1. Gli standard.
Gli
standard in materia di distanze fra i fabbricati venivano fissati
successivamente dall’art. 9, d. m. 2 aprile 1968, n. 1444, che attuava le
disposizioni impartite dall’art. 17, l. 765/1967.
La
disciplina normativa contenuta nell'art. 9, 2° co., d.m. 2 aprile 1968, n.
1444, mira ad evitare essenzialmente la creazione di intercapedini in grado di
impedire la libera circolazione dell'aria, produttive di insalubrità oltreché
riduttive di luminosità, e, pertanto, non autorizzabili per motivi igienico -
sanitari.
Le
distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono
stabilite come segue:
1)
Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali
ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a
quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener
conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico,
artistico o ambientale;
2)
Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza
minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
3)
Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la
distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si applica
anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino
per uno sviluppo superiore a ml. 12.
Le
distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte strade destinate
al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al
servizio di singoli edifici o di insediamenti) - debbono corrispondere alla
larghezza della sede stradale maggiorata di:
ml.
5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;
ml.
7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
ml.
10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15.
Qualora
le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori
all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a
raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze
inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici
che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate
con previsioni planovolumetriche
(art.
9, d. m. 2 aprile 1968).
La
norma consente il mantenimento delle distanze preesistenti per le operazioni di
risanamento conservativo riguardanti gli interventi sui volumi edificati in
precedenza.
La
distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate dei fabbricati che i
comuni devono osservare, ai sensi dell'art. 9, punto n. 1, d.m. 2 aprile 1968,
n. 1444, nella formazione degli strumenti urbanistici, non riguarda il centro
storico (zona A), ove pertanto i distacchi possono essere diversi e minori
(Cass.
civ., sez. II, 3 febbraio 1999, n. 879, GCM, 1999, 235).
Gli
edifici nuovi, anche nelle zone di carattere storico, devono ugualmente
rispettare le imposizioni delle nuove distanze, che non possono essere
inferiori ai dieci metri.
La
distanza minima di dieci metri tra edifici, ex art. 9, d.m. 2 aprile
1968, si applica alla realizzazione di nuovi edifici anche in zona omogenea
"A" e può essere derogata soltanto nelle operazioni di risanamento
conservativo e nelle ristrutturazioni
(Cons.
Stato, sez. V, 19 marzo 1999, n. 280, FA, 1999, 701).
Il
d.m. n. 1444 del 1968 pone all'art. 9, 2° co., una prescrizione tassativa ed
inderogabile, e cioè che negli edifici ricadenti in zone territoriali diverse
dalla zona "A" debba essere rispettata in tutti i casi una distanza
minima di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti,
indipendentemente dalla circostanza che una sola delle pareti fronteggiantesi
sia finestrata e a prescindere dal fatto che tale parete sia quella del nuovo
edificio o dell'edificio preesistente o che si trovi alla medesima o a diversa
altezza rispetto all'altra.
La
norma di un p.r.g. che, in attuazione dell'art. 9, d.m. 2 aprile 1968, n. 1444,
prescrive la distanza minima di dieci metri tra pareti finestrate di fabbricati
fronteggiantisi, deve esser osservata anche se soltanto su uno di essi sono
aperte le finestre, mentre quello di fronte ha una parete cieca, perché detta
norma è volta a stabilire, nell'interesse pubblico, un'idonea intercapedine tra
edifici, e non a salvaguardare l'interesse privato del frontista alla
riservatezza
(Cass.
civ., sez. II, 9 marzo 1999, n. 1984, GCM, 1999, 521. Cass. civ., sez.
II, 9 marzo 1999, n. 1984, GCM, 1999, 521. Cass. civ. sez. II, 3 agosto
1999, n. 8383, GCM, 1999, 1770. Cass. civ., sez. un., 18 febbraio 1997,
n. 1486, GCM, 1997, 267).
La
giurisprudenza ha ravvisato la necessità di rispettare tale requisito anche per
qualsiasi apertura, realizzata ad esempio con una vetrata, che possa essere
destinata ad arieggiare.
L'art.
94, lett. c), del programma di fabbricazione del comune di Barisardo prescrive
la distanza minima assoluta di m. 8 tra le pareti finestrate di diversi
edifici.
Deve
conseguentemente ritenersi che violi siffatta prescrizione la facciata di un
edificio situata al di sotto di tale distanza e caratterizzata da una vetrata
con apertura finalizzata al passaggio di luce e aria che, quindi, ha le
caratteristiche tecniche di un tipo di finestra, ex art. 900 c.c.
(Cons.
Stato, sez. V, 20 aprile 1991, n. 618, FA, 1991, 1137).
La
norma ha efficacia solo per le costruzioni e non per altri manufatti
confinanti, come ad esempio un portico.
L'art.
22, 3° co., del regolamento edilizio del comune di Riposto, il quale ha
recepito la disposizione dell'art. 9, 1° co., n. 2), d.m. 2 aprile 1968, n.
1444, stabilendo una distanza minima di 10 metri da osservarsi per gli edifici
di nuova costruzione dalle pareti finestrate degli edifici antistanti, non è
applicabile per analogia alla diversa situazione di un portico aperto
fronteggiante l'edificio in costruzione.
(Cons.
giust. amm. Sicilia, sez. giurisd., 13 ottobre 1999, n. 450, CS, 1999,
I, 1758).
La
disciplina normativa contenuta nell'art. 9, 2° co., d.m. 2 aprile 1968, n. 1444
è applicabile anche in caso di sopraelevazione (Cons. Stato, sez. V, 19 ottobre
1999, n. 1565, CS, 1999, I, 1627).
La
normativa in materia di distanze è tassativa; le eccezioni al principio
dell’obbligatorietà delle distanze minime sono previste solo nel caso di
interventi soggetti a pianificazione esecutiva.
L'art.
9, 3° co., d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, che consente una deroga alle distanze
previste dai precedenti commi per gli edifici facenti parte di una
lottizzazione convenzionata, può trovare applicazione solo relativamente alle distanze
tra costruzioni entrambe facenti parte della lottizzazione
(Cass.
civ., Sez. U., 18 febbraio 1997, n. 1486, GCM, 1997, 267).
Le
norme sancite dall'art. 9, d.m. 2 aprile 1968, fissano le distanze minime da
tenere fra le costruzioni e non impediscono l’applicazione di misure superiori
da parte degli strumenti urbanistici comunali.
Il
d.m. 2 aprile 1968 non preclude ai comuni, nella formazione dei piani
regolatori generali e dei regolamenti edilizi, la possibilità di rendere più
gravosa l'attività costruttiva, in base alle proprie valutazioni degli
interessi pubblici da tutelare, prescrivendo un distacco fra edifici che si
fronteggino maggiore di quello minimo imposto dal legislatore o imponendo
obbligo di osservare sia il distacco minimo inderogabile che una distanza
minima dal confine
(Cass.
civ., sez. II, 4 febbraio 1998, n. 1132, GCM, 1998, 236).
2. L’applicabilità della disciplina ai privati.
Le
disposizioni del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, riguardano i comuni e non sono
immediatamente precettive per i privati, che possono chiedere l’applicazione
delle norme civilistiche.
Conformemente
al principio della prevenzione temporale, stabilito dall'art. 875 c.c., colui
che costruisce per primo, se il suo fondo è situato in un comune sprovvisto di
strumenti urbanistici, sceglie la distanza alla quale il vicino che costruirà
dopo deve adeguarsi, perché si applica l'art. 873, c.c.,
e
non gli artt. 17, l. 6 agosto 1967, n. 765, e 9, d.m. 2 aprile 1968, n. 1444,
norme programmatiche, vincolanti per i comuni nella formazione degli strumenti
urbanistici che devono adottare, non per i privati
(Cass.
civ., sez. II, 5 maggio 1998, n. 4517, GCM, 1998, 934).
Il
d.m. 2 aprile 1968, n. 1444 - che all'art. 9 prescrive in tutti i casi la
distanza minima assoluta di metri dieci tra pareti finestrate e pareti di
edifici antistanti - impone determinati limiti edilizi ai comuni nella
formazione o revisione degli strumenti urbanistici, ma non è immediatamente
operante anche nei rapporti fra i privati
(Cass.
civ., sez. un., 1 luglio 1997, n. 5889, GI, 1998, 423. Conf. Cass. civ.,
sez. II, 4 dicembre 1998, n. 12292, GC, 1997, I, 2075, osser.
Annunziata).
Il
d.m. 2 aprile 1968, con lo stabilire all'art. 9, 1° co., n. 2), il distacco di
metri 10 tra fabbricati con pareti finestrate, vincola i comuni tenuti ad
adeguarsi a tale norma nell'approvazione dei nuovi strumenti urbanistici o
nella revisione di quelli esistenti.
Esso
è immediatamente operante nei confronti dei proprietari frontisti solo qualora
vi sia un generico riferimento, da parte del regolamento edilizio, a detta
fonte normativa.
Un
regolamento edilizio che rinvia, per la disciplina delle distanze tra
costruzioni, a tutte le disposizioni vigenti in materia, determina
l'applicabilità dell'art. 9, d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, se emanato
successivamente a tale norma, imponendo quindi l'obbligo della distanza di
dieci metri tra pareti finestrate, perché, pur non essendo operante tale norma
immediatamente tra privati, obbliga inderogabilmente i comuni ad emanare
regolamenti ad essa conformi.
In
difetto di recepimento le disposizioni di regolamento sono disapplicabili ai
sensi dell'art. 5, l. 20 marzo 1865, n. 2248, all. e), poiché è una norma
emanata in attuazione della delega contenuta nell’art. 17, l. 6 agosto 1967, n.
765
(Cass.
civ., sez. II, 29 gennaio 1999, n. 811, GCM, 1999, 204. Cass. civ., sez.
II, 13 aprile 1999, n. 3624, GCM, 1999, 834).
L’interpretazione
giurisprudenziale giunge ad indicare la necessità di una applicazione
automatica delle disposizioni minime in tema di distanze, fissate dall'art. 9,
d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, di modo che la disposizione diventa immediatamente
applicabile anche ai privati senza un recepimento preventivo da parte degli
strumenti urbanistici comunali.
Il
d.m. 2 aprile 1968, emanato in base all'art. 41 quinquies, l. urbanistica 17
agosto 1942, n. 1150, nel testo modificato dall'art. 17 legge ponte 6 agosto
1967, n. 765, con lo stabilire all'art. 9, 1° co., n. 2), il distacco di metri
10 tra fabbricati con pareti finestrate, vincola non solo i comuni tenuti ad
adeguarsi a tale norma nell'approvazione dei nuovi strumenti urbanistici o
nella revisione di quelli esistenti, ma è immediatamente operante nei confronti
dei proprietari frontisti
(Cass.
civ., sez. II, 13 aprile 1999, n. 3624, GCM, 1999, 834).
In
tema di distanze tra costruzioni, il principio secondo il quale la norma di cui
all'art. 9, d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, che fissa in dieci metri la distanza
minima assoluta tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti, imponendo
limiti edilizi ai comuni nella formazione di strumenti urbanistici, non è
immediatamente operante nei rapporti tra privati, va interpretato nel senso che
la adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti
con la norma citata comporta l'obbligo, per il giudice di merito, non solo di
disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare direttamente la
disposizione del ricordato art. 9, divenuta, per inserzione automatica, parte
integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima
disapplicata
(Cass.
civ., sez. II, 14 gennaio 1999, n. 314, GCM, 1999, 71).
Tutte
le concessioni edilizie che consentono costruzioni che non rispettano tale
disciplina sono illegittime e danno possibilità al confinante di agire in sede
giudiziaria per la demolizione o per il risarcimento del danno arrecato.
Il
proprietario di un fabbricato esistente in zona di p.r.g., in cui è applicabile
la disciplina prevista dall'art. 9, d.m. 2 aprile 1968, che prescrive la
distanza non inferiore a dieci metri tra pareti finestrate ed edifici
antistanti - costruisce illegittimamente un manufatto finestrato, posto a
distanza di meno di dieci metri dal muro divisorio con il contiguo fabbricato
perché in tal modo costringe il vicino a non costruire né in aderenza o
appoggio al nuovo manufatto, stante il predetto divieto posto dall'art. 9, né a
distanza minore di dieci metri, se volesse a sua volta realizzare una parete
finestrata
(Cass.
civ., sez. II, 23 novembre 1999, n. 12975, GCM, 1999, 2328).
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