1 La sospensione.
L’art.
21 quater, l. 7.8.1990, n. 241, intr. art. 14, l. 11.2.2005, n. 15, dispone
che i provvedimenti efficaci devono essere eseguiti immediatamente.
La
dottrina si chiede perché il legislatore non abbia deciso di codificare detto
obbligo, nei modi poc'anzi descritti, senza neppure prevedere un termine finale
spirato il quale il soggetto tenuto alla esecuzione possa essere considerato
inadempiente, e pertanto eventualmente responsabile dei
danni arrecati a chi avrebbe per ipotesi dovuto beneficiare dell'esecuzione
tempestiva; oppure un termine spirato il quale possa ritenersi integrato il
vizio di violazione dell'art. 21-quater l. 241/1990. (D'Angelosante M., L'azione amministrativa op cit, in Dir. amm., 2009, 3, 726).
La
norma disciplina, inoltre, il potere dell’amministrazione di sospendere il
provvedimento da essa emanato.
Per
esercitare tale potere l’amministrazione deve addurre gravi motivi e deve determinare
il tempo della sospensione.
La
nuova disciplina dispone che l’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento
amministrativo può essere sospesa per gravi ragioni e per il tempo strettamente
necessario dallo stesso organo che lo ha emanato o da altro organo previsto per
legge.
Il
termine per la sospensione deve essere espressamente indicato nel
provvedimento.
Per la giurisprudenza l'efficacia di un
provvedimento non può essere sospesa se non per gravi ragioni e per il tempo
strettamente necessario, con esplicita indicazione del termine della
sospensione nell'atto che la dispone; è da considerarsi illegittima la sospensione del lavori
effettuati in base ad un titolo edilizio efficace, senza alcun termine di
durata e senza indicare le "gravi ragioni" della stessa. (T.A.R. Lombardia Milano, sez. II, 26.1.2010, n. 177).
La giurisprudenza ha individuato in un
procedimento concorsuale le gravi ragioni nel blocco delle assunzioni disposto
dal d.l. 10 .11.2008, n. 180, conv. nella l. 9.1.2009, n. 1, o, quantomeno,
nell'esigenza di verificarne la portata. (T.A.R. Toscana Firenze, sez. I, 9.7. 2009, n. 1214).
Il
nuovo termine può essere prorogato o differito per una sola volta ovvero
ridotto per sopravvenute esigenze.
I
caratteri costitutivi del provvedimento – le gravi ragioni ed il tempo di
sospensione – sono suscettibili di verifica giurisdizionale sia sotto il
profilo dell’eccesso di potere sia sotto il profilo della congruità e della
ragionevolezza.
La
normativa pone fine al contrasto giurisprudenziale finora esistente.
Un
indirizzo giurisprudenziale, precedente alla entrata in vigore della l.
15/2005, ha riconosciuto all’amministrazione il potere di sospendere i propri
atti.
Altra
giurisprudenza nega, invece, il potere di sospensione che non trovi supporto in
una disposizione normativa. Essa ha affermato che è illegittimo, perché
contrastante con il principio di tipicità degli atti amministrativi, il
provvedimento con cui il sindaco dispone la sospensione cautelativa
dell'efficacia di una concessione edilizia, motivandolo con riferimento al
fatto che nei confronti dei componenti della commissione edilizia sono stati
emessi provvedimenti restrittivi della libertà personale, con l'accusa di
interesse privato in atti di ufficio, per avere rilasciato un notevole numero
di concessioni di dubbia legittimità.
L'istituto
della sospensione dell'efficacia della concessione o dell'autorizzazione
edilizia, a suo tempo regolarmente rilasciata, non è contemplato da alcuna
disposizione della vigente disciplina urbanistico edilizia; il titolo
edificatorio, una volta rilasciato, può essere dalla p.a. soltanto annullato in
sede di autotutela (T.A.R. Campania Napoli, sez. III, 15.7.2004, n. 10305).
2 La revoca.
La
revoca si inquadra nel potere di autotutela. Il provvedimento trova la sua diversa ratio
nel potere generale dell’amministrazione di rivedere i suoi atti per motivi di
merito (Gotti P., Osservazioni
in tema di revoca degli atti amministrativi dopo le leggi n. 15/2005 e n.
40/2007, in Dir. amm. 2009, 3, 691).
Tale
potere, che consente all’amministrazione di porre nel nulla con efficacia ex
nunc i suoi atti, residuo di quello assoluto del sovrano, è temperato dalla
necessità di motivazione e trova limite nelle posizioni giuridiche acquisite
dai destinatati dell’atto che si intende revocare.
La
norma afferma che, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse o nel caso di
mutamento della situazione di fatto o di nuova valutazione del provvedimento
amministrativo, l’atto può essere revocato da parte dell'organo che lo ha
emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. La revoca determina la
inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti. Se la
revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati,
l'amministrazione ha l'obbligo di provvedere al loro indennizzo, ex art. 21 quinquies, l.
7.8.1990, n. 241, mod. art. , all.4, d.lgs.104/2010.
Per la giurisprudenza tre sono i
presupposti che in via alternativa legittimano l'adozione di un provvedimento
di revoca da parte dell'Autorità emanante: sopravvenuti motivi di pubblico
interesse, mutamento della situazione di fatto e nuova valutazione
dell'interesse pubblico originario.
Segue da ciò che la revoca di provvedimenti
amministrativi è da ritenersi ammissibile non solo in base a sopravvenienze, ma
anche per una nuova valutazione dell'interesse pubblico originario (c.d. jus poenitendi). (Cons. Stato , sez. V, 21.4.2010, n. 2244).
La
norma non contempla la necessità che l’amministrazione valuti e motivi il
provvedimento in rapporto all’avvenuto consolidamento delle posizioni dei
soggetti passivi come è invece richiesto finora dalla giurisprudenza
prevalente.
Solo
ove vi sia consolidamento degli effetti prodotti, il soggetto interessato può
pretendere che l'amministrazione sia tenuta ad indicare i motivi di interesse
pubblico a giustificazione degli atti di ritiro, essendo in tal caso la stessa
tenuta ad accertare, in aggiunta al riscontro dei vizi di legittimità, se
sussiste o meno un concreto pregiudizio di tale interesse, comparativamente con
quello del privato (Cons. St., sez. IV, 29.10.2001, n. 5630).
In
particolare si richiede che l’interesse pubblico alla revoca sia valutato in
rapporto al tempo trascorso dall’emanazione del provvedimento.
La
p.a. ha la facoltà di procedere al ritiro dei propri atti ad efficacia
provvisoria, riconosciuti illegittimi senza indicare le ragioni di pubblico
interesse atte a giustificare il ritiro stesso; tuttavia, la deroga all'obbligo
di motivazione trova un limite di estensione nel consolidamento dei vantaggi
conseguiti dal privato, talché anche nell'ipotesi del ritiro assume rilevanza il
tempo trascorso tra il conseguimento del beneficio e l'eliminazione dell'atto
che lo aveva attribuito. Si tratta di fattispecie in tema di inquadramento
provvisorio di personale (Cons.Giust.Amm. Sicilia, sez. giurisd., 20.12.2000,
n. 496).
La
dottrina ritiene che detta pregiudiziale sia da ritenersi tuttora operante.
Detta
omissione del legislatore pone il problema di stabilire se il sistema sia oggi
ricostruibile nel senso che una diversa valutazione di opportunità
amministrativa sia idonea ad incidere legittimamente su di un diritto
soggettivo.
Non
pare che l’argomento a contrario possa essere dirimente dato che il legislatore
ha operato un recepimento molto parziale di una secolare elaborazione
giurisprudenziale che non può significare ripudio di quanto non recepito.
Sembra
pertanto ragionevole mantenere la posizione tradizionale in quanto la stessa è
solidamente fondata sui principi generali (Caruso L. M., Potere di autotutela, principio
di affidamento e discrezionalità della pubblica amministrazione, Nota a : T.A.R.
Trento Trentino Alto Adige, 16 Dicembre 2009, n. 305, in Giur. Merito, 2010, 5,
1408).
2.1 L’indennizzo.
Sul
problema della quantificazione dell'indennizzo la l. 15/2005 tace
completamente.
La
nuova previsione sembra riproporre, cioè, la nota figura del ristoro monetario
non simbolico da atto legittimo, già sperimentata con riguardo al recesso dagli
accordi, sennonché mancano - allo stato - nella legislazione vigente parametri
certi ai quali ancorare l'indennizzo; l'unico parametro plausibile è quello
negativo, nel senso che l'indennizzo non può coprire l'intera area del
danno (danno emergente e lucro cessante)
(Gotti P., Osservazioni
in tema di revoca op. cit.,
in Dir. amm. 2009, 3, 697).
L'art. 21-quinquies , 1-bis, co.,
l. 241/1990. mod. art. 12,
comma 1-bis, d.l. 2.6. 2008, n. 112, conv. l. 6 .8.2008, n. 133,
dispone che ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o
istantanea incida su rapporti negoziali, l'indennizzo liquidato dall'amministrazione
agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia
dell'eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della
contrarietà dell'atto amministrativo oggetto di revoca all'interesse pubblico,
sia dell'eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all'erronea
valutazione della compatibilità di tale atto con l'interesse pubblico.
La
disposizione in esame parametra l’indennizzo al solo danno emergente escludendo
il lucro cessante. La norma specifica che l’indennizzo deve essere quantificato
tenendo conto dell’affidamento che il privato ha riposto sull’atto revocato.
L’indennizzo
deve essere determinato valutando la possibile conoscenza da parte del soggetto
privato destinatario del provvedimento del fatto che l’atto amministrativo sia
contrario all’interesse pubblico.
Detta
conoscibilità ridimensiona l’affidamento del privato sull’atto e quindi
giustifica la diminuzione del risarcimento.
Resta
però il problema di come provare che il privato conosceva tale contrarietà.
Il
destinatario non deve avere concorso a formare un eventuale erroneo
convincimento da parte dell’amministrazione di realizzare coll’emanazione del
provvedimento un interesse pubblico.
La
dottrina rileva che la norma non accenna alla rilevanza che acquista nella
pratica il tempo trascorso dall’emanazione dell’atto revocato per determinare
la decurtazione del risarcimento e la cui mancata considerazione porta a
riconoscere un sommo potere alla pubblica amministrazione. (Giovagnoli R., I
criteri per la quantificazione dell’indennizzo in caso di revoca del
provvedimento: le novità del decreto Bersani, in Urb. App.,
2007, 401).
La giurisprudenza conferma che per sopravvenuti motivi di pubblico
interesse ovvero nel caso di mutamento della situazione di fatto o di nuova
valutazione dell'interesse pubblico originario, il provvedimento amministrativo
ad efficacia durevole possa essere revocato dall'organo che lo ha emanato
ovvero da altro organo previsto dalla legge.
La revoca determina l'inidoneità del provvedimento revocato a
produrre ulteriori effetti. Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l'Amministrazione ha
l'obbligo di provvedere al loro indennizzo. Per valutare la legittimità del
provvedimento di revoca, si deve esaminare se l'Amministrazione abbia
correttamente operato una valutazione delle circostanze sopravvenute e
dell'interesse pubblico. Nel caso di specie afferente all'aggiudicazione di
opera pubblica l'Anas è stata interessata da una forte riduzione dei
trasferimenti finanziari da parte dello Stato.
Il capo compartimento Anas disponeva la sospensione della
stipulazione di tutti i contratti in corso. Successivamente, la Direzione
generale dell'Anas riduceva le risorse destinate all'Ufficio per l'Autostrada
Salerno - Reggio Calabria.
Tale valutazione dei nuovi presupposti di fatto e dell'interesse
pubblico a non vincolare l'amministrazione con impegni di spesa non coperti, in
un momento di forte riduzione delle risorse finanziarie, non è stata ritenuta
illegittima. (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 9.3.2009,
n. 2372).
Il provvedimento di revoca deve essere adeguatamente motivato
quando incide su posizioni in precedenza acquisite dal privato, non solo con
riferimento ai motivi di interesse pubblico che giustificano il ritiro
dell'atto, ma anche in considerazione delle posizioni consolidate in capo al
privato e all'affidamento ingenerato nel destinatario dell'atto da revocare. (T.A.R. Sicilia Catania, sez. III, 4.12.2008,
n. 2279).
La giurisprudenza ha precisato che la revoca senza previsione dell’indennizzo non è
illegittima, poiché la mancata previsione dell’indennizzo in un provvedimento
di revoca, non ha efficacia viziante o invalidante di quest’ultima, ma
semplicemente legittima il privato ad azionare la pretesa patrimoniale innanzi
al giudice amministrativo che potrà scrutinarne i presupposti (Cons. Stato , sez. VI, 17.3.2010, n.
1554).
Sussiste la giurisdizione esclusiva del
giudice amministrativo in ordine alla domanda di indennizzo per revoca
dell'atto di aggiudicazione e dello stesso bando di gara; il giudice
amministrativo è, infatti, investito della riparazione patrimoniale del pregiudizio
cagionato dall'esercizio del potere amministrativo, sia attraverso un
provvedimento legittimo di revoca, sia attraverso la lesione di una situazione
soggettiva degradata con provvedimento poi caducato con effetti "ex tunc". (Cons. Stato , sez. VI, 17.3.10, n. 1554).
3 La decadenza.
A
differenza della revoca, che presuppone l’esercizio di una valutazione
discrezionale, la decadenza è la verifica compiuta da parte dell’amministrazione
della perdita di efficacia dell’atto per decorso del termine o per sopravvenute
situazioni di fatto o di diritto che comportano il riesame dell’atto
precedentemente emanato.
Nei casi di decadenza
l'inerzia del titolare della situazione giuridica soggettiva è sanzionata dal
legislatore con la perdita della
situazione giuridica soggettiva stessa; nella fattispecie del silenzio
l'inerzia dell'interessato non preclude, per espressa previsione di legge, la
possibilità di proporre nuovamente l'istanza laddove ne ricorrano i
presupposti. (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. III, 22.5.2009,
n. 955).
La
mancanza originaria dei requisiti per l'ammissione al finanziamento comporta la
decadenza dallo stesso con efficacia ex tunc e non la revoca senza
necessità di particolare motivazione attesa la sua natura di atto dovuto a
fronte dell'erogazione di somme di danaro non dovute (T.A.R. Puglia Bari, sez.
III, 20.4.2004, n. 1863).
La
giurisprudenza definisce soggetti a revoca obbligatoria i provvedimenti che
hanno più le caratteristiche della decadenza in quanto acclarano la mancanza ab
origine di requisiti richiesti dalla legge per l’emanazione dell'atto.
L'adozione
del provvedimento di revoca di una aggiudicazione provvisoria, in presenza di
un'informativa prefettizia antimafia sfavorevole, deve ritenersi provvedimento
assolutamente vincolato, con la conseguenza che non è dovuto l'invio della
comunicazione di avvio del procedimento nei confronti della società
destinataria (T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 27.9.2004, n. 12586).
4 Il recesso dai contratti.
La
norma precisa che l’istituto della revoca
non è estensibile alla materia di contratti con la pubblica amministrazione.
Le
disposizioni sul recesso della pubblica amministrazione non rientrano nella
materia dei provvedimenti, ma in quella contrattuale (Caruso G., Svolta per
le regole sull’invalidità formale, in Guida Dir., 2005, 78).
Il
recesso unilaterale nei contratti è ammesso solo nei casi previsti dalla legge
o dal contratto, come ad esempio nel caso di appalto di opere pubbliche, ex art. 21 sexies, l. 7.8.1990,
n. 241, intr. art. 14, l. 11.2.2005, n. 15.
L’esercizio
di dette facoltà è disciplinato pertanto dalla legge speciale. In tema di
appalto di opere pubbliche, una volta che l'accordo contrattuale sia da
considerarsi concluso in modo definitivo e definitivamente efficace, la scelta della
amministrazione committente di non eseguire l'opera come progettata, compiuta per
sopravvenuti motivi di opportunità, rientra nell'ambito del potere non pubblico
di revoca ma contrattuale di recesso - di cui all'art. 345, l. 20 .3. 1865, n. 2248. all. F. -
sicché la relativa controversia spetta alla giurisdizione del giudice
ordinario. (Cons. Stato , sez. V, 18 .9.
2008, n. 4455).
Perché possa ritenersi sussistente la fattispecie di cui all'art.
1337 c.c., relativa alla responsabilità precontrattuale da mancata conclusione
del contratto discendente dalla violazione dell'obbligo di comportarsi secondo
buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto,
devono rinvenirsi i due elementi: uno positivo, rappresentato dall'affidamento
senza colpa ingenerato nella controparte dal comportamento del soggetto
recedente; l'altro negativo, rappresentato dalla mancanza di una giusta causa.
In altri termini, il recesso dalle trattative
determina responsabilità precontrattuale quando le stesse sono interrotte in
assenza di una giusta causa, con lesione dell'affidamento creato nell'altro
contraente. (T.A.R. Calabria Catanzaro, sez. II, 9.6.2009,
n. 627).
Nessun commento:
Posta un commento