Giulio Tremonti ci spiega che il
«Mundus furiosus» di oggi è il frutto di profondi processi e mutazioni
economiche, politiche, nei principi e nei valori. Mutazioni che ci riconsegnano
scenari così cambiati, che la fatica di riprendere le fila di un benessere che
appare a rischio in molti casi, perduto in altri, comunque non più garantito,
ci sembra un obiettivo quasi impossibile. Lo si sintetizza con locuzioni come
la scomparsa del ceto medio, parole come globalizzazione, migrazioni,
l’onnipresente «crisi». Dimenticando però che proprio le «crisi», normalmente,
si accompagnano a cambiamenti di paradigma tutti da rintracciare. E allora, c’è
bisogno del «pensiero non ortodosso» di persone come Giulio Tremonti per
riflettere, tentando di riordinare il puzzle confuso dell’attualità. Pensiero
che si ritrova in un libro (Mondadori), Mundus furiosus appunto,
dell’ex ministro, del professore esperto di diritto che ama le citazioni latine
e che pragmaticamente fa della storia colei che può aiutarci a collocarci nel
presente e a fare delle scelte. Scelte quanto condivisibili o meno, quelle
proposte dal senatore, va deciso dal lettore. Tenendo a mente che le
semplificazioni alle quali ci stiamo pian piano abituando possono forse
aiutarci nel decidere chi votare, ma non certo nel capire la complessità del
nuovo mondo.
Scorrendo le pagine del libro
sarà utile abbandonare il pregiudizio che spesso oggi, aiutati dalla rete, ci
fa preferire camminare nei sentieri conosciuti e comodi delle nostre
convinzioni, piuttosto che sui percorsi a volte disagevoli del dialogo con chi
la pensa diversamente. Il mondo è reso furente dalla velocità dei cambiamenti.
Era accaduto anche in passato. Ai tempi della scoperta delle Americhe.
È nel Cinquecento che l’Europa
inizia a chiamarsi così, furente, tra nuove frontiere, nuove religioni, nuovi
Stati che sorgono al posto dei feudi. Se è vero che difficilmente la storia si
ripete, il salto che fa Tremonti e che lo porta alla metà degli anni Novanta
del secolo scorso, non è affatto fuori luogo.
Volgendo lo sguardo indietro di
vent’anni, il mondo, l’Europa non sono più gli stessi. Tre codici erano
dominanti, racconta: quello «politico» (la democrazia occidentale), un codice
economico (il dollaro), un codice linguistico (l’inglese). Attorno a questi
ruotava il consenso dell’umanità. C’era un G7 nel quale si concentrava il
potere mondiale, non c’era la globalizzazione («che è entrata nell’Europa e non
viceversa»). Internet era cosa per militari, i computer aiutavano l’uomo e non
gli rubavano il lavoro, non c’era l’euro e la finanza faceva quello che doveva
e sapeva fare: potenziare l’economia reale.
Il referendum inglese, con il suo
portato di drammaticità reso evidente dalla morte di una deputata inglese
del Labour Party in un attentato, ci catapulta in maniera visiva e
violenta in questo mondo che nasceva da «un eccesso di speranza senza
prudenza». Se la globalizzazione probabilmente
non avrebbe potuto essere evitata, di sicuro «nell’interesse di tutti... tutto
avrebbe potuto e dovuto essere sviluppato in tempi più lunghi e più saggi».
La storia non si poteva fermare ma si è deciso di accelerare, scatenando forze
che è difficile controllare. Si materializza quel «fantasma della povertà» che
Tremonti aveva già delineato in un libro del 1995. «Il fantasma della povertà —
scriveva — sta tornando in Occidente. Evocata dal colonialismo, la povertà del
mondo ha lentamente cominciato a muoversi, da sud verso nord». Un movimento
«materiale e virtuale», con quest’ultimo che è di «gran lunga più potente di
quello meccanico». Sono quelle migrazioni che oggi paiono essere l’elemento che
scardina consuetudini, culture ed economie. E che provocano la messa in crisi
di costruzioni che solo qualche anno fa sembravano andare in un’unica
direzione: il consolidamento. Come l’Europa.
L’Europa che da «dinosauro si
trasforma in Leviatano. Che, più si fa grande, più si fa debole; più cresce e
si estende in dimensione fisica, più perde forza politica». Diventa capace di
normare e regolare ogni dettaglio della vita di ognuno di noi, dalle prese
elettriche ai termosifoni. Ma non riesce a uniformare le ferrovie. E questo per
l’avvento di una tecnocrazia capace di produrre, nel solo 2015, 30.952 pagine
di leggi raccolte nella Gazzetta Ufficiale europea. Arrivando ad avere «sopra,
potere senza responsabilità... sotto, “democrazia”, ma senza la voce dei
popoli». «Nel caso dell’Europa, Machiavelli non ha funzionato. Il mezzo è stato
ed è vastamente applicato, ma è il fine che non è stato e non è raggiunto».
Rimedi? Tremonti ne individua
pragmaticamente alcuni. Anche molto precisi. Come l’abrogazione del «bail-in»,
le nuove norme sul salvataggio delle banche. E altri più generali come
l’introduzione del «principio per cui tutto è libero tranne ciò che è vietato.
L’opposto di quello che c’è oggi in Europa».
Oppure «ritornare alla regola per
cui le banche che raccolgono il pubblico risparmio non lo possano più impiegare
in operazioni bancarie speculative».
Fino al principio di «Aiutiamoli
a casa loro» tramite il meccanismo della «De Tax». Vale a dire la rinuncia da
parte dei governi all’1 per cento di aliquota Iva sui beni acquistati.
L’incasso andrebbe a favore di Onlus, organizzazioni di carità attive in
Africa.
Disintermediando così politica e
governi.
Fino a quel progetto di
Confederazione per rilanciare su basi diverse l’Europa.
La trama di un tessuto che appare
andare al di là delle riflessioni e sembra comporre una sorta di manifesto per
un nuovo centrodestra?
Obiettivo ambizioso, ma
innegabilmente necessario in Europa, per tornare a connettere una politica che
è parsa delegare a economisti e tecnici gran parte delle scelte.
Per offrire ai cittadini la
possibilità di orientarsi tra valori di destra o sinistra, conservatori e
progressisti. Categorie forse antiche, troppo velocemente liquidate in tempi
nei quali si poteva solo crescere e mai arretrare, ma che invece restano tra le
poche ad avere il pregio di non perdere di vista le persone, l’uomo, le
comunità. Corriere.it.18 giugno 2016.
Nessun commento:
Posta un commento