1
5 La nullità.
La
dottrina è stata divisa, fino all’entrata in vigore della l. 15/2005, sulle
regole da applicare al regime delle nullità del provvedimento amministrativo in
assenza di una disciplina specifica.
Per
taluni devono applicarsi le regole previste per il contratto, mentre altri, che
costituiscono l'indirizzo prevalente, affermano l’autonomia del diritto amministrativo
dalle norme privatistiche.
La
norma consacra l’esistenza della
categoria delle nullità del provvedimento amministrativo.
Essa
afferma che è nullo il provvedimento amministrativo che manca degli elementi
essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato
adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi
espressamente previsti dalla legge, ex
art. 21 septies, l. 7.8.1990, n. 241, intr. art. 14, l. 11.2.2005, n.
15.
Il
legislatore recepisce l’elaborazione giurisprudenziale in materia di nullità
dell’atto amministrativo codificando tra le cause di nullità la carenza di
potere in astratto e quella particolare ipotesi di carenza di potere in
concreto data dalla violazione o dalla elusione del giudicato (Susca A., Invalidità
e riesame nel disegno di riforma, in Caringella F. (a cura di) Corso di
diritto amministrativo, 2004,
1689).
Il
legislatore riconosce la categoria della nullità strutturale del provvedimento
amministrativo annoverando come causa di nullità la mancanza degli elementi
essenziali dell’atto.
Il
legislatore classifica come nullità ipotesi che sono classificate di norma come
inesistenza, nel senso che dette situazioni impediscono la stessa
classificazione dell’atto come provvedimento amministrativo.
Spesso
la differenza fra nullità ed irregolarità è demandata alle norme interne del
procedimento.
Il
verbale (o processo verbale) è un documento che dà conto di come si è svolta
una determinata attività in forme non scritte (per verba), per la cui
incombenza è incaricato un soggetto verbalizzatore, che assume la qualità di
soggetto che rende atti di certezza legale. Pertanto l'unico elemento
necessario per l'esistenza dell'atto è la sottoscrizione del soggetto che lo
forma, mentre la mancata sottoscrizione degli altri membri componenti la
commissione, anche se prevista da norme interne (a meno che non ne sia
espressamente sancita la nullità), determina soltanto una irregolarità e non
certo la illegittimità dell'atto (Cons. St., sez. IV, 4.5.2004, n. 2742).
1.1 La mancanza degli elementi essenziali.
La
prima causa di nullità è ravvisata nel difetto
assoluto di attribuzione, il quale rievoca la c.d. « carenza in astratto del
potere », cioè la mancanza in astratto della norma giuridica attributiva del
potere esercitato con il provvedimento amministrativo. (T.A.R. Sicilia Palermo, sez. III, 4 .11.
2009, n. 1730).
L’art.
21 septies, l. 7.8.1990, n. 241, introduce l’istituto della nullità
strutturale che, nell’ottica civilistica, comprende le ipotesi di
indeterminatezza, impossibilità ed illiceità del contenuto del provvedimento.
La giurisprudenza ha stabilito che - nel caso non
siano presenti una precisa indicazione normativa e gli elementi essenziali del
provvedimento amministrativo, la cui mancanza comporta la nullità dello stesso - è necessario
fare riferimento alle nozioni di derivazione civilistica. (Cons. Stato , sez. V, 19.9.2008, n. 4522).
Per
contro, la teoria finora dominante - definita autonomistica - ritiene che il
provvedimento amministrativo costituisca espressione dell’autonomia
dell’amministrazione e che, pertanto, ad esso non siano applicabili le
concezioni civiliste relative alla nullità; tale teoria riconduce i difetti
nell’alveo delle possibilità di un semplice annullamento del provvedimento al
fine di salvaguardare, attraverso il regime delle decadenze dalla relativa
azione, l’esistenza stessa dei provvedimenti (Caringella F., Corso di
diritto amministrativo , 2004, 1708).
La giurisprudenza ha precisato che la nullità delle
operazioni di voto può essere ravvisata solo quando, per la mancanza di elementi o
requisiti di legge, sia stato impedito il raggiungimento dello scopo al quale
l'atto è preordinato.
Non possono comportare l'annullamento
delle operazioni stesse i vizi dai quali non deriva alcun pregiudizio di
livello garantistico o alcuna compressione della libera espressione del voto,
con la conseguenza che sono irrilevanti le irregolarità che non abbiano
compromesso l'accertamento della reale volontà del corpo elettorale. (T.A.R. Puglia Bari, sez. III, 5 .2.2010, n. 251).
1.2 Il difetto di attribuzione.
La
seconda causa di nullità consiste nel difetto
di attribuzione. Esso si manifesta soprattutto nel vizio dell’incompetenza che
si realizza quando una amministrazione pubblica esercita un potere che spetta
ad altra amministrazione, ex art. 21 septies,
l. 7.8.1990, n. 241 (Susca A., Invalidità e riesame nel disegno di riforma,
in Caringella F. (a cura di) Corso di diritto amministrativo, 2004, 1714).
L’incompetenza
può essere relativa o assoluta.
L'incompetenza
è relativa quando il vizio discende dalle norme relative al riparto delle
funzioni nell’ambito della stessa amministrazione. Essa comporta
l’annullabilità dell’atto.
Così,
ad esempio, è viziato un provvedimento di demolizione di una costruzione
abusiva emanato dal sindaco invece che dal dirigente del servizio.
Diversamente
la fattispecie della incompetenza assoluta, che determina la nullità dell'atto
amministrativo, si verifica nei casi di espressa previsione della legge o
quando vi è una tale estraneità dell'organo che provvede al plesso
organizzativo cui compete l'adozione dell'atto in base alla ripartizione corretta
delle attribuzioni.
Si
pensi ad una espropriazione effettuata dal comune mentre la competenza per quel
procedimento spetta allo Stato. È principio consolidato secondo cui le autorità
che intervengono nel procedimento espropriativo, ancorché appartenenti a
diverse persone giuridiche pubbliche, fanno parte di un plesso unitario,
sicché, allorquando intervenga un organo diverso non si configura una
fattispecie di difetto di attribuzione o straripamento di potere o incompetenza
assoluta, unica a poter determinare la nullità dell'atto amministrativo e la
sua conseguente insanabilità (Cons. St., sez. IV, 11.7.2001, n. 3898).
Con riguardo alla mancanza della sottoscrizione
dell'atto per la giurisprudenza non si tratta, invero, di un vizio di
legittimità - vale a dire di ipotesi concernenti elementi essenziali,
che siano presenti ma, tuttavia, si rivelino difettosi o viziati -, ma di un
difetto radicale, dato dalla assoluta mancanza di un elemento essenziale, tale da
comportare la nullità dell'atto medesimo; per quanto concerne in particolare gli atti
amministrativi, la firma in calce al provvedimento è tanto più necessaria in
quanto occorre verificare se l'agente che lo ha sottoscritto sia dotato della
competenza ad emettere quel determinato tipo di atti o provvedimenti e, ancora
prima, se l'emissione di quella data categoria di atti rientri nella sfera di
attribuzione dell'organo o dell'ente; ne consegue che il provvedimento è
illegittimo e va annullato.
La fattispecie è relativa ad un diniego di
concessione in sanatoria privo di sottoscrizione. (T.A.R. Veneto Venezia, sez. II, 13 .11.2009, n. 2883).
Deve
ritenersi viziato non da nullità assoluta, ma da invalidità relativa per
incompetenza, che non ne inficia però l'efficacia di atto interruttivo della
prescrizione del diritto risarcitorio dell'amministrazione e della correlata
azione di responsabilità amministrativo-contabile, l'atto di diffida ad
adempiere con costituzione in mora del debitore, che, pur avendo natura di atto
di gestione, sia stato adottato dal sindaco e non da un dirigente comunale, in
violazione delle disposizioni di cui all'art. 51, l. 7.6.1990, n. 141, nel
testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art. 6, l. 15.5.1997, n. 127 (Corte
Conti, sez. II, 15.4.2002, n. 128/A).
L’incompetenza
relativa può essere sanata. La giurisprudenza ritiene che, in base ai principi
di conservazione degli atti ed economia dei giudizi, la competenza sopravvenuta
sia equiparabile alla convalida, quanto ad efficacia sanante (T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 21.2.2002, n. 30).
L'esercizio
del potere di ratifica spettante all'organo competente, che trae fondamento
dall'art. 6, l. 18.3.1968, n. 249, sana con efficacia retroattiva l'atto
viziato da incompetenza relativa, ancorché quest'ultimo sia oggetto di ricorso
giurisdizionale pendente (Cons. St., sez. VI, 19.2.2003, n. 932).
1.3 La violazione e l’elusione del giudicato.
La
terza causa di nullità consiste nel
fatto che il provvedimento sia stato adottato in violazione del
giudicato.
La
nozione di giudicato, ai fini dell'applicabilità dell'art. 21-septies l.
241/1990, è necessariamente da intendersi in senso tradizionale, come riferita
alle esclusive ipotesi in cui il giudice abbia emanato una sentenza non più
impugnabile, qualificata come tale dall'elemento della definitività, e non
invece alle ipotesi in cui il giudice abbia emanato una misura cautelare non
più impugnabile, connotata da un'intrinseca provvisorietà, in quanto
modificabile o revocabile. (Gaetani E., La nullità del provvedimento amministrativo per violazione o elusione del
cosiddetto giudicato cautelare, in Foro amm. TAR,
2008, 11, 3195).
La
giurisprudenza conferma tale impostazione. Nella fattispecie il ricorrente
aveva ottenuto in sede cautelare la sospensione dell'esecuzione dell'atto
impugnato e l'amministrazione aveva tuttavia successivamente adottato un
provvedimento contrastante con la decisione cautelare del giudice amministrativo.
Il
T.A.R ha assunto una chiara posizione sulla censura di nullità ai sensi
dell'art. 21-septies l. 241/1990.
Esso
ha evidenziato che l'ipotesi di
nullità del provvedimento amministrativo prevista dalla norma invocata attiene
alle ipotesi di contrasto del provvedimento con un giudicato. Ne consegue che
la norma stessa non vale a disciplinare le ipotesi in cui il provvedimento
contrasta con le statuizioni di un'ordinanza cautelare ancorché non più
soggetta a gravame.
La intrinseca provvisorietà delle misure cautelari,
che possono essere modificate e revocate, non consente di attribuire alle
stesse la definitività nella regolazione del rapporto proprie delle sentenze
passate in cosa giudicata. (T.A.R. Liguria, sez. II, 2.2.2007, n. 158).
Un
altro caso di nullità per carenza di potere si rinviene nel provvedimento in
contrasto con il dispositivo contenuto in una sentenza del giudice
amministrativo passata in giudicato, ex
art. 21 septies, l. 7.8.1990, n. 241.
La
giurisprudenza, per ravvisare detta fattispecie, richiede che l’amministrazione
ponga in essere la medesima attività ritenuta illegittima con la sentenza
passata in giudicato. Affinché ricorra il vizio di violazione o elusione del
giudicato - che comporta la radicale nullità dei provvedimenti che ne sono
affetti e che sono deducibili direttamente in sede di ottemperanza,
indipendentemente dalla loro impugnazione nel termine di decadenza - non è
sufficiente che la nuova azione amministrativa posta in essere
dall'amministrazione dopo la formazione del giudicato alteri l'assetto degli
interessi definito dalla pronunzia passata in giudicato.
E’
necessario che l'amministrazione eserciti nuovamente la medesima potestà
pubblica, già illegittimamente esercitata, in contrasto con il puntuale
contenuto precettivo del giudicato amministrativo, oppure cerchi di realizzare
il medesimo risultato con un'azione connotata da un manifesto sviamento di
potere, mediante l'esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa in
palese carenza dei presupposti che lo giustificano. Pertanto non è
prospettabile tale vizio qualora l'amministrazione incida sull'assetto di
interessi definito dal giudicato esercitando, per il fine suo proprio, un
potere diverso da quello già esercitato, utilizzando un nuovo istituto
giuridico ed al di fuori della figura del manifesto sviamento di potere (Cons.
St., sez. IV, 6.10.2003, n. 5820).
La
dottrina ritiene inutile la norma poiché la tutela in tal caso avviene
attraverso il giudizio di ottemperanza.
In
verità la norma appare superflua in quanto si limita ad esplicare quanto è già
ricavabile aliunde dal regime del giudizio di ottemperanza.
Infatti,
se è vero che il provvedimento che viola il giudicato è adottato in carenza di
potere, ne discende che la posizione soggettiva lesa conserva la sua originaria
consistenza di diritto soggettivo, giacché ove difetta il potere amministrativo
non può darsi degradazione del diritto a mero interesse legittimo. D’altra
parte nel nostro ordinamento l’elusione del giudicato del giudice
amministrativo è affidata al giudizio di ottemperanza
(Susca
A., Invalidità e riesame op. cit.,
2004, 1719).
Sul
punto la giurisprudenza è pacifica. Il ricorso per ottemperanza è ammissibile
in ogni caso, anche dopo l'adozione di atti esecutivi a contenuto
discrezionale, senza necessità di operare la tradizionale dicotomia concettuale
tra elusione ovvero violazione del giudicato, qualora il petitum sostanziale
del ricorso attenga all'oggetto proprio del giudizio d'ottemperanza.
Essa
mira a far valere non già la difformità dell'atto sopravvenuto rispetto alla
legge sostanziale (in tal caso occorrendo esperire l'ordinaria azione
d'annullamento), bensì la difformità specifica dell'atto stesso rispetto
all'obbligo (processuale) di attenersi esattamente all'accertamento contenuto
nella sentenza da eseguire (Cons. St., sez. VI, 10.2.2004, n. 501).
1.4 La giurisdizione amministrativa.
L’art. 133, n. 5, d.lgs. 104/2010, devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice
amministrativo le controversie in materia di
nullità del provvedimento amministrativo adottato in violazione o
elusione del giudicato.
Il
principio solleva varie perplessità nel tentativo di ricondurre ad unità la
ripartizione di giurisdizione fra giudice amministrativo e giudice ordinario
che si è determinata in giurisprudenza.
La
giurisprudenza precedente ha affermato che la giurisdizione si stabilisce in
dette fattispecie in relazione al fatto che la carenza di potere si verifichi
in astratto o in concreto.
La
carenza di potere in astratto si individua qualora l’azione amministrativa si
sviluppi in ragione di una carenza di un potere, realmente attribuito dalla
norma, di azione amministrativa.
Si ha
carenza di potere qualora l’amministrazione abbia agito non rispettando le
norme di azione amministrativa attraverso comportamenti che non rientrano nella
tipicità dei procedimenti amministrativi tassativamente disciplinati per legge.
In
tal caso la giurisdizione spetta al giudice ordinario. E’ pacifica la
giurisdizione amministrativa che ha affermato che la
doglianza con cui si censura l'occupazione
da parte dell'amministrazione di una superficie eccedente quella prevista dal
progetto di un'opera pubblica non si risolve in un vizio dell'attività
provvedimentale dell'amministrazione ma in un comportamento senza potere il
sindacato sul quale sfugge alla giurisdizione del giudice amministrativo per rientrare in quella del giudice ordinario. (T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 24.2.
2010, n. 168).
La
giurisprudenza ha precisato che nelle materie per le quali la legge non abbia
attribuito la giurisdizione ad un determinato ordine giurisdizionale, la
verifica della sussistenza del potere in capo alla autorità, quale criterio di
riparto della giurisdizione, va effettuata sia ricercando se l'ordinamento
attribuisca all'amministrazione il potere di emanare un certo tipo di atto sia
analizzando se l'atto emanato corrisponda al tipo consentito dalla legge, e
quindi in astratto, vale a dire mediante criteri che devono essere al più
possibile semplificati e che devono tener conto della portata della legge e
della natura del provvedimento.
Una
volta verificato che il potere è stato attribuito e che il provvedimento ne è
espressione, ogni eventuale violazione di regole dell'ordinamento costituisce
violazione di legge.
Al
contrario, la categoria della cosiddetta carenza in concreto del potere è priva
di fondamento logico e normativo, in quanto con essa si intende distinguere tra
violazioni più gravi e meno gravi, ritenendo che debba nel primo caso
sussistere la giurisdizione del giudice ordinario, ma ciò facendo senza
supporto normativo e rendendo incerti i criteri di riparto di giurisdizione, in
quanto si attribuisce la loro determinazione non già a precisi valori
considerati rilevanti dalla legge, bensì a valutazioni soggettive dell'interprete
(Cons. St., sez. IV, 30.11.1992, n. 990).
1.5 I termini per l’azione.
Il
legislatore non precisa la disciplina dei termini per l’impugnazione dell'atto
amministrativo nullo.
La
legge 241/1990 non precisa, però, la questione più importante che si pone al
riguardo e cioè a quale giudice ed eventualmente entro quali termini possa
richiedersi la pronuncia della canonizzata nullità (Caruso G., Svolta per le
regole sull’invalidità formale, in Guida Dir., 2005, 789).
La
dottrina civilistica delle nullità prevede che l’atto nullo possa essere sempre
soggetto ad impugnazione.
La
dottrina autonomistica che ritiene che l’atto amministrativo abbia proprie
peculiarità distingue fra atti che ledono diritti soggettivi e quelli che
invece colpiscono interessi legittimi (Susca A., Invalidità e riesame op.
cit., 2004, 1740).
Nel
caso di lesione di diritti soggettivi la nullità può essere fatta valere in
ogni tempo.
Se
invece la nullità incide su di un interesse legittimo vale la regola della
decadenza dell’impugnazione entro i termini dei sessanta giorni dalla
conoscenza dell’atto.
L’art. 31, d. lgs. 104/2010, dispone che
la
domanda volta all’accertamento delle nullità previste dalla legge si propone
entro il termine di decadenza di centottanta giorni. La nullità dell’atto può
sempre essere opposta dalla parte resistente o essere rilevata d’ufficio dal
giudice. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle nullità di
cui all’articolo 114, comma 4, lettera b), per le quali restano ferme le disposizioni
del Titolo I del Libro IV.
Nessun commento:
Posta un commento