Era il 24 marzo 2014 quando
l’allora candidato del centrosinistra alle Comunali di Bergamo incassò il sostegno dei «Popolari
per l’Italia», movimento fondato da una vecchia
conoscenza del mondo ciellino, quel Mario Mauro che da marzo 2017 è tornato a
militare in Forza Italia. Quella presa di posizione in favore di Gori fu
firmata anche da Pietro Sbaraini, allora coordinatore regionale dei «Popolari
per l’Italia», che qualche mese più tardi, alle Europee del 2014, si candidò
nelle fila di Ncd, allora ancora forte della presenza di un altro ciellino doc
quale Maurizio Lupi e guidato da quell’Angelino Alfano da sempre inviso a certa
sinistra-sinistra, a partire dai pisapiani oggi ritrovatisi in Campo
Progressista. Tra parentesi: alle Comunali del 2016, l’emanazione milanese dei Popolari,
vale a dire «Milano Popolare», sostenne Stefano Parisi non Sala. Non solo
Comunione e Liberazione, però. A sostenere la corsa di Gori a sindaco ci fu
pure un altro esponente mica male dei cosiddetti poteri forti: «Il movimento –
si legge – ha individuato in Giorgio Gori un candidato sindaco moderato, grazie
anche al forte, presente e discreto impegno dell’onorevole Gregorio Gitti», poi
confluito, almeno lui, nel Pd.
Gitti è marito di Francesca Bazoli,
figlia del banchiere Giovanni Bazoli. Non è di osservanza ciellina, ma è l’uomo
che ha supervisionato la nascita per fusione di una grande banca a trazione
bergamasca: Ubi Banca. Dati di fatto che semplicemente descrivono quale sia la
sensibilità di Gori per le alleanze e, soprattutto, fanno capire come la corsa
ai voti del mondo ciellino, anche attraverso l’elogio di una parte di
formigonismo, non sia per il candidato del centrosinistra una strategia
contingente, dettata dalle insidie di queste Regionali, ma qualcosa di già
esperito.
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