La
legge ponte fissava successivamente limiti più restrittivi nei Comuni
sprovvisti di piano regolatore generale.
1.
Nei Comuni sprovvisti di piano regolatore generale o di programma di
fabbricazione, la edificazione a scopo residenziale è soggetta alle seguenti
limitazioni:
(omissis)
c)
l'altezza di ogni edificio non può essere superiore alla larghezza degli spazi
pubblici o privati su cui esso prospetta e la distanza dagli edifici vicini non
può essere inferiore all'altezza di ciascun fronte dell'edificio da costruire.
(omissis)
4.
Le limitazioni previste ai commi precedenti si applicano nei Comuni che hanno
adottato il piano regolatore generale o il programma di fabbricazione fino ad
un anno dalla data di presentazione al Ministero dei lavori pubblici. Qualora
il piano regolatore generale o il programma di fabbricazione sia restituito al
Comune, le limitazioni medesime si applicano fino ad un anno dalla data di
nuova trasmissione al Ministero dei lavori pubblici.
8.
In tutti i Comuni, ai fini della formazione di nuovi strumenti urbanistici o
della revisione di quelli esistenti, debbono essere osservati limiti
inderogabili di densità edilizia, di altezza, di distanza tra i fabbricati,
nonché rapporti massimi tra spazi destinati agli insediamenti residenziali e
produttivi e spazi pubblici o riservati alle attività collettive, a verde
pubblico o a parcheggi.
9.
I limiti e i rapporti previsti dal precedente comma sono definiti per zone
territoriali omogenee, con decreto del Ministro per i lavori pubblici di
concerto con quello per l'interno, sentito il Consiglio superiore dei lavori
pubblici. In sede di prima applicazione della presente legge, tale decreto
viene emanato entro sei mesi dall'entrata in vigore della medesima
(art. 41 quinquies,
l. 17 agosto 1942, n. 1150, agg. art. 17, l. 765/1967).
L’applicazione
delle norme stabilite dalla legge ponte è necessaria quando non sussista alcuna
norma di piano in materia di distanze, neppure di mero recepimento della
normativa del c.c.
L'art.
17, l. 6 agosto 1967, n. 765, è applicabile, per disciplinare le distanze tra
fabbricati, non soltanto allorché il comune in cui sono ubicati è sprovvisto di
regolamento edilizio, ma anche se questo non contenga alcuna disposizione in
merito.
Si
applica, invece, l'art. 873, c.c., soltanto se, in termini almeno generici,
tale norma sia da esso richiamata
(Cass.
civ., sez. II, 3 febbraio 1999, n. 886, Giur. it., 1999, 2025).
Se,
invece, sussistono norme regolamentari, anche vetuste, di recepimento della disciplina
civilistica delle distanze, esse rendono applicabile tale normativa.
Il
regolamento edilizio del comune di Formia del 9 febbraio 1938, all'art. 22, non
prevedeva, per le zone intensive, alle quali i nuclei abitati delle frazioni
erano equiparati, ex art. 48 dello stesso regolamento, alcuna distanza dai
confini per le costruzioni, consentendo la utilizzazione di tutta l'estensione
della proprietà, salvo i necessari spazi interni scoperti.
La
mancanza, nel predetto regolamento, di una deroga specifica all'art. 873, c.c.,
in tema di distanze legali tra le costruzioni, rendeva applicabile quest'ultima
disposizione
(Cass.
civ., sez. II, 29 marzo 1999, n. 2979, GCM, 1999, 701).
La
giurisprudenza ha ritenuto che le norme della legge ponte siano applicabili
solo in rapporto ad altri edifici e non per disciplinare l’attività edilizia da
svolgersi nell’ambito dell’immobile oggetto di intervento.
Le
limitazioni stabilite dall'art. 17, l. 6 agosto 1967, n. 765, nella
edificazione a scopo residenziale trovano applicazione tra edifici autonomi
vicini, latistanti e frontistanti, ma non riguardano le costruzioni eseguite
nell'ambito dello stesso edificio.
Nella
specie, si trattava di costruzione in edificio condominiale; in alternativa
alla ordinata demolizione in primo grado, è stato disposto che la costruzione contra
legem sia resa conforme alla legge antisismica vigente
(App.
Napoli, 8 giugno 1999, GC, 1999, I, 2495).
I
limiti imposti dalla legge ponte sono da considerarsi in vigore fino al
recepimento, da parte degli strumenti urbanistici, delle norme sugli standard
di cui al d.m. 2 aprile 1968.
Le
norme sugli standard urbanistici ed edilizi poste dal d.m. 2 aprile 1968, hanno
carattere programmatico nel senso che costituiscono solo ed esclusivamente
direttive che i comuni devono rispettare al momento della formazione dei nuovi
strumenti urbanistici o della revisione di quelli esistenti, pertanto gli
indici di fabbricabilità ivi previsti, per poter essere applicati con forza
imperativa nei singoli casi specifici, devono essere preventivamente recepiti
negli strumenti urbanistici di ciascun comune.
Ne
consegue che la distanza minima tra fabbricati che va rispettata dai privati
nell'eseguire costruzioni, nel territorio dei comuni non aventi ancora un p.r.g.,
non è quella fissata dall'art. 9, d.m. 2 aprile 1968, bensì quella prevista nel
comma 1, lett. c, dell'art. 41 quinquies, l. 17 agosto 1942 n. 1150.
(Cass.
civ., sez. II, 13 febbraio 1996, n. 1086, GI, 1997, I, 1, 214).
Le
norme di piano entrano in vigore a partire dalla data di pubblicazione del
decreto di approvazione del piano stesso da parte del presidente della giunta
regionale.
Il
piano regolatore generale ha natura di atto complesso, risultando dal concorso
delle volontà del Comune e della Regione - succeduta allo Stato ai sensi
dell'art. 1, lett. a), d.p.r. 15 gennaio 1972, n. 8 - sì che l'efficacia
normativa del piano regolatore e delle prescrizioni in esso contenute ha inizio
non già dalla data di approvazione di esso da parte del consiglio comunale, ma
da quello della pubblicazione del decreto di approvazione del presidente della
giunta regionale.
Ne
consegue che prima di tale momento la disciplina applicabile in materia di
distanze fra le costruzioni è quella del codice civile.
(Cass.
civ., sez. II, 19 marzo 1991, n. 2927, GCM, 1991).
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