Il dovere al mantenimento dei figli è sancito dall'art. 30
della Costituzione, dagli artt. 147 e ss. c.c. e, indirettamente, dall’art.
315 bis, comma 1, c.c. che impongono ad ambedue i genitori l'obbligo di
mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle inclinazioni e
delle aspirazioni dei figli, in proporzione alle rispettive sostanze e secondo
la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
Non vi è alcuna norma nell’ordinamento che preveda che tale
obbligo specifico dei genitori possa cessare con il raggiungimento della
maggiore età del figlio, e, fino a poco tempo fa, al contempo, non vi era
alcuna norma che espressamente prevedesse che il figlio dovesse essere
mantenuto, dai genitori, oltre la maggiore età.
ll’art. 106, D.Lgs.
28 dicembre 2013, n. 154 che ha, , introdotto l’art. 337 septies che
stabilisce “Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei
figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno
periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, e' versato
direttamente all'avente diritto…”.
Ad oggi quindi l’ordinamento stabilisce con gli artt. 147 e
315 bis che vi è un vero e proprio diritto di solidarietà che tutela
un interesse fondamentale dell’individuo a ricevere un aiuto concreto nel corso
della sua formazione e crescita, per ogni esigenza di vita e di formazione.
La scelta del Legislatore di individuare in capo al giudice
un potere discrezionale, da esercitare a seconda delle circostanze del caso
concreto, ha dato vita ad una giurisprudenza sul punto, tale da orientare le
decisioni.
Il mantenimento del figlio è un obbligo che i genitori hanno
in solido, e, nel loro rapporto interno, come recitano le norme di riferimento
richiamate, lo ripartiscono in proporzione alle proprie sostanze patrimoniali e
alla capacità lavorativa.
In base a quanto previsto dal legislatore, l'obbligo di
mantenimento del figlio maggiorenne, consiste sia nelle spese ordinarie sia in
quelle straordinarie e, in particolare, riguarda le spese concernenti
istruzione e formazione, in quanto, per la giurisprudenza, è proprio rispetto
al consolidamento da parte del figlio, di una posizione appagante a livello
professionale, in considerazione del proprio percorso di studi, che si
definisce il termine ultimo di corresponsione del mantenimento.
Il mantenimento quindi ha un contenuto ampio, tale da
ricomprendere, nello specifico, sia le spese ordinarie della vita quotidiana
(vitto, abbigliamento, ecc.) sia quelle relative all’istruzione e persino
quelle per lo svago e le vacanze.
La lettura combinata quindi degli artt. 30 Cost., 147,
315 bis e 337 septies c.c. porta a concludere che vi è un
obbligo di mantenimento dei figli che permane oltre la maggiore età e un
diritto del figlio ad essere mantenuto, fino a che, completata l’istruzione,
possa avere gli adeguati strumenti per realizzare la propria indipendenza
economica.
I limiti al mantenimento: l'indipendenza economica ed il completamento
del percorso di formazione professionale
Il raggiungimento della maggiore età dei figli non
rappresenta più il termine ultimo della corresponsione del mantenimento, ma
quest’ultimo è condizionato dal raggiungimento di un'autosufficienza economica
tale da provvedere autonomamente alle proprie esigenze di vita, in correlazione
al completamento di un fruttuoso percorso di studio.
Va richiamata, prima di tutto, sia per l’importanza della
pronuncia in sé sia perché è la più recente, nell’ambito delle decisioni di
merito, la statuizione della nona sezione del Tribunale di Milano, nella quale
viene disposto, per la prima volta, che con il superamento di una certa età,
"il figlio maggiorenne, anche se non indipendente, raggiunge comunque una
sua dimensione di vita autonoma che lo rende, semmai, meritevole dei diritti ex
art. 433 c.c. ma non può più essere trattato come 'figlio', bensì come adulto".
Ciò viene motivato sulla base del dovere di autoresponsabilità del
figlio maggiorenne che non può pretendere la protrazione dell'obbligo al
mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, perché "l'obbligo
dei genitori si giustifica nei limiti del perseguimento di un progetto
educativo e di un percorso di formazione" (Cass. n. 18076/2014; Cass.
SS.UU. n. 20448/2014). Tale obbligo, secondo la pronuncia del Tribunale di
Milano è, "in linea con le statistiche ufficiali, nazionali ed
europee" non può protrarsi dunque "oltre la soglia dei 34 anni",
età a partire dalla quale "lo stato di non occupazione del figlio
maggiorenne non - può - più essere considerato quale elemento ai fini del
mantenimento, dovendosi ritenere che, da quel momento in poi, il figlio stesso
possa, semmai, avanzare le pretese riconosciute all'adulto". Il
Tribunale fornisce anche alcuni spunti interessanti in merito alla valutazione
delle circostanze che giustificano la ricorrenza o il permanere dell'obbligo
dei genitori al mantenimento dei figli maggiorenni, asserendo che la
valutazione del giudice deve essere orientata in modo da “escludere che la
tutela della prole, sul piano giuridico, possa essere protratta oltre
ragionevoli limiti di tempo e di misura, al di là dei quali si risolverebbe,
com'è stato evidenziato in dottrina, in "forme di vero e proprio
parassitismo di ex giovani ai danni dei loro genitori sempre più anziani".
In relazione alle ultime pronunce della giurisprudenza di
legittimità, va invece richiamata una recente pronuncia della Cassazione, (Corte
di Cassazione, sezione VI, ordinanza 12 aprile 2016, n. 7168) in cui viene sancito
che l’obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento dei figli maggiorenni,
secondo le regole dettate dagli artt. 147 e 148 cod. civ., cessa a seguito del
raggiungimento, da parte di quest’ultimi, di una condizione di indipendenza
economica che si verifica con la percezione di un reddito corrispondente alla
professionalità acquisita ovvero quando il figlio, divenuto maggiorenne, è
stato posto nelle concrete condizioni per poter essere economicamente
autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per
sua scelta. Quindi la giurisprudenza concentra la propria attenzione sui limiti
del concetto di indipendenza del figlio maggiorenne, statuendo che non
qualsiasi impiego o reddito (come il lavoro precario, ad esempio) fa venir meno
l'obbligo del mantenimento (Cass. n. 18/2011), sebbene non sia necessario un
lavoro stabile, essendo sufficienti un reddito o il possesso di un patrimonio
tali da garantire un'autosufficienza economica (Cass.
n. 27377/2013). In particolare la giurisprudenza di merito ha avuto modo di
specificare che l'obbligo del genitore – separato e/o divorziato – di
concorrere al mantenimento del figlio maggiorenne può ritenersi estinto solo
esclusivamente a seguito del comprovato raggiungimento da parte del figlio
medesimo di un'effettiva e stabile indipendenza economica ovvero della sua
dimostrata colposa inerzia nell'attuazione o prosecuzione di un valido percorso
di formazione e/o studio. In particolare, il Tribunale di Savona ha osservato
che la percezione da parte del figlio di somme di denaro di modesta entità a
seguito dell'espletamento di attività lavorative saltuarie e/o "a
chiamata" non può integrare il presupposto dell'indipendenza economica,
atteso che gli emolumenti sono rimessi di fatto alla determinazione unilaterale
del datore di lavoro” (Tribunale Savona 27 gennaio 2016).
In relazione invece ai profili che riguardano l’acquisizione
di una professionalità del figlio ed una collocazione nel mondo del lavoro
adeguata alle sue aspirazioni, la giurisprudenza, ritiene pacifico, già da
tempo, che, affinché venga meno l'obbligo del mantenimento, lo status di
indipendenza economica del figlio può considerarsi raggiunto in presenza di un
impiego tale da consentirgli un reddito corrispondente alla sua professionalità
e un'appropriata collocazione nel contesto economico-sociale di riferimento,
adeguata alle sue attitudini ed aspirazioni (v. Cass. n. 4765/2002; n.
21773/2008; n. 14123/2011; n. 1773/2012). Correlativamente quindi, se il figlio
coltiva delle aspirazioni e voglia intraprendere un percorso di studi per il
raggiungimento di una migliore posizione e/o carriera, ciò non può non fa venir
meno il dovere al mantenimento da parte del genitore (Cass. n. 1779/2013). È
esclusa, invece, dalla Cassazione l'attribuzione del beneficio ricondotta a
"perdita di chance" perché la stessa travisa l'interpretazione
dell'istituto del mantenimento che è destinato a cessare una volta raggiunto
uno status di autosufficienza economica con la percezione di "un reddito
corrispondente alla professionalità acquisita in relazione alle normali e
concrete condizioni di mercato" (Cass.
n. 20137/2013).
Si ritiene opportuno, per completezza, fare un breve cenno
all’ipotesi in cui il figlio, ancora non autosufficiente economicamente,
contragga matrimonio.
In tale ipotesi l’obbligo di mantenimento da parte del
genitore non si interrompe in modo automatico, ma è sempre necessaria una
sentenza di revisione delle condizioni di separazione/divorzio rispetto a cui
il genitore ha l’onere di provare “che il figlio ha raggiunto l’indipendenza”,
oppure “che è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere
economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua
colpa o per sua (discutibile) scelta”. (Tribunale di Perugia, sentenza 27
luglio 2015).
Va dato conto, in ultimo, anche dell’ipotesi in cui, venute
meno le circostanze poste a presupposto del mantenimento del figlio
maggiorenne, a seguito del raggiungimento della piena autosufficienza economica
del figlio maggiorenne, si verifichi la sopravvenienza di circostanze ulteriori
che determinano l'effetto di renderlo momentaneamente privo di sostentamento
economico. In tale ipotesi, secondo la giurisprudenza consolidata, non può
risorgere l'obbligo "potendo sussistere al massimo, in capo ai genitori,
un obbligo alimentare" (Cass. n. 2171/2012; n. 5174/2012; n. 1585/2014).
Nell’analisi della tematica del mantenimento del figlio
maggiorenne va anche ricostruito il rilevante profilo che attiene alla
interruzione dell’obbligo di mantenimento quando ciò avvenga a causa di una
condotta del figlio stesso. Infatti, per indirizzo costante e unanime della
giurisprudenza e della dottrina, l'obbligo perdura sino a quando il mancato
raggiungimento dell'autosufficienza economica, non sia causato da negligenza o
non dipenda da fatto imputabile al figlio. Per cui, è configurabile l'esonero
dalla corresponsione dell'assegno, laddove, posto in concreto nelle condizioni
di raggiungere l'autonomia economica dai genitori, il figlio maggiorenne abbia
opposto rifiuto ingiustificato alle opportunità di lavoro offerte (Cass. n.
4765/2002; Cass. n. 1830/2011; Cass. n. 7970/2013), ovvero abbia dimostrato
colpevole inerzia prorogando il percorso di studi senza alcun rendimento (nella
fattispecie la Corte, con sentenza n. 1585/2014, ha escluso il diritto al
mantenimento del figlio ventottenne che aveva iniziato ad espletare attività
lavorativa, ancorché saltuaria, e non frequentava con profitto il corso di
laurea a cui risultava formalmente iscritto da più di otto anni).
Con l’introduzione dell’art. 155 quinquies c.c.
(L. n. 54/2006 c.d. Legge sull’affido condiviso), il Legislatore aveva previsto
che l’assegno di mantenimento in favore del figlio maggiorenne non
economicamente indipendente fosse versato direttamente all’avente diritto.
Sul punto, la Corte di Cassazione si era pronunciata più volte
chiarendo che il Giudice, laddove, sia stato richiesto il versamento diretto al
figlio maggiorenne non è tenuto per legge a concederlo; la decisione è sempre
affidata alla discrezionalità del Giudice e alla valutazione del caso concreto
(Cass. n. 20408, 2011). Inoltre, la giurisprudenza aveva anche statuito che la
madre potesse agire personalmente per ottenere il contributo al mantenimento
del figlio maggiorenne da parte dell’altro genitore, in quanto titolare di un
diritto proprio ad essere sostenuta economicamente nel mantenimento del figlio
non economicamente indipendente, con lei convivente nella casa familiare (Cass.
n. 19607/2011). Infine la Cassazione aveva stabilito che il Giudice potesse
disporre il versamento diretto del mantenimento al figlio maggiorenne solo su
istanza del figlio stesso, (Cass. n. 25300/2013).
Era evidente quindi che l’orientamento era volto a stabilire
che il coniuge obbligato al mantenimento non può chiedere di versarlo
direttamente al figlio.
La questione è stata definitivamente risolta nel 2014, con
l’abrogazione dell’art. 155 quinquies c.c. (con D.Lgs. 28 dicembre
2013, n. 154); in tal modo è stato fugato ogni dubbio sulla questione,
escludendo la possibilità che il genitore obbligato al mantenimento possa
automaticamente, al compimento del diciottesimo anno di età del figlio,
iniziare a versare l’assegno direttamente allo stesso. Pertanto, attualmente
solo il figlio maggiorenne può, ove lo desideri, chiedere al Giudice di
disporre il versamento diretto a sé del proprio mantenimento.
Tutto ciò è, evidentemente, finalizzato ad evitare che il
versamento diretto al figlio maggiorenne da parte del genitore onerato possa
essere strumentalizzato per sottrarsi al proprio obbligo al mantenimento.
Una questione controversa in dottrina e in giurisprudenza è
quella inerente il soggetto legittimato a far valere in giudizio il diritto del
figlio maggiorenne al mantenimento, considerato che l'art. 155-quinquies c.c.
disponeva il versamento dell'assegno "all'avente diritto".
La Cassazione (Cass. n. 18844/2007; n. 23590/2010) mostrava
un atteggiamento di favore riguardo all'intervento del figlio maggiorenne ma
non autonomo nel giudizio (di separazione o divorzio) pendente tra i propri
genitori al fine di far valere il proprio diritto al mantenimento (realizzando
così un "simultaneus processus"). Va detto che, sia in vigenza del
regime precedente che di quello attuale, l'orientamento maggioritario ritiene
"tuttora sussistente la legittimazione del coniuge convivente
("concorrente" o "straordinaria") ad agire iure
proprio nei confronti dell'altro genitore, in assenza di un'autonoma
richiesta da parte del figlio" per richiedere il versamento dell'assegno (Cass.
n. 9238/1996; Cass. n. 11320/2005; cass. n. 359/2014; Cass. n. 921/2014; Cass.
n. 1805/2014).
In una recente pronuncia di merito sul punto, la
giurisprudenza asserisce che “Il diritto alla separazione è stato riconosciuto
dalla giurisprudenza come situazione giuridico-soggettiva che realizza la
personalità dell'individuo e quindi si tratta di un diritto personalissimo;
anche in regime di amministrazione di sostegno, il beneficiario, può compiere
atti personalissimi, poichè la misura non comporta la perdita della titolarità
di tali diritti e di conseguenza neppure l'esercizio. Non è necessario disporre
l'integrazione del contraddittorio nei confronti del figlio maggiorenne in
quanto costui, pur essendo legittimato ad intervenire nel procedimento al fine
di formulare in suo favore apposita domanda di riconoscimento di tale
contributo nonchè di pagamento diretto dello stesso a norma dell'art.
337-septies cc, facoltà che non ha ritenuto di esercitare, non può ritenersi
litisconsorte necessario bensì titolare di una legittimazione alternativa e
concorrente con quella della madre”. (Tribunale Bari, sez. I, 7 ottobre 2015,
n. 4205).
Ai fini dell'esenzione dall'obbligo di mantenimento è
necessario un provvedimento del giudice (Cass.
n. 13184/2011; Tribunale di Modena 23 febbraio 2011).
L'onere probatorio, secondo il consolidato orientamento
della giurisprudenza, spetta al genitore che chiede di essere esonerato
dall'obbligazione ex lege, il quale deve fornire "la prova che
il figlio è divenuto autosufficiente, ovvero che il mancato svolgimento di
attività lavorativa sia a quest'ultimo imputabile (Cass. n. 2289/2001;
Cass. n. 11828/2009).
Recentemente, la giurisprudenza ha precisato che “Il dovere
di mantenimento del figlio maggiorenne cessa non solo quando il genitore
onerato dia prova che il figlio abbia raggiunto l'autosufficienza economica, ma
anche quando lo stesso genitore provi che il figlio, pur posto nelle condizioni
di addivenire ad una autonomia economica, non ne abbia tratto profitto,
sottraendosi volontariamente allo svolgimento di una attività lavorativa
adeguata e corrispondente alla professionalità acquisita” (Cass. civ.,
sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1858).
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