“A Venezia guadagni subito il
paradiso per quanti miscredenti ci sono qua. Metti una bomba a Rialto“. È
in una intercettazione che investigatori hanno individuato l’intenzione di
quattro cittadini kosovari di portare a termine un attentato nel capoluogo
veneto e colpire uno dei luoghi simbolo della città lagunare conosciuto in
tutto il mondo.“
Nell’ambito dell’operazione
antiterrorismo sono anche state eseguite dodici perquisizioni: dieci nel centro
storico, una a Mestre e una a Treviso. La Nuova
Venezia scrive che i quattro arrestati hanno tutti meno di trent’anni e
che due di loro lavoravano come camerieri. I tre kosovari arrestati sono Fisnik
Bekaj, Dake Haziraj e Arjan Babaj. Il gruppo, hanno spiegato gli investigatori,
era particolarmente ispirato nell’ultimo periodo dall’attentato terroristico
avvenuto all’esterno del Parlamento britannico. L’ipotesi di reato contestata è
di terrorismo in associazione, confermata dall’attività digitale con contatti
in tutto il mondo e dal materiale trovato nelle due abitazioni a disposizione
degli indagati. Durante le perquisizioni sono state trovate alcune pistole,
di cui si sta ora valutando l’effettiva efficienza. Il procuratore Adelchi
D’Ippolito ha puntualizzato che, comunque, l’elemento delle armi per gli
jihadisti è “del tutto secondario”, in quanto il modus operandi è
quello di procurarsi armi o esplosivo alla vigilia dell’azione programmata.
Il magistrato ha spiegato che gli
indagati si allenavano “per mantenere efficiente la forma fisica”. Gli indagati
guardavano e commentavano i video “promozionali dell’isis” nei quali venivano
spiegate le “tecniche di aggressione” come si uccide con coltelli e quali sono le
tecniche aggressione più efficaci e veloci. Ma anche video sulla costruzione di
bombe. In alcuni intercettazioni gli indagati si mostravano impazienti di
agire: “Non vedo l’ora di prestare giuramento ad Allah”.
Tutta l’indagine e l’attività di
intelligence sulla cellula è imperniata in abitazioni nel pieno centro della
città lagunare, nella zona di San Marco, dove – ha spiegato il procuratore
Adelchi d’Ippolito – gli arrestati incontravano simpatizzanti e pregavano.
Inneggiavano all’Isis, parlando di ideologia rivoluzionaria, e ipotizzando una
serie di attentati. L’indagine è partita nel 2016 quando uno degli indagati è
rientrato da un viaggio in Siria dove avrebbe combattuto nelle file di Isis.
Matteo Salvini ha scritto sulla
sua pagina Facebook. “Credo sia necessario blindare i confini del Paese,
sigillarli e controllare chi entra e chi esce perché domani potrebbe essere
troppo tardi”.Ilfattoquotidiano.30 marzo 2017.
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