza.
L’attore avanzava, in via
principale, domanda di declaratoria di nullità del contratto quadro sottostante
e degli ordini di acquisto con conseguente restituzione di quanto investito.
La prima questione affrontata dal
Tribunale di Verona concerne la declaratoria di nullità del contratto quadro
per difetto di forma scritta. La Banca convenuta aveva prodotto copia “per la
banca” del contratto di negoziazione titoli (contratto quadro) recante la sola
firma dell’attore.
Nel corso del processo, un teste,
funzionario della banca, aveva dichiarato di aver consegnato l’originale del
contratto sottoscritto dal direttore.
Correttamente il giudice veronese
ritiene inammissibile che una prova testimoniale e presuntiva possa supplire la
mancanza di un contratto la cui forma sia prevista ad substantiam dalla
legge. Ritiene però che costituiscano evidenze documentali tali da provare
l’adesione della banca all’accordo, la sottoscrizione (sia pure a fini di
autentica) da parte dell’istituto di credito della domanda di ammissione a
socio e un questionario MIFID recante la firma del direttore della filiale. Entrambi
questi documenti, sottoscritti dalla banca, postulerebbero l’esistenza del
contratto quadro.
Il documento non può quindi far
proprio un altro documento che non sia sottoscritto dalle parti.
A perfezionare il contratto non
basta, invece, la semplice esecuzione del contratto né una dichiarazione
probatoria con la quale la parte riconosce l’avvenuta stipulazione.
La seconda serie di questioni
affrontate dal giudice attengono una serie di violazione della Banca quale
emittente e non quale intermediaria. In particolare si contesta il criterio di
determinazione del valore delle azioni e il mancato riacquisto delle azioni.
Tali conclusioni dipendono
evidentemente dal modo in cui è stata prospettata la domanda in quanto la
determinazione in sé del valore delle azioni può non aver rilievo in tema di
intermediazione finanziaria ma, adempiuti i necessari oneri probatori, potrebbe
avere rilievo in tema di vizi del consenso. Così come può non sussistere
l’obbligo per la banca, come emittente, di riacquistare le proprie azioni, ma
esiste senz’altro, per la banca quale intermediaria, il dovere di trattare le
domande di vendita in ordine cronologico.
La terza e principale questione
che il Tribunale di Verona affronta inerisce agli obblighi informativi che la
banca avrebbe dovuto dare all’azionista. In particolare l’attore si duole di
non essere stato informato dell’illiquidità dei titoli. Trattandosi di azioni
non quotate in un mercato regolamentato si trattava di investimento di
difficile monetizzabilità e pertanto illiquido.
A nulla vale il fatto che la
Banca avesse consegnato al cliente l’ “informativa precontrattuale per la
clientela sui servizi e attività di investimento” che recava la spiegazione su
che cosa s’intendesse per strumento finanziario illiquido, in quanto la
doglianza dell’attore non riguardava la conoscenza della categoria dei titoli
illiquidi, ma che quello specifico titolo acquistato fosse ad essa
riconducibile. Il giudice ha ritenuto violati tutti gli obblighi informativi
previsti dalla comunicazione Consob del 2009 n. 9019104, che viene ritenuta un
documento privo di diretta portata precettiva ma esplicativo degli obblighi di
legge.
Di particolare interesse risulta
inoltre la considerazione del giudice in punto di appropriatezza
dell’operazione. Come noto, la valutazione di appropriatezza cui la banca è
tenuta, prevista dagli art. 42 e 43 del Regolamento Intermediari Consob,
prevede che venga valutata l’esperienza e la conoscenza dell’investitore.
L’intermediario avrebbe dovuto valutare la conoscenza e l’esperienza del
cliente in materia di investimento nello specifico settore o servizio
richiesto. L’attore, nel questionario MIFID, aveva dichiarato di conoscere le
azioni e di non conoscere tutta una serie di altri prodotti finanziari, tra i
quali i derivati OTC. Il giudice veronese, con ragionamento assai convincente,
ritiene che le azioni illiquide siano più assimilabili ai derivati OTC con
riguardo al tipo di mercato in cui sono trattate e alla rischiosità
dell’investimento, piuttosto che alle azioni quotate. Pertanto conclude che
l’intermediario non abbia adeguatamente valutato la capacità del cliente di
comprendere gli specifici profili di rischio connessi ai titoli acquistati.
Riconosciuta, dunque, la
fondatezza della domanda, il giudice ravvisa una diretta incidenza causale
delle condotte inadempienti della banca sulle operazioni di investimento
compiute. Se fosse stata effettuata correttamente una valutazione di
appropriatezza e se l’attore fosse stato edotto del rischio liquidità, questi
non avrebbe acquistato quelle azioni.
Il giudice quindi condanna la
banca al risarcimento del danno consistente nell’intero importo investito,
oltre a interessi legali e rivalutazione, e spese legali.
Sugli obblighi informativi
dell’intermediario finanziario si registrano numerosi arresti della Cassazione
negli ultimi anni. In particolare preme segnalare: “In tema di servizi di
investimento, la banca intermediaria, prima di effettuare operazioni, ha
l’obbligo di fornire all’investitore "un’informazione adeguata in
concreto", tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo
rapporto, in relazione alle caratteristiche personali ed alla situazione
finanziaria del cliente, e, a fronte di un’operazione non adeguata, può darvi
corso soltanto a seguito di un ordine impartito per iscritto dall’investitore
in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute.”(Cass.
9.2.2016, n. 2535).dirittobancario.it. 27.3.2017
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