Tra il 2001 e il 2007 hanno
sperperato il denaro della vecchia Alitalia causando, secondo i pm,
perdite per oltre 4 miliardi di euro. Tesi che è stata accolta dai giudici
della VI sezione penale del tribunale di Roma, che hanno condannato in
primo grado Giancarlo Cimoli, presidente e amministratore delegato della
compagnia dal maggio 2004 al febbraio 2007, e altri tre manager tra cui l’ex ad Francesco
Mengozzi. A Cimoli, accusato di bancarotta e di aggiotaggio (diffusione
di notizie false per alterare i valori del titolo in Borsa) sono stati
dati 8 anni e 8 mesi di reclusione, 32 mesi in più rispetto ai 6 anni
chiesti dal procuratore aggiunto Nello Rossi durante la
requisitoria. E’ stato anche interdetto per un anno dalla possibilità di
assumere cariche direttive presso le imprese.
Pierluigi Ceschia, ex
responsabile del settore Finanza straordinaria, è stato condannato a 6 anni e 6
mesi, mentre per Gabriele Spazzadeschi, già dg del settore Amministrazione e
finanza, sono stati decisi 6 anni di reclusione. Cinque anni, infine,
a Francesco Mengozzi, amministratore delegato dal febbraio 2001 al
febbraio 2004. Sono tutti accusati di bancarotta. I condannati
dovranno risarcire le parti civili per oltre 355 milioni di euro in
solido. Il solo Cimoli dovrà versarne 160, oltre a 240mila euro di multa. Soldi
che andranno ad Alitalia Linee Aeree Italiana, Alitalia Servizi, Alitalia
Airport, Alitalia Express e Volare, tutte in amministrazione straordinaria.
Il tribunale inoltre ha
riconosciuto a
un migliaio di danneggiati tra azionisti e risparmiatori risarcimenti
che vanno da 1.500 a 73mila euro. Sono stati invece assolti per non aver
commesso il fatto gli ex funzionari Giancarlo Zeni e Leopoldo
Conforti, e, perché il fatto non costituisce reato, Gennaro Tocci, già
responsabile del settore Acquisti e gestione asset flotta.
Agli imputati erano contestati, a
seconda delle posizioni, i reati di bancarotta sia per distrazione sia
per dissipazione per il periodo compreso tra il 2001 e il 2007. Tra
le altre operazioni “scellerate” finite nel mirino dei pm c’è anche l’acquisto
di Volare a un prezzo definito dalla procura “incongruo e
irragionevole”: la compagnia fu pagata 38 milioni di euro, 9 milioni in
più rispetto all’offerta di AirOne. “Ancora oggi paghiamo per gli
sperperi in Alitalia: paghiamo una tassa come cittadini e come
passeggeri. Per il pm, in quegli anni Alitalia “non è mai stata sottoposta a
controlli, ha scelto manager sulla base di rapporti privatistici e privati,
ha portato avanti scelte aziendali che non erano sindacabili e ha attratto
obbligazionisti ed azionisti senza dir loro che entravano in un carrozzone burocratico”.
Con “effetti perniciosi per
l’economia del Paese”.
Come è noto nel 2008 il governo
Berlusconi, dopo aver bocciato l’offerta di acquisto presentata da Air
France-Klm, ha deciso di far fallire la vecchia Alitalia e
trasferire alla Cai dei “capitani coraggiosi” la parte sana della
compagnia. Durante la campagna elettorale terminata nell’aprile 2008 con
la vittoria della coalizione di centrodestra, in nome dell’italianità
Berlusconi aveva promesso che avrebbe rotto le trattative con il gruppo
d’Oltralpe portate avanti fino a quel momento dall’esecutivo di Romano
Prodi.
Di lì la messa a punto del Piano
Fenice, che prevedeva la costituzione da parte di una cordata
di 16 investitori italiani guidati da Roberto Colaninno di una
nuova società con dentro gli aerei, le licenze, le rotte e la AirOne.
Mentre la “bad company”
carica di debiti ed esuberi finì in amministrazione straordinaria scaricando
sui contribuenti tutti gli oneri. ilFattoQuotidiano.28
settembre 2015.
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